Monthly Archives: aprile 2017

Sa die desparecida

giornata-mare-euOggi mercoledì 26 aprile sull’home page del sito web della Regione Sarda:
Giornata europea del mare. Venerdì 19 maggio si celebrerà a Cagliari l’edizione 2017 della Giornata europea del mare “European Maritime Day”, un evento annuale istituito a partire dal 2008 dalla Commissione europea al fine di incrementare la conoscenza e la visibilità del settore marittimo… Si tratta di un evento previsto in notevole anticipo rispetto alla scadenza. Giusto! E delle manifestazioni “po Sa die” di venerdì 28 aprile p.v.? Alle 14 di oggi, manco l’ombra! Eppure mancano solo due giorni!
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Sa die è ignorata anche dal sito web del Consiglio regionale. Vedasi oggi mercoledì 26 aprile 2017, alle 14. Perlomeno nell’home page, nonostante l’avvenimento meriterebbe venisse messo in massima evidenza! Cerchiamo meglio… Qualcosa c’è, precisamente nella rubrica in PRIMO PIANO, finalmente, ecco:
IL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE RIPARTE DALLA SARDEGNA: IL 27 E 28 APRILE SI RIUNISCONO A CAGLIARI I PRESIDENTI DELLE ASSEMBLEE LEGISLATIVE ALLA RICERCA DI UN ASSE COMUNE TRA REGIONI SPECIALI E ORDINARIE (…) Le celebrazioni de Sa die de Sa Sardigna - Venerdì 28 aprile, in occasione de Sa die de Sa Sardigna, giornata simbolica di celebrazione dell’autonomia della Sardegna, la riflessione su questi temi proseguirà con un incontro dedicato al regionalismo e alla specialità. Dalle 9.30 l’aula consiliare ospiterà l’incontro “Specialità, asimmetria, uniformità. Il regionalismo italiano e la sfida della differenziazione”. Sarà il massimo rappresentante del parlamento sardo ad aprire i lavori, seguito dal presidente del Friuli Venezia Giulia, Franco Iacop presidente della Conferenza delle Assemblee legislative. Seguiranno gli interventi, moderati dal costituzionalista Massimo Luciani, presidente dell’Associazione italiana Costituzionalisti, del professor Stelio Mangiameli su Specialità e asimmetria nel regionalismo dopo la crisi, del professor Luca Antonini su Oltre il paradigma della uniformità e del professor Andrea Pubusa su Tendenze della specialità nel confermato quadro del regionalismo. Alle 12 è previsto il dibattito, mentre le conclusioni saranno affidate allo stesso professor Luciani.
lampadadialadmicromicro132Poco, troppo poco!
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Non ci resta allora che perseverare nella nostra lamentela. Sa die de Sa Sardigna desparecida sui siti web della Regione Sarda [oggi, mercoledì 26 aprile 2017, ore 14] A due giorni dalla celebrazione della Festa dei Sardi (venerdì 28 aprile 2017)
- La legge regionale che istituisce Sa die.
la-lampada-di-aladinDicevamo il 21 aprile 2016, un anno fa…

Sa die de Sa Sardigna, Festa nazionale dei Sardi

sadie-3sadie2015NOTA STORICA SU SA DIE DE SA SARDIGNA
di Francesco Casula
Per ricordare La cacciata dei Piemontesi è nata ”Sa Die, giornata del popolo sardo” – ma io preferisco chiamarla “Festa nazionale dei Sardi” – con la legge regionale n.44 del 14 Settembre 1993.
Con essa la Regione Autonoma della Sardegna ha voluto istituire una giornata del popolo sardo, da celebrarsi il 28 Aprile di ogni anno, in ricordo – dicevo – dell’insurrezione popolare del 28 Aprile del 1794, ovvero dei “Vespri sardi” che portarono all’espulsione da Cagliari e dall’Isola dei piemontesi e di altri forestieri (nizzardi e savoiardi) ligi alla corte sabauda ed espressione del potere e dell’arroganza, compreso lo stesso inviso Viceré Balbiano.
Quanti?
Alcuni storici (Girolamo Sotgiu) dicono 514; altri (Luciano Carta) 600-620. Pochi?
Moltissimi, se si pensa che Cagliari alla fine del ‘700-inizio ‘800 contava 20 mila abitanti e dunque vi era un “burocrate” piemontese per meno di 40 cagliaritani!

- Precedenti, cause motivazioni della “Rivolta”

1. Tentativo francese di occupare e conquistare la Sardegna.
I Francesi sbarcano e occupano l’Isola di San Pietro l’8 Gennaio del 1793 e pochi mesi dopo Sant’Antioco. Il 23 Gennaio la flotta, comandata dal Truguet getta le ancore nella rada di Cagliari bombardandola: il 27-28 Gennaio i Francesi sbarcano nel Margine Rosso di Quartu sant’Elena e il 14 Febbraio sottopongono a un fuoco infernale le posizioni tenute dal barone Saint Amour.
Parallelamente alla spedizione del Truguet, un altro attacco vede Napoleone Bonaparte comandante dell’artiglieria con il grado di tenente colonnello. Grazie soprattutto al valore del maddalenino Domenico Millelire e del tempiese Cesare Zonza, l’attacco fu respinto. Anche Sant’Antioco e San Pietro saranno liberati tra il 20 e il 25 Marzo, per l’intervento di una flotta spagnola. Così, sconfitti al fronte Nord come al Sud, i Francesi sono costretti al ritiro.

Perché i francesi tentano di conquistare la Sardegna?
Motivazioni ideologiche (ovvero chiacchiere): esportare la rivoluzione e con essa i principi dell’89: Liberté, Égalité, Fraternité.
I motivi veri:
a. ”approvvigionare con i suoi grani e il suo bestiame l’esercito e impinguare le casse dello stato che la guerra e la rivoluzione avevano ormai svuotato” (Girolamo Sotgiu);
b. “l’avere un rifugio nei porti di Sardegna nel caso di guerra marittima, era stimato utilissimo” (Carlo Botta).
Evidentemente i francesi ritenevano inevitabile la guerra con l’Inghilterra – come di fatto avverrà – e dunque vogliono dotarsi di una bella base militare ad hoc.

Chi difenderà la Sardegna, respingendo i francesi?
Non l’esercito regolare dei re sabaudi ma i miliziani, i volontari sardi, sostenuti e finanziati dagli Stamenti: ovvero da nobili e clero ostili ai rivoluzionari francesi che consideravano demoni mangiapreti ma anche da democratici come Angioy o il Marchese di Flumini.

Hanno fatto bene i sardi a difendere la Sardegna?
E’ una questione storiografica aperta: il problema è però chiarire che i sardi più che difendere il regno dei sabaudi difendono la loro terra.

2. I Sardi vincitori presentano “il conto” al re Vittorio Amedeo III.
I Sardi – cito lo storico Natale Sanna – “dopo secoli di inerzia e di supina quiescenza ridiventano finalmente consapevoli del proprio valore e la classe dirigente fiera della sua forza e dei risultati ottenuti, credette giunto il momento di chiedere al re il riconoscimento dei propri diritti, tanto più che a Torino, mentre si concedevano in abbondanza promozioni e onori ai Piemontesi, si ignorava quasi completamente l’elemento sardo, distintosi nel Sulcis e nel Cagliaritano”.
Infatti – ricorda Girolamo Sotgiu – “seguendo le indicazioni del viceré Balbiano, le onorificenze militari accordate dal Ministro della guerra furono tutte concesse, con evidente ingiustizia, alle truppe regolari che avevano dato così misera prova di sé… e alla Sardegna che aveva conservato alla dinastia il regno concesse ben povera cosa: 24 doti di 60 scudi da distribuire ogni anno per sorteggio tra le zitelle povere e l’istituzione di 4 posti gratuiti nel Collegio dei nobili di Cagliari…”.
E altre simili modeste concessioni. Di qui la decisione del Parlamento sardo – composto dagli Stamenti: quello militare (o feudale), quelle ecclesiastico e quello reale (formato dai rappresentanti delle città) – riunito nel Marzo-Aprile 1793, di inviare un’ambasceria a Torino per presentare al sovrano 5 precise richieste, le famose “5 domande”:
- il ripristino della convocazione decennale del Parlamento, interrotta dal 1699;
- la conferma di tutte le leggi, consuetudini e privilegi, anche di quelli caduti in disuso o soppressi pian piano dai Savoia nonostante il trattato di Londra;
- la concessione ai “nazionali” sardi di tutte le cariche, ad eccezione di quella vicereale e di alcuni vescovadi;
- la creazione di un Consiglio di Stato, come organo da consultare in tutti gli affari, che prima dipendevano dall’arbitrio del solo segretario;
- la creazione in Torino di un Ministero distinto, per gli Affari della Sardegna.
Si trattava, come ognuno può vedere, di richieste tutt’altro che rivoluzionarie: non mettevano in discussione l’anacronistico assetto sociale né le feudali strutture economiche, anzi, in qualche modo, tendevano a cristallizzarle. Esse miravano però a un obiettivo che si scontrava frontalmente con la politica sabauda: volevano ottenere una più ampia autonomia, sottraendo il regno alla completa soggezione piemontese, per affidare l’amministrazione agli stessi Sardi. La risposta di Vittorio Amedeo III non solo fu negativa su tutto il fronte delle domande ma fu persino umiliante per i 6 membri della delegazione sarda (Aymerich di Laconi e il canonico Sisternes per lo stamento ecclesiastico; gli avvocati Sircana e Ramasso per lo stamento reale; Girolamo Pitzolo e Domenico Simon per lo stamento militare, ).
Il Pitzolo, scelto dalla delegazione per illustrare le richieste, non fu neppure ricevuto dal sovrano né ascoltato dalla Commissione incaricata di esaminare il documento… non solo: il Ministro Graneri neppure si curò di comunicare alla delegazione ancora a Torino, la decisione negativa del re, trasmettendola direttamente al vice re a Cagliari.

3. La rivolta cagliaritana e la cacciata dei piemontesi
Ecco come lo storico sardo da Girolamo Sotgiu descrive il fatto:
“E fu così che il 28 Aprile 1794, come narrano le cronache «si videro i soldati del reggimento svizzero Smith vestiti in parata». La cosa passò inosservata perché si pensò che si trattasse di esercitazioni militari. Ma “sull’ora del mezzogiorno furono rinforzati i corpi di guardia a tutte le porte, tanto del Castello, come della Marina», e questo fatto cominciò a suscitare qualche preoccupazione fino a quando «sull’un’ora all’incirca, quando la maggior parte del popolo è ritirata a casa e a pranzo, fu spedito un numeroso picchetto di soldati comandato da un Capitano Tenente e tamburo battente con due Aiutanti ed il Maggiore della piazza» ad arrestare Vincenzo Cabras.
«Avvocato dei più accreditati e ben imparentato nel sobborgo di Stampace», nonché il genero avv. Bernardo Pintor e il fratello Efisio Luigi Pintor, che poté sfuggire alla cattura perché assente.
I due arrestati furono condotti alla torre di S. Pancrazio e furono subito chiuse tutte le porte, mentre già il popolo si radunava tumultuando.
L’arresto di uomini noti anche per la partecipazione attiva alla vita pubblica apparve subito quello che probabilmente doveva essere: l’inizio, cioè, di una rappresaglia più massiccia.
Da qui l’accorrere tumultuoso di centinaia, migliaia di persone, (almeno 2 mila, il 10% dell’intera popolazione cagliaritana) l’assalto alle porte, che furono bruciate o divelte, l’irruzione nei corpi di guardia, il disarmo dei soldati, la conquista del bastione e delle batterie dei cannoni. Tutto questo nel rione di Stampace, dove si erano verificati gli arresti. All’insorgere di Stampace seguì in rapida successione la sollevazione dei borghi di Villanova e della Marina.
La folla, superata la resistenza dei soldati, aprì le porte che tenevano divisi i sobborghi l’uno dall’altro che la massa del popolo unita poté rivolgersi alle porte del Castello.
Negli scontri rimasero uccisi alcuni popolani e alcuni soldati. L’assalto al Castello, dove il viceré voleva organizzare una più efficace resistenza, avvenne subito dopo. Bruciata la porta, lunghe scale appoggiate alle muraglie, «facendo scala delle loro spalle l’uno sopra l’altro», i dimostranti riuscirono a entrare nei locali dove erano ammassate le truppe a difesa del viceré e del suo quartier generale.
Così, il 7 maggio 1794, 514 (secondo Girolamo Sotgiu) o 600-620 (secondo Luciano Carta) tra piemontesi savoiardi e niz¬zardi furono costretti ad abbandonare l’isola, e, «divulgata per tutto il Regno l’espulsione da Cagliari dei Piemontesi, fu universale l’approvazione»; ad Alghero fu fatta la stessa cosa e, dopo qualche resistenza, anche Sassari seguì l’esempio della capitale. Né mancò, nel giorno drammatico dello scommiato da Cagliari, anche il grande gesto da tramandare alla storia: «La piazza che dalla porta di Villanova mette nel Castello era ingom¬bra di popolani della classe più umile. Erano carrettaj, facchini, beccai, ortolani ed altri di simil fatta, gente poco ausata a squisi¬tezza di tratti», quando la piazza fu attraversata dai carri che «scendevano dal Castello nel quale aveano avuto stanza i mag-giori ministri», trasportando «al porto le loro masserizie con quelle del viceré». All’apparire di tanta «abbondanza di carriaggi», si levò un solo grido:
Ecco le ricchezze sarde trasformate in ricchezza straniera: non giungeano qui con tanto peso di bagagli o con questa dovizia di guarnimenti: assottigliati ci veniano e scarsi quelli che oggi si dipartono con fortuna così voluminosa. Buoni noi e peggio che buoni, se lasciamo che abbiano il bando con questi stranieri anche le robe che erano nostre.
E il passare dalle parole ai fatti sarebbe stato inevitabile, se un beccaio, Francesco Leccis, sentita nell’animo l’indegnità del tratto, sale sopra una panca, e brandendo in mano il coltellaccio del suo mestiere quale scettro d’araldo, fermatevi, grida a quei furiosi:
quale viltà per voi, quale onta a tutti noi! Non si dirà più che la Sardegna ha bandito gli stranieri per insofferenza di dominio, si dirà che si è sollevata per ingordigia di preda. La Nazione volea cacciarli e voi li spogliate? Ed esortati i carrettieri a muoversi, «la folla si bipartiva, e le voci erano chete, e l’onore di quella critica giornata era salvata da un beccaio».
Meno aulicamente del Manno, il padre Napoli racconta la stessa cosa:
Lasciateli andare – sembra che il Leccis abbia detto – che i sardi benché poveri non han bisogno della M… dei Piemontesi, parole che colpirono in modo lo spirito di quelle plebaglie, che subito risposero nel loro linguaggio: aicci narras tui? chi si fassada, cioè: così dici tu? che si faccia.
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- La pagina fb dell’evento.
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Sa Die della Sarda Distrazione di Nicolò Migheli, su SardegnaSoprattutto, ripreso da Aladinews.
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Giuseppe Sciuti, Ingresso trionfale di Giommaria Angioy a Sassari, 1879.

Oggi mercoledì 26 aprile 2017

su-connotu26 aprile 1868. “Sa die de su connottu”.
di Tonino Dessì, su fb.
La rivolta de “Su Connottu” fu un episodio di ribellione verificatosi a Nuoro nel XIX secolo come reazione a una serie di provvedimenti legislativi emanati dal 1820 al 1858.
Il provvedimento-madre, denominato “Editto delle chiudende” ed emanato dall’allora re di Sardegna Vittorio Emanuele I, autorizzava la chiusura, da parte di chi ne ottenesse titolo per averne i mezzi, dei terreni che erano fino ad allora di proprietà comunitaria, estendendo in tal modo la proprietà privata di tipo “capitalistico”.
In Barbagia e in Ogliastra l’abolizione degli usi comunitari aveva provocato dei gravissimi scompensi economici e sociali.
Nei primi decenni di attuazione dell’editto la popolazione locale iniziò a opporsi con determinazione, con azioni frammentarie anche se spesso molto violente.
La situazione precipitò allorché nel 1858 furono alienati anche i terreni demaniali su cui gli abitanti dei villaggi avevano diritto di pascolo e di legnatico, in virtù del sistema dell’ademprivio. Le popolazioni cominciarono a ribellarsi in molti paesi della Sardegna.
A Nuoro il 26 aprile del 1868 scoppiò una grande rivolta nota con il nome di “Su Connottu” (“Il Conosciuto”). I rivoltosi, guidati secondo molte fonti da una popolana, Paschedda Zau, chiedevano il ritorno a ciò che avevano sempre conosciuto, ossia il ripristino dell’antico sistema di gestione dei terreni.
Nei giorni della rivolta fu assalito il Municipio e furono bruciati i documenti di compravendita delle terre comunali ex ademprivili.
Giorgio Asproni, uno dei politici più in vista di quel territorio, deputato in Parlamento, era favorevole alla vendita dei terreni comunali e nel contempo accusava il clero di avere un ruolo di responsabilità nella rivolta.
Tuttavia, a seguito di questi gravi fatti, insieme ad altri deputati sardi, sollecitò il governo italiano per l’avvio di una indagine sulle condizioni sociali ed economiche della Sardegna.
Nel novembre dello stesso anno fu istituita una Commissione Parlamentare di indagine sulla condizione della Sardegna, presieduta da Agostino Depretis.
La Commissione si recò nell’isola nel 1869. Solo Quintino Sella, tuttavia, produsse un’eccellente relazione, che però si limitò alla realtà mineraria isolana.
L’operato della commissione non sortì alcun atto concreto.
Quel che rimase dei beni comuni ha continuato ad essere oggetto di ulteriori chiudende, abusive, legali e abusive-legalizzate.
Vicenda che perdura a tutt’oggi.
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sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghdemocraziaoggiGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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logo-comitato-dics-23-4-17Comunicazioni di servizio. Riprendono oggi le riunioni del Comitato d’Iniziativa Sociale Costituzionale e Statutaria, alle 19 nella sede della Confederazione Sindacale Sarda (CSS) in via Roma,72. Riprenderanno a breve anche le riunioni del Coordinamento regionale e dei Gruppi di Lavoro (Per il Lavoro – Beni Comuni).
Prossima iniziativa il 28 aprile in occasione de Sa die de Sa Sardigna su “Sardegna: Costituzione, Statuto Speciale, Sovranità popolare”.

25 aprile

noi-il-25-apr-17democraziaoggi25 Aprile, davvero un bel corteo a Cagliari!

Andrea Pubusa su Democraziaoggi

Resistere alla disumanizzazione

occhi-migrantiSOCIETÀ E POLITICA »EVENTI» 2017-ACCOGLIENZA ITALIA
Resistere alla disumanizzazione
di Luigi Manconi, Livio Pepino e Marco Revelli, su il manifesto, ripresi da eddyburg
eddyburg
«Questi fatti, vanno seguiti con la massima attenzione: rivelano la tendenza a ritornare a una fase pre-moderna del diritto, quando con i vagabondi e i sovversivi e gli esuli, veniva processato chi dava loro soccorso». Articoli di Luigi Manconi, Livio Pepino e Marco Revelli. il manifesto, 25 aprile 2017 (c.m.c.)

QUANDO ESSERE UMANI
È UN REATO

di Luigi Manconi

Estate 2016. Ventimiglia, estremo occidente della costa ligure: centinaia di migranti sostano al confine tra Italia e Francia. Cercano di varcarlo, per continuare il loro viaggio, ma l’Europa ha chiuso loro quella porta. Il campo della Croce rossa italiana non riesce più ad accogliere tutti, prendono forma campi di fortuna, allestiti da organizzazioni umanitarie, dove volontari prestano aiuto e assistenza. Félix Croft, europeo di cittadinanza francese, è uno di questi. Di fronte a una simile mobilitazione il sindaco, per motivi di «igiene e decoro», emette un’ordinanza (di recente provvidenzialmente revocata) che vieta la distribuzione di cibo e bevande ai migranti.

Ora, mentre una nuova estate di sbarchi si avvicina, Félix Croft aspetta di sapere del suo futuro. Il 27 aprile sapremo se sarà condannato: la procura del Tribunale di Imperia ha chiesto per lui una pena di 3 anni e 4 mesi di reclusione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, oltre a una multa di 50 mila euro.

Questo il suo racconto: «Il 22 luglio, parlando con alcuni profughi e volontari del campo, sono venuto a conoscenza della storia particolarmente dolorosa di una famiglia sudanese con due bimbi di 2 e 5 anni, proveniente dal Darfur; insieme ad un’amica psicologa sono andato a trovarli nella chiesa dove avevano trovato un alloggio provvisorio, per verificare i loro bisogni e le necessità più urgenti. Mi sono trovato di fronte a una situazione che mi ha colpito nel profondo: la donna, incinta di 6 mesi, era duramente provata, uno dei bambini aveva ancora su un fianco gli esiti di una profonda ustione, per non parlare del racconto tragico del loro viaggio e della distruzione del loro villaggio, dato alle fiamme. Si trovavano lì bloccati, senza vie d’uscita.

Impossibile per loro camminare lungo l’autostrada, rischiando la morte con i bambini, o peggio prendere un treno, viste le continue perquisizioni sui convogli che passavano la frontiera; non avevano denaro per pagarsi un passeur per tentare di raggiungere la Germania dove avevano dei parenti. Più volte la giovane madre mi ha chiesto aiuto, quasi implorandomi di portarli via con me. Pensavo di ospitarli da me, a Nizza, di farli riposare, per poi affidarli a un’associazione umanitaria che si sarebbe occupata di aiutarli concretamente, di trovargli una sistemazione.

Siamo stati fermati al casello autostradale di Ventimiglia, io sono stato arrestato – anche se i carabinieri hanno verificato che non avevo denaro addosso – la famiglia presa in carico dalla Caritas. Dopo tre giorni in prigione, mi è stata concessa la libertà provvisoria, in attesa di essere giudicato per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».

Laura Martinelli, Ersilia Ferrante e Gianluca Vitale – gli avvocati che difendono Félix Croft – hanno obiettato all’impianto accusatorio chiedendo l’applicazione della clausola che consente l’eccezione alla fattispecie di reato di favoreggiamento quando esso sia stato prestato per motivi umanitari. Ne hanno chiesto pertanto l’assoluzione, essendo stato – quello dell’accusato – un gesto di solidarietà e umanità.

D’altro canto, proprio in Francia simili casi giudiziari hanno esito diverso. Cédric Herrou, agricoltore della Val Roja, è stato condannato dal Tribunale di Nizza a una multa di 3000 euro con il beneficio della condizionale (la procura nel suo caso aveva chiesto 8 mesi di carcere, sempre con la condizionale) per aver favorito l’ingresso in Francia di 200 migranti privi di documenti. E il 19 maggio conosceremo la sentenza nel caso della giovane attivista italiana Francesca Peirotti, a processo il 4 aprile sempre a Nizza. Il procuratore ha chiesto per lei una condanna a 8 mesi con la condizionale e 2 anni di interdizione dal territorio francese per «aver favorito l’ingresso irregolare di otto migranti».

Questi fatti, che sembrano rispondere a un’unica logica, vanno seguiti con la massima attenzione: rivelano la tendenza a ritornare a una fase pre-moderna del diritto, quando si perseguivano le «colpe d’autore» e diventava materia di sanzione penale la condizione esistenziale. E, con i vagabondi e i sovversivi e gli esuli, veniva processato chi dava loro soccorso.

PRIMA VITTORIA
CONTRO L’INTOLLERANZA

di Livio Pepino e Marco Revelli

L’ordinanza del sindaco di Ventimiglia che vietava di «somministrare cibo ai migranti» è stata revocata!È un primo risultato (anche) del nostro appello alla mobilitazione nella città del ponente ligure il 30 aprile. Ed è una buona ragione per moltiplicare l’impegno e la pressione.

Ventimiglia non è il luogo di maggior pressione migratoria né quello in cui si sono verificati i più gravi episodi di intolleranza. Ed è luogo in cui parte significativa dell’associazionismo laico e cattolico si sta impegnando al meglio per l’accoglienza. Ma è un simbolo di assoluta centralità. Per due motivi fondamentali.

Primo. Ventimiglia è un luogo di confine. Lì, come in altri confini d’Italia e d’Europa, emergono in modo più evidente gli egoismi e le contraddizioni del nostro sistema. I confini tornano ad essere muri. Elementi di divisione. Presìdi contro altre donne e altri uomini. E riemergono intolleranza, violenza, brutalità, rifiuto da parte delle istituzioni.

Eppure sui confini si sono mossi, negli ultimi anni, migliaia di cittadini – pensiamo all’Austria, alla Germania, alla Svizzera… – che hanno sfidato le autorità e accompagnato i migranti in un transito che si voleva impedire. Proprio sui confini, dunque, si gioca la credibilità di chi sostiene di volere un’altra Europa, senza precisare quale. Oggi il discrimine è proprio sul tema dell’accoglienza. Senza demagogie. Sapendo che i problemi ci sono. Ma sapendo anche – e dicendolo forte – che essi vanno affrontati con umanità e lungimiranza, non esorcizzati e rimossi.

Secondo. Ventimiglia è un simbolo anche sotto un altro profilo. Perché lì c’è stata una delle più esplicite tra le ordinanze sindacali che vietano la solidarietà e prescrivono il rifiuto. Oggi quella ordinanza è stata revocata ma la cultura che l’ha ispirata resta pericolosamente viva, come si vede, per esempio, con la vergognosa criminalizzazione delle organizzazioni umanitarie che cercano di salvare i naufraghi nel Mediterraneo.

Con il decreto Minniti, poi, quella cultura diventa regola. Per difendere il «decoro» urbano e tutelare la «tranquillità» dei cittadini ogni prevaricazione diventa lecita. Fino a trasformare l’antico principio che impone di dar da mangiare a chi ha fame e di dare un tetto a chi non ce l’ha nel suo contrario.

Così l’intolleranza e il rifiuto non sono più solo situazioni di fatto. Diventano regole di diritto e si scrive una nuova pagina di un crescente «diritto del nemico». Con gli sviluppi che la storia insegna e che possiamo facilmente immaginare.

C’è quanto basta per essere in molti, ancora di più, a Ventimiglia il 30 aprile e per dare alla manifestazione un ulteriore significato.
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28 Aprile Sa die de Sa Sardigna!
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25 Aprile di Liberazione!

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28 Aprile Sa die de Sa Sardigna!
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Martedì 25 aprile 2017 Festa della Liberazione

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25 Aprile: una scintilla che i giovani possono recepire
Oggi Festa della Liberazione a Cagliari
Lo scorso anno abbiamo difeso la Costituzione adesso ci battiamo per attuarla
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(nella foto, lo striscione del nostro Comitato alla Manifestazione del 25 aprile 2016)
Programma di oggi:
Mattino: Manifestazione – ore 9,30 ritrovo (Parte alta pedonale Via Alghero). corteo via Sonnino, Monumento Caduti, via Sonnino, Viale Bonaria (Piazza Lussu), Via […]
democraziaoggi[Leggi su Democraziaoggi]
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Lettera di Giaime Pintor al fratello Luigi. Una atto di alto valore morale che suona risposta alle miserabili e pretestuose polemiche di questi giorni
Red
Per i 70 anni della aprovazione della Costituzione, il più grande frutto della Liberazione dal Fascismo, riproponiamo la celebre lettera inviata da Giaime Pintor il 28 novembre 1943 (pochi giorni prima di essere ucciso il 1 dicembre) al fratello Luigi, fondatore de “Il Manifesto”, ma ancor prima direttore de L’Unità e deputato comunista. […]
democraziaoggi[Leggi su Democraziaoggi]
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E di sera:
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Tre buone notizie dalla Francia

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Tre buone notizie dalla Francia
UNO: l’avanzata della destra fascista, xenofoba, razzista è stata bloccata.
DUE: i vecchi partiti del passato sono stati frantumati.
TRE: l’elettorato della sinistra radicale è riuscito a riconoscersi unito e ad affermarsi come terza formazione politica.
Ce n’est qu’un début, mais c’est un bon début
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eddyburg
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Prossimi appuntamenti
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25 aprile Festa della Liberazione. Domani tutti in corteo!

25-aprile-2017-anpi
E di sera:
25-apr-2017-vetreria
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moni-ovadia1Lunedì 24 aprile 2017
Lettera aperta di Moni Ovadia al Sindaco di Milano Sala su BDS e 25 aprile
Alla cortese attenzione del Sindaco di Milano, signor Giuseppe Sala

Egregio signor Sindaco,

Sa die de Sa Sardigna figlia di un dio minore

your-first-eures-jobOggi sull’home page del sito web della Regione Sarda:
A Cagliari un incontro informativo su “Your First Eures Job”. Si tratta di un evento previsto per l’8 maggio. In notevole anticipo. Giusto! E delle manifestazioni “po Sa die” di venerdì 28 aprile p.v.? Manco l’ombra! Eppure mancano solo quattro giorni!
Ecco il sito della RAS lunedì 24 aprile 2017, alle 15.43:
ras-24-apr17-ore-15-43
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Sa die è ignorata anche dal sito web del Consiglio regionale. Vedasi oggi lunedì 24 aprile 2017, alle 15.53:
ras-cons-reg-24-4-17-ore-1553
Cerchiamo sulla pagina degli eventi. Qualcosa c’è, finalmente, anche se nascosto! Ma, guardiamo meglio: si riferisce all’anno scorso!
Celebrazioni de “sa die de sa Sardigna”
Sa die de sa Sardigna 2016: nasce la consulta interistituzionale fra le assemblee rappresentative della Sardegna e della Corsica – comunicato stampa
Programma lavori seduta congiunta del Consiglio regionale della Sardegna con i rappresentanti dell’Assemblea di Corsica
Intervento del Presidente del Consiglio regionale della Sardegna Gianfranco Ganau
Nota stampa
Il resoconto integrale dei lavori
Le immagini
I video
» La seduta solenne
» Intervento del Presidente del Consiglio regionale della Sardegna Gianfranco Ganau
28/04/2016 – ore 10
Consiglio regionale della Sardegna
Via Roma 25 – Cagliari

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Non ci resta allora che perseverare nella nostra lamentela. Sa die de Sa Sardigna desparecida sui siti web della Regione Sarda [oggi, lunedì 24 aprile 2017] A quattro giorni dalla celebrazione della Festa dei Sardi (venerdì 28 aprile 2017)
- La legge regionale che istituisce Sa die.
la-lampada-di-aladinDicevamo il 21 aprile 2016, un anno fa…

Carlo Petrini. La sua ricetta teorica per salvare il pianeta si compone di due ingredienti fondamentali: la decolonizzazione del pensiero e la creazione di un nuovo modello socio-economico. Quella pratica si risolve nella proposta di un Piano Marshall per i paesi più poveri

giornata-mondiale-per-la-terra_contentimageSOCIETÀ E POLITICA »NOSTRO PIANETA» CLIMA E RISORSE
Carlo Petrini, un Piano Marshall per la terra
di Carlo Petrini su eddyburg.
eddyburg

Finalmente Carlo Petrini, intervistato da Angelo Mastrandrea, “la butta in politica”: ha compreso dove stanno le radici dei disastri in atto e lo dice.La sua è una critica radicale al neoliberismo e ai colonialismi vecchi nuovi. il manifesto 23 aprile 2017

Guardiamo alla salute del pianeta, ma pure a quella di chi lo abita, sembra dire Carlo Petrini, un una singolare sintonia con papa Francesco. Solo se si guarda al problema da questa prospettiva si potrà avere uno sguardo più ampio che consenta di connettere questioni che nell’agenda politica sono rigorosamente separate: i cambiamenti climatici, la produzione alimentare e le migrazioni, ad esempio.

L’ideatore di Slow Food è convinto che non si può affrontare la febbre che rischia di portare la Terra al capolinea pensando solo di alleviarne i sintomi. A suo parere è necessario affrontare il malessere alla radice, combattendo «il folle sistema economico» che lo produce e proponendo un «cambio di paradigma» radicale. Socialista e umanitario, verrebbe da dire.

La sua ricetta teorica per salvare il pianeta si compone di due ingredienti fondamentali: la decolonizzazione del pensiero e la creazione di un nuovo modello socio-economico. Quella pratica si risolve nella proposta di un Piano Marshall per i paesi più poveri. «Due giorni fa il nostro primo ministro Paolo Gentiloni ha detto che bisogna aumentare gli aiuti ai paesi di partenza dei migranti per creare lavoro a casa loro. Giusto, però la verità è che l’Ue non fa nulla. Se volesse intervenire davvero, dovrebbe inventarsi una sorta di Piano Marshall, ma ancora più forte», dice.

Vorrebbe dire abbandonare l’austerity, proprio quello che l’Unione europea non vuole.
«Sarebbero tanti soldi, certo. In ogni caso, se non si fa nulla quei costi li pagheremo ugualmente, perché non ci saranno muri che terranno di fronte all’ondata migratoria. È questa la battaglia politica più importante oggi in Europa, l’unico modo per far fronte all’avanzata dei Salvini e delle Le Pen».

Oggi [22 aprile] si celebra la Giornata mondiale della terra, ma a nessuno è venuto in mente di legarla alle migrazioni come fa lei.
«Se non vediamo la connessione tra distruzione degli ecosistemi e migrazioni non capiamo nulla di quello che sta accadendo. La maggior parte delle persone non fugge per le guerre, ma perché le loro prospettive di vita sono nulle. I giovani africani si vedono negato il diritto alla terra, che un tempo era consuetudinario, perché i nuovi colonizzatori arrivano ad acquistarla legalmente, accaparrandosela a prezzi ridicoli grazie ai governi-canaglia figli della decolonizzazione».

Chi intende per nuovi colonizzatori?
«Penso ai cinesi e agli indiani, che comprano milioni di ettari di terreni in Africa per produrre cibo che non finisce agli africani, o ai fondi sovrani che fanno lo stesso per produrre biocarburanti. Questo causa la perdita di biodiversità e di fertilità dei terreni, e provoca le migrazioni di massa.

Poi ci sono i vecchi colonizzatori. Molti investimenti europei in Africa sono legati alla sostenibilità ambientale.
«Anche questo è un terreno minato. Le faccio un esempio: in Uganda il governo locale ha messo a disposizione della Norvegia una grande superficie di terreno per la riforestazione. Di per sé sarebbe una cosa positiva, se non fosse che 10 mila pastori sono rimasti senza lavoro. Bisogna imparare a decodificare le nuove forme di colonialismo che si nascondono dietro questi progetti, che possono essere sostenibili dal punto di vista ambientale ma non da quello sociale. Soprattutto in Africa, è necessario un processo di decolonizzazione del pensiero, anche perché la storia comincia a presentarci il conto. Dopo lo schiavismo, il colonialismo becero e quello mascherato degli accordi con i governi post-coloniali, ora le popolazioni cominciano a ribellarsi. Intere aree si stanno desertificando a causa dei cambiamenti climatici, masse di diseredati non possono più vivere su quelle terre. Questa situazione non regge.

Lo sfruttamento delle risorse però non si ferma.
«Il comportamento dell’umanità negli ultimi cinquant’anni è stato senza dubbio irresponsabile. Basta pensare a quello che è stato fatto con le deforestazioni e con le estrazioni minerarie e petrolifere, dove le maggiori penalizzate sono state le comunità locali. Se adottiamo questo punto di vista, avere un’attenzione per i più deboli ci porta a pensare a una visione di ecologia integrale simile a quella prospettata da papa Francesco nell’enciclica Laudato sii: è necessario pensare non solo alla terra ma pure a chi la abita. Ci sono forme di egoismo e di insensibilità che la comunità internazionale tollera da troppo tempo, quasi che le risorse siano infinite. La sofferenza degli ecosistemi si somma a quella delle comunità».

La sua è una critica radicale al neoliberismo.
«Bisogna risalire alla fonte di questi comportamenti irresponsabili. Io credo che la ragione principale sia una logica economica perversa che mette di fronte a tutto il profitto e non guarda in faccia a nessuno. Si tratta di un iperliberismo sfrenato che sta distruggendo il pianeta a beneficio di pochi. Per questo è necessario un cambio di paradigma. Se non si pensa alla costruzione di un’economia di comunità, che guardi ai bisogni a livello locale, non ne usciremo.

Poi c’è la questione del cibo, che è stato tra i primi a sollevare con Slow Food e Terra Madre.
«La questione alimentare è uno dei punti chiave, ma la comunità internazionale non l’ha mai messa in evidenza. Si parla di cambiamenti climatici e della perdita di fertilità dei suoli e non si mette in discussione la pratica più invasiva, che è la produzione di cibo. Si parla delle tonnellate di plastica in mare, ma si tace sulla pesca a strascico per la produzione di mangimi animali, che depreda la biodiversità. O i governi cominciano a riflettere su queste cose o andiamo verso il disastro. Purtroppo, le cose non stanno andando in questa direzione: Trump non dimostra quella sensibilità che dovrebbe avere una delle potenze mondiali che hanno più responsabilità nel disastro ecologico. Siamo a un crocevia decisivo».

Lunedì 24 aprile 2017

sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghdemocraziaoggiGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413
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«I cristiani e il Medio Oriente. Segno di speranza» cristiani-e-medio-oriente Oggi, lunedì 24 aprile alle ore 18 nell’aula Magna della Facoltà teologica della Sardegna, si terrà un incontro con Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, sul tema «I cristiani e il Medio Oriente. Segno di speranza». L’iniziativa a cura della Fondazione «Umberto e Margherita».
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lampada aladin micromicroGLI EDITORIALI DI ALADINEWS. Terzo Rapporto sull’innovazione sociale in Italia
L’INNOVAZIONE SOCIALE IN ITALIA, TRA GRANDI IMPRESE E PROMOTORI LOCALI
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democraziaoggiMario Carboni hai rotto l’unità antifascista e non solo
Amsicora su Democraziaoggi.
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eddyburgSOCIETÀ E POLITICA »EVENTI» 2017-ACCOGLIENZA ITALIA
Chi è ipocrita sui migranti
di Chiara Saraceno su La Repunnlica.it, ripreso da eddyburg.
Alle ambigue accuse di “buonismo” rivolte a chi soccorre i disperati, e ne salva le vite, provenienti dai politici precocemente invecchiati che fanno l’occhiolino all destra razzista, ecco la risposta pacata e ragionevole a chi guarda le cose per quello che sono. la Repubblica, 24 aprile 2017 (c.m.c.)

Papa Francesco: “Don Milani, un educatore appassionato, innamorato della Chiesa”

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“Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa”, con questa frase di don Lorenzo Milani, Bergoglio ricorda a 50 anni dalla morte “l’educatore appassionato” e la sua ‘Lettera a una professoressa’, a lungo osteggiata da gerarchie vaticane e civili”. Pubblicato il 23 apr 2017 su YouTube a cura di RepTV e CTV (Centro Televisivo Vaticano).
“Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa”, con questa frase di don Lorenzo Milani, Bergoglio ricorda a 50 anni dalla morte “l’educatore appassionato” e la sua ‘Lettera a una professoressa’, a lungo osteggiata da gerarchie vaticane e civili. (A cura di Alberto Melloni)
IL COMMENTO su La Repubblica.it di Alberto Melloni
Papa Francesco e Don Milani, Melloni: “Sanata un’ingiustizia”.

Terzo Rapporto sull’innovazione sociale in Italia

forumpa il pensatoreL’INNOVAZIONE SOCIALE IN ITALIA, TRA GRANDI IMPRESE E PROMOTORI LOCALI
Pubblicato il 14/04/2017 su
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di Vittoria Azzarita

Il Centro di Ricerche Internazionali sull’Innovazione Sociale (CERIIS), costituito all’interno dell’Università Luiss Guido Carli e sostenuto dalla Fondazione ItaliaCamp, ha presentato la terza edizione del Rapporto sull’innovazione sociale in Italia. Curato da Matteo Giuliano Caroli e pubblicato da FrancoAngeli, lo studio offre una panoramica delle esperienze innovative e socialmente rilevanti presenti nel nostro Paese, dedicando per la prima volta, una parte del volume ai risultati di un’indagine empirica condotta su un campione di grandi aziende italiane, al fine di comprendere il loro coinvolgimento nell’innovazione sociale. Il Rapporto illustra, inoltre, le fondamentali caratteristiche dell’innovazione sociale in Italia attraverso l’analisi di 578 casi, raccolti e catalogati nel database del CERIIS. A partire da tali dati, lo studio offre numerosi spunti di riflessione sul ruolo che i diversi attori dell’innovazione sociale possono giocare, in un ambito in cui l’eterogeneità delle iniziative rischia di ostacolare la piena comprensione del fenomeno.

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L’innovazione sociale delle grandi imprese è il tema al centro del Terzo rapporto sull’innovazione sociale in Italia[1], a cura del Centro di Ricerche Internazionali sull’Innovazione Sociale (CERIIS), costituito all’interno dell’Università Luiss Guido Carli e sostenuto dalla Fondazione ItaliaCamp. Facendo riferimento alle definizioni maggiormente accreditate, è possibile parlare di innovazione sociale quando un bisogno collettivo riesce ad essere soddisfatto grazie all’identificazione di una nuova soluzione di tipo tecnologico oppure relazionale, più efficiente rispetto a quelle precedenti, e capace di generare un impatto strutturale a vantaggio della società nel suo complesso.

Verso la “Corporate Social Innovation”
Lo studio del CERIIS si apre con la presentazione dei risultati di un’indagine empirica, condotta attraverso la realizzazione di interviste ai manager responsabili delle politiche di sostenibilità di 13 grandi aziende italiane, al fine di rilevare la propensione all’innovazione sociale del sistema delle imprese, solitamente poco considerato negli studi che analizzano la diffusione di questo tipo di interventi sul territorio nazionale. Le realtà produttive di ampie proporzioni rappresentano un oggetto di studio di notevole interesse in quanto vengono percepite come “standard setter”, ossia come attori capaci di influenzare il contesto in cui operano e di definire i parametri di comportamento e qualità del loro settore di riferimento, in virtù del peso economico che esercitano e della rilevanza sociale delle loro attività.

La tesi, sostenuta dagli autori della ricerca, è che le aziende di grandi dimensioni possono produrre innovazione sociale apportando cambiamenti significativi alle loro azioni a favore della sostenibilità. Il ragionamento portato avanti dai ricercatori del CERIIS si fonda sull’idea che le pratiche di responsabilità sociale, già attuate dalle grandi imprese, possano tradursi in quella che loro definiscono “Corporate Social Innovation” quando le soluzioni innovative sviluppate dalle aziende usano una nuova tecnologia e istituiscono modalità progressivamente più avanzate di coinvolgimento degli stakeholders, per produrre un impatto rilevante, diffuso e duraturo nel tempo, rispetto alla dimensione del problema sociale e ambientale che affrontano. Per dirsi tale, un’innovazione sociale introdotta da un importante soggetto imprenditoriale deve attivare un nuovo processo produttivo e una inedita procedura di interazione con fornitori, clienti e finanziatori, con l’intento di rendere la creazione di benefici collettivi un obiettivo intrinseco dell’attività d’impresa.

L’analisi di tipo esplorativo realizzata dal CERIIS ha individuato diverse declinazioni del concetto di innovazione sociale applicato alle imprese di grandi dimensioni, evidenziando un doppio livello di implementazione di tali pratiche da parte delle aziende. Seguendo un approccio di tipo incrementale, è molto probabile che in un primo momento un’impresa decida di introdurre «forme di innovazione sociale basate sulla tecnologia, sulle relazioni e sull’intervento nel modello di business», recependo gli stimoli provenienti dall’esterno. Solo quando queste innovazioni diventano parte integrante dell’intero complesso aziendale, l’impresa è pronta a sviluppare «delle modalità distintive della propria natura atte a distinguerla come soggetto imprenditoriale», e quindi a innovare anche il proprio modello organizzativo e di governance. La ri-progettazione del modello di business e la ri-modulazione delle dinamiche interne, a vantaggio della società nel suo complesso, implica il massimo coinvolgimento di un’azienda nell’innovazione sociale.

Analizzando i diversi tipi di innovazione, lo studio indaga l’innovazione relazionale come progressivo coinvolgimento degli stakeholder da parte delle imprese nelle pratiche di sostenibilità. Questo aspetto non solo denota un’apertura verso l’esterno, ma è sintomatico della volontà di istituire legami stabili per trovare soluzioni a interessi sociali sociali condivisi e creare vantaggio competitivo. Le interviste effettuate evidenziano che nel 50% dei casi le aziende hanno un confronto strutturato con i propri interlocutori di riferimento, discutendo con loro le azioni per la sostenibilità. Tuttavia la ricerca fa notare come risulti ancora «piuttosto scarsa la condivisione degli obiettivi aziendali con gli stakeholder nonché la loro inclusione nella definizione di orientamenti strategici basati sulla sostenibilità. Infatti, nonostante l’importanza delle relazioni con gli stakeholder quale leva del valore, nel campione esaminato resta limitato il numero di imprese che include tale elemento nel processo di definizione del proprio approccio alla sostenibilità».

Sul fronte dell’innovazione tecnologica, la maggior parte delle imprese intervistate (88%) decide in maniera autonoma di introdurre una nuova tecnologia che consente di riformulare alcuni processi aziendali per soddisfare determinate esigenze ambientali e sociali, indipendentemente da particolari previsioni normative. Nel 45% dei casi tali innovazioni tecnologiche riguardano il miglioramento dell’impatto ambientale in generale; seguono la riduzione delle esternalità negative conseguenti alla produzione e/o immissione nel mercato di prodotti/servizi (25%); il miglioramento strutturale delle condizioni di lavoro dei dipendenti e del loro grado di soddisfazione (19%); e il miglioramento dell’accesso ai prodotti/servizi dell’impresa da parte di categorie svantaggiate (13%). Strettamente legata all’innovazione tecnologica risulta essere l’innovazione del modello di business, che rende l’innovazione sociale un’opportunità di mercato, facendola divenire parte integrante dell’orientamento strategico dell’impresa. A questo proposito, la ricerca evidenzia che «la maggior parte delle risposte fornite nelle interviste riguarda la volontà di introdurre la sostenibilità nel proprio concetto di prodotto non solo per soddisfare i clienti, e quindi incrementare il valore economico, ma anche al fine di creare valore sociale per la collettività (53%)».

Con riferimento alle grandi imprese, il maggior grado di maturità dell’innovazione sociale viene raggiunto quando si ha un’innovazione del modello organizzativo e di governance, ossia quando l’innovazione sociale entra nella funzione strategica e decisionale. I risultati dell’indagine indicano che la maggior parte del campione sceglie di introdurre un’innovazione organizzativa orientata alla sostenibilità per motivi riconducibili non solo alla volontà degli attori interni all’impresa (come ad esempio i lavoratori o altri stekeholder), ma anche per incrementare l’impatto collettivo generato (50%), evidenziando un impegno consapevole nei confronti dell’ambiente e della società. Tuttavia, le evidenze riguardo l’innovazione di governance orientata alla sostenibilità mostrano come nel 67% dei casi essa è frutto dell’applicazione di specifiche previsioni normative. Tale risultato dimostra che solo nel 33% dei casi, le aziende decidono di modificare il proprio modello di governance al fine di supportare l’approccio strategico adottato e diventare un esempio per le altre aziende del settore. La ricerca del CERIIS conclude che nonostante «l’innovazione orientata alla sostenibilità rappresenti un elemento ampiamente condiviso dalle imprese e piuttosto formalizzato nel proprio orientamento strategico, è ancora parziale l’impegno diretto che esse assumono verso iniziative sociali innovative e il loro conseguente impatto».

I numeri dell’innovazione sociale in Italia
Il rapporto del CERIIS traccia anche una panoramica delle pratiche di innovazione sociale presenti in Italia, attraverso lo studio di 578 casi sistematizzati in un apposito database. Rispetto alle rilevazioni elaborate nella precedente edizione del rapporto, in cui i casi esaminati erano 462, la ricerca mostra un incremento delle «esperienze in grado di soddisfare un bisogno sociale e/o ambientale, o, comunque, di creare beneficio collettivo, attraverso modalità (relazionali e/o tecnologiche) innovative». In particolare, «dai dati disponibili si evince una maggioranza di innovazioni di tipo relazionale (52%), le quali si sviluppano grazie a reti di organizzazioni e soggetti che si scambiano informazioni, conoscenze e know-how». Interessante notare come, rispetto al tipo di innovazione, l’innovazione relazionale sia diventata la modalità predominante nello scenario italiano: infatti, se nella seconda edizione del rapporto vi era una distribuzione pressoché omogenea tra innovazione di tipo relazionale, innovazione tecnologica e casi in cui erano presenti entrambi i tipi di innovazione, l’ultima indagine pone in evidenza una crescita dell’innovazione relazionale soprattutto a scapito dell’innovazione tecnologica (molto più costosa) che scende dal 35% al 21%, mentre i casi in cui vengono prodotte entrambe le innovazioni passano dal 30% al 27%. Le pratiche socialmente innovative nascono quindi «da nuove forme di collaborazione e di cooperazione tra soggetti di diversa natura che trovano un allineamento di interessi per il raggiungimento di un obiettivo comune, in cui la dimensione relazionale e comunitaria assume un ruolo fondamentale, e fa sì che l’iniziativa raggiunga il maggior numero di beneficiari».

La distribuzione del campione rispetto agli ambiti di intervento, mostra che le quattro categorie più rappresentate risultano essere l’integrazione sociale (16%), l’assistenza sociale (13%), la formazione (11%) e il miglioramento ambientale (11%). Se si confrontano questi dati con quelli dell’anno precedente, si nota come la differenza principale sia dovuta a una diversa denominazione dei settori di appartenenza. Nell’ultima rilevazione sono stati inseriti due nuovi ambiti, denominati rispettivamente “Crowfunding – Microcredito” e “Coworking – Smartworking”, ed è stata eliminata la categoria “sharing and pooling economy” (in cui erano compresi le piattaforme per la condivisione/scambio di beni, le piattaforme per la condivisione di servizi, il trasferimento di competenze e gestione dati, e il crowdfunding e microcredito). Tuttavia sommando le percentuali delle due nuove categorie si ottiene un valore pari al 17%, di fatto molto vicino al 19% totalizzato nel 2015 dalla sharing and pooling economy, mostrando quindi una ripartizione sostanzialmente invariata rispetto agli ambiti di intervento. Anche la cultura si mantiene stabile al 6% da un anno all’altro, lasciando intendere che continuano ad esserci ampi margini di sviluppo per le pratiche di innovazione sociale a base culturale.

Per quanto riguarda la tipologia di attori dell’innovazione sociale, le organizzazioni non profit emergono come protagoniste sia in qualità di attuatori che come promotori delle iniziative. In ogni caso, lo studio evidenzia che in un ambito economico caratterizzato da soggetti non profit, si assiste però a un crescente aumento delle realtà imprenditoriali: infatti se nel 2015 le organizzazioni non profit rappresentavano il 58% del campione, nel 2016 sono il 53%; al contempo le realtà for profit sono passate dal 24% al 33%. «Questo cambiamento di scenario sembrerebbe dovuto al crescente interesse anche da parte del mondo profit verso le tematiche sociali spinte dal contesto di mercato e statale. Vi è sempre più attenzione all’innovazione sociale da parte di tutta la collettività e anche lo Stato, facendosi promotore di questo tipo di iniziative, aiuta lo sviluppo di questa branca dell’economia incentivando la creazione di start-up e imprese».

I principali modelli di innovazione sociale
Tra i numerosi spunti di riflessione e approfondimento, la terza edizione del rapporto CERIIS ospita anche la ricerca condotta da Riccardo Maiolini e Luca Mongelli sui cluster dell’innovazione sociale in Italia, che ha il merito di presentare una possibile sistematizzazione delle pratiche innovative e socialmente rilevanti presenti nel nostro Paese, offrendo una chiave di lettura che facilita la comprensione di un fenomeno ancora poco conosciuto e multi sfaccettato. Utilizzando la tecnica esplorativa della cluster analysis, i due ricercatori hanno cercato di suddividere tutti i casi di innovazione sociale – raccolti del database elaborato dal CERIIS – in un numero ristretto di sottogruppi che presentassero delle caratteristiche omogenee al loro interno, ma che fossero allo stesso tempo sufficientemente diversi gli uni dagli altri. A seguito delle analisi effettuate, gli autori sono giunti all’individuazione di quattro principali modelli in cui è possibile ripartire le esperienze di innovazione sociale attualmente attive in Italia. La caratteristica discriminate di ciascun modello è data dalla natura del promotore, che tende a dar vita a diverse modalità d’azione a seconda che sia un’impresa, una organizzazione non profit, una comunità, oppure un attore pubblico di tipo istituzionale.
A partire da tale distinzione, si possono avere innovazioni sociali: 1) con un modello di business economicamente sostenibile il cui promotore sia un’impresa; 2) di tipo filantropico promosse da enti senza scopo di lucro; 3) di comunità; 4) di tipo istituzionale il cui promotore è un attore pubblico. Nel caso delle innovazioni sociali promosse dalle imprese, la sostenibilità economica risulta essere un fattore peculiare di tali iniziative, rendendole indipendenti e in grado di sostenersi da sole.
Le innovazioni sociali di tipo filantropico sono iniziative con un alto grado di innovatività nell’esecuzione e nel lancio. La maggior parte delle organizzazioni non profit appartenenti a questo cluster sono promotori non solo esecutivi dei progetti ma anche finanziari (come nel caso delle fondazioni). Come messo in evidenza dagli autori della ricerca, nel modello filantropico le logiche di attuazione delle iniziative sono quelle tipiche del Terzo Settore, e come tali seguono le loro logiche e i loro canali di costruzione dei progetti. «Questo aspetto rappresenta una importante opportunità e allo stesso tempo una sfida per il mondo del non profit, che deve cercare di aprirsi verso logiche di mercato per ampliare il proprio raggio di azione».

Le innovazioni sociali di comunità presentano una coincidenza tra promotore e attuatore. «Se si guarda nel dettaglio ai progetti in questo cluster si spiega il perché di questa coincidenza. Le logiche tipiche di una comunità richiedono delle specifiche attuative che soltanto la comunità stessa è in grado di svolgere. Si tratta di categorie di iniziative per la maggior parte afferenti alla condivisione di servizi o beni all’interno della comunità. La comunità è il vettore o il luogo attraverso cui si genera un legame relazionale alla base dello scambio. Tale logica di fiducia relazionale può istituirsi solo all’interno della comunità stessa, per cui si ha la necessità che il promotore e l’attuatore parlino la stessa lingua e seguano le stesse logiche».
Infine le innovazioni sociali di tipo istituzionale, in cui l’attore pubblico svolge il ruolo di promotore, risultano essere le iniziative caratterizzate dal maggior grado di innovatività, in virtù del ruolo abilitante che l’ente pubblico può svolgere in tali processi.

«Nel fenomeno dell’innovazione sociale le reti composte da differenti soggetti sono una peculiarità. Grazie a queste reti, i soggetti che partecipano come sostenitori e/o finanziatori alla creazione delle condizioni per l’attuazione del progetto riescono ad aggregare competenze, conoscenze e risorse e ad amplificare il loro sostegno». Questa interpretazione è rilevante per tutti coloro che affrontano il tema dell’innovazione sociale, cercando di fare sistema. In quest’ottica – proprio perché maggiormente incisivo – l’attore pubblico dovrebbe farsi promotore non solo di nuove pratiche di innovazione sociale, ma anche della scalabilità del fenomeno, incentivando le occasioni di confronto tra diversi attori e mettendo in comunicazione mondi e tipologie organizzative tra loro distanti, al fine di promuovere progetti sempre più inclusivi.

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Ph: William Murphy. Dublin Contemporary 2011. Immagine in licenza Creative Commons

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[1] Il rapporto è liberamente scaricabile dalla piattaforma FrancoAngeli Open Access al seguente link http://ojs.francoangeli.it/_omp/index.php/oa/catalog/book/220

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