Monthly Archives: marzo 2017

Oggi 22 marzo Giornata mondiale dell’acqua

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta
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GIORNATA MOND ACQUA

L’umanità è in cattive acque
Il 22 marzo è la Giornata Mondiale dell’Acqua ma miliardi di persone non hanno ancora accesso a fonti pulite.
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giotto-san-francesco_618x400Il Cantico delle Creature
“Il Cantico delle Creature”, conosciuto anche come “Il cantico di Frate sole e Sorella Luna” è la prima poesia scritta in italiano. Il suo autore è Francesco d’Assisi che l’ha composta nel 1226. La poesia è una lode a Dio, alla vita e alla natura che viene vista in tutta la sua bellezza e complessità.
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La corruzione, costo insopportabile a carico dei cittadini. Ribellarsi è giusto e possibile

Davigo 3Rivoltati ora...democraziaoggiAffollata assemblea ieri a Cagliari con Davigo
Red su Democraziaoggi.
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Oggi all’Università.
Red su Democraziaoggi.
- Tutte le informazioni sul sito di Unica.
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- Evento di martedì 21 marzo: il servizio fotografico di Renato d’Ascanio Ticca.

Oggi mercoledì 22 marzo 2017

fiori rosa, fiori di pesco… FIORI ROSA FIORI DI PESCOsardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghdemocraziaoggiGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413
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lampadadialadmicromicro13Buone pratiche di Economia sociale e solidale: Barcellona all’avanguardia.
Editoriale su Aladinews.
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eddyburgOPINIONI »OPINIONISTI»
Acqua amica e nemica
di Giorgio Nebbia
Acqua, di cui si celebra ogni anno la “giornata” il 22 marzo, amica e nemica. Nei mari del nostro pianeta esistono grandissime riserve di acqua salina …

Europa?

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L‘Europa ha 60 anni, ma non esiste
Il caso turco-olandese-tedesco è solo la punta dell’Iceberg. Non sappiamo come occuparci della Turchia. Ma, a 60 anni dal primo vagito, l’Europa è divisa su tutto, anche se quasi sempre fa la morale agli altri
di Fulvio Scaglione
linkiesta logo
21 Marzo 2017 – 08:25
Tra qualche giorno, sia l’Europa unita, sia il sottoscritto compiranno sessant’anni. E ho la sensazione, grazie anche a una recente serie di esami clinici, di arrivare al compleanno un po’ meno sfatto di quanto sia la Ue. Lo dico con la tristezza dell’innamorato cornuto e mazziato che però cova ancora del sentimento, quindi non trae soddisfazione nel vedere l’ex fidanzata buttarsi via con gente mediocre, metter su chili e perdere il fascino che fu.

Ogni giorno, ormai, la mia ex Europa passeggia su viali di dubbia reputazione. Prendiamo la questione con la Turchia. C’è una ragione per cui i ministri turchi non possono venire in Europa a fare comizi? E se c’è, qual è? Gli olandesi hanno detto “per ragioni di ordine pubblico e sicurezza”, che vuol dire tutto e niente: significa che il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavousoglu, è un mestatore e un provocatore oppure che in Olanda si rischia la sommossa quando arriva un ministro importante di un importante Paese islamico? Qualcuno ha capito perché quei comizi possono tenersi in Francia (e non capita nulla) mentre sono vietati in Germania e in Olanda? E con quale acume la forze di polizia olandesi trattano una donna ministro turca, Fatma Betul Sayan, ministro per la Famiglia, come un borseggiatore preso al mercato e la fanno accompagnare alla frontiera da una scorta armata?

Ciò che più colpisce è che tutto questo succede in Europa nella totale assenza dell’Europa. Juncker, presidente della Commissione europea? Chi l’ha visto. Tusk, presidente del Consiglio europeo? Boh. La Mogherini, Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri? Non pervenuta
Nulla è chiaro, in questa faccenda. Se non che Germania e Olanda hanno offerto ottima legna per i fuochi della propaganda di Recep Erdogan. Ma ciò che più colpisce è che tutto questo succede in Europa nella totale assenza dell’Europa. Juncker, presidente della Commissione europea? Chi l’ha visto. Tusk, presidente del Consiglio europeo? Boh. La Mogherini, Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri? Non pervenuta.

Il che è drammatico, perché la Turchia è un interlocutore fondamentale dell’Europa. Anzi, apprezzatissimo: passiamo ai turchi 2,2 miliardi l’anno perché intercetti e si tenga i profughi in arrivo dalla Siria, in base a un accordo firmato giusto un anno fa (a proposito di compleanni…) e di cui tutti, in Europa, sono soddisfatti.

Il che comporta quanto segue. Finché Erdogan blocca i migranti, è un leader affidabile, corretto, competente. E anche ricco di spirito umanitario: potremmo mai accettare che decine di migliaia di persone che scappano dalla guerra siano trattate in modo disumano? Quando si tratta del resto, invece, Erdogan diventa un tiranno feroce e repressivo. Con curiose ricadute. Noi europei l’accordo l’abbiamo firmato dopo anni in cui il rais turco ha aiutato in ogni modo non solo i ribelli anti-Assad della Siria ma anche i terroristi dell’Isis e di Al Nusra. E ci scontriamo con lui adesso che ha smesso di aiutare i terroristi e, al contrario, ha pure preso in qualche modo a combatterli.

Al posto di correre qua e là come una gallina con la testa mozza, l’Europa dovrebbe chiarirsi le idee. Che si fa con i regimi brutti sporchi e cattivi? Continuiamo a raccontarci, per esempio, che i turchi sono feroci e i sauditi dei veri signori? Certo, bisognerebbe avere una linea politica, soprattutto con tanto parlare di diritti umani. Ma la linea non c’è, anche se continuiamo a fingere di averla.

l primo confronto con Donald Trump la Merkel ha trovato il modo di ribadire con una certa enfasi che i rifugiati vanno rispettati e accolti. Come fa la Merkel a far prediche in giro quando siede, tacendo, in un Consiglio d’Europa dove c’è l’ungherese Orban che i rifugiati li mette in galera?
Lo si è visto bene con la recente visita di Angela Merkel negli Stati Uniti. Premessa: piaccia o non piaccia, la Merkel è l’unica statista del nostro Continente. Molti si lamentano dell’Europa a guida tedesca, ma dovremmo invece rallegrarcene, perché almeno una guida c’è. Il resto è terrificante e caotica mediocrità. Comunque sia, al primo confronto con Donald Trump la Merkel ha trovato il modo di ribadire con una certa enfasi che i rifugiati vanno rispettati e accolti.

A Trump sono girate le scatole. A me, da europeista tradito, è venuto in mente questo. Come fa la Merkel a far prediche in giro quando siede, tacendo, in un Consiglio d’Europa dove c’è l’ungherese Orban che i rifugiati li mette in galera? Quando accoglie, tacendo, la sentenza della Corte Europea di Giustizia secondo cui qualunque Paese ha il diritto di respingere qualunque richiesta di visto umanitario? Sentenza motivata da un ricorso del Belgio, che sentiva “minacciato il controllo delle frontiere” per la richiesta di visto arrivata da una (una) famiglia siriana? Quando tace di fronte all’inasprimento generale delle norme nei confronti dei richiedenti asilo? Insomma, con che faccia (e con che politica) noi europei andiamo a dare lezioni quando a livello comunitario elogiamo il muro di Ceuta e Melilla e la brutale politica dei respingimenti messa in atto dalla Spagna, come ben documentato da Linkiesta?

Arrivata ai sessant’anni, insomma, questa Europa smandrappata somiglia sempre più alla Norma Desmond magistralmente resa da Gloria Swanson in Viale del tramonto. A chi le diceva «Siete Norma Desmond, la grande diva del muto. Eravate grande!», lei rispondeva: «Sono sempre grande, è il cinema che è diventato piccolo». Peccato che il muto non ci fosse più. E forse nemmeno l’Europa.
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Il futuro dell’Europa: scenari per l’UE a 27 verso il 2025
Maria Cristina Marchetti – 21 marzo 2017 su LabSus
labsus
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DOCUMENTAZIONE
- Libro bianco su Europa2015.
- Il Libro bianco in pdf.

Rilanciare le Scuole popolari per contrastare l’analfabetismo di ritorno

lavanda di primavera 17Analfabeti funzionali, il dramma italiano: chi sono e perché il nostro Paese è tra i peggiori.
Sono capaci di leggere e scrivere, ma hanno difficoltà a comprendere testi semplici e sono privi di molte competenze utili nella vita quotidiana…
ESPRESSO.REPUBBLICA.IT: http://m.espresso.repubblica.it/inchieste/2017/03/07/news/analfabeti-funzionali-il-dramma-italiano-chi-sono-e-perche-il-nostro-paese-e-tra-i-peggiori-1.296854

Buone pratiche di Economia sociale e solidale: Barcellona all’avanguardia

Barcelona2L’economia sociale e solidale a Barcellona: numeri e pratiche di una città all’avanguardia
Nora Inwinkl – 20 marzo 2017 su LabSus
labsus
A Barcellona, ​​più di 4.700 iniziative socio-economiche si ispirano ai valori della cooperazione, dell’orizzontalità e dell’autogestione. Sono l’espressione dell’economia sociale e solidale catalana, esperienze che allo stesso tempo si configurano come pratica economica e come movimento sociale.
Nel 2016 Anna Fernàndez e Ivan Miró pubblicano un rapporto sullo stato dell’economia sociale e solidale a Barcellona, portando alla luce cifre ed esperienze che fanno della capitale catalana un interessantissimo esempio di come al giorno d’oggi proposte di modelli alternativi al neoliberismo non solo siano possibili, ma già in atto. Gli autori presentano un lavoro di ricerca che ha fatto emergere una realtà che a Barcellona è radicata da molto tempo e che conta oltre 4.700 iniziative socio-economiche, pari al 2,8% del totale delle imprese registrate, distribuite nei differenti quartieri della città (vedi cartografia). Un insieme di realtà dove trovano lavoro più di 53.000 persone, pari all’8% dell’occupazione totale e che partecipa al 7% del PIL della città. Ma di preciso di cosa stiamo parlando?

L’economia sociale e solidale nei quartieri di Barcellona
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Screenshot 2017-03-19 14.18.01 Fonte: Fernàndez, Miró 2016.

Senza entrare nel dibattito sui concetti, per il quale si rimanda al documento prodotto da RIPESS nel 2015, riportiamo integralmente la definizione che il volume dà riprendendola da una proposta di legge redatta nel 2015 dalla rete di economia solidale catalana, la XES Catalunya: “[...] si definisce l’economia sociale e solidale come un insieme di iniziative socio-economiche i cui membri, in modo associativo, cooperativo, collettivo o individuale, creano, organizzano e sviluppano democraticamente e senza dover necessariamente avere scopi di lucro, processi di produzione, di scambio, di gestione, di distribuzione delle eccedenze, di sistemi monetari, di consumo e di finanziamenti di beni e servizi volti al soddisfacimento dei bisogni. Promuovono relazioni di solidarietà, cooperazione, reciprocità, basate sul dono e la trasformazione egualitaria della economia e della società; hanno come finalità la promozione del bien vivir e la sostenibilità e la riproduzione della vita di tutta la popolazione.”

Riportare la vita al centro e ripartire dalle relazioni

Si tratta di un paradigma che, contrapponendosi a quello dominante, rimette al centro la vita umana e le relazioni, ponendo l’accento sulla necessità di portare sullo stesso piano produzione e riproduzione. Produrre per rispondere alle necessità umane nel riconoscimento del ruolo fondamentale che ha il processo di riproduzione. Si tratta di un modello socio-economico che mette in secondo piano la formalizzazione giuridica delle entità, raccogliendo al suo interno realtà di differente tipo. La prima parte del lavoro di Fernàndez e Mirò illustra in maniera dettagliata e con dati alla mano la pluralità delle esperienze che compongono il panorama dell’economia sociale e solidale barcellonese: cooperative di lavoro, di servizi, di consumatori e di utenti; cooperative per l’abitare e per la formazione; le mutue e i servizi bancari e di credito che promuovono la finanza etica; il terzo settore sociale e imprese per l’inserzione e l’avviamento al lavoro; gruppi di consumo, orti urbani e banche del tempo; forme di autogestione comunitaria di strutture ed edifici pubblici e altri ancora.

Risulta evidente come non siano la forma giuridica o il settore di riferimento a determinare quali siano le esperienze afferenti all’economia sociale e solidale, quanto piuttosto un insieme di criteri che spaziano dall’equità di genere alla sostenibilità ambientale, dalla democraticità dei processi decisionali alla [re]distribuzione egualitaria della ricchezze e altri ancora. Certo non sempre è facile stabilire un confine netto tra chi è dentro e chi è fuori, ma trattandosi di pratiche che hanno l’ambizione di trasformare la società in cui intervengono, si tratta di percorsi e processi sempre perfezionabili e in continuo mutamento. Una questione, quest’ultima, messa in luce anche da un’altra esperienza del panorama catalano volta alla mappatura delle realtà dell’economia solidale del territorio. Si tratta del Pamapam (http://pamapam.org/ca), una pratica di collaborative mapping realizzata dalla ONG Setem Catalunya su base volontaria per intervistare, conoscere e, successivamente, mappare pratiche solidali.

Verso un nuovo modello di città: cooperativa, solidale e per il bene comune

La seconda parte del volume è dedicata alla configurazione dello spazio urbano di Barcellona con un approfondimento su alcuni suoi quartieri emblematici che, provenendo da traiettorie storico-culturali nonché socio-economiche differenti, sono oggi protagonisti nella definizione di un modello di spazio urbano che si ponga come alternativo a quello dominante. Quest’ultimo ha dato alla luce un modello di città che già nell’89 fu definito da David Harvey “entrepreneurial city” (città imprenditoriale), così indicata per l’accumulazione del capitale con i conseguenti fenomeni di privatizzazione e mercificazione di risorse pubbliche, esclusione di intere fasce della popolazione, finanziarizzazione della rendita urbana e depauperamento del patrimonio storico-culturale nonché dell’ambiente stesso. Fernàndez e Mirò mostrano come nei differenti quartieri sia in atto una – riprendendo le parole di Lefebvre – produzione sociale dello spazio urbano volta ad affermare pratiche collettive e solidali, nel perseguimento del bene comune. Così sta accadendo alla Barceloneta, quartiere con un forte passato cooperativo e che oggi soffre una forte pressione turistica, o a Sants, quartiere di tradizione operaia dove si incontrano pratiche di autogestione di aree ed edifici dismessi minacciati da progetti immobiliaristi.
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Gli autori hanno messo in luce i punti di forza e di debolezza di un fenomeno che a Barcelona sta crescendo in maniera esponenziale. Ne è un dato chiaro anche la costituzione del Commissionat de Economía Cooperativa, Social i Solidaria i Consumo da parte della sindaca Ada Colau, eletta nel giugno del 2015 con la piattaforma cittadina nata con il nome di Guanyem Barcelona – Vinciamo Barcelona – e oggi conosciuta come Barcelona en Comú. La giunta comunale dichiara così apertamente qual è il modello socio-economico che intende perseguire, un modello improntato proprio al paradigma dell’economia solidale.

LEGGI ANCHE:

L’economia sociale e solidale come economia della società
A Barcellona la Fiera di Natale è sul Consumo Responsabile e l’Economia Sociale e Solidale
NESI (New Economy and Social Innovation) Global Forum: da Roma a Malaga
NON CON I MIEI SOLDI! Sussidiario per un’educazione critica alla finanza
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- RAPPORTO SULL’ECONOMIA SOCIALE E SOLIDALE NELL’UNIONE EUROPEA
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- Il 1° Forum dell’economia sociale nel Mediterraneo a Barcellona (2 dicembre 2016).

Oggi martedì 21 marzo 2017. E’ primavera!

21 marzo 2017 primavera
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democraziaoggiDavigo oggi a Cagliari racconta la corruzione
21 Marzo 2017. Gianna Lai su Democraziaoggi.
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lampada aladin micromicroCerchiamo l’impossibile. Abbiamo bisogno di visionari.
Editoriale su Aladinews.
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A Calledda cover libroQuando Agostino Calledda incontrò don Lorenzo Milani a Barbiana.
- Le poesie di Agostino Calledda.
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9029-clara_murtasclara murtas 1“I Ritratti di SardegnaSoprattutto”: Clara ed il suo Gramsci. [di Susi Ronchi, su SardegnaSoprattutto]
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La dimensione sociale dell’Europa
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60° anniversario dei Trattati di Roma 1957-2017

Domani martedì 21 marzo 2017 Davigo a Cagliari

Davigo 21 3 2017 correz

“Carlo Felice e i tiranni sabaudi”

Carlo Felice feroce di F CasulaNota informativa sul libro
“Carlo Felice e i tiranni sabaudi”
di Francesco Casula
(Editore Grafica del Parteolla, Dolianova, 2016, Euro 16, pagine 224)

Il libro documenta in modo rigoroso la politica dei Savoia, sia come sovrani del regno di Sardegna (1726-1861) che come re d’Italia (1861-1946).
La loro politica, con le funeste scelte (economiche, politiche, culturali) “ritardò lo sviluppo di quasi cinquant’anni, con conseguenze non ancora compiuta¬mente pagate”: a scriverlo è il più grande conoscitore della Sardegna sabauda, lo storico Girolamo Sotgiu. - segue -

Cerchiamo l’impossibile. Abbiamo bisogno di visionari

Adriano Olivetti fto picc
Quanto vale un visionario? Molto più dei suoi errori.
Di cento che ne pensa, solo una è quella giusta. Eppure le persone che credono con tenacia nei loro sogni e nelle loro intuizioni sono fondamentali per ogni ambiente sociale, dall’azienda alla politica. Perché è la loro capacità di produrre visioni che cambia le cose
di Alessandra Colonna su LinKiesta
linkiesta logo
V come Visione. Parola molto di moda. E che, come tutto ciò che va di moda, rischia di essere svilita e banalizzata nella sua essenza.

La parola visionario è un giano bifronte: essere visionari, sganciati del tutto dalla realtà, può non avere una valenza positiva.
Nel senso però positivo il visionario è colui che, partendo dalla realtà, non la subisce e sogna costruttivamente un mondo che non c’è, allenato e orientato a vedere oltre.

La visione non è mera utopia, è costrutto. Visionari lo sono stati Gandhi, Einstein, Galileo, Mandela solo per citarne alcuni. Ci sono aziende visionarie, come Google che ha creato una pagina vuota quando Yahoo, il motore di ricerca allora più in voga, era pieno di immagini e link. Steve Jobs con la sua Mela che mentre tutti cercavano la compatibilità, ha puntato all’unicità. Il fondatore di Ikea, Ingvar Kamprad, illustre sconosciuto ai più, ma che ci ha trasformati tutti in bricoleur della domenica ed è riuscito a farci macinare chilometri per comprare candele e tovagliolini pur di dare un senso al nostro viaggio. Lo sono migliaia di anonimi ricercatori in tutto il mondo che, nel chiuso silenzio dei loro laboratori, si sono messi in testa di sconfiggere malattie come il tumore e altro ancora.

Il valore del visionario non è il risultato in sé ma la capacità stessa di produrre visioni. Tra mille di esse, una sarà quella giusta

Il valore del visionario non è il risultato in sé ma la capacità stessa di produrre visioni. Tra mille di esse, una sarà quella giusta. Come riconoscerli? Merce rara. “Sì, ma, però”: a un visionario non lo sentirete mai dire. Il visionario dice “ci provo, mi piace, poi vedremo”. È sempre stato così, perché cambiare rientra nel dna mentale di un portatore di visione.

Dove posso arrivare, e oltre. Il visionario non si pone limiti, sa che la conquista di oggi è appagante, ma non abbastanza, c’è un oltre ed è là che attende. Ha un fondo di sana insoddisfazione: il visionario non vi dirà mai che è bravo a fare qualcosa, vi dirà che può migliorare e molto. In ultimo, il visionario ha una visuale molto ampia, geografica e temporale. Il qui ed ora diventa ovunque e sempre.

Come impatta la presenza di persone di questo tipo a capo di un’organizzazione? Possono forse avere una portata destabilizzante, ma laddove oggi l’innovazione e il cambiamento sono la chiave del successo in ogni settore, dal più al meno tradizionale, ogni azienda dovrebbe avere dei visionari a guidarla o quanto meno a animarla. Persone che osano, che sbagliano, che si rialzano perché inseguono un sogno più forte di qualsiasi altro limite. Sono un patrimonio e andrebbe non solo fatto venire a galla, ma sostenuto e incentivato.

I sogni sono la droga più bella che ci sia, non fanno male e non hanno bisogno di pusher. Ce li possiamo fabbricare noi. É solo quando ce li facciamo portare via che smettiamo di vivere appieno la nostra vita. “Dopo aver fatto sempre la stessa cosa nello stesso modo per due anni, inizia a guardarla con attenzione. Dopo cinque anni, guardala con sospetto. E dopo dieci anni, gettala via e ricomincia di nuovo tutto.”Alfred Edward Perlman, manager americano, (1902-1983).
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Nella foto di testa, Adriano Olivetti
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Oggi lunedì 20 marzo 2017

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Nucleo Is Mirrionis Sacripanti
lampada aladin micromicroRiusiamo l’Italia. Riusiamo la Sardegna. Praticando l’obbiettivo, noi ripartiamo simbolicamente dalla Scuola Popolare di Is Mirrionis.
Editoriale di Aladinews.
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democraziaoggiPensieri sulla sinistra al Congresso di Rifondazione
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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CITTÀ E TERRITORIO »NOSTRO PIANETA» INVERTIRE LA ROTTA
eddyburgI diritti negati alla Terra e a chi verrà dopo di noi
di Guastavo Zagrebelsky
Anche il grande giurista raccoglie la crescente preoccupazione di quanti vedono i poteri dominati da un’idea deforme ed inumana dello “sviluppo” proseguire della folle dissipazione del patrimonio essenziale dell’umanità: la Terra. la Repubblica, 20 marzo 2017.
Zagrebelsky su eddyburg.

Punta de billete per venerdì 24 marzo 2017: Convegno su Maurizio Sacripanti, architetto

Sacripanti per webMaurizio Sacripanti, architetto. Convegno di venerdì 24 marzo 2017, a Cagliari, Fondazione di Sardegna, via San Salvatore da Horta 2. La pagina fb dell’evento: https://www.facebook.com/events/622155447981369/

OGGI domenica 19 marzo 2017 – La Chiesa Cattolica festeggia San Giuseppe

Giuseppe il falegname. (Aladinews 19 marzo 2015)
Oggi si ricorda img_3400S.Giuseppe. Grande simbolica figura.
Un uomo, falegname, che interpreta e mette in azione i messaggi dei suoi sogni. Prima sposa la fidanzata incinta di un figlio non suo, e la mette così al riparo dal disprezzo e da una pena spietata; poi, Piero Marcialis il vecchio e il maresecondo sogno, emigra in terra straniera per fuggire il dominio di un tiranno, e salva così il futuro del figlio. Infine, dopo averlo cresciuto e avergli dato un mestiere, si accorge che quel figlio, a dodici anni (!) è capace di confrontarsi coi presunti sapienti del paese. E si toglie di scena, perchè il suo compito è finito.
Rappresenta l’umanità più vera: quella che parla poco e fa, che lavora, che rispetta la donna, che si sottrae all’oppressione, che cresce i figli e pensa al loro futuro, che si ritira in disparte senza onori e ricompense. Ricordiamoci di loro, sono i migliori.
http://it.wikipedia.org/wiki/Riposo_durante_la_fuga_in_Egitto_(Caravaggio)
Il dipinto: Riposo durante la fuga in Egitto, di Caravaggio
GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501419
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san Giuseppe GuidoReniBabbi “speciali” molto anziani con Bambini piccolini : San Giuseppe col piccolo Gesù, di Guido Reni, 1635.
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Giuseppe di Bomeluzo
San Giuseppe Bomeluzo
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Davigo 21 3 2017 correz
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eddyburgCITTÀ E TERRITORIO » SOS » BENI CULTURALI
L’armata degli alberi di Roosevelt che serve al Mezzogiorno
di Battista Sanguineto
«Il problema principale dello sviluppo, e del turismo, non è l’assenza di musei, di centri storici o di parchi archeologici, ma è la scomparsa del paesaggio, la distruzione di un sapere collettivo». il manifesto, 18 marzo 2017 (c.m.c.)
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LocandinaSettimanaSociale2017Papa Francesco: “peccato gravissimo” togliere il lavoro
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democraziaoggiL’idea di “socialismo” fra crisi e rilancio
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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APPUNTI PER UNA DEFINIZIONE DI WELFARE CULTURALE
Pier Luigi Sacco sul Giornale delle Fondazioni.

Oggi sabato 18 marzo 2017 – Pro memoria per martedì 21 marzo 2017

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lampada aladin micromicroÈ tempo di ripensare le forme reali della democrazia costituzionale. Abbiamo bisogno di quel che Stefano Rodotà ha definito un «costituzionalismo dei bisogni». Editoriale di Aladinews.
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eddyburgSOCIETÀ E POLITICA »TEMI E PRINCIPI» SINISTRA
«Il populismo? Si vince tornando vicino agli ultimi»
«Il nazionalismo va messo ai margini Non deve essere un interlocutore dei partiti storici.La cooperazione tra stati è l’unico antidoto al capitalismo finanziario selvaggio». la Repubblica, 16 marzo 2017 (c.m.c.)
Il filosofo tedesco Jürgen Habermas intervistato sul nuovo MicroMega invita la sinistra europea a ripartire riscoprendo le battaglie delle origini.
(…) Quale dovrebbe essere allora la risposta di sinistra alla sfida della destra?
«Ci si deve chiedere perché i partiti di sinistra non vogliono porsi alla guida di una lotta decisa contro la disuguaglianza sociale, che faccia leva su forme di coordinamento internazionale capaci di addomesticare i mercati non regolati. A mio avviso, infatti, l’unica alternativa ragionevole tanto allo status quo del capitalismo finanziario selvaggio quanto al programma del recupero di una presunta sovranità dello Stato nazionale, che in realtà è già erosa da tempo, è una cooperazione sovranazionale capace di dare una forma politica socialmente accettabile alla globalizzazione economica. L’Unione europea una volta mirava a questo – l’Unione politica europea potrebbe ancora esserlo». (…)
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Riusiamo l’Italia. Riusiamo la Sardegna. Praticando l’obbiettivo, noi ripartiamo simbolicamente dalla Scuola Popolare di Is Mirrionis

SCUOLA-POP-ISM-BOMBARDATA
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con Arkimastria
lampada aladin micromicroCon i giovani amici di Arkimastria del Dipartimento di Architettura di Alghero (nella foto, al centro, la presidente Adele Pinna e il vice presidente Pasquale Lotto) e con il prof. Aldo Lino sosteniamo il “Comitato promotore della Consulta Is Mirrionis-Scuola Popolare” per la partecipazione al Bando Culturability. Abbiamo un buon progetto per la “rigenerazione” del nucleo di quartiere dove c’è lo stabile che ospitò la Scuola Popolare di Is Mirrionis negli anni ’70. Quello che progettò Maurizio Sacripanti e che fu realizzato negli anni Cinquanta. Lo porteremo avanti con il pieno coinvolgimento della popolazione dei quartiere e della città. Di seguito alcune elaborazioni (tratte dal sito “riusiamolitalia”) di cui si avvale il progetto allo stato in fase di definizione.
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DOCUMENTAZIONE da RIUSIAMOL’ITALIA
CANTIERE ANIMATO: NUOVI APPROCCI ALLA PROGETTAZIONE
La progettazione del riabitare uno spazio pubblico si basa sempre più su percorsi che attivano incontri tra persone (spesso giovani) interessati al riuso a fini culturali e sociali di spazi vuoti ed Enti proprietari interessati a questo tipo di “rigenerazioni”, anche temporanee.

Oggi i territori vivono una situazione del tutto nuova, con una crescita smisurata di spazi che vengono progressivamente lasciati vuoti, privi di una loro funzione dʼuso. Eʼ un fenomeno particolare che vede il passaggio da “persone senza spazi” a “spazi senza persone”. Ciò sia nelle aree urbane, che nei territori rurali, dove lʼIstat ha mappato (ad aprile 2015) ben 6.000 “paesi fantasma”, intesi come agglomerati abitativi abbandonati.

Molte esperienze in Italia segnalano già il riuso di questi spazi come esperienza di creazione di valore sociale, culturale ed anche economico /occupazionale. Esistono però sia barriere che difficoltà allʼincontro tra giovani (ed in generale cittadini) interessati a questa rigenerazione e chi ha la proprietà / disponibilità di questi beni (nonostante diverse leggi ed in particolare lʼart. 24 dello Sblocca Italia).

Per favorire questi processi, nei Comuni e/o nei quartieri (comprese le periferie) in cui le relazioni e gli incontri tra persone ed istituzioni sono ancora possibili e fondati su un capitale fiduciario, si possono promuovere percorsi di riuso di questi spazi, affinché diventino “beni comuni”. Un concetto diverso sia da quello di bene di proprietà pubblica, che privata, interessante perché dà meno importanza a questa dimensione per privilegiarne la fruizione d’uso che lo spazio assume (“rivolta alla gente comune”). I “beni comuni” sono quindi spazi di proprietà pubblica (o del Terzo settore, ma anche di privati), affidati però – nella gestione – ad organizzazioni esterne. Ciò sempre garantendo una funzione pubblica – da mandato iniziale – occupandosi della governance della gestione / fruizione del bene.

Quando proprietario del bene è l’Ente Pubblico, proprio per garantirne una funzione pubblica, il ruolo diventa quello di partner del soggetto gestore, partecipe delle attività, grazie all’istituzione di una “cabina di regia pubblica / privata”, che si creerebbe ad hoc per la gestione. In questi percorsi possono nascere anche associazioni temporanee o di scopo, fondazioni di partecipazione, ecc. Non solo: se non partono dal basso e spontaneamente questi percorsi di riuso, l’Ente Pubblico assume il ruolo di attivatore di percorsi e la progettazione diventa la gestione del progetto, l’attesa della trasformazione, la programmazione del “frattempo”, in cui succedono però già delle cose. La rigenerazione non è quindi un’opera pubblica, ma diviene un percorso partecipato, che spesso è anche di co-realizzazione di alcune azioni di riuso (es. pulizia, manutenzioni semplici, ecc.).

Lʼottica di queste operazioni di riuso è di permettere prevalentemente (ma non solo) a “giovani appassionati e competenti” di farne una occasione occupazionale. Ciò facilitando il riuso di questi spazi vuoti in tempi brevi (anche temporaneamente) nell’ottica di start up culturali e sociali, con “low budget”. LʼEnte Pubblico infatti si trova generalmente in carenza di risorse, ma può sostenere la progettazione finalizzata ad azioni di fund raising.

Rispetto ad eventuali capitali, i team di giovani possono accedere ad un programma di finanziamento di istituti finanziari del Terzo settore, su logiche di “capitale paziente” proprio per sostenere questi “cantieri di rigenerazione”. Ma possono guardare anche al fund raising, al crowdfunding, ai bandi pubblici e/o di Fondazioni.

Queste operazioni di riuso sono infatti azioni di rigenerazione (rurale o urbana), di aggregazione pubblica, di partecipazione attiva e di cittadinanza, oltre che di inclusione sociale, sempre in ottica di sviluppo occupazionale. Il Terzo settore (o No profit) infatti in questi anni è stato un ambito che è cresciuto dal punto di vista occupazionale, soprattutto coinvolgendo giovani, in prevalenza qualificati. Queste operazioni di riuso spesso diventano anche azioni di sviluppo locale, soprattutto là dove riprendono temi legati al turismo leggero, alla valorizzazione del territorio, al food, alle tradizioni, allʼarte e cultura.

Questi percorsi partono dalla condivisione interna alla P.A. sulle modalità e condizioni di esternalizzazione e procedono poi con la loro promozione, con lʼavvio di un percorso pubblico animativo di formazione / promozione del riuso dello spazio e si concludono con lʼassegnazione della gestione dello spazio, sempre con una evidenza pubblica e con una modalità trasparente. Viene elaborato anche uno “studio di fattibilità” ai fini di individuare – sempre in modo coprogettato – vocazione, funzioni dʼuso, analisi investimenti e sostenibiltà della gestione, elementi per un piano di marketing, reti e partner, nuovi pubblici.

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Il riuso però non è detto che parta sempre e solo dall’Ente pubblico. L’attivatore, a seconda dei territori, può essere un soggetto portatore di un bisogno (es. Terzo settore), un gruppo di persone che si unisce per una causa, un’organizzazione particolarmente sensibile alle questioni.Di conseguenza, anche il percorso di riuso / rigenerazione, può avere più dimensioni, dinamiche diverse, tempi più o meno lunghi.

Nel 2016, le buone prassi sviluppate grazie al lavoro diretto degli autori di “Riusiamo l’Italia” sono state l’avvio del co-working/incubatore a Tortona con Impact Hub in una ex Scuola/spazio pubblico vuoto, a Varese Vitamina-C, il social hub promosso da ACSV in una “terrazza” non utilizzata, a Formigine (Mo) la riprogettazione partecipata di un nuovo spazio per i giovani in uno spazio sotto utilizzato ed in Valle Sabbia (Bs), l’avvio di un nuovo fab lab in un ex convento. Oltre alla co-progettazione, decisivo è stato l’accompagnamento all’avvio della gestione di questi nuovi spazi.

giovanni.campagnoli@riusiamolitalia.it
Sacripanti per web

PERCORSI DI PROGETTAZIONE DI RI-USI PUBBLICI DI SPAZI VUOTI: LO STUDIO DI FATTIBILITÀ E LʼACCOMPAGNAMENTO ALLO START UP
Percorsi di progettazione di ri-usi pubblici di spazi vuoti: lo studio di fattibilità e lʼaccompagnamento allo start up

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Oggi si assiste ad una situazione nuova nel rapporto luoghi/territori. Ci si trova infatti di fronte a contesti dove sempre più gli spazi sono vuoti superano le richieste per eventuali e diverse funzioni dʼuso. Luoghi produttivi dismessi, aree abbandonate, edifici pubblici e para-pubblici vuoti, ma anche Oratori, Stazioni FFSS, cinema, locali commerciali… Sintetizzando, si potrebbe affermare che le politiche giovanili, quelle culturali e quelle urbanistiche dovrebbero darsi lʼobiettivo di riempire questi spazi vuoti con idee e talenti individuali e collettivi, contribuendo alla rinascita delle città e dei territori con nuove energie. A partire da aree interne e periferie. Questa strategia prevede un forte coinvolgimento degli attori locali, anche al fine di valorizzare saperi, tradizioni e know how del territorio, attualizzando magari antiche vocazioni e generando nuovo capitale sociale, indispensabile allo

sviluppo dei territori.

Il punto di partenza è quindi lʼelaborazione, con una fase di ricerca sociale, di uno studio di fattibilità vero e proprio. Finalità di questo lavoro sono quelle di guidare il percorso che porti questi spazi ad essere luoghi di innovazione ed eccellenza nellʼambito specifico delle politiche locali “site specific”, ma comparabili con quelle europee, in quanto pensate e gestite seguendo le linee guida della UE in materia.

A conclusione della fase di ricerca e studio, la fase successiva di questo lavoro è quella di un percorso di accompagnamento con soggetti committenti e gestori. Infatti, una volta definite le caratteristiche, le funzioni dʼuso, il piano marketing ed il budget grazie allo studio di fattibilità, prende avvio la fase di implementazione. Si tratta di un percorso dove formazione, consulenza, accompagnamento, supervisione, analisi di situazioni critiche, si fondono costantemente, in un servizio di tutoring a metà tra momenti dʼaula e lavoro a distanza, con supporto anche rispetto a materiali necessari allo start up del Centro (es. contratti tipo con organizzazioni giovanili, budget dei costi delle attrezzature, selezione dei fornitori, grafiche, ecc.).

2 Lo studio di fattibilità

Lo studio di fattibilità, nell’ambito della progettazione sociale, non sostituisce la redazione del progetto, ma fornisce spunti e indicazioni delle quali chi progetta può tenere conto per organizzare il proprio lavoro.

Per predisporre lo studio, vanno anzitutto raccolti dati, utilizzando diverse fonti informative:

– dati descrittivi del territorio (quanti giovani ci sono, che caratteristiche hanno,quali interessi e competenze, quali sono le attività produttive presenti, ecc…);

– colloqui con testimoni significativi individuati sul territorio (es.: rappresentanti di istituzioni, associazioni, figure educative, operatori economici, gestori di locali, ecc…);

– incontro aperto con tutte le persone potenzialmente interessate all’apertura del Centro;

sopralluogo della struttura, delle sue caratteristiche e della sua collocazione.

Utilizzando i dati raccolti si elabora uno studio di fattibilità ad hoc. Il documento, una volta “approvato” dal committente, viene poi presentato pubblicamente e messo a disposizione

dei soggetti locali interessati, anche alla gestione del Centro. Lo studio diventa, ad esempio per le Amministrazioni locali, il documento progettuale di riferimento in base al quale valutare le offerte in eventuali bandi pubblici.

Lo Studio di fattibilità viene commissionato infatti per definire se un progetto (o un programma) o un’idea di massima:

• produce utilità sociale e culturale;

• può essere realizzato/migliorato dal punto di vista tecnico;

• risulta sostenibile dal punto di vista economico.

Lo studio riguarda una dimensione di futuro (“pro-jecuts”, “verso cosa”) e si basa quindi su delle valutazioni, più che su elementi certi, per cui si devono adottare criteri chiari e trasparenti, in modo da garantire l’obiettività dello studio e dei suoi risultati.

Il prodotto finale dello studio è costituito da un insieme di conclusioni e di raccomandazioni sulla possibile realizzazione e sulla delimitazione degli ambiti, offrendo indicazioni utili a orientarne le priorità, le linee di azione, le strategie e le modalità di lavoro, la pianificazione economica e temporale, le procedure amministrative ed i criteri di valutazione per lʼassegnazione della gestione. Diventa quindi, per il committente, uno strumento conoscitivo utile a supportare le valutazioni relative allʼopportunità di adottare scelte in particolare per quel che riguarda lʼambito di operatività. Infine, oltre alle linee guida per un piano di marketing operativo, lo studio offre un budget degli investimenti necessari alla gestione del centro, insieme ad un budget triennale di gestione, quale strumento utile per accompagnare la fase di start up dello spazio.

Come detto, questo lavoro di ricerca ed elaborazione dello studio di fattibilità deve essere preceduto da un lavoro di analisi sia sulla eventuale documentazione già presente (ad esempio relativa allʼiter di questi centri), sia di ricerca di definizioni e buone prassi inerenti questi spazi, che possano fungere da modelli di confronto. Ma non solo: incontri ed interviste ad hoc, sono le modalità tipiche di lavoro, che prevede incontri/confronti costanti con i committenti e le realtà coinvolte, per la validazione delle ipotesi e/o la

successiva modifica/integrazione.

Infine, ultimo step di questo lavoro, sono i momenti pubblici di divulgazione dei risultati.

2.1 Obiettivi

Obiettivi specifici della fase di ricerca e studio di fattibilità sono:

a livello generale, se si tratta di spazi giovanili, applicare nel contesto locale le linee guida degli di “matrice europea” secondo quanto contenuto nei principali e recenti testi normativi in materia di gioventù;
se si tratta di spazi “ a vocazione indecisa”, seguire i criteri e linee guida delle progettazioni di riuso / rigenerazione contenute nella letteratura più innovativa in materia di rigenerazione / riuso;
– individuare – facendo emergere desideri e bisogni locali, tramite la ricerca sociale – l’identità/mission (o “vocazione”) dello, “costruirla” in un percorso di condivisione, comunicarla e renderla comprensibile alla comunità locale (giovani e non solo);

– predisporre, a questo fine, un adeguato piano di marketing e comunicazione;

– elaborare uno studio di fattibilità individuando le condizioni di equilibrio tra sostenibilità economica (budget triennale di gestione e di investimenti) ed utilità sociale dello specifico centro, le relative linee guida di un piano marketing e quelle per un procedimento amministrativo utile allʼindividuazione di un soggetto gestore. La gestione dello spazio, ai fini stessi dellʼefficienza economica, dovrà essere caratterizzata dal costante coinvolgimento dei soggetti ospitati e di nuove proposte, ottenendo valore economico dai processi aggregativi.

Il tutto parte da una fase di studio dei documenti istitutivi o storiografici dei progetti di realizzazione già redatti dalle realtà locali e/o dallʼanalisi di ricerche ad hoc già disponibili.

2.2 Precisazioni necessarie

Lʼapproccio metodologico adottato tende ad essere “generativo” ovvero punta a determinare un equilibrio più virtuoso tenendo conto da una parte del calo progressivo di risorse pubbliche da dedicare e dallʼaltra delle potenzialità e capacità di generare flussi di ricavi ed appropriate economie di scala da affidare a profili gestionali di tipo imprenditoriale.

Ne risulta automaticamente che lʼanalisi degli spazi, delle funzioni da introdurre, degli usi da adottare porti sempre a risultati diversi da quelli per i quali erano stati progettati. Ciò avviene non solo con le strutture le cui funzioni originarie sono cessate, modificate e trasferite in altre sedi, ma anche con contenitori nuovi, di recente e qualificata costruzione, dove le destinazioni dʼuso erano di fatto già riconducibili in tutto o in parte a quelle della nuova vocazione.

Nella conduzione di uno studio di fattibilità e nella gestione del dialogo con lʼente committente ci si trova di fronte a due modelli molto diversi: quello del passato che postulava la capacità del soggetto pubblico di gestire la struttura secondo una specifica visione pianificata e programmata e quello del presente che tenta invece di innescare meccanismi di “leva” economica in tutto o in parte finanziati da soggetti utilizzatori e /o gestori degli spazi.

Nonostante questa diversità di presupposti, lʼesigenza di modifiche agli organismi edilizi solitamente viene ipotizzata a livelli minimi e strettamente indispensabili (anche per il massimo contenimento dei costi), per fattori variegati quali principalmente:

• lʼadeguamento normativo necessario per lʼintroduzione di alcuni funzioni generatrici di reddito (es. il bar e servizi igienici connessi);

• lʼintroduzione di funzioni speciali tipicamente collegate ai target di nuovo pubblico che si intende coinvolgere (es. gli universi giovanili e non sempre presenti nei programmi funzionali originari, ad es. spazi per laboratori ed attività artistiche ed espressive in genere,

skatepark, sale prove musica, ecc.);

• la valorizzazione di alcune soluzioni spaziali di particolare appeal spaziale o emozionale: soppalchi, visuali, rapporto interno/esterno, verde, elementi di design, colori, ecc.;

• conferimento di elasticità e flessibilità ad alcuni specifici comparti del complesso edilizio, anche in termini di arredi e funzionalità varie;

• particolari esigenze di dimensionamento collegata al raggiungimento di standard funzionali o target prestazionali indispensabili per gli specifici obiettivi gestionali.

Si tenga anche conto che proprio in quanto studi di fattibilità, lʼanalisi dello stato dei luoghi e degli spazi avviene attraverso sopralluoghi ed analisi degli elaborati grafici di progetto. Da questo punto di vista, le soluzioni proposte possono essere suscettibili di insufficienti approfondimenti di tipo strutturale e impiantistico. È quindi opportuno ricomprendere prima o durante lʼelaborazione degli studi di fattibilità momenti di confronto con, a seconda dei

casi, i progettisti, i manutentori o i detentori della memoria storica della costruzione e dei luoghi. Partendo dalla condivisione di dati e informazioni ed assicurando un buon livello di dialogo tra i vari portatori di conoscenze si possono ottenere i migliori risultati. Infine, anche lʼanalisi ed i budget delle soluzioni tecniche proposte in riferimento ad arredi ed attrezzature, deriva da elementi di altre realtà che già hanno adottato quanto proposto e che sono comunque comparabili con quelle oggetto di studio. Di conseguenza, tutte le

soluzioni proposte devono poi essere oggetto di approfondimento in sede di acquisto.

3 L’accompagnamento allo start up

In questo ambito, è utile prevedere un accompagnamento formativo/consulenziale alle fasi di start up del centro giovani, con il coinvolgimento attivo delle persone responsabili dellʼorganizzazione che si occupa della gestione, gli operatori, gli “attivi”, altro personale

professionale, referenti istituzionali. Il percorso formativo è molto calato nella situazione e prevede metodologie di apprendimento attivo, sperimentazioni, visite guidate, bench marking, innovazione sociale per arrivare ad una gestione di “successo” di un nuovo modello di centro giovani, su base delle recenti indicazioni europee in materia di gioventù.

3.1 Il contesto

Uno spazio giovani (nuovo o che si rinnova) in fase di avvio, affronta una serie di tappe delicate in quanto incidono e connotano le fasi ed i tempi successivi dello sviluppo del centro.

I requisiti base per il successo nella fase dellʼavvio di uno spazio sono lʼalta partecipazione di cittadini (e/o giovani) – fin dalla fase iniziale – ed una start up giovanile o una organizzazione “matura” in grado di garantire gli aspetti fiscali/gestionali/amministrativi, oltre che alla presenza attenta delle istituzioni.

La presenza contemporanea di questi elementi è il punto di partenza per lʼavvio degli spazi: la sfida è che da queste premesse nasca un progetto operativo gestionale che porti a garantire lʼapertura e lʼavvio del nuovo spazio o nel più breve tempo possibile, definendone anche aspetti di microprogettazione, quali la scelta di arredo ed attrezzatura, programmazione, attività, comunicazione, apertura, nuove azioni sperimentali, ecc.

Lʼipotesi base è che lʼavvio avvenga fin da subito con il coinvolgimento di operatori professionisti, giovani attivi e responsabili istituzionali.

Di conseguenza gli attori coinvolti in questo progetto sono i giovani stessi, gli operatori dellʼorganizzazione che ha la mission di avviare il centro, i responsabili istituzionali delle Amministrazioni coinvolte.

Il progetto si articola su un doppio binario:

– lʼaccompagnamento allʼavvio del centro (con supervisione anche nellʼattrezzaggio, marketing e comunicazione, microprogettazione, supervisione alla fasi gestionali)

– percorso formativo parallelo impostato sullʼacquisizione di conoscenze e competenze relative alla gestione di un centro giovani, alla assunzione di un ruolo, alla condivisione di obiettivi e finalità comuni.

Il percorso formativo prevede quindi momenti dʼaula comuni ed “assetti variabili”, visite guidate ad altre esperienze con alcune sperimentazioni in situazione, bench marking.

I contenuti del percorso devono essere veramente innovativi: ed il progetto formativo prevede quindi che sia garantito un accompagnamento ed una formazione allo start up di questi spazi, affinché diventino “luoghi” significativi per la comunità locale (a partire dai giovani), con un forte ruolo di “attrattore” per le nuove generazioni, unito a quelle capacità di progettazione che sanno cogliere le innovazioni di cui i giovani (e/o gli start uppers sociali e culturali) sono naturali “portatori” e che vengono richieste a chi “sa stare” ogni giorno con loro.

Va quindi tradotta in nuova progettualità tutta la “freschezza e l’attualità”, le novità, le mode, le innovazioni, i bisogni e desideri che si colgono in questi percorsi di partecipazione. Si vede come oggi i tempi sono maturi affinché le comunità locali, i territori, si impegnino invece a gestire situazioni di crisi e difficoltà, sapendo recuperare risorse e valori, per costruire nuovi “beni comuni”, attualizzando le domande ed organizzando risposte in modo innovativo ed al tempo stesso sostenibile, prevedendo – per questi luoghi – anche un investimento iniziale, un piano di rientro e sviluppando al contempo una funzione di “fund raising” locale.

3.2 Le attività da realizzare

Le attività da realizzare riguardano momenti formativi e consulenziali al gruppo, seguendo lʼavvio del centro, dalle prime fasi pre apertura, fino allʼinaugurazione ed allʼavvio. Questa supervisione riguarda il team di cui si è detto prima.

Il percorso formativo è basato su “assetti variabili” e, prevedendo anche momenti di visite, la partecipazione varia a seconda dei temi trattati, pur mantenendo il nucleo di partecipanti legati alla consulenza, attorno al quale – in questa fase formativa “non convenzionale” – possono appunto ruotare altri start uppers, operatori, referenti di istituzioni.

Il percorso si articola in un numero contenuto di incontri ed in breve lasso di tempo (ad es. 12 incontri in sei mesi) sei mesi.

3.3 Contenuti del percorso di accompagnamento allʼavvio di un nuovo spazio

Il team di lavoro che si occupa di un percorso di questo tipo, deve comprendere formatori con competenze diverse, dallʼanimazione sociale alla cultura, dalla creatività al welfare. I contenuti in relazione alle fasi sono:

Microprogettazione

> Individuazione del luogo: caratteristiche interne e localizzazione

> Il business plan, il budget dellʼinvestimento, la sostenibilità ed il punto di pareggio

> Realizzazione dello spazio: progettazione interna e co-progettazione con il territorio

> Attrezzature tecniche, strumentazioni ed allestimento interno

> Il marketing degli spazi rigenerati: il valore del brand, l’investimento in comunicazione e promozione ed obiettivi di ritorno sullʼinvestimento

> Naming, arredi, colori, lay out, attrezzature da interni (e da esterni) da prevedere nella progettazione egli spazi giovanili. La tecnica del “rendering” condiviso e le professionalità da coinvolgere

> I ruoli, le funzioni ed i compiti per la gestione dello spazio. L’avvio e la gestione

> La formula di gestione: diretta, concessione e partnership con altre organizzazioni.

> Dall’avvio all’evento di inaugurazione, dalla progettazione dello spazio, alla programmazione delle attività

> Processi di comunicazione e creazione di valore nella progettazione e sviluppo di spazi giovanili: ricerca di visibilità nella comunità locale

> Informazione e comunicazione, tra free cards e social networks

> La stima dei costi e degli investimenti in promozione e comunicazione, nelle varie fasi di sviluppo dello spazio

> Costruire reti di partnership, dalla comunità locale all’Europa, e con le realtà già presenti. La ricerca del coinvolgimento e della partecipazione diretta, dall’aggregazione al lavoro.

> Fund raising, crown funding, locale, marketing e Pubbliche relazioni a sostegno degli spazi giovanili nella comunità locale

> Finanziare la rigenerazione: opportunità nazionali, europee e locali. Il ruolo ed i finanziamenti dei programmi europei. La funzione di “fund raising” locale. Il ricorso al microcredito ed al prestito diffuso

> Entrare e stare nelle reti di spazi giovanili: costi e ritorno sugli investimenti. Verifica e valutazione

> Riprogettare spazi ed interventi generativi di utilità sociale e di risorse economiche

> La definizione e la valutazione valore sociale ed economico creato

> La valutazione come processo di attribuzione di significato, come momento di condivisione e riprogettazione.