Monthly Archives: gennaio 2017
Conferenza stampa di presentazione del Comitato d’iniziativa Costituzionale e Statutaria
Prossima iniziativa, in collaborazione con l’ANPI: lunedì 6 febbraio 2017, alle ore 17, presso la sala conferenze all’8° piano palazzo del Banco di Sardegna in Viale Bonaria, Cagliari, conferenza-dibattito con Massimo Villone.
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Oggi martedì 31 gennaio 2017
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Comitati per il NO. Quale futuro?
di Andrea Pubusa su Democraziaoggi
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Oggi alle 11 Conferenza stampa di presentazione del “Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria” all’Hostel Marina – Scalette di S. Sepolcro. Ecco un intervento sull’argomento.
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Da Renzi a Valls, inutile la corsa al centro: la sinistra deve fare la sinistra
di Francescomaria Tedesco su Il Fatto quotidiano.
Dall’esperienza vittoriosa del Comitato per il No un nuovo soggetto politico al servizio della Sardegna
Domani Conferenza stampa: Nasce il Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria
Domani, martedì 31 gennaio 2017 alle ore 11.00 a Cagliari all’Hostel Marina, Scalette del Santo Sepolcro, si svolgerà la conferenza stampa di presentazione del “Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria”. Parteciperanno alla conferenza stampa le attiviste e gli attivisti del Comitato sardo per il No della Sardegna.
Oggi lunedì 30 gennaio 2017
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Documentazione
I luoghi dell’innovazione aperta. Studi e Ricerche
A cura di Fabrizio Montanari e Lorenzo Mizzau. Quaderni della Fondazione G. Brodolini.
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PD sardo. Compagni, perché, per eleggere il segretario, non ricorrete all’ordalia?
Amsicora su Democraziaoggi.
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ECONOMIA OCCULTA
La globalizzazione invecchia e tornano i muri. Non solo con Trump
di Loretta Napoleoni su Il fatto quotidiano
Là dove nacque la Scuola Popolare di Is Mirrionis
Giovedì 9 febbraio 2017, alle ore 18.30
presso i locali della PARROCCHIA di SANT’EUSEBIO
a Cagliari, in via Quintino Sella
verrà presentato il libro
“Lo studio restituito agli esclusi. Gli anni della scuola popolare di Is Mirrionis”
Saranno presenti:
➢ I curatori del libro FRANCO MELONI, OTTAVIO OLITA e GIORGIO SEGURO
➢ EX LAVORATORI-STUDENTI del QUARTIERE ed EX INSEGNANTI che vissero l’ESPERIENZA
➢ DON FERDINANDO CASCHILI (attuale Parroco)
➢ DON GIANNI SANNA (vice Parroco dell’epoca)
Coordinano: GIANNI LOY e GIACOMO MELONI
- La pagine fb dell’evento.
Riscopriamo il Carnevale e divertiamoci!
LE DATE DEL CARNEVALE 2017
Giovedì grasso: 23 Febbraio
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Carnevale: Domenica 26 Febbraio
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Martedì grasso: 28 Febbraio
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Mercoledì delle Ceneri: 1° Marzo
La Pentolaccia (o Pignatta): Domenica 5 Marzo
Venerdì santo: 14 Aprile
Pasqua: 16 Aprile
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intanto a Cagliari…
- La pagina fb dell’evento promosso da Is piccioccus de Palabanda e dalla Società di Sant’Anna.
Oggi domenica 29 gennaio 2017
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Come è nata l’economia moderna?
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
La lettura di Sabattini dell’articolo “Una cultura della crescita. Alle origini dell’economia moderna” (Il Mulino, n. 6/2016), dello storico dell’economia Joel Mokyr: (…) il cosmopolitismo delle élite intellettuali e istruite europee dell’età moderna ha saputo rendere condivisibile le nuove conoscenze, indirizzando le acquisizioni scientifiche e tecnologiche alla crescita economica, con il coinvolgimento di un numero crescente di persone. Questo processo, conclude Mokyr, è stato un fenomeno proprio dell’Europa occidentale, diffusosi poi in gran parte del mondo e sorretto da un sempre più approfondito approccio allo studio della natura, “attraverso una scrupolosa misurazione, una precisa formulazione, esperimenti ben progettati, la verifica empirica che tali attività fossero virtuose, rispettabili e foriere di benefici economici e sociali”.
Quale il senso della tesi di Mokyr riguardo alla spiegazione del come è nata l’economia moderna? La risposta non può essere che una: la cultura, in tutte le sue declinazioni, avendo natura di bene pubblico secondo quanto dimostrato dagli economisti, non può essere, in linea di principio (se non nel caso della traduzione in conoscenze tecnologiche delle conoscenze scientifiche da parte di privati, ma solo per un tempo ben determinato) oggetto di appropriazione privata; perciò, i fautori del libero mercato “senza se e senza ma” che sostengono che il supporto della crescita debba essere ricondotto sempre all’estensione dei diritti privati senza alcuna distinzione circa la natura del “prodotto intellettuale” da privatizzare, non sono meno retrogradi di coloro che ancora oggi demonizzano l’Illuminismo, in quanto considerato fenomeno cui addebitare i disastri del XX secolo. La gravità delle idee di coloro che sostengono l’estensione della privatizzazione su tutto, è resa maggiore dal fatto che essi, pur essendo dei teorici della scienza economica, dimenticano che la conoscenza, in quanto bene pubblico, se privatizzata, è destinata ad essere prodotta in modo subottimale; in ragione di ciò, la loro proposta di estendere ad ogni forma di conoscenza la tutela della privatizzazione, anziché concorrere al sostegno della crescita, concorre solo a contenerla al di sotto dei tassi possibili, se non ad un loro totale azzeramento.
Il “Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria” si presenta
Martedì 31 gennaio alle 11 Conferenza stampa di presentazione del “Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria” all’Hostel Marina – Scalette di S. Sepolcro.
(Nota del “Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria”)
Abbiamo assunto la decisione a Cagliari come a Roma di non rompere le righe. I Comitati per il NO si trasformano per svolgere un’azione incisiva sui grandi temi della democrazia ispirandosi e sviluppando i principi della Costituzione. A Cagliari e in Sardegna abbiamo pensato di muoverci anche sul terreno della riflessione e dello sviluppo dello Statuto speciale in sintonia con l’aspirazione storica dei sardi all’autogoverno. Abbiamo così deciso di costituire il “Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria” per svolgere un’azione dal basso volta all’attuazione della Carta e dello Statuto speciale: leggi elettorali, governo locale, istituti di partecipazione diretta, lavoro, pace (basi militari, produzione di armi) etc.
Lavoreremo sopratutto per immettere nel dibattito pubblico regionale una riflessione alta, fortemente propositiva, capace di orientare l’opinione pubblica democratica. Lo faremo con campagne politiche, collaborando con le associazioni che svolgono attività con finalità analoghe alle nostre, a partire dall’ANPI, che ha una rete organizzativa nelle varie zone dell’Isola da Cagliari a Oristano, a Nuoro e Sassari.
Faremo come abbiamo fatto col Comitato per il NO nella campagna referendaria, nella quale siamo diventati il referente di quanti, nell’area democratica e della sinistra, hanno cercato una sponda di qualità, disinteressata, slegata da logiche partitiche. In questo modo per tutto il 2016 abbiamo dato vigore ad una campagna che, via via, si è irrobustita, ha acquisito credibilità e autorevolezza, così da travolgere i sostenitori del Sì, che pure contavano sulle istituzioni statali e regionali e sulla grande stampa anche regionale. Abbiamo influenzato i social che hanno sviluppato molte nostre analisi in una campagna di controinformazione formidabile, ironica e accattivante. Le nostre forze si sono così moltiplicate attraverso le ali delle nostre idee. Abbiamo vinto una battaglia difficile e in Sardegna abbiamo concorso in modo decisivo a raggiungere una maggioranza di oltre il 72%.
Il Comitato d’iniziativa costituzionale statutaria farà questa battaglia politico-culturale senza fini elettorali, senza alcun intendimento di presentare liste o candidature alle prossome elezioni regionali, anche se puntiamo a influenzare programmi e orientamenti della politica regionale..
La nostra prima iniziativa avrà ad oggetto la leggi elettorali nazionale e regionale e si svolgerà lunedì 6 febbraio presso la Sala Conferenze del Banco di Sardegna in viale Bonaria a Cagliari. Relatore sarà il prof. Massimo Villone, costituzionalista dell’Ateneo napoletano.
Oggi sabato 28 gennaio 2017
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Chi è Trump e dove ci porterà (se resterà)
Il neopresidente è un fenomeno. Tutto interno alla crisi del capitalismo finanziario. La sua linea non è ancora definita. Come non lo è la sua cultura [Giulietto Chiesa]. Su megachip.
- Per correlazione. Trump: attenti alle esche avvelenate. Frenetica attività del neo Presidente. Vanni Tola su Aladinews.
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Pigliaru sui superstipendi ai supermanager Asl fa vedere le palle al governo!
- Amsicora su Democraziaoggi.
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L’ANPI e la Giornata della Memoria in Sardegna
Marco Sini su Democraziaoggi.
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La forza, la competenza e la serendipità
I risultati dell’azione politico-amministrativa della Giunta dei competenti sono davanti agli occhi di tutti e quella percentuale “bulgara” del 72,22% di No al Referendum espressa dai sardi rappresenta anche la bocciatura senza appello di una classe politica dirigente incapace di apportare beneficio alla disastrata situazione socio-economica dell’isola.
di Raffaele Deidda
“La serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino”. Così Julius Comroe negli anni ’70 spiegava, con ironia, il significato del neologismo serendipity. Coniato dallo scrittore inglese Horace Walpole, che nel 1754 utilizzò il termine ispirato dalla spiritosa fiaba I principi di Serendip: “Facevano sempre nuove scoperte, per caso e per intelligenza, di cose che non andavano minimamente cercando”. Il termine ha così assunto, nel tempo, il significato di “trovare una cosa non cercata o imprevista mentre se ne cerca un’altra”, diventando patrimonio delle cognizioni di umanisti, filosofi, economisti, scienziati. Andando ad occupare un posto importante nella storia di scoperte come la penicillina, il viagra, internet.
Alcuni studiosi hanno anche fatto coincidere il concetto di serendipità con quello dello Stato, visto come un problema di fronte alle nuove aperture e istanze che nascono nella società solo apparentemente a caso e che generano il libero correlarsi di situazioni e uomini. Altri si sono interrogati sulla possibile esistenza di una relazione fra serendipità e politica. L’uomo inteso come “animale politico”, cittadino della polis, è probabilmente scomparso e sopravvive nei luoghi comuni. L’uomo politico attuale è concepito come colui che fa o che dovrebbe fare politica, che spende parte del proprio tempo nella sfera pubblica al servizio delle istituzioni. Si osserva però come la politica si comporti come se tutto fosse demandato alla perenne ricerca di un atto di fede, di un evento rivelatore che possa determinare un cambiamento.
Lo dimostra il recente sondaggio Demos, che ha rilevato come il declino della politica abbia fatto crescere negli ultimi anni la voglia dell’Uomo forte, con il leader solo al comando che piace a otto italiani su dieci. Eppure la politica, come la scienza, dovrebbe prendere spunto dalla massima di Pasteur: “La fortuna favorisce le menti preparate”. Quelle, cioè, disponibili ad affrontare situazioni inconsuete e a rivisitare in termini innovativi le proprie visioni della realtà. Che non sono le visioni riconducibili all’autorevolezza e/o all’autorità dell’uomo forte di turno. Se ad osservare gli eventi non c’è una mente preparata, anche l’incontro fortuito con interessanti contributi di idee di cui s’ignorava l’esistenza è improbabile che venga colto nella sua importante novità. Se si dovesse rilevare quante menti politiche realmente preparate operino oggi in Italia, a tempo pieno o a tempo parziale “al servizio delle istituzioni”, ci troveremmo molto avvantaggiati dalla semplicità del calcolo e coltiveremmo ancora di più il gramsciano pessimismo della ragione sui possibili risultati positivi di un processo casuale in cui sono fondamentali l’intelligenza e la conoscenza.
Era sembrato a molti che Matteo Renzi, esempio di “uomo forte al comando”, potesse avere le giuste energie e le risorse per interpretare quel processo “serendipitoso” e virtuoso capace di generare non solo positività ricercate ma anche benefici indotti non attesi nel corso delle azioni di governo. E’ stato invece sconfessato, con il No al referendum costituzionale, da quegli stessi italiani che poi si sono espressi per l’avvento di un leader forte. Questo evidentemente perché non è risultato sufficientemente chiaro al rottamatore e ai sui supporters che non è sulla leva autoritaria che si consolida una leadership forte, ma sulla capacità di confermare le promesse elettorali con gli atti concreti di governo. La narrazione della promessa, che appariva efficace, non ha riscontrato l’efficienza dell’azione concreta.
Se il fenomeno del “renzismo” lo si guarda riflesso nell’azione della Giunta regionale sarda, il fallimento appare ancora più drammaticamente evidente. In Sardegna non c’è forse stata la stessa narrazione “guascona” di Renzi, ma i sette professori universitari presenti in Giunta hanno prosaicamente rappresentato la loro competenza accademica come lo strumento mirabolante per gestire con efficienza ed efficacia i problemi dell’isola e portarli a soluzione. Contando sul sostegno del mentore uomo forte al comando e del suo governo “amico”, a cui offrire in cambio deferenza ed ubbidienza. I risultati dell’azione politico-amministrativa della Giunta dei competenti sono davanti agli occhi di tutti e quella percentuale “bulgara” del 72,22% di No al Referendum espressa dai sardi rappresenta anche la bocciatura senza appello di una classe politica dirigente incapace di apportare beneficio alla disastrata situazione socio-economica dell’isola.
Altro che generare in modo fortuito positività da idee e progetti formalizzati e finalizzati!
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La magia incostituzionale del 40%
Gianni Ferrara
EDIZIONE DEL 27.01.2017
PUBBLICATO 26.1.2017, 23:59
Erano tre le incostituzionalità di immediata e sfacciata evidenza dell’Italicum.
Al ballottaggio che tale sistema elettorale prevedeva e che è stato soppresso, si aggiungevano (e si aggiungono) sia il premio (per di più esorbitante) del 14 per cento dei 630 seggi della Camera a quella lista che avesse ottenuto il 40 per cento dei voti, sia la nomina a deputati dei capilista (e dei secondi di lista) da parte dei capipartito delle liste che ottenevano seggi all’elezione della Camera dei deputati.
Questo terzo vizio è stato solo ridotto, ma non sanato. È stato invece conservato il cosiddetto premio di maggioranza. Non se ne comprende il perché (che è difficile che ci sia).
Leggeremo la sentenza ma, per ora, non ci convince affatto il rigetto dell’eccezione di incostituzionalità del “premio”.
Non ci convince proprio partendo dalla incostituzionalità, accertata dalla Corte, del ballottaggio per i 340 seggi tra liste che avessero ottenuto anche una bassissima percentuale di voti al primo scrutinio ed anche al secondo, incostituzionalità clamorosamente evidente. Ma lo è perché un meccanismo di tal tipo contraddice la misura del consenso. La misura cioè di quanto è necessario, indefettibile, inalienabile ed incomprimibile in democrazia per l’esercizio del potere. Tanto più se potere normativo, che riguarda quindi lo status di cittadino, i suoi diritti, le sue pretese, i suoi doveri, i suoi obblighi, i suoi oneri.
Non va mai dimenticato, eluso, rimosso, taciuto, sminuito il nucleo duro dei sistemi elettorali, che è quello del consenso numerico certo, da cui deriva la maggioranza reale da accertare a sua volta in modo incontrovertibile, non manipolandola, non falsificandola sostituendo numeri e gonfiando somme.
Se si qualifica negativamente la quantità del consenso espresso col voto in caso di ballottaggio tra liste con ridotto numero di voti sia al primo che al secondo turno ad ogni fine giuridicamente rilevante, deve non diversamente rilevare la quantità del consenso, se si tratta di voti ottenuti da una lista che consegua il 40 per cento dei voti all’elezione della Camera dei deputati. Quale magia espande nell’ordinamento costituzionale italiano, nei rapporti interpersonali, nel futuro dell’italica gente, quel 40 per cento, resta un arcano.
Forse no. Fu del 40 per cento il numero dei voti conseguiti, alle ultime elezioni al Parlamento europeo, dalla lista del Pd. Il 40 per cento dei voti si attribuì in quell’occasione l’ex Presidente del Consiglio Renzi. Che ritenne, con ogni probabilità, che fosse fatale quel numero per lui e ineluttabile per i suoi luminosi successi. Non aveva, invece, e non poteva aver altro ruolo, quel numero, che quello di rivelare la distanza che lo separava e lo separa da quella metà più uno che segna, da sempre, la maggioranza numerica dei voti di ogni aggregata pluralità umana.
Conseguire un numero di voti che si avvicina a quella metà, significa solo che la maggioranza reale, quella vera ha negato a quella più ambiziosa minoranza il potere della metà più uno.
Sovviene un raffronto cui segue una riflessione.
È del 40,89 per cento il numero dei sì al referendum del 4 dicembre contro il 59,11 dei no. Con questo risultato il corpo elettorale ha respinto la legge costituzionale che sconvolgeva l’ordinamento parlamentare della Repubblica, una legge della massima rilevanza costituzionale, certo, ma comunque una legge, una sola legge.
E ora una domanda: un risultato di tal tipo può essere rovesciato, quanto ad effetti, per legittimare una maggioranza parlamentare, un legislatore per cinque anni ? Il 40 per cento di una lista sola o anche di più liste collegate può legittimare l’acquisizione di 340 seggi parlamentari? Tanti quanti necessari – si pretende – per assicurare la governabilità secondo i suoi pasdaran?
A quanto ammonta, di grazia, il costo della governabilità imposto alla democrazia? A quanto ammonta inoltre il prezzo della personalizzazione del potere per la nomina a deputato dei capilista anche se lasciano alla sorte di optare per il collegio di derivazione?
Or son pochi mesi, riconobbi alla Corte costituzionale il merito esclusivo di garante della Costituzione. La legittimazione del premio di maggioranza mi induce ora a riflettere su quel giudizio.
Il Comitato d’iniziativa Costituzionale e Statutario si presenta come nuovo soggetto politico-culturale della Sardegna
Martedì 31 gennaio 2017 presso l’Hostel Marina, scalette San Sepolcro, si terrà la Conferenza stampa di presentazione del Comitato d’iniziativa Costituzionale e Statutaria (Comitato CoStat). Opererà su base cittadina e provinciale (Cagliari) e attraverso il collegamento con le altre realtà territoriali assumerà all’occorrenza la competenza per l’intero territorio della Sardegna.
La memoria è per sempre
La memoria è per sempre
di Raffaele Deidda
By sardegnasoprattutto/ 24 gennaio 2014/ Culture/ One Comment
[Oggi] è il 27 gennaio, il Giorno della Memoria. Istituito per legge nel 2000, con l’adesione dell’Italia alla proposta internazionale che vuole ricordare le vittime dell’olocausto proprio in questa data. Questa la motivazione: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Chiedo scusa a chi già conosce la storia che racconto ormai da anni, già pubblicata in diversi giornali e siti on line. Sono consapevole di essere ripetitivo. Sento però il dovere di raccontarla ancora e la racconterò anche in futuro per chi non la conosce. Lo devo soprattutto al protagonista di questa storia, a cui l’ho promesso, e a tutte le vittime dell’immane tragedia che il mondo ricorda col nome di Shoah.
Il ricordo primo va alla metà degli anni sessanta, quando risuonavano le note della canzone di Francesco Guccini “Auschwitz” eseguita dall’Equipe 84, che stimolavano la lettura del libro di Primo Levi “Se questo è un uomo”, testimonianza di un avvenimento storico e tragico, che lo stesso Levi aveva dichiarato di scrivere “per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi”. Quelle note e quel libro hanno accompagnato il mio desiderio, coltivato negli anni, di visitare Auschwitz. Poi realizzato solo in età adulta.
Jerzy Junosza Kowalewski è la guida polacca che nell’agosto 1999 mi accompagnò nella visita al campo di sterminio di Auschwitz. Aveva allora 75 anni. La visita al campo era stata emozionalmente devastante. Chi non è mai stato ad Auschwitz non può forse capire fino in fondo quale disumana, feroce bestialità si sia dispiegata in quella, come in altre località, dove la belva umana ha potuto compiere un atto così terribile finalizzato alla cosiddetta “soluzione finale”, all’eliminazione fisica di milioni di persone: ebrei, omosessuali, zingari, oppositori politici. Stranamente quell’anziano signore polacco, educato, gentile, che padroneggiava diverse lingue straniere, era stato quasi sereno, distaccato, nell’accompagnarmi nei luoghi dell’olocausto. Non aveva manifestato emozioni particolari durante la visita che trasferiva orrore, raccapriccio, e faceva stringere dolorosamente la bocca dello stomaco.
Eppure Jerzy Kowalewski aveva vissuto una vita complicata da raccontare e quasi impossibile da credere per la sua drammaticità. Imprigionato dai russi nel 1940 in quanto figlio di un ufficiale dell’esercito polacco, era riuscito rocambolescamente a scappare e a tornare a Varsavia, dove aveva partecipato al movimento di resistenza contro gli occupanti nazisti nel reparto del maggiore Henryk Dobrzanski, noto col pseudonimo di “Hubal”. Fu successivamente arrestato dai tedeschi e rinchiuso nella terribile prigione di Pawiak, dove venne torturato nel corso di estenuanti interrogatori e dove conobbe padre Massimiliano Kolbe, che lo assistette durante la sua permanenza nell’ospedale della prigione. Nel 1942 fu trasferito ad Auschwitz, da cui venne ancora trasferito prima nel campo di concentramento di Lordo-Rosen e poi in quello di Dachau, vicino a Monaco di Baviera.
La liberazione avvenne ad opera della 45.ma Divisione di Fanteria USA il 29 aprile 1945. Kowalewski trascorse molte settimane in un ospedale militare americano e, una volta rimessosi, si unì al Corpo d’Armata polacco ed arrivò in Italia. Dall’Italia si trasferì a Londra e da lì in Argentina, per poi tornare in Polonia.
Durante la visita al campo di concentramento Kowalewski mi aveva anche raccontato della sua collaborazione nel fornire dati e testimonianze a Primo Levi per la scrittura del libro “Se questo è un uomo”. L’anziano signore polacco mi aveva esibito con orgoglio una cartella contenente gli scambi epistolari con Levi, non nascondendo la soddisfazione di aver anche corretto alcuni errori di datazione e di localizzazione fatti dallo scrittore italiano sopravvissuto alla deportazione.
A fine visita lo stavo salutando e ringraziando, scambiando con lui la promessa di rivederci o quantomeno di sentirci telefonicamente, quando avvenne qualcosa di sconvolgente. Una giovane guida, che accompagnava un gruppo in ingresso al campo, chiamava da una distanza di qualche decina di metri con voce concitata Kowalesky, gli chiedeva di non andar via, di aspettare. Nel gruppo da lei guidato c’era un anziano spagnolo, anch’egli sopravvissuto di Auschwitz, che aveva domandato se il suo compagno di prigionia Jerzy fosse ancora in vita.
Ho già testimoniato e confermo di non aver mai provato un’emozione così forte in tutta la mia vita, nell’assistere all’abbraccio interminabile fra quei due uomini e nel vedere gli occhi di Kowalesky finalmente bagnarsi di lacrime, un fiume irrefrenabile di lacrime, mentre urlava: “Hermano, mi hermano!” La mano tremava mentre cercavo di scattare una fotografia del loro abbraccio. Non conosco il nome dell’anziano spagnolo. So solo che è un uomo, un “hermano”, un fratello, che la banalità del male aveva deciso di sopprimere forse perché ebreo, oppure testimone di Geova, oppure oppositore politico, oppure omosessuale. Forse perché, semplicemente, non appartenente alla razza ariana, la razza eletta.
Porto da allora con me il ricordo di quell’abbraccio che non mi consente di dimenticare, mai.
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La memoria deve andare alle radici
Gianna Lai – Anpi Cagliari, su Democraziaoggi
Viene da lontano la persecuzione razziale, ha radici lontane, contro un popolo appartenente da due millenni alla storia dell’Europa. ‘Benché Auschwitz resti in larga parte inspiegabile, lo studio del genocidio degli ebrei è un’inesauribile fonte di riflessione che tocca tutti gli aspetti dell’esistenza e della storia degli uomini‘, dice Annette Wiewiorka, in “Auschwitz spiegato a mia figlia”, Einaudi, 1999. E ci fa ‘riflettere sul funzionamento dello Stato moderno: deportazione e camere a gas non sarebbero stati possibili senza la complicità di molti. C’è stato bisogno di impiegati per preparare tutti quegli schedari, delle forze dell’ordine per arrestare gli ebrei, di funzionari per organizzare il lager, di salariati per sorvegliarli e di tante altre persone per condurre gli autobus fino alle stazioni, guidare i treni fino ai centri di sterminio, programmare gli orari‘. Interi apparati burocratici al servizio di classi dirigenti e imprenditori, nelle città e nelle campagne. Quelle stesse élites borghesi che si accapparrarono masse enormi di lavoratori schiavi a costo zero, ormai decise a sostenere la guerra totale di conquista, unico scenario possibile perché persecuzione e genocidio possano (verificarsi) succedere. Intesa di massa, consenso ampio in buona parte del Paese. Ma anche in una buona parte delle classi dirigenti europee ci fu adesione alla politica di Hitler se, nel giro di poco tempo, l’esercito tedesco potè invadere e imporre governi fantoccio, collaborazionisti (Quisling tra i primi, in Norvegia), su quasi tutto l’Occidente. Che adottarono, a loro volta, politiche di persecuzione contro ebrei, oppositori e comunisti e zingari, nel terribile scenario della seconda guerra mondiale.
Perché per comprendere la Shoah bisogna studiarne le premesse di lunga durata, in un contesto ancora più ampio di quello della storia dell’antisemitismo tedesco, e allargare lo sguardo alle radici europee del nazismo, ‘portando l’attenzione all’ancoraggio profondo del nazismo, della sua violenza, dei suoi genocidi, nella storia dell’Occidente, dell’Europa del capitalismo industriale, del colonialismo, dell’imperialismo, della rivoluzione scientifica e tecnica, l’Europa del darwinismo sociale e dell’eugenismo, l’Europa del lungo XIX secolo concluso nei campi di battaglia della prima guerra mondiale‘, si legge in E. Traverso, La violenza nazista, il Mulino, 2002. Così in Italia la politica razziale del fascismo è da vedere in rapporto al nazionalismo e all’espansionismo coloniale, fino poi all’accelerazione totalitaria del ‘36 e al suo corpo di leggi razziali ‘che, dopo quella della Germania nazista, si presentava come la più imponente legislazione antiebraica esistente nel mondo intero‘, dice Enzo Collotti in La politica razzista del regime fascista. Fino alla notte del 16 ottobre 1943, quando 1017 cittadini italiani ebrei del ghetto di Roma (a due chilometri dal Vaticano, precisa Furio Colombo), furono deportati ad Auschwitz e quasi tutti uccisi. Fino alle corresponsabilità della Repubblica sociale di Salò nella deportazione degli ebrei, ma anche degli zingari, dei comunisti e dei partigiani, degli oppositori e dei militari, che si rifiutarono di entrare nell’esercito tedesco.
“Auschwitz fa parte della storia europea,[…..] probabilmente è l’avvenimento più europeo di tutta la storia del Novecento”, dice ancora Annette Wiewiorka. E allora, storicizzare la Shoah significa problematizzare il passato e cercare di costruirne un possibile senso, contro ogni sentimento di impotenza, di pura angoscia e smarrimento, che potrebbe colpire in particolre gli studenti e i giovani. Contro ogni semplificazione centrata sulla natura malvagia dell’uomo, sull’idea del nazismo come parentesi storica, per riflettere, con lo storico, sul come e sul perché del genocidio. Collocare l’evento nella storia, perchè non diventi per l’uomo qualunque ‘realtà aliena che non gli appartiene e non lo coinvolge‘, G. Gozzini in Lager e gulag, B Mondadori, 2002. Da qui la necessità di un confronto con altri crimini e genocidi: la Shoah, ‘come qualsiasi altro avvenimento storico, può e deve essere oggetto di paragone, senza che per questo ne venga negata la singolarità‘. E attraverso la singolarità storica della Shoah, individuare quelle caratteristiche che sono presenti anche in altre violenze di massa e gli elementi specifici e differenti. Un approfondimento comparativo tra genocidio ebraico e altri stermini: da quello degli zingari, degli oppositori politici e dei comunisti, degli omossessuali dei malati mentali, fino al genocidio degli Armeni, al Ruanda, ecc.
Per concludere con E. Traverso, ‘Il processo di distruzione degli ebrei d’Europa, le leggi razziali, la persecuzione, la deportazione, la concentrazione e lo sterminio, fanno di Auschwitz un laboratorio privilegiato per studiare l’immenso potenziale del mondo moderno. Se all’origine di questo crimine c’è un’intenzione di annientamento, esso implica, d’altra parte, strutture fondamentali della società industriale. Auschwitz realizza la fusione dell’antisemitismo e del razzismo con la prigione, la fabbrica capitalistica, l’amministrazione burocratico- razionale. In questo senso il genocidio ebraico costituisce un paradigma della modernità piuttosto che la sua negazione‘. Paradigma della violenza del XX secolo, e strumento per la comprensione delle sue diverse manifestazioni.
La Giornata della Memoria a settant’anni dalla approvazione della nostra Carta costituzionale, che per ben due volte abbiamo difeso e salvato contro governi e maggioranze ideologicamente orientate verso la restrizione delle garanzie, dell’uguaglianza, dei diritti. Della democrazia quindi, che proprio dall’impegno degli oppositori al nazifascismo nasce in Europa, per dare risposte al cittadino, e consapevolezza, anche di fronte alla violenza degli stati e del potere.
Oggi venerdì 27 gennaio 2017
- Approfondimenti sul sito di Unica.
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“ESSERE MADRI NEL MONDO GLOBALIZZATO, una prospettiva interculturale ed interdisciplinare”
Il tema del IX Corso di Educazione alla Solidarietà Internazionale, tradizionalmente organizzato dall’Associazione Sucania, sarà il seguente: “ESSERE MADRI NEL MONDO GLOBALIZZATO, una prospettiva interculturale ed interdisciplinare”.
Il corso tratterà il tema sotto differenti punti di vista. Dal punto di vista giuridico sarà affrontato il tema del diritto alla maternità (comprendendo l’argomento della maternità surrogata) e della conciliazione tra lavoro e maternità. Sarà toccato il tema della maternità nella cultura sarda, nella letteratura, nella visione del cristianesimo e di altre culture e religioni, come l’ebraismo e l’Islam. Sarà affrontato anche il tema della rappresentazione della la maternità nel cinema e nelle arti figurative. I relatori, come di tradizione, sono stati scelti tra esperti qualificati, gran parte dei quali provenienti dall’università di Cagliari e da altre università. La parte didattica sarà arricchita dalla partecipazione delle attrici Cristina Maccioni e Lia Careddu e dalla cantante Clara Murtas, alle quali è affidata la lettura di brani scelti e l’esecuzione di canti. – SEGUE –