Monthly Archives: marzo 2017
Oggi venerdì 17 marzo 2017
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Segreteria regionale PD: ci vuole uno scatto di fantasia
- Amsicora su Democraziaoggi.
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SOCIETÀ E POLITICA »TEMI E PRINCIPI» POLITICA
La diga olandese
di Bernardo Valli su La Repubblica, articolo ripreso da eddyburg.
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Domani. Migranti, incontro sul bando Sprar
Al Comune i senatori Luigi Manconi e Manuela Serra
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È tempo di ripensare le forme reali della democrazia costituzionale. Abbiamo bisogno di quel che Stefano Rodotà ha definito un «costituzionalismo dei bisogni»
SOCIETÀ E POLITICA «TEMI E PRINCIPI» DEMOCRAZIA
I tre cardini del rinnovamento costituzionale
di Gaetano Azzariti su il manifesto.
«Proporzionale, parlamento e governo, la triplice sfida aperta il 4 dicembre. Le sorti della democrazia partecipativa sono legate a quelle della democrazia rappresentativa. Per accorciare le distanze tra politica e cittadini non basta la legge elettorale». il manifesto, 15 marzo 2017 (c.m.c.)
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È tempo di ripensare le forme reali della democrazia costituzionale. C’è bisogno di ritrovare il fondamento pluralista e conflittuale che la qualifica. È necessario guardare alla realtà divisa, alle lacerazioni che colpiscono i corpi delle persone concrete.
Dobbiamo abbandonare i falsi miti per costruire il futuro. Abbiamo bisogno di quel che Stefano Rodotà ha definito un «costituzionalismo dei bisogni».
Alcuni eventi – accidenti della storia – possono assumere un valore simbolico e spingerci a guardare al di là dell’immediatamente rilevante. Così, i referendum sul lavoro potrebbero riuscire ad andare oltre alla miseria dei voucher per squarciare il velo sul degrado della democrazia sociale. Anche, la straordinaria reazione che si è espressa il 4 dicembre può diventare un inizio: non solo il rifiuto di una riforma della Costituzione peggiorativa dell’esistente, ma anche l’indicazione di una rotta verso politiche costituzionali più democratiche e partecipate. La lotta per la democrazia è oggi più aperta di ieri.
La storia passata insegna che il sistema politico tenterà di sterilizzare queste vicende riducendoli a meri “fatti”, per poter proseguire come se nulla fosse accaduto. Ma non sempre sarà facile sottrarsi al cambiamento. Il sistema politico in questo momento sta affrontando la questione della legge elettorale. Costretto dalla circostanza che un organo di garanzia costituzionale ha realizzato l’inimmaginabile: un giudice ha scritto in vece del parlamento la più politica delle leggi, quella elettorale. Con qualche ottimismo possiamo sperare che si recuperi finalmente un equilibrio tra le ragioni della governabilità e quelle sin qui pretermesse della rappresentanza. Bene, non si può che essere soddisfatti.
Eppure, volendo spingere lo sguardo oltre il «fatto», mi chiedo: anche ottenessimo il migliore dei sistemi elettorali possibili avremmo risolto i problemi della rappresentanza politica? Non dubito che l’approvazione di una buona legge elettorale rispettosa del principio di rappresentanza segnerebbe una netta discontinuità dopo ventiquattro anni di infatuazione maggioritaria. Tuttavia, mi chiedo su quali fondamenta si vuole ricostruire la rappresentanza politica in seno al parlamento.
Una legge d’impianto proporzionale realizzerebbe, certamente e finalmente, una rappresentanza reale; ma di chi, di cosa? Di un popolo scomposto, smarrito, privato di legami sociali e di visione collettiva. Temo si possa correre il rischio di garantire una rappresentanza solo dimidiata, di partiti privati di legittimazione sociale. Sicché un cambiamento da tempo atteso, di segno assai positivo, rischierebbe di reggersi su gambe d’argilla. Imposto dalla forza dei giudici costituzionali, ma nel vuoto della politica.
Se vogliamo dare solide fondamenta al cambiamento auspicato dobbiamo guardare anche a ciò che v’è dietro, che si pone come presupposto di legittimazione della scelta dei sistemi elettorali, di quelli ispirati dal principio proporzionale. In sostanza si tratta di mettere a tema la realtà della rappresentanza politica e non soltanto le sue forme istituzionali.
Quel che mi sembra di poter rilevare è che non ha senso parlare del rapporto di rappresentanza senza volgere lo sguardo anche, soprattutto, al rappresentato. Questo mi induce a ritenere che oggi affrontare la questione della crisi della rappresentanza deve voler dire toccare almeno altri due aspetti, oltre a quello delle modalità di voto. Da un lato, la questione delle altre forme di espressione della volontà popolare, dall’altro quella delle forme di organizzazione di questa stessa volontà.
Si tratta, in sostanza, di riflettere sulle trasformazioni della rappresentanza in un’epoca in cui il popolo non si sente più rappresentato dalle istituzioni (dal parlamento in particolare) e i cittadini non concorrono più a determinare la politica nazionale associandosi in partiti, ma, eventualmente, in altro modo. Potremmo deprecare o meno entrambi i fatti, tuttavia questo è il dato di realtà dal quale partire. E allora delle due l’una: o si ritiene si possa fare a meno del parlamento e dei partiti, rinunciando in tal modo all’idea stessa di democrazia così come definita dalla modernità giuridica (in fondo le pulsioni populiste che sono oggi egemoni operano in tal senso) oppure diventa necessario ricollegare le istituzioni e gli strumenti della democrazia rappresentativa alle diverse espressioni in cui si manifesta la volontà popolare. Se si vuole rafforzare la democrazia costituzionale è necessario ripensare oltre alle forme della rappresentanza anche le forme della partecipazione.
Riscoprire le virtualità della partecipazione per non rinchiudersi dentro i palazzi della politica e delle istituzioni può costituire un inizio, ma può anche rappresentare un rischio.
Può costituire un inizio se tramite la partecipazione si riesce a ricostruire un rapporto tra cittadini e istituzioni della rappresentanza, riproponendo al centro dell’organizzazione dei poteri il parlamento come luogo del compromesso politico e sociale. Può altresì rappresentare un rischio qualora le dinamiche della partecipazione finissero per rivoltarsi contro il parlamento facendo prevalere lo spirito populista e antiparlamentare così diffuso oggi, non solo in Italia.
Ed è per questo che, oltre alle forme di partecipazione popolare, bisogna anche occuparsi delle forme di organizzazione dei poteri. Le sorti della democrazia partecipativa sono legate a quelle della democrazia rappresentativa.
Dunque, ripensare l’organo della rappresentanza, il parlamento. Anzitutto rivendicando un riequilibrio della forma di governo, la quale si è andata progressivamente sbilanciando a favore dell’istituzione governo. È questo un processo iniziato quarant’anni fa, che è stato sospinto dalla mistica della governabilità e dall’illusione ottica della debolezza o instabilità degli esecutivi. Se oggi si vuole ricostruire la democrazia pluralista e conflittuale diventa anzitutto necessario liberare il parlamento dalla situazione di minorità rispetto agli esecutivi, aiutarlo a ritrovare la sua autonomia di organo costituzionale.
Il parlamento è oggi ad un bivio. Rischia di essere definitivamente svuotato, schiacciato dal peso del governo e abbandonato al suo triste destino da un popolo distratto e indifferente. Potrà salvarsi solo se riesce a dare voce al rappresentato, ai soggetti storici reali. La forza autonoma dei parlamenti nelle società complesse si rinviene nella capacità di questi di essere effettivamente rappresentativi delle divisioni, luogo di scontro e composizione dei conflitti.
Un ruolo costituzionale che non può essere assimilato a quello del governo che deve, invece, promuovere una politica generale mantenendo un’unità di indirizzo politico, a scapito delle minoranze. Al parlamento, istituzione del pluralismo, si affiancherebbe così il governo, istituzione dell’unità maggioritaria. In un equilibrio tra poteri definito dal sistema costituzionale e dalla nostra forma di governo parlamentare.
Anche il rappresentato però dovrà convincersi – in tempi di crisi della rappresentanza e di liquefazione del rappresentante – che la lotta per le istituzioni democratiche gli appartiene. Dovremmo noi tutti tenere ben presente che le sorti del parlamento si legano indissolubilmente a quelle della democrazia, giungendo a determinare la sua qualificazione. Una democrazia pluralista non può essere governata senza un organo che sia effettiva rappresentazione della diversità del corpo sociale, diversità che l’organo governo non può neppure aspirare a interpretare. Una democrazia conflittuale deve trovare un luogo istituzionale di composizione che riesca a garantire il compromesso tra le diverse forze politiche.
Le democrazie pluraliste e conflittuali, dunque, non possono fare a meno di un popolo sovrano, ma neppure di parlamenti autonomi. Riscoprire la complessità sociale e la centralità del parlamento è impresa titanica di questi tempi di dominanza degli esecutivi, tuttavia non ci si può sottrarre, anche in questo caso si tratta di iniziare una lunga marcia.
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SOCIETÀ E POLITICA »TEMI E PRINCIPI» POLITICA
La legge elettorale proporzionale sfida la sinistra
di Antonio Floridia
La nuova legge elettorale porrà alle vaganti sinistre problemi nuovi: è necessaria la ricerca non solo di identità ma anche di alleanze. il manifesto, 16 marzo 2017
E’ online il manifesto sardo duecentotrentaquattro
il-numero-234
Il sommario
Lotto marzo: manc’una de mancu (Cristina Ibba), Diritto all’assistenza sanitaria pubblica – La lotta continua (Claudia Zuncheddu), Il nuovo piano di rinascita (Graziano Pintori), I tre cardini del rinnovamento costituzionale (Gaetano Azzariti), Per il 156°Anniversario dell’Unità io non festeggio (Francesco Casula), Falsi e Bugiardi (Roberto Mirasola), Porto Ferro e dintorni, un P.U.L. da rivedere (Stefano Deliperi), Breast Unit. Donne in lotta per il diritto alla salute (Loredana Marongiu), La seduzione del Caos (Gianfranco Sabattini), Università e oppressione in Sardegna e Palestina (Andria Pili), Respingiamo il fascismo! Solidarietà a s’Idea libera (Red).
Oggi giovedì 16 marzo 2017
“Islam e cristianesimo. L’esperienza della Chiesa cattolica in Tunisia” – Un incontro, dal titolo “Islam e cristianesimo. L’esperienza della Chiesa cattolica in Tunisia”, è previsto per giovedì 16 marzo 2017, alle 16.30 a Cagliari, nell’aula “Maria Lai” della Facoltà di Scienze economiche, giuridiche e politiche (via Nicolodi, 102). L’evento è organizzato dall’Università di Cagliari in collaborazione con l’Arcidiocesi di Cagliari e la Facoltà Teologica della Sardegna. Interverranno Antonio Piras, docente di Letteratura cristiana antica (Università di Cagliari e Facoltà Teologica di Cagliari); Patrizia Manduchi, docente di Storia dei paesi islamici (Università di Cagliari); Abderrazak Sayadi, docente di Letteratura francese e religioni comparate (Università della Manouba, Tunisi); Piero Schiavazzi, giornalista vaticanista dell’Huffington Post e di Limes; e mons. Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi. Comunicazioni programmate di Maria Chiara Cugusi, dottore di ricerca all’Università di Cagliari, e dibattito coordinato da Gianluca Borzoni, docente di Storia delle relazioni internazionali (Università di Cagliari). Precederanno l’incontro i saluti delle autorità: Maria Del Zompo, rettore dell’Università di Cagliari; mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari; Roberto Caria, vicepreside della Facoltà Teologica della Sardegna; Stefano Usai, presidente della Facoltà di Scienze economiche, giuridiche e politiche dell’Università di Cagliari; e Cecilia Novelli, direttore del Dipartimento di Scienze sociali (Università di Cagliari).
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La flat tax è vergognosa
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
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“Value in the Commons Economy”: è il report di Michel Bauwens e Vasilis Niaros
Simona D’Andrea su LabSus.
Lavoro. La sussidiarietà può produrre lavoro e sviluppo economico?
Le cooperative di produzione e lavoro e il fenomeno del workers buyout
di Giovanni Marco Santini su LabSus 14 marzo 2017
La sussidiarietà può produrre lavoro e sviluppo economico? Si domandava Gregorio Arena in un editoriale di qualche anno fa. La risposta era ovviamente positiva, riferendosi alle opportunità legate all’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale per la riqualificazione del patrimonio pubblico. Ma rispetto alle imprese private, la sussidiarietà può salvare posti di lavoro? Per rispondere a questa domanda abbiamo letto la ricerca “Le nuove cooperative di produzione e lavoro e il fenomeno del workers buyout” portata avanti da Sara Depedri, Stefania Turri e Marcelo Vieta, nell’ambito di un progetto Euricse.
Il fenomeno del Workers Buyout
Un Workers Buyout (WBO) è un’acquisizione o un salvataggio di un’impresa da parte dei dipendenti che vi hanno lavorato. Un fenomeno sviluppatosi principalmente in Argentina, e più in generale nell’America Latina, ma che ha avuto fortuna anche in Francia, Spagna e Italia. La prima parte della ricerca si è concentrata sul caso italiano e sulle sue peculiarità: la lunga storia di cooperativismo, riconducibile già ai primi anni del ‘900, e la legge Marcora, emanata nel 1985 che stabilisce contributi alle cooperative costituite da lavoratori in cassa integrazione, agevolazioni finanziarie e un fondo che eroga prestiti a tasso agevolato per riconvertire le strutture industriali. Un meccanismo negoziato che richiede un approccio collaborativo tra tutti gli attori in gioco: i lavoratori, lo stato, le istituzioni cooperative. Le cooperative di lavoratori sono considerate, a ragione, uno strumento anticiclico per rispondere alla disoccupazione e alle contrazioni del mercato del lavoro. I dati mostrano una correlazione diretta tra congiunture economiche sfavorevoli e la nascita di WBO, testimoniato anche dal rinnovato utilizzo successivo alla crisi finanziaria del 2007.
La fotografia del fenomeno italiano
Lo studio ha analizzato le 243 cooperative che hanno sfruttato il meccanismo previsto dalla legge e ha cercato di capire il reale valore di queste esperienze e le caratteristiche del “modello italiano”. Dall’analisi emerge come il 75,5% dei WBO sia distribuito tra Centro e Nord Est, dato coerente con la natura di queste aziende, che per il 65,4% operano nel settore manifatturiero. Il fenomeno dei WBO riguarda principalmente le piccole imprese (tra i 10 e i 50 lavoratori) e le medie imprese (tra i 50 e i 250 dipendenti) che sono, rispettivamente, il 68,4%, e il 21,9% del totale; mentre sembra essere stato adottato i maniera più marginale nelle micro imprese (meno di 10 lavoratori) che sono l’8,8% del totale, e nelle aziende con più di 250 dipendenti, che infatti rappresentano solo lo 0,9%. Delle 243 cooperative analizzate 121 sono ancora attive (pari al 49,8). L’analisi dei dati dei WBO esistenti in Italia dagli anni ’80 pone in luce un buon tasso di sopravvivenza di queste realtà, con una vita media di poco inferiore ai 13 anni. Tale dato è inferiore alla vita media di tutte le cooperative italiane, pari a 17 anni, ma è quasi pari alla vita media delle imprese italiane (13,5 anni). Inoltre il 35,3% delle cooperative di lavoro recuperate ha avuto una vita attiva superiore ai 16 anni. La resistenza dei WBO in Italia è ulteriormente confermata se si considera che quasi l’85% dei WBO nati dal 2004 ad oggi sono ancora attivi. Le cooperative di lavoratori sembrano essere piuttosto resilienti e le motivazioni sembrano essere intrinseche al modello: il metodo democratico nel decision making, la preferenza data alla flessibilità piuttosto che al licenziamento, la maggiore disponibilità all’aggiustamento dei salari nei momenti di recessione e l’integrazione con le comunità locali. Una serie di elementi che ne favoriscono la robustezza.
Le caratteristiche principali
La ricerca individua quindi cinque caratteristiche relative all’emersione delle cooperative di lavoratori italiane. Innanzitutto la marcata correlazione tra recessioni macro economiche e aumento di autogestioni evidenzia il valore anticiclico di queste esperienze. La seconda caratteristica è rappresentata dalla propensione delle piccole e medie imprese a convertirsi in cooperative quando sono situate in una rete con altre imprese. Il terzo aspetto riguarda il processo produttivo, ossia le cooperative tendono a nascere in settori ad alta intensità di manodopera qualificata piuttosto che in quelli a forte intensità di capitale e manodopera non qualificata. La quarta caratteristica è relativa alla disposizione geografica dei WBO, questi infatti le sorgono laddove ci sono lavoratori specializzati e insediati geograficamente. Cinque, le cooperative tendono a nascere in realtà in cui esistono forti legami interni: le piccole e medie imprese hanno la giusta dimensione per favorire la solidarietà e meccanismi di partecipazione.
In conclusione possiamo dire che i WBO “tendono a promuovere politiche gestionali solidali volte prioritariamente alla tutela dell’occupazione, (…) facendo prevalere gli obiettivi sociali su quelli di profitto”, e così sembrano essere generati da quelle relazioni di condivisione che sono “l’essenza della sussidiarietà”. Ascrivendosi a pieno titolo tra le pratiche collaborative improntate alla sussidiarietà, i WBO si qualificano come “ammortizzatori sociali” e producono esternalità positive per i territori e le comunità in cui sorgono.
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RICERCHE
Sharing Economy
Maria Cristina Marchetti – 21 agosto 2016, su LabSus
Chissà quanti nel programmare le loro vacanze sceglieranno di alloggiare presso uno dei tanti appartamenti messi a disposizione da Airbnb o si rivolgeranno a Uber o a BlaBlacar per i loro spostamenti. Ebbene questi sono solo alcuni degli esempi di sharing economy sui quali la Commissione europea ha deciso di intervenire con una comunicazione dal titolo: “Un’agenda europea per l’economia collaborativa”.
Secondo la Commissione, “l’espressione ‘economia collaborativa’ si riferisce ai modelli imprenditoriali in cui le attività sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati. L’economia collaborativa coinvolge tre categorie di soggetti: i) i prestatori di servizi che condividono beni, risorse, tempo e/o competenze e possono essere sia privati che offrono servizi su base occasionale (“pari”) sia prestatori di servizi nell’ambito della loro capacità professionale (“prestatori di servizi professionali”); ii) gli utenti di tali servizi; e iii) gli intermediari che mettono in comunicazione — attraverso una piattaforma online — i prestatori e utenti e che agevolano le transazioni tra di essi (“piattaforme di collaborazione”). Le transazioni dell’economia collaborativa generalmente non comportano un trasferimento di proprietà e possono essere effettuate a scopo di lucro o senza scopo di lucro”.
Con ricavi totali lordi che si attestano intorno a 28 miliardi di euro nel 2015 nella sola Unione europea e con una crescita stimata fino a 572 miliardi di euro, la sharing economy resta un fenomeno controverso che ha reso necessario l’intervento della Commissione.
Una delle questioni più dibattute è l’accesso al mercato, che rinvia ad un nuovo modello imprenditoriale nei confronti del quale la normativa vigente rischia di apparire inadeguata. “Una specificità dell’economia collaborativa – afferma la Commissione è che i prestatori di servizi sono spesso privati che offrono beni o servizi su base occasionale e “tra pari” (peer-to-peer)”. Una questione fondamentale diventa quella di distinguere tra i prestatori di servizi professionali e i prestatori tra pari, con riferimento alla necessità o meno di richiedere licenze o autorizzazioni.
Diverso ancora è il discorso per le piattaforme che si pongono come intermediari tra i prestatori di servizi e gli utenti finali. “Se — e in quale misura — le piattaforme di collaborazione possono essere soggette ai requisiti di accesso al mercato dipende dalla natura delle loro attività”. Possono infatti limitarsi a fare da intermediari oppure fornire a loro volta servizi sia agli utenti che agli intermediari.
La tutela degli utenti, la differenza tra lavoratore autonomo e subordinato, la fiscalità sono solo altre delle questioni sollevate dalla sharing economy nei confronti delle quali la Commissione sembra tenere un atteggiamento di apertura. “In considerazione dei notevoli vantaggi che possono derivare dai nuovi modelli imprenditoriali dell’economia collaborativa, l’Europa dovrebbe essere pronta ad accogliere queste nuove opportunità. L’UE dovrebbe sostenere in modo proattivo l’innovazione, la competitività e le opportunità di crescita offerte dalla modernizzazione dell’economia. Al tempo stesso è importante garantire condizioni di lavoro eque e una protezione sociale e del consumatore adeguata e sostenibile”.
Non mancano i dubbi sul fatto che la sharing economy non si avvii a diventare un altro modello di business in cui le piattaforme non si limiteranno a fornire l’infrastruttura digitale, ma agiranno come veri e propri imprenditori.
Ciò che resta interessante è che dietro questo fenomeno si intravede un mutamento culturale di lungo periodo, più volte segnalato dalla letteratura a partire dalla fine degli anni novanta (basti pensare all’era dell’accesso di Rifkin), che ridefinisce i modelli imprenditoriali conosciuti, ma anche le modalità di fruizione dei beni. È una rivoluzione culturale dalle implicazioni interessanti e degne di essere monitorate con attenzione negli anni a venire.
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SU LABSUS LEGGI ANCHE:
I beni comuni nella società della condivisione
Oggi martedì 14 marzo 2017 in giro sulla rete con Aladin
“La rappresentazione della maternità nelle arti figurative”. Licia Lisei e Clara Murtas all’Università. Promuove Sucania.
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CC Search: open access grazie a Creative Commons
Enrica Rocca su LabSus.
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Petizione popolare per una nuova legge elettorale regionale
Red su Democraziaoggi.
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SardegnaCheFare? Innovazione tecnologica e sviluppo
Editoriale su Aladinews di Fernando Codonesu.
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Osservatorio Beni Comuni Sardegna
Pubblicato da Paolo Erasmo un report sulla visita conoscitiva presso l’ex Deposito dell’Aeronautica dismesso dal 2007, che per volontà della Regione Sardegna è destinato a diventare “Cittadella del Volontariato e del Terzo settore”. Su fb.
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[Documentazione del Gruppo di Lavoro per il Lavoro (Lavoro al quadrato) del Comitato d’iniziativa Costituzionale e Statutaria, coordinato da Roberto Mirasola].
Jp Morgan, il robot sostituisce 360 mila ore di lavoro l’anno degli avvocati
Il colosso finanziario ha lanciato COIN, sistema basato sulla tecnologia del Machine Learning, in grado di leggere e interpretare accordi commerciali e contratti di prestito in pochi secondiJp Morgan, il robot sostituisce 360 mila ore di lavoro l’anno degli avvocati.
di Nicola Di Turi si Corriere della Sera/Innovazione online.
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La conoscenza bene comune
di Antonio Memoli su I confronti.
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A scopo didattico. Le illustrazioni sono reperibili in rete.
Oggi martedì 14 marzo 2017
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Chiamatela festa del paesaggio
Su eddyburg
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Domani mercoledì 15 marzo 2017, dalle 15.00 alle 17.00
Largo Carlo Felice 2, Cagliari
(Spazio Search – ex sede degli “Amici del Libro”)
Tavola rotonda
BARBIANA, IS MIRRIONIS, LA COLLINA
Dal cuore delle periferie al mondo (e ritorno)
“La rappresentazione della maternità nelle arti figurative”. Licia Lisei e Clara Murtas all’Università. Promuove Sucania
IX CORSO DI EDUCAZIONE ALLA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE
Essere madri nel mondo globalizzato
Una prospettiva interculturale ed interdisciplinare
Domani martedì 14 marzo 2017, alle ore 16, nell’aula Capitini Facoltà di Studi umanistici a Sa Duchessa, avrà inizio il 6° seminario del IX Corso di educazione alla solidarietà internazionale, organizzato dall’associazione Sucania in collaborazione con la Fondazione di Sardegna, l’Università di Cagliari e la Fondazione Anna Ruggiu.
Nella prima parte del seminario la prof. Licia Lisei tratterà il tema: “La rappresentazione della maternità nelle arti figurative”, successivamente, Clara Murtas, accompagnata dalla chitarra, si esibirà in una rappresentazione del tema attraverso la musica ispirandosi ad un lavoro di Giovanna Marini.
Il seminario sarà coordinato da Franco Meloni,
La partecipazione è libera
Fiera, l’eterno ritorno
Oggi su L’Unione Sarda: http://www.comunecagliarinews.it/rassegnastampa.php?pagina=56100
Cosa abbiamo da molto tempo sostenuto con Aladinews: https://www.aladinpensiero.it/?p=65276
Il declino della Fiera Internazionale della Sardegna: bastava pensarci prima! Ma i politici lungimiranti sono merce rara. Gli attuali amministratori navigano a vista, preoccupati solo del loro giardino.
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ANCORA SULLA FIERA, ANCORA SOLO PAROLE, PAROLE, PAROLE… MA LA REGIONE E IL COMUNE TACCIONO.
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Oggi lunedì 13 marzo 2017
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SOCIETÀ e POLITICA «TEMI e PRINCIPI» LAVORO
Laboratorio locale di nuova economia
di Paolo Cacciari su eddyburg. «Falegnami, restauratori, corniciai, parrucchieri artistici, un bronzista, un calderaio… hanno creato un’istallazione che hanno chiamato Eco-house». comune-info, 11 marzo 2017 (c.m.c.)
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Leggi Scomodo, leggi lento: nella Roma abbandonata un giornale “vero”, fondato dai ragazzi
Elena Taverna – 12 marzo 2017 su LabSus.
- La pagina fb. **** Il sito web (in ristrutturazione) ****
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Due province unico capoluogo: oltre la beffa, il danno!
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Domani martedì 14 marzo 2017
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CESARE PINTUS, PRIMO SINDACO DI CAGLIARI DEL DOPOGUERRA.
Oggi, lunedì 13 marzo alle ore 16 nella sala consiliare del Palazzo Civico di via Roma 145, sarà commemorata la figura di Cesare Pintus, sindaco di Cagliari dall’ottobre 1944 al marzo 1946.
Primo cittadino che governò la nostra città tra la fine della seconda guerra mondiale e l’immediato dopoguerra, tenendo stretti rapporti con il governo nascente, e fronteggiando le grandi emergenze sociali e economiche di una Cagliari duramente colpita dal conflitto. Approfondimenti.
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SardegnaCheFare?
Con l’articolo che segue proseguono le analisi e le proposte che Fernando Codonesu consegna al DIBATTITO sulla grande e impegnativa tematica del SardegnaCheFare?. Il primo contributo è pubblicato su Aladinews del 24 u.s; il secondo su Aladinews del 26 febbraio; l’odierno è dunque il terzo. Gli articoli per un accordo tra Editori e Autore vengono pubblicati – in contemporanea o in date diverse – anche su Democraziaoggi.
Innovazione tecnologica e sviluppo
di Fernando Codonesu
Le opportunità dell’innovazione tecnologica, soprattutto quella in ambito ICT, del mobile, dell’internet of things, dell’Industry 4.0, dello sviluppo delle applicazioni secondo logiche innovative, hanno un correlato con il contesto territoriale differente rispetto agli altri prodotti: è necessario infatti un humus di tipo culturale e di sistema di relazioni che può travalicare le distanze ma che necessita di contesti (sia ambientali di benessere e di qualità di vita, che relazionali) che favoriscano l’interscambio anche a distanza di idee, conoscenze e competenze, saper e saper fare come si dice in altri contesti.
L’innovazione necessita di ambienti collaborativi particolarmente intensi in cui i processi di ideazione, prototipazione, sperimentazione e feedback dall’utenza e dal mercato si manifestano come processi iterativi molto accelerati. Questo implica prossimità, per certi versi anche fisica, ma soprattutto di intenti, di atteggiamento di condivisione e di cooperazione e coordinamento. La Sardegna può, per contesto ambientale, sfruttare l’opportunità del suo habitat favorevole alla creatività e scambio, ma necessita di un fortissimo rafforzamento delle capacità relazionali, operative e propositive non sempre presenti tradizionalmente nella popolazione sarda. La creazione di contesti favorevoli, legati alla ricerca applicata in ambito ICT e alla maggiore attrattività per imprese, organizzazioni innovative internazionali sono fattori abilitanti su cui operare, soprattutto in sinergia con le istituzioni universitarie e i centri di ricerca regionali..
Le opportunità dell’ICT vanno concepite per il mercato globale siano esse soluzioni di base che in ambito applicativo. Un occhio di attenzione particolare va indirizzato alle esigenze e alle potenzialità degli altri comparti dell’economia regionale, quindi in ambito turistico, agroalimentare, ambientale, beni culturali e, visto lo stato di avanzamento delle stesse energie rinnovabili, allo stesso contesto delle smart grid.
Con riferimento al comparto marittimo e navale, va detto che la necessità di favorire un trasporto marittimo maggiormente garante della sostenibilità ambientale suggerisce lo sviluppo del trasporto marittimo con carburanti meno inquinanti, in particolare il GNL. Questo favorirebbe un ruolo chiave della Sardegna nel mediterraneo, soprattutto in combinazione di una politica che anticipi la creazione dell’area marittima della Sardegna ancor prima dello stesso Mediterraneo (previsto dall’IMO nel 2025?) nel suo insieme come un’area ad emissioni ridotte (Area ECA, Emission Control Area), come d’altronde già presente nel nord Europa. Il Mediterraneo attualmente è oggetto del 25% del traffico marittimo mondiale e questo dato dà il peso dell’opportunità di cui si parla.
Si osserva che siamo di fronte ad un comparto con un mercato diretto e indotto significativo e che potrebbe aprire opportunità per la Sardegna. I numeri in gioco sono rilevanti: 200.000 mercantili con oltre 100.000 T di stazza, ma anche 2.000 traghetti,1.500 navi, 2.000 mezzi commerciali . L’opportunità si manifesta sia nel mercato diretto, ad esempio in attività di bunkeraggio, ma anche nell’indotto per la cantieristica, rimessaggio etc. che potrebbero aprire specifici spiragli di sviluppo per l’isola.
Per quanto attiene al turismo, come già detto da almeno 30 anni a questa parte, bisogna puntare con politiche e azioni conseguenti, e non solo attraverso convegni periodici, su un modello alternativo, sulla destagionalizzazione, la combinazione di tempo libero, sport, vita all’aria aperta, beni culturali e paesaggio. Ovviamente questo implica adottare strategie innovative per intercettare una domanda dai connotati molto diversi rispetto al turismo tradizionale. Oramai il turismo si connota con il bisogno di esperienze differenti, con tempi diversi dal passato, con combinazione di tempo libero e relazioni interpersonali, con qualità d’ambiente, di alimentazione e stimoli culturali. L’ambiente favorisce questa opportunità ma è necessario porre particolare attenzione sulla qualità compromessa da poca attenzione dei cittadini alla propria terra, alle infrastrutture e al livello dei servizi.
L’opportunità turistica si combina quindi con altri fattori, ognuno dei quali va sviluppato in modo coordinato. Ci si riferisce ai beni culturali, al paesaggio, all’artigianato, al design e all’industria manifatturiera, quella che vorremmo, s’intende.
La cultura dell’isola affonda in radici lontane nel tempo che si è manifestata con artefatti estremamente originali e ricchi di significato, dalla civiltà nuragica a quella dei bronzetti. Segni tangibili e ricchi di mistero, basta pensare ai Giganti di Mont’e Prama che sono elementi di straordinaria attrattività ma devono essere valorizzati in un’ottica di comunicazione, di messa a sistema nell’offerta culturale e di forme nuove di turismo culturale. Le produzioni agricole, pastorali, la vita e la cultura della nostra terra si riverberano nel paesaggio che, contrariamente ai paesaggi di terre più sviluppate invertono il pieno con il vuoto, il rumore con il silenzio, il troppo con l’essenziale, valori che sono sempre più rari nella realtà internazionale e sempre più ricercati. L’immagine di un’isola ricca di queste “povertà” che povertà non sono ma che sono essenzialità, sono rappresentate dalla terra e dal suo paesaggio, fatto di terra, di mare, di cielo, di silenzi, di nuvole, di natura. Questo contesto, che va valorizzato, deve essere incorporato nel nostro patrimonio e deve essere fatto evolvere lasciando questi elementi come fattori primari, ma senza pensare di fermare le lancette al tempo zero. Il paesaggio, specchio delle attività dell’uomo sul proprio territorio, va fatto evolvere e fatto sviluppare rendendolo congruente con l’evoluzione produttiva. Nuovi paesaggi ci aspettano, paesaggi che devono essere progettati e non subiti, paesaggi che incorporano i segni del tempo e della storia, delle aspettative, dei gusti e delle sensibilità di chi le abita. Ed è necessario valorizzare tutto questo in prospettiva futura.
Si è ampiamente parlato della trasformazione dei processi industriali e l’opportunità per la Sardegna si riverbera più che nella grande industria oramai tramontata, nell’artigianato e nei suoi diversi risvolti come ad esempio il tessile (es tappeti, abbigliamento ecc.), la ceramica ecc. E’ certo che è necessaria una sua rielaborazione culturale e un’innovazione legata al ripensamento e al ridisegno in una chiave contemporanea, combinando intelligentemente tradizione e contemporaneità. Uno per tutti, il comparto tessile può sviluppare una filiera completa che parte dalla produzione ad esempio della canapa, per la quale la nostra terra ha i requisiti climatici e ambientali adatti e vecchi distretti industriali potenzialmente attrezzati per cogliere tali opportunità. Questo comparto può passare per una sua coltivazione e arriva alla trasformazione e alla creazione di prodotti differenti, magari attraverso la sinergia all’interno di un distretto industriale. Si potrebbe beneficiare della presenza di consorzi capaci di sviluppare nuovi prodotti, organizzare l’offerta differenziata in ambito alimentare, farmaceutico, dell’abbigliamento, dell’arredamento, magari dell’industria nautica, dei materiali per allestimenti e infine la logistica verso i mercati finali
Dal punto di vista energetico, ma questo è un discorso che andrebbe ripreso e approfondito, l’opportunità dell’introduzione del GNL (metano liquido) può favorire inoltre anche le imprese che nella loro produzione o confezionamento necessitano di assorbimento del calore (creazione di freddo), come ad esempio il mercato ittico e alimentare in genere. La realizzazione di nodi di trasformazione del gas da liquido a gassoso, il completamento dell’infrastruttura regionale di distribuzione e un approvvigionamento differenziato alla fonte rappresentano buone opportunità purché si faccia in fretta in quanto siamo l’unica regione d’Italia che ancora non dispone di una rete con questa fonte energetica sull’intero territorio regionale.
Oggi domenica 12 marzo 2017
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Reddito di cittadinanza.
Roberta Carlini su Rocca, ripreso come editoriale di Aladinews.
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CITTÀ E TERRITORIO «TEMI E PROBLEMI» ROMA
La cultura cresce nell’Ex Fienile. Nasce un nuovo simbolo di Tor Bella Monaca
«Periferie. Parla Mario Cecchetti, che nel 1994 rilasciò un’intervista sul quartiere nel documentario “CSOA massimo rispetto”, girato da Paolo Virzì». il manifesto, 11 marzo 2017, con riferimenti (m.b.)