Monthly Archives: dicembre 2016
Torni la fiducia nella DEMOCRAZIA: la SOVRANITA’ appartiene al POPOLO*
* «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (Articolo 1 della Costituzione italiana).
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La politica dei gatti e dei topi
di Raffaele Deidda
Ci sono storie, aneddoti e accadimenti che restano impressi nella mente e che ogni tanto ritornano con prepotenza alla memoria, quando un evento li richiama e ne evidenzia le similitudini con la realtà attuale. A me capita spesso di pensare ad una metafora raccontata da Thomas Clement Douglas, canadese sconosciuto ai più anche se fu leader del primo governo socialista nell’America del Nord e fondatore di “Medicare”, il sistema medico pubblico in vigore in Canada. In un memorabile intervento pubblico Douglas parlò di Mouseland (Paese dei topi), fornendo una lettura del paradosso delle democrazie occidentali.
Raccontò che a Mouseland vivevano i topi che eleggevano un parlamento e un governo formati da grandi gatti neri. Non è strano che dei topi eleggano un governo di gatti? No, disse, se anche uomini-topi eleggono governanti-gatti. I gatti facevano ottime leggi per i gatti, ma non per i topi. Una di queste stabiliva addirittura che l’ingresso della tana dei topi doveva essere abbastanza grande da permettere ai gatti di infilarci la zampa!
Quando i topi capirono l’inganno, seppure in ritardo, votarono contro i gatti neri ed elessero gatti bianchi. Questi li avevano convinti, in campagna elettorale, che a Mouseland era necessaria una visione più ampia, che si rendeva improcrastinabile la realizzando di tane con ingressi quadrati. Le fecero grandi il doppio, in modo che i gatti potessero infilarvi due zampe. La vita divenne più dura per i topi, che alle successive elezioni votarono contro i gatti bianchi ed elessero nuovamente quelli neri, per poi tornare ai bianchi e di nuovo ai neri. Provarono anche ad eleggere gatti metà bianchi e metà neri coniando il termine “coalizione“.
Il governo di gatti bianchi con macchie nere a parole tutelava i topi, ma nei fatti il premier e i ministri mangiavano come i gatti. Finalmente i topi capirono che il problema erano i gatti stessi, che facevano solo il loro interesse. Un giorno un topo coraggioso disse: “Perché continuiamo ad eleggere un governo di gatti e non eleggiamo invece un governo composto da topi?”. Considerato un pericoloso bolscevico, fu arrestato. “Quello che voglio ricordarvi è che si può arrestare un topo o un uomo, ma non si può mai arrestare un’idea!”, commentò Douglas fornendo una lezione etico-metaforica di politica. Di quella che coinvolge uomini, idee e partiti e che rende possibile la vita civile di un paese.
Non è invece metafora ma realtà il fatto che negli ultimi decenni in Italia, e la Sardegna non fa eccezione, la scienza politica ha subito trasformazioni imprevedibili: destra, centro e sinistra hanno assunto significati relativi e la forza dei numeri prevale sui principi ideali. Per dirla con Douglas, ci sono gatti di sinistra e topi che simpatizzano con la destra. Altri gatti, già vicini alla destra, al centro e alla sinistra, cercano di apparire come i paladini dei topi bistrattati. E’ un processo a cui è difficile assegnare un significato positivo di evoluzione.
Difficile capire, almeno per i cittadini, i criteri con cui in Italia si sono insediati gli ultimi governi fino a Matteo Renzi, appena uscito rovinosamente dal voto referendario. Non parlamentare è succeduto ad Enrico Letta non riuscendo, neanche lui, a dimostrare che la politica possa costituire un rimedio efficace per risolvere i problemi e le necessità del paese.
Meno di Renzi sembra esserci riuscito in Sardegna Francesco Pigliaru, il “topo” onesto e competente che doveva riscattare la Sardegna dai guasti prodotti dai gatti voraci del centrodestra. Pigliaru è diventato presidente sostenuto, oltre che da Renzi, anche da molti “gatti” sardi di centrosinistra (ce n’è di particolarmente astuti e opportunisti). Memorabili le sue dichiarazioni in sede di dichiarazioni programmatiche: “Ci vorranno ancora sacrifici per far ripartire la Sardegna. Ma il primo a doverli fare è il ceto politico, del quale anche io oggi faccio parte. Dobbiamo dimostrare che la politica non arricchisce nessuno, se non di valori”.
Intanto i sardi hanno continuato a fare sacrifici in una Sardegna sempre più disastrata, mentre non risultano pervenuti i sacrifici del ceto politico, meno che mai quelli di chi già godeva di prestigiosi e ben remunerati incarichi nella maggioranza di centrodestra di Cappellacci e ora mette a disposizione le proprie competenze nella Giunta Pigliaru, arricchendo di “valori” le politiche regionali anche attraverso l’attribuzione ai propri apparati di ruoli ed incarichi, ovviamente ben retribuiti.
La Giunta sarda di centrosinistra è ora traballante, con dimissioni certe ed altre previste di suoi componenti, a seguito del voto referendario che in Sardegna ha visto stravincere il No, espresso soprattutto in difesa dell’autonomia regionale. Specialità che il presidente Pigliaru, schierato per il Si, ha fino all’ultimo sostenuto non solo fuori da qualsiasi rischio ma addirittura avvantaggiata dalla riforma costituzionale che l’avrebbe rafforzata. Poi smentito dallo stesso Renzi che sulle Regioni a Statuto Speciale ha dichiarato: “Non avevamo i voti in Senato, non abbiamo toccato le loro competenze solo per questo”!
Piacerebbe ai sardi poter dire con Douglas “Courage, my friends: It’is not too late to build a better world” (Coraggio amici, non è troppo tardi per costruire un mondo migliore). Sarebbe soprattutto piaciuto ai sardi poter credere a Pigliaru quando parlò di “Speranza e reciproca fiducia. Speranza perché quello che stiamo costruendo per la Sardegna è una nuova narrazione sullo sviluppo”. E’ venuta meno la speranza e forse la fiducia non c’è mai stata, ne prenda atto il presidente.
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Caro Pigliaru, l’unica decisione che ti rimane è se far vincere i grillini subito, dimettendoti, o farli stravincere fra due anni, rimanendo in sella a questa giunta di morti
di Amsicora su Democraziaoggi.
Caro Pigliaru,
se, come tu dici, Gianmario Demuro ti aveva espresso alcuni mesi fa l’intenzione di tornare al suo lavoro in Università perché non lo hai lasciato andare allora? Gli avresti risparmiato tante cavolate durante la campagna referendaria. E’ arrivato perfino a dire e a farti dire due cose opposte insieme: che lo Statuto sarebbe rimasto intangibile a seguito della schiforma Renzi-Boschi-Verdini e poi che l’art. 17 sarebbe stato abrogato o disapplicato o superato, non si è capito bene, nientemeno per… parere del governo! Una cazzata che neppure gli studenti più sommar(i)amente preparati hanno mai pensato!
Caro Francesco, in confidenza, sai cosa penso? Penso che la legnata è stata così forte e secca da lasciarlo tramortito. Scappare è l’unica via d’uscita. D’altra parte, tu lo sai, in quell’assessorato puoi metterci chiunque e avrai migliori risultati. Anzi, dirò di più, le cose andranno meglio perfino se lasci vuota quella sedia. Te l’immagini, se non ci fosse stato l’assessore alle riforme regionali, non avreste compiuto il miracolo di mantenere le province, togliendo loro il carattere rappresentativo, nominando il Commissario in luogo di presidente, giunta e consiglio. Che innovazione formidabile! Che genialata! Altro che andare avanti di 30 anni, qui si torna insietro di 90! Allora si chiamava podestà e veniva nominato dal duce! Ora niente gambali e camice nere, ma il risultato è lo stesso. Nomina dall’alto! Questa è la nuova democrazia al tempo del PD! E poi la provincia di Cagliari senza Cagliari!? E Carbonia capoluogo della provincia Sud Sardegna, che non esiste nello Statuto sardo? E sapete da dove va? Da Muravera ad Arbus? Se l’avesse detto qualcuno 20 anni fa, avremmo chiesto l’immediata riapertura di Villa Clara, il mitico manicomio cagliaritano, chiuso con la legge Basaglia.
Caro Francesco, e tu che fai? Perché non segui Gianmario? Almeno, col bel gesto delle dimissioni, esci di scena con un bel gesto. Nobile e sensato. Eviti altre figuracce. Sai che ad ogni patto con Renzi ad ogni inchino che facevi a Matteo, a ministri e sottosegretari, durante la campagna referendaria, i nostri consensi, al NO intendo, aumentavano senza necessità di argomentare. A Nuxis, il mio paese, mentre andavo a funghi, stavo per agganciare un contadino per convincerlo al NO, e lui, allegramente, mi ha mostrato l’Unione con una tua foto mentre te la ridevi con Matteo, e mi ha detto: “non perdere tempo con me, convinci qualcuna altro, a me basta questa foto per scegliere il NO”. E poi, hai perfino scambiato una sosta idraulica a S. Margherita di Xi, diretto in Perù, per contrabbandarla per una visita di Stato in Sardegna! Ma dai! Hai fatto ridere le pietre, che di solito in Sardegna son mute.
Sai di cosa son convinto? Che senza te e la tua giunta, lasciando la Sardegna a se stessa, come una barca alla deriva, le cose andrebbero meglio. A parte Maninchedda, beninteso. Paolo fa ponti e strade per conquistare l’indipendenza, ma, col suo Partito dei sardi, da sovranista, appoggia il PD, massacratore delle autonomie regionali. Mutatis mutandis, si parva licet componere magnis, è come se Lenin, per fare la rivoluzione, avesse appoggiato il governo zarista! Misteri sardeschi della tattica e della strategia politica. L’unica cosa certa e chiara è che tutti state lavorando per il M5S. Qui basta una buona lista e una decorosa candidatura alla presidenza della Regione e i pentastellati sbancano. Hai fatto così bene che ora la sola decisione che ti rimane è se vuoi farli stravincere fra due anni o vincere subito. Questo solo è ormai nelle tue mani. Bravo!
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Oggi mercoledì 7 dicembre 2016
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OGGI HOSTEL MARINA, scalette San Sepolcro, dalle ore 17.30. Il Comitato per il NO di Cagliari invita tutti alla festa organizzata per condividere un momento molto positivo per il Paese che, a distanza di 10 anni da un analogo referendum, ha mostrato consapevolezza e attaccamento alla Costituzione e ai suoi valori e ha respinto in modo chiaro l’avventurismo oligarchico e accentratore. Ci ritroviamo senza tante formalità: ci saranno letture, musica, qualche brevissimo intervento di valutazione del voto di domenica, ma soprattutto la voglia di non perderci di vista e di dirci cosa possiamo e vogliamo fare per evitare che fra 10 anni si ripresenti qualcuno che voglia scaricare sulla Costituzione il peso della sua incapacità o dei suoi fini differenti da quelli dichiarati, producendo tra l’altro dolorose lacerazioni nel Paese, intralci all’attività del parlamento e del Governo e anche sperpero di risorse che potrebbero essere destinate a fini ben più urgenti e nobili. La pagina fb dell’evento.
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Oggi, mercoledì 7 dicembre alle 20, presso la Chiesa di Sant’Anna a Cagliari si terrà un concerto di beneficenza, i cui proventi andranno a favore delle popolazioni terremotate. Il programma.
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Referendum The day after. È andato alle urne un Paese la cui maggioranza elettorale è incazzata come non mai. Il messaggio chiaro è stato: non continuate a scassare le istituzioni, a perdere tempo e a farcene perdere accanendovi su feticci per la vostra incapacità o indisponibilità a riformare quello che quotidianamente non funziona perché l’avete occupato voi fino all’ultimo posto. O cambiate o siete spacciati
di Tonino Dessì
Dirò fin dall’apertura della giornata alcune cose sgradite, delle quali mi libero adesso, perché tanto prima o poi l’avrei fatto ugualmente.
Ieri i talk show hanno ricominciato a popolarsi di politicanti con le loro analisi tutte volte a spiegare come si può o meno rabberciare la situazione politica, fare una legge elettorale “che coniughi rappresentanza e governabilità”, rassicurare l’Europa e i mercati e via dicendo.
Qualche dissennato riparla del PD, anzi di Renzi, del 40 per cento “da cui ripartire”.
Mattarella “congela” Renzi fino all’approvazione della legge di stabilità, come se fosse, questa, un atto di ordinaria amministrazione e non un insieme di disposizioni e di decisioni di contenuto economico-finanziario che incidono su individui, famiglie e corpi sociali. Vorrò proprio vedere il rinnovo dei contratti pubblici, le misure sulle pensioni, le misure fiscali, il fondo sanitario, la scuola, i vari ottantacinque euro e le altre regalie promesse, il rilancio dell’occupazione, i vaucher: insomma, che “qualità” avranno le decisioni economico-finanziarie di fine anno.
E successivamente sarà la volta della legge elettorale, dopo le decisioni della Corte costituzionale: sarà proposto un altro marchingegno partitocratico a tutela della vera casta?
Ieri poi ho letto la miseranda dichiarazione di Pigliaru che si rifugia a Bolzano (austroitaliani intelligenti, sardi coglionazzi), facendo finta che il NO non abbia preso la batosta catastrofica che ha preso in tutte le Regioni speciali. “Il risultato evidenzia la necessità di decisioni e provvedimenti che la Giunta prenderà al più presto”. Roba da matti.
Intanto c’è ancora una parte di benpensanti del SI e del NO che giustificano o qualificano il proprio voto sul parametro “pro o contro Grillo”, manco stessero parlando di una malattia dermatologica.
Credo che non si sia capito molto, ancora, di quello che é successo domenica.
È andato alle urne un Paese la cui maggioranza elettorale è incazzata come non mai. Il messaggio chiaro è stato: non continuate a scassare le istituzioni, a perdere tempo e a farcene perdere accanendovi su feticci per la vostra incapacità o indisponibilità a riformare quello che quotidianamente non funziona perché l’avete occupato voi fino all’ultimo posto. O cambiate o siete spacciati.
Bene: continuate a illudervi che possa continuare il tran tran, la melassa, l’indistinto chiacchiericcio.
Io consiglio anche agli analisti di verificare, nei flussi elettorali, quale può esser stata l’influenza dei “riservisti”. Cioè di quegli astensionisti da anni cronicizzati i quali stavolta hanno deciso che era loro diritto e dovere intervenire.
Tempo fa, un velenoso Scalfari apostrofò il pentastellato Di Battista dicendogli: “Voi siete il partito che prende i voti degli astensionisti”.
Intendeva degli astensionisti politici, che però avevano votato.
Ora, immaginatevi, se riprende la solita solfa paludosa, che potrebbe succedere se altri “astensionisti” incazzati decidessero di votare alle elezioni politiche, per un partito che, piaccia o meno, ha sostenuto la difesa della Costituzione riqualificando la propria identità e la propria base politico-culturale senza poter esser più confuso pretestuosamente con i vostri rassicuranti babau preferiti, Brunetta e Salvini. Ci sarà un’occasione prossima, forse imminente, in cui il voto, al PD, a Brunetta, a Salvini, al M5S sarà ben distinto e distinguibile, dentro un quadro costituzionale democratico saldissimo e ormai fuori pericolo.
Ecco: io mi attenderei magari, da questo momento in poi, di leggere meno banalità e più riflessioni di una qualche maggior consapevolezza.
Buona giornata.
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Un diluvio: 18 milioni di NO
di Ottavio Olita su il manifesto sardo.
“Credevo che piovesse, non che diluviasse”: è un proverbio umbro entrato nel linguaggio dalla politica italiana – per sconfitte o vittorie, a seconda dei casi – fin dal 1948 grazie all’importante esponente democristiano Attilio Piccioni.
Il diluvio che ha spazzato via la cosiddetta ‘riforma costituzionale’ è rappresentato da questi numeri: 18 milioni di NO, contro 12 milioni di SI’, vale a dire il 50 per cento in più: il 60% contro il 40%; in Sardegna addirittura il 72,2%; a Cagliari un dato intorno al 74%, così come ad Oristano. E queste incontrovertibili percentuali fanno riferimento ad una massiccia partecipazione popolare al voto, per di più per un referendum per il quale non era previsto un quorum: il 68,4% degli aventi diritto.
E’ proprio questo il dato su cui riflettere maggiormente. Gli italiani delle massicce astensioni, della stanchezza, delle delusioni, dell’incertezza sul futuro hanno invece voluto affermare con forza la loro fiducia nella democrazia e nella Carta Costituzionale che la garantisce. Sono stati soprattutto i giovani a fare questa scelta: circa l’80% dei ragazzi al di sotto dei 28 anni ha votato NO, tanti dei quali hanno urlato nei cortei e nelle piazze ‘Non in mio nome’.
Chi avrà ancora il coraggio di dire che è la vittoria della ‘conservazione’ contro il ‘cambiamento’?
La battaglia del Comitato per il NO costituito da ANPI, ARCI, CGIL ed altre associazioni di base è stata condotta contro il tentativo di rottamare la Carta fondamentale della Repubblica Democratica e Parlamentare per dare il potere in mano al governo e al suo capo.
Gli italiani hanno capito che si trattava di bocciare l’idea, periodicamente rispolverata, di affidarsi all’Uomo della Provvidenza, all’Uomo Solo al Comando, alla limitazione dei propri diritti, per privilegiare una fantomatica ‘stabilità’ la cui assenza è stata scaricata dal Presidente del Consiglio, dalla sua Ministra delle Riforme e da talune forze politiche sulla Costituzione, invece di assumersene la responsabilità.
Certo, ora assisteremo alla corsa di alcuni Partiti ad appropriarsi della vittoria che invece appartiene esclusivamente al popolo italiano. I lembi della giacca di Mattarella saranno tirati da una parte e dall’altra, ma di chi è la colpa di tutto questo? Solo ed esclusivamente di Renzi e della personalizzazione di un tema che invece riguardava la democrazia italiana, non il suo personale futuro politico. La coorte di lacché che lo ha sostenuto ha fatto il resto, così come è insopportabile l’atteggiamento di quanti, di fronte ad un documento così pericoloso per le sorti della democrazia parlamentare, hanno preferito non prendere posizione, aspettando, magari, di salire oggi sul carro dei nuovi vincitori.
Tutti questi, se non vogliono definitivamente uscire di scena, che la smettano di parlare di ‘ondata populista’. Se il ‘popolo è sovrano’ lo è sempre, anche quando prende direzioni proprie, diverse da quelle sognate dall’establishment di turno.
In questo scenario si staglia nettamente la Sardegna: è stata la regione d’Italia nella quale, percentualmente, si è avuta la più alta adesione al NO.
Ben il 72,2% ha scelto una strada diversa da quella indicata dai governanti regionali. Governanti che hanno preferito guardare al loro partito politico, piuttosto che agli interessi dei sardi. Come si poteva accettare lo stravolgimento dell’articolo 117? Come si poteva far finta di nulla di fronte alla nefasta clausola della ‘Supremazia?’ Come si potevano giudicare credibili le assicurazioni dell’eternamente sorridente Maria Elena Boschi, contraddette da quello che c’era scritto nel testo da lei stessa proposto? (E a Cagliari il NO si è attestato sul 69,71%)
Tutti scenari negativi, dunque? No, tutt’altro. I lunghissimi mesi della campagna referendaria combattuta dal Presidente del Consiglio, dal Governo e dalla sua maggioranza a suon di slogans e con una insopportabile sovraesposizione mediatica – senza che mai siano intervenute le cosiddette autorità di garanzia – hanno consentito ai comitati per il NO sparsi in tutta Italia di ritrovare i cittadini.
Centinaia e centinaia di incontri, confronti, dibattiti hanno riproposto una partecipazione alla vita collettiva che negli ultimi trent’anni è stata progressivamente cancellata dalle forze politiche le quali hanno preferito i salotti – televisivi o alto borghesi -, i ‘vertici’ con i padroni del vapore, i Marchionne piuttosto che i Landini, le Camusso, i dirigenti sindacali regionali.
Questa grande, spontanea e umanissima mobilitazione non va dispersa. I Comitati – che dovranno inventarsi un nuovo nome – devono riuscire a dare continuità a questa voglia di discussione e di passione politica che si è risvegliata nel Paese. Anche per evitare che a qualcun altro venga ancora una volta l’idea di individuare un qualche Uomo della Provvidenza.
Figura alla quale qualche settimana fa, scrivendo del clima che si respirava nella battaglia referendaria, avevo voluto dare un avvertimento, citando un autore toscano, Andrea Casotti, che in una sua opera del 1734, ‘La Celidonia’, scrisse: Chi troppo in alto sal/Cade sovente precipitevolissimevolmente.
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Domenica si è espressa una grande sfiducia in chi ha voluto mettere mani alla Carta e in chi in Sardegna se ne è fatto testimone e araldo della rinuncia all’Autonomia. Per chi ha a cuore il nostro riscatto di sardi, il nostro bisogno storico di autogoverno, è un dato da cui partire. Va costruito, i segni sono forti. Bisogna coglierli.
Gli italiani e i sardi non amano le avventure istituzionali
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto/ Società & Politica/
Troppe interpretazioni sulle motivazioni del rifiuto delle riforme istituzionali finiscono per essere un velo che nasconde la motivazione principe di quel no. Renzi ha giocato tutto per il tutto e ha perso. Su di lui si sono scaricate tensioni che nulla avevano a che fare con i referendum. Presidente del Consiglio non eletto in parlamento, ha cercato l’ordalia che lo legittimasse davanti all’elettorato, l’ha avuta.
Succede quando si personalizza. Si è andati oltre le predicazioni salviniane e dell’M5S, oltre la frustrazione e il rancore di chi è vittima dell’impoverimento, dei giovani che sbarcano il lunario tra un voucher e l’altro, del malessere che si è impadronito di una società che non riesce più a sperare. Tutta questa cacofonia di messaggi, ha nascosto la verità. Gli italiani non vogliono che la loro Carta Fondamentale venga stravolta. Nel 2006, regnante Berlusconi era avvenuto lo stesso e con dati quasi identici. 20016: Sì 40,9%, No 59,1% – 2006 Sì 38,71% No 61,29%.
Anche allora quel referendum venne caricato di significati altri, anche allora si voleva che Silvio Berlusconi andasse via, ma l’ex cav. non si dimise. Renzi paradossalmente dovrebbe essere contento, è riuscito a fare meglio del suo mentore ed ha tenuto i voti che il PD ebbe alle ultime europee. La conferma del dato dovrebbe diventare lezione appresa. Non si può cambiare la costituzione in modo così profondo, si possono fare aggiustamenti come è avvenuto più volte negli ultimi sessant’otto anni, non si può procedere come elefanti in un negozio di chincaglierie.
Questo è alla fin fine il messaggio. È sperabile che in futuro passi questo desiderio insano delle classi dirigenti di mettere mano ad una Costituzione che nel bene e nel male ha assicurato al Paese decenni di stabilità. Sì stabilità, perché questo valore a cui sono sensibili i mercati è dato dalle istituzioni e non certo dai governi.
Nella Prima Repubblica, gli esecutivi duravano in media pochi mesi, ma l’Italia era uno dei paesi più stabili dell’Occidente, perché saldi erano i suoi ordinamenti. Ora chi in Italia e all’estero affastella il voto del NO in un indistinto populismo non vuole rendersi conto, o lo fa in maniera deliberata, che la ragione prima è stata la difesa della Carta. È responsabilità delle classi dirigenti avere trasformato una crisi della politica in crisi istituzionale.
Sono loro i populisti che facendosi forti di post-verità rilanciate da tutti i mezzi di informazione e dalle reti sociali, hanno tentato di scaricare sull’elettorato la loro contraddizione. Sono loro che si sono inventati la categoria del nemico da rottamare, non volevano con-vincere ma vincere, ed hanno perso. L’altro versante di interesse per noi, è come il referendum sia stato vissuto in Sardegna, che risulta la regione dove il rifiuto delle modifiche costituzionali ha raggiunto i valori più alti, questa volta maggiori anche del 2006. 2016, Sì 27,7%, No 72,3% – 2006 Sì 38,71%, No 61,69. Eppure la critica all’istituto regionale e alla sua autonomia in questi anni ha raggiunto quasi il parossismo.
Basti pensare alle campagne di stampa dove giornalisti di chiara fama hanno accusato le regioni di essere luoghi con la spesa senza controllo. Il disastro della regione siciliana usato come indicatore di un fallimento generale. Nonostante questo, e le critiche legittime che in Sardegna si fanno, alla fine la stragrande maggioranza dei sardi ha votato perché quell’istituto, benché incompleto e deficitario permanesse. Non è servito a nulla il racconto del Presidente Pigliaru e della ministra Boschi.
Nessuno ha creduto che il Titolo V rimanesse, o che l’autonomia venisse rafforzata. Anche nel voto sardo hanno pesato il malessere e le disattenzioni governative, la lontananza di questa giunta dai bisogni dei sardi, ma a mio avviso oggi come nel 2006 la difesa dell’autonomia è stato il collante unitario. La clausola di supremazia dell’interesse nazionale era presente nella riforma berlusconiana come in quella di Renzi, e in entrambi i casi rifiutata.
Oggi, rispetto al 2006 la Sardegna ha un problema in più, è governata da un presidente che ha agito e si è mosso per negare il suo ruolo e per impedirlo ai suoi successori. Posizione che non ebbero i presidenti delle provincie quando si fecero i referendum per la loro abolizione; loro lottarono fino all’ultimo per difendere l’ente che rappresentavano pro tempore. Tutto questo è populismo? Oppure è una sana difesa degli istituti democratici? È evidente che si tratta di democrazia, la migliore. Nessuno abbandona una casa imperfetta se non ha di meglio con cui sostituirla.
Meglio un’Autonomia imperfetta alla Nova Perfetta Fusione. La Sardegna oggi è governata da una giunta che non è riuscita a cogliere il sentire intimo di chi dovrebbe rappresentare e dovrebbe agire di conseguenza: dimettersi. Però non lo farà. I referendum sono cosa diversa dalle elezioni politiche o amministrative, quel 72,3% del No in Sardegna non è possibile intestarlo ad una forza politica, molti sono gli autori di quel successo.
Domenica si è espressa una grande sfiducia in chi ha voluto mettere mani alla Carta e in chi in Sardegna se ne è fatto testimone e araldo della rinuncia all’Autonomia. Per chi ha a cuore il nostro riscatto di sardi, il nostro bisogno storico di autogoverno, è un dato da cui partire. Va costruito, i segni sono forti. Bisogna coglierli.
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Per non vanificare il risultato referendario. Attenti alle trappole!
La sedia
di Vanni Tola.
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Non è vero che riconoscono la sconfitta referendaria. Attenti che ci imbrogliano!
Diceva Giorgio Gaber nel testo “La democrazia”: “Il referendum è una pratica di democrazia diretta, non tanto pratica, attraverso la quale tutti possono esprimere il loro parere su tutto. (omissis). Ma il referendum ha più che altro un valore folcloristico simbolico. Perché dopo aver discusso a lungo sul significato politico dei risultati, tutto resta come prima, e chi se ne frega”. La mia non vuole essere un’analisi sul dopo referendum costituzionale, direi, piuttosto, l’espressione di alcune sensazioni inquietanti suggerite dalla lettura della rassegna stampa del giorno dopo. Attenzione che ci fregano o, quantomeno, che ci proveranno seriamente a farlo. Intanto direi che occorre prendere atto del fatto che Renzi non ha alcuna intenzione di lasciare la scena politica, né di rinunciare a portare avanti il suo progetto di riforme, costi quel che costi. Il suo annuncio notturno di dimissioni, a ben vedere, non ammetteva nessuna sconfitta, nessun errore strategico sostanziale. Era una lunga sequela di ottimi risultati politici conseguiti dal suo governo nei mille giorni. Sono gli altri che “non hanno capito” non loro ad aver sbagliato. Il PD, grande protagonista della scena politica principalmente per la consistenza numerica della rappresentanza parlamentare, non ha un progetto di reale cambiamento e di alternativa al renzismo. La cosiddetta sinistra interna anzi, appena ha cominciato a delinearsi la catastrofica sconfitta referendaria e di Renzi, si è affrettata a dichiarare che al segretario del partito non avrebbero chiesto le dimissioni dall’incarico, come sarebbe stato logico fare, e che per il congresso straordinario c’è tempo, meglio riflettere con calma sulla situazione. Tradotto, significa che non esiste al momento nel PD alcuna soluzione alternativa a Renzi. Movimento Cinque Stelle, Lega e Forza Italia, ciascuno a modo proprio, si intestano la vittoria del NO ed esercitano notevoli pressioni sul Presidente della Repubblica affinché si vada al più presto a elezioni anticipate. Ma tutti sanno che non è cosi semplice farlo. La legislazione elettorale è da rivedere, c’è da attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legge elettorale vigente, è necessario stabilire uniformità legislativa tra Camera e Senato (ora che non è stato abolito), forse sarà necessario pensare a un nuovo quadro legislativo in materia di elezioni. Tutte cose che richiedono tempo, molto tempo. Non si intravvede alcuna ipotesi di alleanza possibile tra M5S, Lega e Forza Italia che possa creare a una sorta di “grossa coalizione” capace di guidare un nuovo governo. Ciascuna di queste forze politiche ha un proprio orizzonte strategico e poca o nessuna propensione al confronto o al compromesso con le altre. C’è poi il discorso del Patto del Nazareno, a mio avviso ancora vigente, e del progetto del “Partito della nazione” che resta la scelta strategica di Renzi e, ritengo, anche di Berlusconi. Nascono da tutto questo le sensazioni inquietanti del dopo referendum delle quali scrivevo in apertura. Il popolo ha parlato, ha dato sfogo al desiderio di difendere la Carta Costituzionale da stravolgimenti, ha espresso insofferenza per la politica di Renzi ma, ci sono tanti ma. Gli impegni urgenti e prioritari del Paese, indicati dal Presidente Mattarella, non possono attendere, le scadenze internazionali pure. Per modificare le leggi elettorali occorre del tempo, le elezioni immediate, ammesso che ci si arrivi, si potranno realisticamente tenere non prima di sei mesi o un anno e già molti dicono che, a questo punto, tanto vale attendere la scadenza naturale del 2018. Che cosa resterà dunque nelle mani di chi ha votato NO per cambiare qualcosa subito? Poco, molto poco. Presto, in mancanza di cambiamenti sostanziali e immediati, tornerà la rassegnazione. La consapevolezza che neppure una vittoria consistente nel pronunciamento referendario avrà prodotto alcun cambiamento concreto, determinerà nuovo spazio politico per un altro Renzi o per il populismo e la destra. Potrebbe accadere quindi che: “…. dopo aver discusso a lungo sul significato politico dei risultati, tutto resta come prima, e chi se ne frega”, come sottolineava Giorgio Gaber.
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DOCUMENTAZIONE. Il voto sardo comune per comune (da L’Unione Sarda online)
Domenica si è espressa una grande sfiducia in chi ha voluto mettere mani alla Carta e in chi in Sardegna se ne è fatto testimone e araldo della rinuncia all’Autonomia. Per chi ha a cuore il nostro riscatto di sardi, il nostro bisogno storico di autogoverno, è un dato da cui partire. Va costruito, i segni sono forti. Bisogna coglierli.
Gli italiani e i sardi non amano le avventure istituzionali
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto/ Società & Politica/
Troppe interpretazioni sulle motivazioni del rifiuto delle riforme istituzionali finiscono per essere un velo che nasconde la motivazione principe di quel no. Renzi ha giocato tutto per il tutto e ha perso. Su di lui si sono scaricate tensioni che nulla avevano a che fare con i referendum. Presidente del Consiglio non eletto in parlamento, ha cercato l’ordalia che lo legittimasse davanti all’elettorato, l’ha avuta.
Succede quando si personalizza. Si è andati oltre le predicazioni salviniane e dell’M5S, oltre la frustrazione e il rancore di chi è vittima dell’impoverimento, dei giovani che sbarcano il lunario tra un voucher e l’altro, del malessere che si è impadronito di una società che non riesce più a sperare. Tutta questa cacofonia di messaggi, ha nascosto la verità. Gli italiani non vogliono che la loro Carta Fondamentale venga stravolta. Nel 2006, regnante Berlusconi era avvenuto lo stesso e con dati quasi identici. 20016: Sì 40,9%, No 59,1% – 2006 Sì 38,71% No 61,29%.
Anche allora quel referendum venne caricato di significati altri, anche allora si voleva che Silvio Berlusconi andasse via, ma l’ex cav. non si dimise. Renzi paradossalmente dovrebbe essere contento, è riuscito a fare meglio del suo mentore ed ha tenuto i voti che il PD ebbe alle ultime europee. La conferma del dato dovrebbe diventare lezione appresa. Non si può cambiare la costituzione in modo così profondo, si possono fare aggiustamenti come è avvenuto più volte negli ultimi sessant’otto anni, non si può procedere come elefanti in un negozio di chincaglierie.
Questo è alla fin fine il messaggio. È sperabile che in futuro passi questo desiderio insano delle classi dirigenti di mettere mano ad una Costituzione che nel bene e nel male ha assicurato al Paese decenni di stabilità. Sì stabilità, perché questo valore a cui sono sensibili i mercati è dato dalle istituzioni e non certo dai governi.
Nella Prima Repubblica, gli esecutivi duravano in media pochi mesi, ma l’Italia era uno dei paesi più stabili dell’Occidente, perché saldi erano i suoi ordinamenti. Ora chi in Italia e all’estero affastella il voto del NO in un indistinto populismo non vuole rendersi conto, o lo fa in maniera deliberata, che la ragione prima è stata la difesa della Carta. È responsabilità delle classi dirigenti avere trasformato una crisi della politica in crisi istituzionale.
Sono loro i populisti che facendosi forti di post-verità rilanciate da tutti i mezzi di informazione e dalle reti sociali, hanno tentato di scaricare sull’elettorato la loro contraddizione. Sono loro che si sono inventati la categoria del nemico da rottamare, non volevano con-vincere ma vincere, ed hanno perso. L’altro versante di interesse per noi, è come il referendum sia stato vissuto in Sardegna, che risulta la regione dove il rifiuto delle modifiche costituzionali ha raggiunto i valori più alti, questa volta maggiori anche del 2006. 2016, Sì 27,7%, No 72,3% – 2006 Sì 38,71%, No 61,69. Eppure la critica all’istituto regionale e alla sua autonomia in questi anni ha raggiunto quasi il parossismo.
Basti pensare alle campagne di stampa dove giornalisti di chiara fama hanno accusato le regioni di essere luoghi con la spesa senza controllo. Il disastro della regione siciliana usato come indicatore di un fallimento generale. Nonostante questo, e le critiche legittime che in Sardegna si fanno, alla fine la stragrande maggioranza dei sardi ha votato perché quell’istituto, benché incompleto e deficitario permanesse. Non è servito a nulla il racconto del Presidente Pigliaru e della ministra Boschi.
Nessuno ha creduto che il Titolo V rimanesse, o che l’autonomia venisse rafforzata. Anche nel voto sardo hanno pesato il malessere e le disattenzioni governative, la lontananza di questa giunta dai bisogni dei sardi, ma a mio avviso oggi come nel 2006 la difesa dell’autonomia è stato il collante unitario. La clausola di supremazia dell’interesse nazionale era presente nella riforma berlusconiana come in quella di Renzi, e in entrambi i casi rifiutata.
Oggi, rispetto al 2006 la Sardegna ha un problema in più, è governata da un presidente che ha agito e si è mosso per negare il suo ruolo e per impedirlo ai suoi successori. Posizione che non ebbero i presidenti delle provincie quando si fecero i referendum per la loro abolizione; loro lottarono fino all’ultimo per difendere l’ente che rappresentavano pro tempore. Tutto questo è populismo? Oppure è una sana difesa degli istituti democratici? È evidente che si tratta di democrazia, la migliore. Nessuno abbandona una casa imperfetta se non ha di meglio con cui sostituirla.
Meglio un’Autonomia imperfetta alla Nova Perfetta Fusione. La Sardegna oggi è governata da una giunta che non è riuscita a cogliere il sentire intimo di chi dovrebbe rappresentare e dovrebbe agire di conseguenza: dimettersi. Però non lo farà. I referendum sono cosa diversa dalle elezioni politiche o amministrative, quel 72,3% del No in Sardegna non è possibile intestarlo ad una forza politica, molti sono gli autori di quel successo.
Domenica si è espressa una grande sfiducia in chi ha voluto mettere mani alla Carta e in chi in Sardegna se ne è fatto testimone e araldo della rinuncia all’Autonomia. Per chi ha a cuore il nostro riscatto di sardi, il nostro bisogno storico di autogoverno, è un dato da cui partire. Va costruito, i segni sono forti. Bisogna coglierli.
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Oggi martedì 6 dicembre 2016
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Ripartiamo dalla Costituzione
di Andrea Pubusa, su Democraziaoggi.
L’abbiamo difesa due volte in dieci anni ora dobbiamo tornare alla Costituzione e attuarla.
Abbiano impedito – come profeticamente diceva Dossetti nel 1994 – ”a una maggioranza che non ha ricevuto alcun mandato al riguardo, di mutare la nostra Costituzione” . Berlusconi prima e Renzi poi si sono arrogati “un compito che solo una nuova Assemblea Costituente, programmaticamente eletta per questo, e a sistema proporzionale, potrebbe assolvere come veramente rappresentativa di tutto il nostro popolo. Altrimenti sarebbe un autentico colpo di stato”.
E contro la legge scasso di Berlusconi soggiungeva con parole di un’attualità sconvolgente verso la scasso di Renzi:
“Ora la mia preoccupazione fondamentale è che si addivenga a referendum, abilmente manipolati, con più proposte congiunte, alcune accettabili e altre del tutto inaccettabili, e che la gente totalmente impreparata e per giunta ingannata dai media, non possa saper distinguere e finisca col dare un voto favorevole complessivo sull’onda del consenso indiscriminato a un grande seduttore: il che appunto trasformerebbe un mezzo di cosiddetta democrazia diretta in un mezzo emotivo e irresponsabile di plebiscito. Quante volte questo è accaduto con grande facilità nella storia anche recente, e nostra e di altri Paesi europei!”
Ora, battuto anche il tentativo di Renzi, bisogna orima di tutto pretendere un ritorno alla normalità costituzionale. Il Presidente della Repubblica dia tre mesi per l’approvazione di una legge elettorale rispettosa della sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale e poi si vada finalmente al voto per eleggere un parlamento legittimamente e formare un governo, espressione del corpo elettorale e del Parlamento liberamente eletto.
Poi si tratta di attuare la Costituzione a partire dal lavoro e dal principio di eguaglianza che implica una politica di redistributiva dopo anni di massacro dei redditi bassi. L’occupazione giovanile è il primo obiettivo, quello su cui concentrare tutte le risorse e le energie. Bisogna poi rilanciare le autonomie regionali, a partire da quella sarda, dove la sensibilità generale spinge verso forme più avanzate di poterì e facoltà della nostra isola. Bisogna ridare, all’interno, rappresentanza ai territori massacrati dal commissariamento delle province.
Ma non dobbiano dimenticare un equilibrato esame della Costituzione, senza escludere, nel rigoroso rispetto dei valori, la possibilità di attente modifiche. Ancora Dossetti diceva: «Non si vuol dire, con questo, che nel caso nostro non ci siano cose da cambiare, in corrispondenza delle grosse modificazioni intervenute nella nostra società negli ultimi decenni. È molto avvertita, per esempio, una diffusa e pervasiva alterazione patologica dei rapporti tra privati, partiti e pubblica amministrazione; come pure la pletoricità e macchinosità di un sistema amministrativo che non si adatta più alle dinamiche di una società moderna; e ancor più la degenerazione privilegiaria e clientelare dello stato sociale (tradito); la necessità di una lotta sincera e non simulata alla criminalità organizzata; e infine l’emergenza e la necessità di adeguata valorizzazione di una nuova classe operosa di piccoli e medi imprenditori.
Si può aggiungere l’esigenza di uno sveltimento della produzione legislativa, e perciò la riforma dell’attuale bicameralismo; e soprattutto un’applicazione più effettiva e più penetrante delle autonomie locali, da perseguirsi, però, al di fuori di ogni mito che tenda a stabilire distinzioni aprioristiche nel seno del popolo italiano e che perciò tenda a scomporre l’unità inviolabile della Repubblica.
Se tutto questo sarà fatto, nel rispetto della legalità e senza spirito di sopraffazione e di rapina, nell’osservanza formale e sostanziale delle modalità costituzionali, non ci può essere nessun pregiudizio negativo, anzi ci deve essere un auspicio favorevole.
Ma c’è una soglia che deve essere rispettata in modo assoluto. Certo oltrepasserebbe questa soglia una disarticolazione federalista come è stata più volte prospettata dalla Lega. E ancora oltrepasserebbe questa soglia qualunque modificazione che si volesse apportare ai diritti inviolabili civili, politici, sociali previsti dall’attuale Costituzione. E così pure va ripetuto per una qualunque soluzione che intaccasse il principio della divisione e dell’equilibrio dei poteri fondamentali, legislativo esecutivo e giudiziario, cioè per ogni avvio, che potrebbe essere irreversibile, di un potenziamento dell’esecutivo ai danni del legislativo, ancorché fosse realizzato con forme di referendum, che potrebbero trasformarsi in forme di plebiscito.»
Questi concetti ha ribadito con pacatezza Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell’Anpi, e tutti noi durante la campagna referendaria e alla grande assemblea di Cagliari, nascosta dall’Unione sarda, servile, come sempre, verso i potenti di turno. Ora dobbiamo essere esigenti nel pretendere dagli organi costituzionali e da quelli regionali un rispetto della volontà popolare così largamente e chiaramente espressa. Dobbiamo riprendere il cammino nel segno della nostra Carta, che contiene in sé il programma generale per uscire da quesi annni bui e riprendere un cammino pacifico di civiltà e di giustizia.
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La Legge di modifica della Costituzione Renzi-Boschi è stata respinta!
di Marco Sini su il manifesto sardo.
Lunedì 5 dicembre 2016 The after day – Ha vinto il Popolo in Italia e in Sardegna – Ha vinto la COSTITUZIONE – Abbiamo vinto!
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HA VINTO LA COSTITUZIONE
Ha vinto la Costituzione, ha vinto la sovranità popolare, ha vinto il popolo, ha vinto la democrazia, ha vinto la verità.
Ha vinto la verità contro le bugie.
Hanno vinto i movimenti, i partigiani, il sindacato, le associazioni.
Ha perso il PD, ma non si dica che hanno vinto altri partiti: nessuno di loro può affermarlo, quando si tratta di loro metà degli elettori resta a casa.
Ha perso Renzi, ha perso la maggioranza blindata del suo partito, ha perso il governo, ha perso la maggioranza blindata di un parlamento illegittimo, i mille giorni inutili di un re da fumetto e dei suoi cortigiani.
In Sardegna hanno perso Pigliaru, Soru, Pani, Demuro, più renziani di Renzi, ha perso il sindaco muto di Cagliari.
Tutti costoro traggano le conseguenze della sconfitta, si dimettano, si nascondano, tacciano.
Ora ci sono mille cose da fare.
Pacificare gli schieramenti e lavorare tutti per:
1. Un parlamento legittimo, dunque una giusta legge elettorale.
2. Un Governo capace di affrontare le vere emergenze: lavoro, scuola, salute, casa, una vita dignitosa per tutti.
3. Una giusta legge elettorale per la Sardegna e subito elezioni per
4. Una Giunta regionale che lavori per i sardi e non per Roma.
5. Una Costituente sarda per rinnovare lo Statuto, che affermi la sovranità assoluta dei sardi sul loro territorio. (ognuno si tenga le sue scorie, prego) e una scuola che insegni storia, cultura e lingua sarda.
6.. Una Rai e un’informazione in genere che non sia serva del partito del Presidente del Consiglio.
7. Una Costituente italiana per riformare IN MEGLIO la Costituzione, mantenendo sempre la sovranità del popolo lavoratore. (p.m.)
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Grande vittoria del NO. Costruiamo l’oggi e il futuro. Con il Popolo.
di Vanni Tola
La grande vittoria del NO al referendum respinge un progetto osceno di stravolgimento della Costituzione. Gli elettori hanno detto in modo chiaro e inequivocabile di non essere d’accordo. Non è poco, è moltissimo. Ciò detto, però, direi che è necessario essere molto cauti nel delineare nuovi scenari. La prudenza è d’obbligo. Intanto non è scontata l’uscita di Renzi dalla scena politica. Al di la delle Sue dichiarazioni “a caldo”, l’unica certezza è che oggi pomeriggio il Presidente del Consiglio presenterà le dimissioni al Capo dello Stato. Un altro dato di fatto, condiviso da tutti, è la indispensabilità di riscrivere le leggi elettorali. Richiedere le elezioni subito è desiderio di molti ma è evidente che il “subito” significa non prima di un anno. A troppe forze politiche non conviene misurarsi col confronto elettorale in questa fase. Sarebbe quindi folle ragionare come se avessimo già superato il guado del fiume. Non lo abbiamo ancora fatto. Al massimo possiamo affermare di avere appena cominciato e non sappiamo a che cosa andremo incontro nell’immediato futuro. Domani, passata l’euforia, avremo maggiori elementi di analisi del voto e degli scenari possibili.
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Che bella domenica! Che radioso lunedì!
Gianna Lai, presidente dell’ANPI di Cagliari
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Pigliaru, il tuo tradimento è stato scoperto e sconfitto, ora, dammi retta!, vai a casa!
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
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Francesco Pigliaru, un estraneo alla guida della Regione.
di Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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- Su Il fatto quotidiano.
Vince il no e la sinistra alza la bandiera. Su il manifesto.
- I risultati su La Repubblica online (http://www.repubblica.it/static/speciale/2016/referendum/costituzionale/).
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Referendum: la profezia del vecchio “saragatiano” ai banchetti per il NO e contro l’Italicum quel venerdì 10 giugno 2016. Ora mi ricordo.
Ecco il fatto raccontato su Democraziaoggi dell’11 giugno 2016.
Franco Meloni, direttore Aladinews
11 Giugno 2016 – 11:57
Ieri (venerdì 10) al nostro banchetto di via Garibadi si è avvicinato un distinto signore, anziano, ma non diciamo l’età, il quale ha così esordito: “Siete del Comitato per il referendum costituzionale? Sapete io sono contento di questa riforma di Renzi”. Noi siamo democratici e parliamo con tutti, anche quelli che si professano per il Sì e pensavamo di avere a che fare con uno di questi. Ma il signore, sorprendendoci, ha così continuato: “Sapete perché? Perché questa volta Renzi l’ha fatta proprio grossa e prenderà una bella batosta, tale da farlo scomparire dalla scena politica. Sa – ha continuato il simpatico (a questo punto molto simpatico) signore – io sono stato un socialdemocratico saragatiano e non posso sopportare un personaggio messo da chi sa chi (ma io lo so: l’ex presidente della Repubblica) a distruggere quanto di buono è stato fatto nel nostro Paese. Perciò firmo subito sia contro la legge elettorale sia contro la sciagurata riforma, che sono sicuro non passerà! Siamo dalle stessa parte!”. Beh! Sono soddisfazioni. La raccomandazione che ne viene è che noi militanti per la Costituzione nella nostra attività dobbiamo essere aperti, inclusivi, dialoganti, costruttivi… nello spirito che caratterizzò i nostri costituenti nella costruzione della Repubblica nata dalla Resistenza! Questo è il messaggio che molti, moltissimi giovani comprendono e condividono. E’ la nostra carta vincente!
« L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. » (Articolo 1 della Costituzione italiana)
REFERENDUM. VINCE IL NO. Il POPOLO si riappropria delle proprie prerogative costituzionali!
E il POPOLO SARDO ESPRIME UN NO STRABILIANTE. E’ bene che Pigliaru ne prenda atto e si dimetta così come ha fatto Renzi. Costruiamo insieme l’alternativa. Ci sono le condizioni per farlo!
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La grande vittoria del NO al referendum respinge un progetto osceno di stravolgimento della Costituzione. Gli elettori hanno detto in modo chiaro e inequivocabile di non essere d’accordo. Non è poco, è moltissimo. Ciò detto, però, direi che è necessario essere molto cauti nel delineare nuovi scenari. La prudenza è d’obbligo. Intanto non è scontata l’uscita di Renzi dalla scena politica. Al di la delle Sue dichiarazioni “a caldo”, l’unica certezza è che oggi pomeriggio il Presidente del Consiglio presenterà le dimissioni al Capo dello Stato. Un altro dato di fatto, condiviso da tutti, è la indispensabilità di riscrivere le leggi elettorali. Richiedere le elezioni subito è desiderio di molti ma è evidente che il “subito” significa non prima di un anno. A troppe forze politiche non conviene misurarsi col confronto elettorale in questa fase. Sarebbe quindi folle ragionare come se avessimo già superato il guado del fiume. Non lo abbiamo ancora fatto. Al massimo possiamo affermare di avere appena cominciato e non sappiamo a che cosa andremo incontro nell’immediato futuro. Domani, passata l’euforia, avremo maggiori elementi di analisi del voto e degli scenari possibili.
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Pigliaru, il tuo tradimento è stato scoperto e sconfitto, ora, dammi retta!, vai a casa!
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Caro Pigliaru,
tanto palese è stato il tradimento del tuo ruolo e dello Statuto speciale, tanto manifesta è stata la tua genuflessione a Renzi, tanto chiaro e netto è stato il ripudio dei sardi della tua politica e della tua persona. In realtà viene confermato un dato ben noto, e cioé che tu hai il 60% dei consiglieri regionali col 19% del voto dei sardi. Questo spiega anche perché in Sardegna la percentuale dei NO è ben più alta di quella già alta del Paese. E’ la più alta d’Italia. Ora devi trarre soltanto una conclusione: andare a casa. Non so come puoi tu, con Demuro e gli altri, presentarvi in pubblico, guardare in faccia la gente che così fortemente vi ha detto NO e vi avversa.
Caro Francesco, devo confessarti che nel girare nei piccoli centri della Sardegna, la tua persona, i tuoi gesti, le tue comparse con Renzi hanno reso più facile il mio discorso, le ragioni del NO non dovevano neppure essere illustrate tanto eraano chiare nelle espressioni e nei visi della gente. Ma al tempo stesso, ti assicuro che mi sono trovato in imbarazzo nel sentire i giudizi sul tuo conto e, in cuor mio ho provato, perfino dispiacere, nel vedere così vilipesa la cattedra, che per me rimane sempre un luogo di assoluto prestigio e di verità. Così come ho amaramente sentito costituzionalisti del nostro Ateneo, Demuro e Ciarlo, dire tali e tante corbellerie, per compiacere al capo, da rendersi ridicoli perfino agli occhi dei nostri studenti, come quando Demuro ha detto che l’art. 17 dello statuto sardo, quello dell’incompatibilità consigliere regionale/senatore) è superato in forza di un non meglio precisato parere del governo! Una idiozia allo stato puro, che in quasi mezzo secolo di docenza non ho mai sentito dire neppure agli studenti più sprovveduti.
Dissi fin da subito che era buon segno avere come contraddittori Demuro e Ciarlo, perché già nella battaglia contro la Statutaria di Renzi loro avevano detto cose così incredibili da essersi sconfitti da sé. Era facile prevedere che avrebbero fatto il bis!
Caro Francesco, tu, come ti ho già detto, hai tradito i sardi e attentato allo Statuto, ora devi decidere come uscire il meno ingominiosamente possibile di scena. Io, amichevolmente, ti consiglio le dimissioni. Tieni conto che sei circondato da persone che cambiano casacca al cambiare del vento, già da subito si smarcheranno da un cavallo così perdente. Dammi retta, prima di restare solo anche in quell’accozzaglia di consorterie che è oggi il PD, fatti da parte. In fondo puoi tornartene in facoltà e riprendere l’insegnamento. Certo all’inizio, dopo le cose indecorose che hai fatto come presidente, sarà difficile presentarti agli studenti, ma in poco tempo arriverranno le nuove leve che non sanno e puoi rifarti una verginità. L’alternativa è penosa e non te la consiglio: se rimani, sarai abbandonato dai “tuoi” e i sardi verranno di qui a non molto a cacciarti (metaforicamente) coi forconi o, comunque, sarai certamente infilzato dal voto.
A tutti i sardi che hanno votato NO, che hanno mostrato schiena dritta, dico di avere coraggio, di stare in campo, di rimettersi in movimento. Faremo i nostri incontri per analizzare la situazione e poi ripartiremo tutti insieme seguendo la via maestra, la nostra preziosa Costituzione nata dalla Resistenza, che i sardi e gli italiani hanno così valorosamente difeso.
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L’illusoria capacità ridistributrice della “mano invisibile” di Adam Smith
———————————–di Gianfranco Sabattini, su il manifesto sardo.
Jioseph Stiglitz, economista premio Nobel e saggista di fama internazionale, nel piccolo saggio “Un’economia per l’uomo”, scritto in occasione di un suo intervento alla XVIII sessione dell’Accademia Pontificia per le Scienze Sociali, con all’ordine del giorno la discussione sul tema della “Pacem in Terris“, l’eciclica promulgata l’11 aprile del 1963 da Papa Givanni XXIII, tratta di “alcune importanti questioni etiche nel contesto del comportamento economico”; tali questioni sono sollevate, a parere di Stiglitz, dalla necessità “di creare armonia fra uomo e uomo fra natura e uomo”, considerando l’economia come un mezzo orientato a soddisfare le esigenze esistenziali dell’uomo e non un fine in sé; nel convincimento, cioè, che l’uomo non esista per “servire l’economia”, ma al contrario sia l’economia al servizio della crescita e dello sviluppo dell’uomo.
L’occasione della sua partecipazione alla XVIII sessione dell’Accademia Pontificia ha offerto il destro a Stiglitz per sottolineare come, nel corso del dibattito svoltosi durante la diffusione degli effetti della crisi scoppiata nel 2007/2008, non siano stati considerati con sufficiente attenzione due aspetti di natura etica, riguardanti, da un lato, la condotta moralmente deprecabile di molti operatori finanziari, in particolare dalle banche, e dall’altro lato, le rimunerazioni che molti operatori finanziari hanno ricevuto, nonostante la crisi; rimunerazioni non proporzionali al “contributo complessivo” reso al sistema sociale all’interno del quale essi operavano.
Riguardo alle banche, Stiglitz afferma che sono ormai molto ampie le prove del fatto che esse si sono approfittate dei gruppi sociali meno informati e meno accorti, al solo scopo di massimizzare i propri profitti; a rendere più severo il giudizio sul loro comportamento sta anche la circostanza che, quando sono loro “esplosi in mano gli ordigni che loro stesse avevano creato, il governo è intervenuto a salvarle, lasciando invece coloro che erano stati vittime in balia di se stessi”. In conseguenza di ciò, le banche, che avrebbero dovuto avere l’accortezza di gestire i rischi attraverso l’offerta di “prodotti finanziari adeguati”, in sottoscrizione ai risparmiatori, hanno invece “tradito la fiducia” loro accordata.
Per quanto concerne le superrimunerazioni dei manager delle istituzioni finanziarie, Stiglitz osserva che un sistema sociale all’interno del quale alcune categorie di soggetti ricevono una rimunerazione correlata, non tanto al “contributo effettivo apportato alla collettività”, quanto piuttosto alla capacità di catturare guadagni, attraverso la disinformazione che loro stessi concorrono a diffondere tra il pubblico, non è un sistema sociale “giusto”.
Ovviamente, a parere di Stiglitz, non è sufficiente fare riferimento alla sola morale pubblica, per assicurare condizioni di giustizia nei rapporti tra gli uomini, sebbene le politiche pubbliche debbano contribuire a sensibilizzare tutti i componenti del sistema sociale delle possibili conseguenze negative che possono derivare dalle scelte individuali. Alle regole morali deve essere associata l’introduzione di ”sistemi di regolamentazione”, imponendo l’obbligo, per chi con i propri comportamenti danneggia gli altri, a pagarne le conseguenze. L’obiettivo dei sistemi di regolamentazione dovrebbe essere quello di evitare, ad esempio, che le scelte individuali comportino l’”imposizione di esternalità negative”, cioè di effetti negativi causati dai danni ambientali, sugli altri. Sennonché, sussiste la prevalente tendenza, da parte di estese “aree imprenditoriali e finanziarie”, ad opporsi ai tentativi di armonizzare, attraverso le regolamentazioni, i comportamenti dei diversi componenti del sistema sociale; oppure, esiste la tendenza che le regolamentazioni siano ignorate persino nelle pratiche di governo, nonostante sia l’attività di governo ad introdurre le regole.
Ciò accade perché i governi sono sempre protesi a massimizzare il Prodotto Interno Lordo (PIL), piuttosto che il “benessere reale della società”; sennonché, notoriamente, il PIL non è un valido indicatore del benessere sociale: il PIL pro capite può aumentare, ma a seguito di tale aumento i componenti del sistema possono essere messi nella condizione di dover affrontare maggiori disagi, tali da comportare una spesa pro capite ben maggiore dell’aumento originario del PIL; inoltre, il prodotto lordo pro capite può aumentare, ma possono anche parallelamente aumentare le conseguenze negative delle maggiori disuguaglianze distributive; oppure può accadere che l’aumento del PIL induca le generazioni attuali a condurre uno standard di vita che varrà a sacrificare le stesse opportunità alle generazioni future.
La possibilità che i sistemi di regolamentazione non consentano di armonizzare i comportamenti dei diversi membri del sistema sociale è aumentata con la crescita del livelli di integrazione a livello globale delle economie nazionali. Secondo Stiglitz, la globalizzazione di solito viene giustificata sostenendo che essa è valsa ad aumentare la produttività economica a vantaggio di tutti i Paesi, sia di quelli economicamente avanzati, che di quelli arretrati. In alcuni Paesi ciò è sicuramente avvenuto, in altri invece le conseguenze sono state negative, al punto che molti individui all’interno di questi ultimi sono venuti a trovarsi in condizioni ben peggiori di quanto non lo fossero alcuni decenni prima. Inoltre, chi sostiene la validità della globalizzazione afferma che essa potrebbe essere fonte di maggiori effetti positivi sul piano della produttività economica, se il mercato fosse meno condizionato dalle regolamentazioni.
Al riguardo – Stiglitz afferma – che nessuna ”idea ha avuto più influenza nella teoria economia della nozione della mano invisibile di Adam Smith, cioè dell’assunto che l’inseguimento del proprio interesse (profitto) porti, come se guidato da una mano invisibile, al benessere della società”. Ma l’assunto smithiano è stato oggetto di analisi di approfondimento negli ultimi cinquant’anni; tali analisi hanno evidenziato che “fintanto che l’informazione è imperfetta e asimmetrica, fin tanto che i mercati sono incompleti (per esempio, non esistono mercati assicurativi che coprano tutte le eventualità), fin tanto che i mercati non sono completamente competitivi, la ricerca del proprio interesse non porta all’efficienza economica”; poiché l’informazione è sempre imperfetta e asimmetrica e i mercati sono sempre incompleti e non sempre competitivi, la ricerca esclusiva della massima soddisfazione dell’interesse individuale non può mai portare all’efficienza economica e alla massimizzazione del benessere collettivo.
Se il perseguimento dell’interesse personale non può portare alla massimizzazione del benessere generale, occorre che i comportamenti dei singoli componenti il sistema sociale non prudano esiti indesiderati per altri. L’etica pubblica, pertanto, afferma Stiglitz, riveste un ruolo importante, anche se un “giusto” funzionamento del sistema sociale non può essere basato esclusivamente sulle scelte etiche dei singoli soggetti. E’, questo, il motivo per cui si impone la necessità che i governi agiscano per porre rimedio alle “falle dei mercati”; poiché anche i governi possono essere vittime di un’imperfetta informazione, ogni sistema sociale bene ordinato deve prevedere anche la possibilità di interventi straordinari per fare fronte ai limiti dell’azione regolatrice del proprio governo.
L’azione governativa è di solito imperniata su un mix di azioni, che in parte assume la forma di spesa governativa e, in parte, quella di regolamentazione governativa, soprattutto se l’obiettivo da perseguire consiste nell’assicurare al sistema sociale una distribuzione del prodotto sociale desiderabile, cioè una distribuzione reddituale equa e giusta; ovvero, una distribuzione volta a contenere e a rimuovere le disuguaglianze, o quantomeno a conservarle entro i limiti in cui, secondo la prospettiva di analisi rawlsiana, esse sono vantaggiose per le fasce sociali economicamente più deboli, oppure quando costituiscono la condizione necessaria ad assicurare un miglioramento economico per tutti.
Esiste, a parere di Stiglitz, anche una ragione più generale a favore delle politiche pubbliche volte a contenere e a rimuovere le disuguaglianze distributive; queste sono all’origine di inefficienze che determinano molti “fallimenti di mercato”, cioè situazioni in cui le “ricompense dei singoli e i contributi al benessere della collettività non sono allineati; gli esempi più significativi sono quelli che originano dal ricorrere delle esternalità, che si verificano, come si è visto, in tutti i casi in cui il comportamenti dei singoli causa un danno ambientale che, pur traducendosi in un danno per altri, colui che ha provocato il danno non viene chiamato a sostenere il costo. La regolamentazione delle esternalità, perciò, costituisce un presupposto perché i mercati funzionino correttamente e consentano la realizzazione dell’”armonia tra uomo e uomo e fra uomo e natura”.
L’accettazione dell’ideologia del libero mercato, osserva Stiglitz, non deve assolvere dalla responsabilità che siano attuate le politiche pubbliche più appropriate per regolamentare le esternalità; ciò è reso necessario perché i mercati, fallendo, consentono la formazione di prezzi che non riflettono il costo che ciascun operatore, con le proprie decisioni, trasferisce sugli altri; ciò rileva soprattutto con riferimento all’ambiente, in quanto molte risorse naturali non hanno un prezzo o, se l’hanno, spesso manca d’essere adeguato. Solo se i componenti dei moderni sistemi economici riusciranno a liberarsi dal “credo” sul fondamentalismo del mercato – conclude Stiglitz – sarà possibile realizzare “una migliore armonia fra uomo e uomo e fra uomo e natura”. A tal fine, si impone certo la necessità di “una regolamentazione forte ed efficace, ma è ancora più importante inculcare una bussola morale più forte e delle etiche aziendali conseguenti”.
L’obiettivo dell’armonia nelle relazioni intersoggettive può diventare un obiettivo realmente conseguibile nelle società moderne, non solo nella difesa dei diritti civili e politici, ma anche di quelli economici, così come sancisce la Dichiarazione Universale dei diritti Umani, redatta dopo la seconda guerra mondiale; ciò potrà accadere soltanto se le società civili nei Paesi democratici riusciranno a svolgere un ruolo più efficace di quanto non sia stato sinora, nella difesa del benessere collettivo, inteso come bene pubblico. A tal fine, sarà necessaria una risposta collettiva; perché questa risulti efficace, occorre però che ogni soggetto sia portatore di una responsabilità morale a non sacrificare con le proprie scelte il livello di benessere degli altri e nel contempo sia anche portatore della responsabilità morale di aiutare gli altri a godere dello stesso livello di benessere del quale egli dispone all’interno dei sistema sociale cui appartiene.
Ovviamente, il ruolo delle società civili nella difesa del benessere sociale, inteso come bene pubblico, non può essere, come sembra suggerire Stiglitz, solo l’esito dei possibili sistemi di regolamentazione del mercato e degli obblighi morali dei quali potranno essere portatori i singoli componenti del sistema sociale; ai regolamenti delle istituzioni economiche e alle regole morali dei singoli individui occorrerà aggiungere anche “mutamenti” di molti aspetti dell’ordine economico dei sistemi sociali; aspetti che sono stati sinora responsabili dell’insufficiente ruolo attivo delle società civili nella difesa del benessere collettivo.
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Per correlazione: https://www.aladinpensiero.it/?p=58698
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Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.
Economia e distribuzione delle entrate*
di Francesco, papa
202. La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere, non solo per una esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità,[173] non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali.
203. La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale. Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora. La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato. La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo.
204. Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.
205. Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune.[174] Dobbiamo convincerci che la carità « è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici ».[175] Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale.
206. L’economia, come indica la stessa parola, dovrebbe essere l’arte di raggiungere un’adeguata amministrazione della casa comune, che è il mondo intero. Ogni azione economica di una certa portata, messa in atto in una parte del pianeta, si ripercuote sul tutto; perciò nessun governo può agire al di fuori di una comune responsabilità. Di fatto, diventa sempre più difficile individuare soluzioni a livello locale per le enormi contraddizioni globali, per cui la politica locale si riempie di problemi da risolvere. Se realmente vogliamo raggiungere una sana economia mondiale, c’è bisogno in questa fase storica di un modo più efficiente di interazione che, fatta salva la sovranità delle nazioni, assicuri il benessere economico di tutti i Paesi e non solo di pochi.
207. Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti.
208. Se qualcuno si sente offeso dalle mie parole, gli dico che le esprimo con affetto e con la migliore delle intenzioni, lontano da qualunque interesse personale o ideologia politica. La mia parola non è quella di un nemico né di un oppositore. Mi interessa unicamente fare in modo che quelli che sono schiavi di una mentalità individualista, indifferente ed egoista, possano liberarsi da quelle indegne catene e raggiungano uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più fecondo, che dia dignità al loro passaggio su questa terra.
*Tratto da Evangelii Gaudium: Esortazione Apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale (24 novembre 2013)
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Dal sito web Sala stampa santa sede
ESORTAZIONE APOSTOLICA “EVANGELII GAUDIUM” DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI VESCOVI, AI PRESBITERI E AI DIACONI, ALLE PERSONE CONSACRATE E AI FEDELI LAICI SULL’ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MONDO ATTUALE.
INDICE – segue –
Oggi lunedì 5 dicembre 2016, the after day
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Una comunicazione del comm. Paolo Fadda, che volentieri pubblichiamo e diffondiamo.
CARISSIMI AMICI, lunedì 5 dicembre alle 17,30, nel salone della Confindustria cagliaritana in viale Colombo, Tonino Oppes, giornalista e scrittore, presenterà il mio libro che racconta la storia, ormai centenaria, della famiglia Pinna di Thiesi, oggi titolare della più importante industria nazionale dei formaggi pecorini che vende in oltre 25 paesi dell’Est e dell’Ovest del mondo. E’ una storia, questa dei Fratelli Pinna, che attraversa l’intera vicenda dell’industria casearia sarda nata all’inizio del secolo scorso e che ha dato notorietà internazionale alle nostre produzioni casearie. Sarei quindi molto lieto se, raccogliendo quest’invito, ci si potesse salutare affettuosamente lunedì 5 dicembre.
« L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. » (Articolo 1 della Costituzione italiana)
REFERENDUM. VINCE IL NO. Il POPOLO si riappropria delle proprie prerogative costituzionali!
E il POPOLO SARDO ESPRIME UN NO STRABILIANTE. E’ bene che Pigliaru ne prenda atto e si dimetta così come Renzi ha fatto in questi minuti. Costruiamo insieme l’alternativa. Ci sono le condizioni per farlo!
Cari studenti miei, cari lavoratori, cari amici democratici… Mi rivolgo a voi in amicizia per dirvi che la Sardegna e l’Italia non hanno bisogno di correre questi rischi, che bisogna riprendere, con pazienza e unità, quel cammino che, grazie alla nostra Costituzione, ci ha consentito di diventare, da un Paese rurale e arretrato, un grande Paese civile e avanzato, da una comunità di analfabeti una società di persone consapevoli. Ora dobbiamo difendere la nostra Carta poi avremo il tempo, tutti insieme, per emendarla nelle parti che risulteranno osbolete. D’altra parte, siamo cresciuti fino all’inizio degli anni ‘80 attraverso l’attuazione della Costituzioone, siamo tornati indietro man mano che, sotto la sferza del neoliberismo, i nostri partiti e i nostri governi se ne sono allontanati. Oggi Renzi, in sintonia con i poteri forti interni e internazionali, vuole adeguare la Costituzione a questa nuova realtà che taglia diritti e spazi democratici, che umilia il lavoro e lascia a spasso i giovani, che mette in pericolo la nostra democrazia. Noi non dobbianmo permetterlo. Per questo vi invito a recarvi alle urne e a votare NO
di Andrea Pubusa, coordinatore del Comitato Sardo per il NO nel referendum costituzionale.
Cari studenti miei, ormai diventati professionisti, funzionari, avvocati, magistrati o seriamente inseriti nel mondo del lavoro, che ho avuto il piacere di conoscere in ragione della mia lunga docenza, cari lavoratori e compagni con cui ho condiviso l’impegno per una Sardegna e un’Italia più giusta ed uguale, in una vita di militanza dignitosa nella sinistra, democratici amici di tante battaglie di civiltà, cari colleghi del Foro, difensori dei diritti dei cittadini, con l’animo pieno di preoccupazione, mi rivolgo a voi per invitarvi al voto contro lo stravolgimento della nostra Costituzione proposto da Renzi. Ve lo chiedo con la stessa passione con la quale dalla cattedra, dal Consiglio regionale, dal microfono di un’assemblea o con la toga vi ho invitato alla difesa dei diritti fondamentali, del lavoro o vi ho spronato ad un impegno comune per un Paese più avanzato e civile.
Tutte le nostre conquiste democratiche sono in pericolo. La sovranita popolare che vuole il corpo elettorale fonte di ogni legittimazione degli organi pubblici a partire dal Parlamento e dal Governo; le autonomie locali che postulano comunità, comunali, provinciali e regionali, capaci, nell’ordine delle competenze stabilito dalla Costituzione, di decidere per gli interessi esclusivi dei propri cittadini e concorrere alle scelte dei livelli di governo superiori; il bilanciamento dei poteri che deve esistere non solo fra gli organi costituzionali, ma anche attraverso l’indefettibile garanzia dei diritti inviolabili della persona e delle libertà collettive e territoriali; l’indipendenza interna ed esterna degli organi di garanzia, cui è rimessa la custodia degli delicati equilibri costituzionali.
Perché mi appello a voi? Perché il testo Renzi-Boschi-Verdini non si limita a ritocchi della nostra Carta, ma ne mina gli equilibri, colpendo due pilastri del bilanciamento dei poteri: il corpo elettorale e il parlamento, da un lato, le regioni e le autonomie locali, dall’altro. Il bilanciamento viene così incrinato a favore del governo che diviene il centro unico e unilaterale delle decisioni rilevanti nel nostro Paese con il ridimensionamento altresì del ruolo delle formazioni sociali intermedie, cui si deve quel prezioso ingrediente di qualsiasi democrazia, che si chiama partecipazione volontaria e disinteressata.
Una oligarchia di esponenti dei poteri forti, ingrossata da una ampia turba di nominati sempre pronti a dire sì, diventerà l’arbitro dei nostri destini. Questo si sta già in larga misura verificando, basta vedere la recente campagna elettorale fatta da Renzi, da ministri, sottosegretari, presidenti di regione e esponenti vari del sottogoverno, sempre circondanti da cercatori di commesse e prebende.
In queste ore i sostenitori del sì ci spaventano evocando i pericoli conseguenti alla vittoria del NO. In realtà, l’esistente è già orrendo ed è un’anticipazione di quanto di peggio accadrà se vince il sì. Un capo del governo nominato, non eletto dai cittadini in un’elezione generale, una Camera formata sulla base di una legge elettorale costituzionalmente illegittima (il Porcellum annullato dalla sent. n. 1/2014 della Corte costituzionale), una stampa asservita, una radioTv pubblica completamente alle mercè del capo del governo, sindaci e presidenti di regione sempre genuflessi di fronte al potere centrale: se prevarrà il sì questa tendenza all’oligarchia e all’accentramento autoritario non avrà più argini. E non è detto che domani a diventare padrone del Paese sia il segretario del PD. In Europa diventano sempre più minacciosi gli umori di una destra estrema, nemica della democrazia, che, con la Costituzione e l’Italicum voluti da Renzi, può divenire padrona assoluta del campo, con un immancabile travolgimento delle libertà e delle garanzie. Le Costituzioni e le leggi non si fanno per questo o per quel partito o leader politico, si fanno per dare equilibrio democratco al Paese, oggi e domani.
Per questo mi rivolgo a voi in amicizia per dirvi che la Sardegna e l’Italia non hanno bisogno di correre questi rischi, che bisogna riprendere, con pazienza e unità, quel cammino che, grazie alla nostra Costituzione, ci ha consentito di diventare, da un Paese rurale e arretrato, un grande Paese civile e avanzato, da una comunità di analfabeti una società di persone consapevoli. Ora dobbiamo difendere la nostra Carta poi avremo il tempo, tutti insieme, per emendarla nelle parti che risulteranno osbolete. D’altra parte, siamo cresciuti fino all’inizio degli anni ‘80 attraverso l’attuazione della Costituzioone, siamo tornati indietro man mano che, sotto la sferza del neoliberismo, i nostri partiti e i nostri governi se ne sono allontanati. Oggi Renzi, in sintonia con i poteri forti interni e internazionali, vuole adeguare la Costituzione a questa nuova realtà che taglia diritti e spazi democratici, che umilia il lavoro e lascia a spasso i giovani, che mette in pericolo la nostra democrazia. Noi non dobbianmo permetterlo. Per questo vi invito a recarvi alle urne e a votare NO.
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Impegnati per il NO. “Non stiamo votando pro o contro Matteo Renzi, ma per bloccare una riforma che potrebbe produrre condizioni molto spiacevoli per noi. Votare NO per i Sardi è l’unica scelta”
11 agosto 2017. La sorpresa dopo il SI
di Nicolò Migheli
Per fortuna era venerdì, cominciava la lunga sospensione ferragostana. A Cagliari faceva caldo, molto caldo. Quell’anno sul golfo del Leone dovevano aver montato una barriera. Il maestrale mancava dal 25 di giugno. La data la conoscevano tutti, perché è da quel giorno che si viveva dentro una cappa di umidità afosa. I cagliaritani come sempre affollavano il Poetto, chi poteva era partito o risiedeva nelle case del litorale.
Nella sede della presidenza regionale si era a ranghi ridotti, le ferie erano già cominciate. Però il presidente era lì, con i collaboratori definiva gli ultimi impegni prima delle vacanze. Squillò il telefono. «Presidente, ho in linea la segreteria del Presidente del Consiglio» «Me la passi» nel contempo fece cenno ai suoi collaboratori di lasciare la stanza. «Presidente Pigliàru, buon giorno» «Pìgliaru, prego…» Rispose il presidente, rassegnato al fatto che dopo tanti anni nessuno oltre Tirreno azzeccasse una volta l’accento. La voce femminile all’altro capo del filo tradiva imbarazzo.
« Mi scusi ancora una volta presidente, è che i vostri accenti sono difficili per noi; mi scusi ancora, le passo il presidente» Una musichetta d’attesa per pochi secondi e poi: «Francesco ciao, come va?» «Va che siamo alle solite Matteo, mi avevi promesso più Canadair ed invece ce ne hai lasciato solo uno» «Non ti preoccupare arriveranno anche gli altri, certo che se i pecorai abbandonassero il vizio di dar foco alle ^ampagne la sarebbe tutta più facile»
«Ancora con questa storia Matteo, e poi dove sono finiti tutti quei milioni che ci avevi promesso prima del referendum? Qui me li chiedono tutti ed io non so più che dire» «Arriveranno France’ arriveranno, l’è che in questo momento abbiamo un po’ di difficoltà, le solite cose: i mercati, la situazione internazionale, e poi lo sai anche tu, Trump ha diminuito il suo impegno con la NATO; in Europa si è deciso di aumentare il budget per la difesa, dobbiamo raggiungere il 2% del PIL entro il 2020, non è facile, ma li avrete quei finanziamenti. Però dai, con la riforma costituzionale sei diventato senatore, non ti va bene?»
«Certo, però non mi sono dato da fare per il SI solo per questo, è perché nella riforma ci credo veramente, anche se non lo sono diventato di fatto per via dell’adeguamento dello statuto» «È nostro interesse che la procedura costituzionale sia la più veloce possibile, però ti chiamavo per un motivo ben preciso, è correttezza istituzionale che tu sia il primo a saperlo, non vorrei che la notizia tu l’abbia ad apprendere da un lancio di agenzia o da un tweet di qualche gola profonda.» Renzi si interruppe, poi misurando le parole:
«Come saprai il comitato scientifico e la Sogin hanno scelto il sito per il Deposito Unico sulle scorie nucleari…» «Cosa stai per dirmi…» Il presidente alzò il tono della voce, non era sua abitudine ma lo fece. «Ti sto dicendo che per al Sardegna si presenta una opportunità unica, investimenti per miliardi di euro, un centro ricerca internazionale, un futuro non più legato solo ad una economia di pecorai»
«E dove vorreste farlo questo sito che ci farà diventare tutti ricchi?» Sibilò il presidente con una vena di sarcasmo: «La Sogin ha scelto il sito di Òttana… » «Ottàna..» replicò Pigliaru sempre più stizzito.
«Si certo Ottana, lontano dal fiume però, nella zona industriale, e poi un altro investimento consistente nel porto di Arbatax per il deposito provvisorio, una strada veloce che unisca l’Ògliastra al sito scelto. Ottana poi è a due passi da Màcomer, lì c’è l’esercito, è vicina a Nuòro dove possiamo mettere un altro distaccamento militare nelle vecchie caserme dell’artiglieria, il sito è strategico, dobbiamo militarizzarlo per forza. Però è una opportunità, ne converrai.»
Il presidente si vide nel bilico di un precipizio, il mondo che gli cadeva addosso. Mai avrebbe immaginato di trovarsi in una situazione simile, i suoi consiglieri avevano sempre minimizzato, anzi escluso che quel deposito si dovesse realizzare in Sardegna, una scelta antieconomica dicevano. Come aveva fatto a fidarsi di quel politico solo promesse ed accenti sbagliati?
Tossì, si riprese, e poi con tono duro: «Matteo, fino a prova contraria siamo ancora una regione autonoma, le competenze sull’ambiente sono nostre. Aspettati una opposizione in tutte le sedi, questo lo devi sapere fin d’ora» «Ma perderete» replicò sornione Renzi. «Questo si vedrà!»
«Perderete, perché ti vorrei ricordare che con la riforma è entrata in vigore la clausola della supremazia che invalida ogni altra decisione, perché è in ballo l’interesse nazionale e poi è cambiato il contesto costituzionale, ciò che valeva prima del 4 di dicembre oggi non ha più senso. L’è tutta un’altra roba.»
«No Matteo! Non posso accettare una simile imposizione, già sopportiamo un carico senza pari di servitù militari ed ora ce ne imponi un’altra che durerà secoli!» «Ma è una opportunità anche per voi, la devi vedere con questa ottica.» Rispose Renzi suadente
«In Sardegna scoppierà una rivolta, tu e il tuo partito non prenderete più un voto!» «Dappertutto in Italia sarebbe così, ma voi siete solo il 2,6% del corpo elettorale, non sarà una gran perdita, e poi quando arriveranno i dindi, perché come dicono da noi: “Senza dindi ‘un se lallera”, vedrai che ti faranno un monumento. Voi sardi siete in stato di bisogno e come tutti sensibili ai finanziamenti.» «Ci sentiremo nelle sedi opportune.»
Francesco Pigliaru posò violentemente il telefono, chiamò i suoi collaboratori e raccontò di quel colloquio, concluse con: «Quando la notizia sarà pubblica, cercheremo di impugnare in tutte le sedi quel dictat, so anche che sarà molto difficile vincere, se non impossibile. Nel tempo vedremo come agire, cosa fare.» «Ho fatto bene a votare NO. Te l’avevo detto che questa riforma sarebbe stata per noi una fregatura» interloquì uno dello staff.
«Forse sarà così, a suo tempo però sembrava utile per l’Italia e la Sardegna.» Replicò il presidente sempre più angosciato.
È solo un raccontino fantapolitico di tardo autunno, ma anche una possibilità reale se domenica 4 dicembre dovesse vincere il SI. Per correttezza bisogna aggiungere che anche oggi con la costituzione vigente, è possibile che la Sardegna venga scelta come sede del DUdSN. Ora però è più facile agire contro una decisione simile e bloccarla. Mi scuso con il presidente Francesco Pigliaru se nel testo ho dovuto citarlo con il suo nome e cognome, ma usare uno pseudonimo sarebbe stato inutile, sarebbe stato riconosciuto comunque.
Non credo che questa distopia indurrà chi ha già deciso per il si a votare NO, però mi rivolgo agli incerti, non stiamo votando pro o contro Matteo Renzi, ma per bloccare una riforma che potrebbe produrre condizioni molto spiacevoli per noi. Votare NO per i Sardi è l’unica scelta.
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Francesco Pigliaru, ti accuso davanti al popolo sardo di alto tradimento e di attentato allo Statuto speciale, perché tu, sostenendo il sì, apri la porta all’aggressione contro l’autonomia della Sardegna
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Caro Pigliaru,
l’altro giorno la Boschi in Sardegna ha confermato, puoi negarlo?, che le regioni ordinarie vengono piallate con la clausola di supremazia speciale e l’assegnazione allo Stato di materie vitali per ogni comunità, quali le infrastrutture strategiche, l’ambiente, le fonti energetiche. Tu ben sai cos’è la clausola speciale di prevalenza. E’ la previsione che il governo, proprio così il governo!, possa avocare allo Stato materie attribuite dalla Costituzione alle Regioni quando ritenga che lo richieda l’interesse nazionale. Ora, tu dirai, questo è ragionevole. Ma lo è meno, anzi è insensato, se pensi che questo interesse nazionale è un concetto labile e scivoloso. Chi stabilisce se esso effettivamente esiste o se è un pretesto per togliere la competenza alla Regione? Lo è, dice la deforma Renzi-Boschi, sol che il governo lo affermi! Ed è una qualificazione insindacabile, perché l’interesse nazionale è concetto così fumoso da non poter essere sindacato neppure dalla Corte costituzionale. E allora, tradotto dal giuridichese, questa clausola di prevalenza azzera le autonomie regionali, riducendole a grandi municipi, perché elimina la garanzia costituzionale delle competenze regionali. E intacca l’art. 5 della Costituzione che dice che “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali…“, perché evidentemente non garantisce e promuove le autonomie regionali una revisione che mette in balia del governo centrale perfino la competenza legislativa delle Regioni. E poi l’accentramento dell’ambiente e delle grandi infrastutture o la materia energetica vuol dire che, se il governo decide lo stoccaggio delle scorie nucleari nelle miniere sarde, lo Stato potrà farlo senza intesa con la Regione, e così, senza intelocuzione con la Regione, potrà incidere sul nostro ambiente naturale, potrà disporre trivellazione e simili scempi. Proprio l’altra sera a S. Antioco, nel corso di un dibattito, abbiamo ricordato che il Tar Sardegna ha bloccato l’installazione di un potente radar nell’Isola perché il ministero, accampando l’interesse nazionale, aveva deciso unilateralmente di piazzarlo, senza tener conto dell’interesse della popolazione alla tutela della salute e senza rispettare l’ambiente in una zona con protezione speciale. Se vince il Sì questo domani il governo potrà farlo e non ci sarà alcuna tutela, non ci sarà alcun Tar a garanzia dei diritti della popolazione.
Caro Pigliaru, la Boschi a Cagliari ha anche detto che la deforma non mette in discussione le Regioni speciali, ma, udite! udite!, “prevede che anche queste debbano fare uno sforzo di modernizzazione e accettare le sfide del cambiamento“. Ora, siccome la modernità per la Boschi e per Renzi è segare le autonomie regionali e locali per accentrare, il messaggio è abbastanza chiaro e terribile. Attraverso l’intesa gli Statuti speciali devono essere modificati in modo da renderli simili alla disciplina delle Regioni ordinarie. D’altronde, tutti i commentatori fanno notare l’anomalia di un ordinamento generale in cui le Regioni ordinarie vengono ridimensionate e quelle speciali rimangono com’erano. L’accentramento non può soffrire eccezioni e, dunque, anche gli Statuti speciali dovranno essere ridimensionati con l’intesa delle Regioni. Del resto – chiedi conferma a Demuro – soffia in Italia un forte vento contro le Regioni speciali, e non da oggi, da molte parti se ne chiede la soppressione. Se passa il sì e vengono ridimensionate le Regioni ordinarie, il prossimo bersaglio saranno quelle speciali, che sole e isolate, non potranno che soccombere.
Caro Pigliaru, tu però opponi l’intesa e lasci intendere che questa ci sarà solo se l’autonomia sarda non verrà ridotta. Ma come crederti, se non hai perso occasione per mostrarti ossequioso rispetto a Renzi e al governo nazionale, in questa campagna referndaria di attacco duro al regionalismo del nostro ordinamento? No, tu non sei credibile perche in questa vicenda hai tradito la tua alta funzione di rappresentante di tutti noi. Non ti contesto ovviamente di avere un’opinione sul referendum, quandomai!, ti contesto il diritto e l’opportunità di partecipare a manifestazioni propagandistiche per il sì, mentre tu e ancor prima il capo del governo da questa partita referendaria dovevate tenervi fuori ed essere solo garanti del regolare e paritario svolgimento del confronto. Tu in questo modo hai cessato di essere il mio presidente, mio in quanto sardo, pur non condividendo la tua totale incapacità ed inerzia politica, e sei diventato il presidente del PD, ossia di una parte largamente minoritaria dei sardi.
Caro Francesco, nella franchezza che ha sempre caratterizzato i nostri rapporti e per la lealtà dovuta a tutti i sardi/e, a seguito delle tue prese di posizione sull’autonomia sarda, ti accuso di alto tradimento dei sardi e di attentato allo Statuto speciale, che, se dio non voglia, passerà lo scasso Renzi-Boschi-Verdini, sarà immediatamente aggredito da tutte le forze che hanno votato il sì e che non potranno tollerare questa evidente anomalia dell’esistenza di Regioni speciali nel deserto del regionalismo italiano. Tu stai spalancando le porte ai nemici dell’autonomia sarda, del popolo sardo, anzi ne sei diventato un nemico tu stesso, da primo difensore che dovevi e devi esserne. E poi tu tradisci anche l’insegnamento de nostri padri dell’autonomismo da Gramsci, a Lussu fino a un tal Antonio Pigliaru, che ha scritto pagine mirabili, ripendendo l’insegnamento gramsciano, nel lavoro: L’autonomia come riforma democratica dello Stato e della sovranità e come momento di estinzionea democratica dello Stato, (“Democrazia e Diritto”,n. .2, aprile – giugno, 1963). In questo scritto Antonio Pigliaru vede nelle autonomie un modo concreto di riduzione democratica dello Stato, un ridimensionamento dell’apparato centralistico a vantaggio delle Regioni, tu invece, con Renzi-Boschi-Verdini, vedi in essa un intralcio al comando statale e ti batti per una forma di neoaccentamento antiquato e pericoloso. Non so che altro dirti. Spero che i sardi sommergano te e gli altri con una valanga di
NO.
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Cagliari: 300 donne lanciano un appello per il NO. Crescono le adesioni
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- Il NO di Stefano Puddu Crespellani su il manifesto sardo.
E’ online il manifesto sardo 227
Il numero 227 de il manifesto sardo è online.
Il sommario
Non una di meno (Cristina Ibba), La Costituzione nelle mani di Barbara D’Urso (Ottavio Olita), Ancora sulle ragioni del NO (Roberto Mirasola), L’economia è un mezzo verso un fine e non un fine in sé (Gianfranco Sabattini), Fronte Indipendentista Unidu: NO al rafforzamento centralista dello Stato coloniale (Red) Aids, Lila Cagliari celebra Giornata Mondiale di Lotta (Red), Lo studio restituito agli esclusi (Gianfranca Fois), Boschi: lo Statuto sardo non si tocca! (Francesco Casula), Eus nau ca NO. Tra le mille ragioni del NO dei sardi alla Riforma costituzionale (Claudia Zuncheddu), Incendi in Sardegna: il telerilevamento funziona o no? (Sefano Deliperi), Le reti tagliate di Capo Frasca (Luigi Piga), Yemen, Presidio contro la guerra (Re) Andrea Pubusa sfida Pigliaru a un pubblico confronto (Red), La riforma costituzionale e la politica del caviale (Raffaele Deidda).
Un NO di Stefano Puddu Crespellani.
Oggi domenica 4 dicembre 2016 * Impegnati per il NO
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Cari studenti miei, cari lavoratori, cari amici democratici…
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.