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La QUESTIONE GIOVANILE e la SINISTRA
DOSSIER LA QUESTIONE GIOVANILE E LA SINISTRA de il manifesto
Con questo articolo di Piero Bevilacqua il manifesto aprì una campagna di discussione sui problemi delle giovani generazioni. Seppure risalente a due anni fa lo ripubblichiamo insieme con un altro interessante intervento di Tonino Perna. Ambedue gli interventi in massima parte mantengono una straordinaria validità.
Se la sinistra non trova le nuove generazioni
I nostri ragazzi. Negli ultimi 10 anni le tasse universitarie sono salite del 63%, in Danimarca, Norvegia, Germania ci si laurea gratis. Le borse di studio sono crollate del 7,5%, i posti di dottorato scesi del 19%
di Piero Bevilacqua
au il manifesto online (4.11.2014)
Dobbiamo a un valente demografo, Massimo Livi Bacci, una circostanziata analisi della questione giovanile in Italia alla vigilia della Grande Recessione (Avanti giovani alla riscossa, Il Mulino, 2008). Lo studioso mostrava come la fascia di popolazione tra i 15 e 30 anni viveva una condizione di emarginazione sociale che la distingueva tra i paesi dell’Europa a 15. I giovani italiani, ad esempio, dipendevano per il 50% dal reddito della famiglie, contro il 30% della media europea. Gli adulti in Italia guadagnavano in media 2,8 volte il reddito dei giovani, contro 2,5 volte in Francia, 1,9 volte in Germania.
Ma in generale i nostri ragazzi risultavano più indietro nel completamento degli studi, nel trovare occupazione, metter su casa, formare una propria famiglia. In sintesi, il grado di autonomia, la capacità di emancipazione e di libertà individuale della gioventù italiana apparivano inferiori a quella di gran parte dei coetanei europei per quasi tutti gli indici presi in esame. E quell’analisi non scendeva alla più basse fasce d’età. A metà anni ’90 i bambini italiani sotto la linea mediana ufficiale della povertà rappresentava il 21,3% del totale, terzi dopo USA (26,3%) e Russia (21,3) (The Dynamics of Child poverty in industrialised Countries, Cambridge 2001). Piazzamento davvero onorevole.
Ricordo questi dati – cui sono seguite e continuano a seguire altre importanti ricerche come il Rapporto dell’Istituto G.Toniolo, La condizione giovanile in Italia, il Mulino 2013 – per sventare in anticipo una manipolazione consueta: quella di rappresentare un grave problema strutturale come esito transitorio della “crisi” degli ultimi anni. E’ evidente invece che la condizione di emarginazione della nostra gioventù precede la crisi, è l’esito aggravato di un corso politico che dura da decenni, alla cui base c’è una cronica disoccupazione e la sempre più dispiegata precarizzazione del lavoro. Alla falange dei giovani che negli ultimi decenni accedevano alle prime occupazioni si è parato dinanzi una crescente mancanza di sbocchi e la strada stretta di una legislazione sempre più svantaggiosa ed emarginante. Sicché non stupisce se la disoccupazione giovanile tocca oggi il picco del 44%, mentre il numero di giovani tra i 15 e i 24 anni che non lavorano, non studiano, non seguono corsi formazione (Neet) hanno raggiunto il primato europeo del 22,25%. Con la crisi la divaricazione generazionale è solo aumentata: gli over 65 sono diventati più ricchi, quelli sotto i 40 ancora più poveri.
Forse però questi dati non dicono ancora la grande novità storica: la classe dirigente anziana che detiene il potere, da anni sta muovendo una vera e propria lotta di classe contro la gioventù del nostro paese. Padri e nonni ricchi contro figli e nipoti poveri, o precari e subalterni. Essa surroga sempre più il welfare pubblico con la famiglia, i diritti universali con il familismo. Quando, ovviamente, la famiglia non è anch’essa povera… Lo fa con gli strumenti del governo, attraverso il ceto politico, e direttamente nelle istituzioni pubbliche e nei luoghi di lavoro privati. Pochi dati da aggiungere a quelli più noti, inflitti dalla “legislazione di guerra” dell’ultimo governo Berlusconi-Tremonti, e poi proseguita dagli altri esecutivi. Negli ultimi 10 anni le tasse universitarie sono cresciute del 63%, mentre in Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia, Germania ci si laurea gratis. In compenso le borse di studio sono crollate al 7,5 %, a fronte di uno studente su tre della Francia. Anche i posti di dottorato, già scarsi, sono diminuiti del 19%.
Nel frattempo si rende sempre più estesa la pratica del numero chiuso per gli accessi alle facoltà universitarie, si sbarra la strada all’istruzione con una giungla di norme e di vessazioni, con lo scopo di ricostituire una Università di élite, gettando negli occhi dell‘opinione pubblica il fumo del merito e dell’eccellenza. Ma ciò che sfugge a ogni statistica è il dilagare del lavoro non pagato: nelle fabbriche si diffondono gli “stages gratuiti”, nelle scuole i supplenti giovani spesso non ricevono gli stipendi o li ricevono con enormi ritardi, ma stanno al gioco con il fine di “fare punteggio”.
Nell’Università non si conta più il lavoro volontario degli aspiranti ricercatori che sperano in un assegno di ricerca o in un concorso a venire. Negli studi degli avvocati e in tante altre attività professionali i giovani lavorano per anni senza reddito, per “imparare il mestiere”. E la pratica dei master a pagamento, che promettono carriera e posti di lavoro, rasenta in tanti casi la truffa. Dove domina il “libero mercato” chi è già incluso e organizzato tende a togliere spazi a chi arriva.
Dovrebbe dunque essere chiara l’enormità economica, politica, umana della questione giovanile in Italia, articolazione generazionale della disuguaglianza strutturale creata dalle pratiche neoliberistiche in tutto il mondo.Incarnazione e insieme causa ed effetto del nostro declino. Almeno due generazioni stanno letteralmente andando perdute, consumeranno la loro gioventù tra lavori intermittenti, disoccupazione, attese, frustrazioni, scarso reddito, impossibilità di progettare alcunché. Il nostro paese sta rinunciando all’energia vitale, alla creatività, capacità di lavoro e di progetto della sua scarsa riserva demografica. Scarsa, perché i giovani sono una minoranza: poco più di 10 milioni tra i 20 e i 34 anni al censimento del 2011, a fronte di quasi 49 milioni e mezzo del totale. Tutto questo mentre ci assorda la retorica sulla necessità della competizione, della valorizzazione del “capitale umano”, sulla crescita, e le altre fuffe che la miserabile cultura capitalistica dei nostri anni riesce a elaborare.
Ora, io credo che la questione giovanile costituisca una straordinaria occasione politica per la sinistra e una leva potente per invertire il declino. Alle retoriche del governo e sue adiacenze si può contrapporre un vero e proprio programma per la gioventù, quale parte di un progetto per l’intero paese. La prospettazione di una serie di obiettivi che possano mobilitare il consenso e anche l’entusiasmo giovanile, oggi sommerso sotto una montagna di delusioni e rancore. Non si tratta solo di rivendicare il reddito minimo di base, che comporta rilevanti impegni di spesa, ma anche di puntare a iniziative legislative “minori”, che possano ricreare un clima di fiducia tra la politica – che è cosa diversa dalla propaganda elettorale – e le nuove generazioni.
Perché, ad esempio, non consentire ai nostri ragazzi, entro una determinata fascia di età, sconti importanti per l’ingresso ai teatri, ai musei, per l’acquisto di libri, per la mobilità?
Perché non creare un fondo di garanzia che consenta l’apertura di mutui da parte delle banche alle giovani coppie che non possono contare su un reddito continuativo e sicuro?
Perché non aprire un campagna per la costituzione di nuove case per gli studenti (utilizzando caserme o altri stabili dismessi), la diffusione sul territorio di asili nido che aiuterebbero tanto le giovani coppie a cercare e mantenere un lavoro?
Sono solo esempi di quel che si può proporre, di quel che si può fare per attivare la fantasia dei diretti interessati, che devono uscire dalla loro rassegnata frantumazione e porsi come soggetto consapevole di una ripresa della lotta di classe in quanto generazione e aggregato sociale.
Ma per intestarsi questa battaglia la sinistra radicale e popolare, deve riprendere il passo che ha perduto in questi ultimi tempi: deve “andare” dai giovani, davanti alle fabbriche, alle scuole, alle università, ovunque si trovino. Deve andare adesso, non alla vigilia delle elezioni, per fare eleggere qualche pur bravo candidato. Deve riacquistare il gusto di organizzare persone e lotte. E’ questo il terreno su cui movimenti e figure politiche, oggi variamente collocate, possono trovare il punto sperimentale di aggregazione che tutti attendiamo.
E’ una strada drammaticamente obbligata. Renzi e i suoi non sposteranno di un centimetro il piano inclinato in cui l’Italia va precipitando. Preparano solo gli strumenti politici per controllare la disgregazione sociale che sta dilagando nel paese.
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Giovani e sud, elogio del posto fisso
Tonino Perna
su il manifesto online (6.11.2014)
L’articolo di Piero Bevilacqua (pubblicato il 5 novembre scorso sul manifesto) sulle nuove generazioni apre un dibattito di grande rilevanza che non si può fermare alla denuncia, ma spero contribuisca a delineare delle linee politiche di intervento. In questa direzione vorrei offrire un contributo che parte dall’area del nostro paese dove è più grave la condizione giovanile.
Il Mezzogiorno è oggi una grande riserva di forza-lavoro congelata, inutilizzata, destinata al macero, come per molto tempo sono state le arance, le clementine, i pomodori.
Una condizione che ricorda da vicino quella categoria del «pauperismo» definito da Marx come «il peso morto dell’esercito industriale di riserva», che si traduce oggi, nel XXI secolo, in una condizione paragonabile a quella di una «riserva di indiani» nel nord America, dove impera l’alcol ed i casinò, ma la cultura locale, l’identità, le aspettative di riscatto sono state cancellate.
È noto che in Italia su circa 2,3 milioni di giovani “neet” (not employment, education, training) circa due terzi risiedono nel Sud. Meno noto è il fatto che molti giovani meridionali sono stati costretti dalla Lunga Recessione a ritornare nel paesello natio dopo aver sperimentato lavoro precario ed alti costi di inurbamento nel Nord-Italia. Così come molte giovani coppie sono state costrette dalla crisi a lasciare le città meridionali per tornare al paese del padre o del nonno dove possono usufruire di una casa in proprietà, e magari un appezzamento con animali (galline, maiali, ecc.). Non c’è niente di bucolico o romantico in queste scelte ma una dura necessità di sopravvivenza. Perfino nelle Università meridionali troviamo oggi giovani che sono tornati dalle più prestigiose università del Centro-Nord perché i genitori non li potevano più mantenere. Ancora di più sono gli studenti che si iscrivono in alcune università del Mezzogiorno per necessità in quanto i genitori non si possono permettere di mantenerli «fuori».
ELOGIO DEL POSTO FISSO
Sembra siano passati secoli da quando, negli anni ’70, i giovani del nostro Sud gridavano nei cortei «lottare per restare e restare per lottare». Era molto di più di uno slogan, era una prospettiva di vita e di impegno sociale e culturale, una fede nella possibilità di cambiare la società, un atto di amore per la propria terra. Una spinta vitale che ha prodotto lotte sociali, che è confluita in una ribellione inedita contro la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra, che ha costruito tante iniziative nel sfera del sociale, della cultura, dell’economia solidale.
Chi resta oggi nel Mezzogiorno lo fa o perché ha un lavoro (una esigua minoranza) o perché è costretto. Sono giovani carichi di rabbia e frustrazione che in maggioranza hanno votato per Grillo e Renzi, che non gliene frega niente dell’art. 18 , che vivono la loro disperazione in solitudine, che non credono più a niente. Una condizione estrema che ormai colpisce quasi un giovane su due e che meriterebbe una risposta politica adeguata.
C’è un solo modo, una sola politica che possa fare uscire immediatamente una parte dei giovani meridionali dalla «riserva», che gli possa dare un’alternativa di vita e di lavoro. Si chiama posto pubblico. Una bestemmia, lo so, dopo decenni in cui è stato propagandato il mito della mobilità del lavoro come valore, dell’inventarsi un lavoro, dell’essere imprenditori di se stessi, del dipendente pubblico come un parassita.
MA QUAL È L’ALTERNATIVA?
L’ideologia neo liberista, di cui Renzi è un paladino, sostiene che i posti di lavoro si possono e si debbano creare solo dando incentivi alle imprese, e riducendo la spesa pubblica. Ma in tutti i paesi in cui questa ricetta è stata applicata ne è risultato un aumento dei posti di lavoro precari e sottopagati, mentre sono peggiorati tutti i servizi pubblici con danno grave per la maggioranza della popolazione. Inoltre, le imprese private possono assumere nuovi giovani solo se c’è una domanda crescente in quello specifico settore economico.
Per esempio l’hanno già fatto nei call center, con salari da fame, stress micidiali e precarietà assoluta, avevano creato fino a cinque anni fa quasi 80.000 nuovi posti di lavoro. Poi, hanno scoperto che era meglio far svolgere questo servizio in Albania o in Romania, con salari ancora più bassi e condizioni di lavoro estreme.
PROPOSTE CREDIBILI E IMMEDIATE
Pertanto, se è vero che la condizione giovanile nel Mezzogiorno è disperata, come sostengono tutti gli analisti e gran parte delle forze politiche, allora diciamo basta con il lamento e proviamo a dare delle risposte credibili ed immediate.
Se pensiamo che gli 80 euro distribuiti a chi aveva già un lavoro ed un reddito inferiore ai 1500 euro costano al bilancio dello Stato circa 10 miliardi l’anno, e non creano un solo posto di lavoro in più, allora diciamo che con la stessa cifra si potevano e si possono creare circa 250.000 posti di lavoro a tempo indeterminato nella Scuola, Università, Sanità, trasporti locali, servizi sociali, ecc. basterebbe tagliare la spesa militare previsti per gli F35 o per qualche grande opera per trovare queste risorse, lasciando immutato il bilancio dello stato.
Con i 10 miliardi per gli 80 euro di Renzi si potrebbero creare immediatamente 250mila posti di lavoro nei servizi pubblici
Si tratta semplicemente di riprendersi una parte dei 450.000 posti di lavoro cancellati nella Pubblica Amministrazione bloccando il turnover negli ultimi sei anni.
Se la Cgil e la Fiom volessero davvero diventare un punto di riferimento per i giovani meridionali inoccupati, precari, sottopagati, dovrebbero aprire una seria vertenza con il governo – a partire dal prossimo sciopero generale – chiedendo che vengano ripristinati questi posti di lavoro che sono oggi assolutamente necessari per avere una Scuola decente, una Università dove si investa sui giovani ricercatori e docenti, il ripristino delle ferrovie e del trasporto pubblico nelle aree esterne all’asse Milano-Napoli, servizi sociali per gli inabili, i non autosufficienti, anziani, ecc.
Il vecchio, famigerato, posto fisso nella Pubblica Amministrazione, che intere generazioni di meridionali hanno sempre sognato per i propri figli, è oggi una necessità – per avere servizi essenziali dignitosi – e anche una opportunità. Non solo per rispondere al bisogno impellente di occupazione stabile, ma perché ci potrà essere una rinascita del nostro Sud solo se Stato ed Enti Locali saranno in grado di offrire servizi che in parte sono stati privatizzati e devono tornare sotto l’egida pubblica, anche perché costano meno di quelli privati!
Certo, nella Pubblica Amministrazione, specie nel comparto delle strutture regionali, ci sono sacche di parassitismo che possono e devono essere rimosse. Ma, non è più accettabile la criminalizzazione del pubblico impiego, dove esistono soggettività che si spendono per il bene comune, spesso marginalizzate e penalizzate. E senza servizi pubblici efficienti non ci può essere nessuna ripresa economica, ma solo nuove ondate migratorie.
Questo non significa non battersi per una riduzione dell’orario di lavoro, un reddito minimo garantito ai giovani inoccupati, come sostiene da tempo Piero Bevilacqua, o spendersi per un piano di salvaguardia dal dissesto idrogeologico, o rinunciare all’indispensabile riconversione ecologica della nostra struttura produttiva (Guido Viale), o accettare che il governo Renzi tagli 8 miliardi alle regioni meridionali obiettivo 1, come ha giustamente denunciato Andrea del Monaco su questo giornale (domenica scorsa). Tutte scelte e obiettivi più che condivisibili, ma che richiedono un tempo indefinito e non rispondono al bisogno immediato di un lavoro utile e garantito.
Se un giorno risorgerà una forza politica di sinistra in questo paese senza memoria, se vorrà dire qualcosa di comprensibile ai giovani meridionali, non potrà non partire da questa proposta.
Se si vuole uscire dalla marginalità politica bisogna avere obiettivi chiari e raggiungibili nel breve periodo, all’interno di un quadro più generale di cambiamento radicale di questo modello di impoverimento sociale e culturale.
Importanti appuntamenti di oggi sabato 10 dicembre 2016
- Con e per la Sardegna. Uomini e donne di buona volontà.
- Verso la Settimana sociale promossa dalla Chiesa italiana e sarda.
- Libri. Guardando le formiche dal basso.
- Con il Festival LEI.
Oggi sabato 10 dicembre 2016
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Dopo la vittoria del NO, quale futuro per il Comitato?.
(…) Manteniamo un Comitato di scopo come è stato il comitato per il NO. Due obiettivi io vedo innanzitutto: la legge elettorale nazionale e sarda, lo sviluppo di un’azione sul lavoro in vista di una revisione del Jobs act.
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Cari amici, care amiche, cari compagni, care compagne,
Domani. Festival L.E.I. – lettura, emozione, intelligenza.
Oggi a Is Mirrionis
La Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis
Negli anni ’70 funzionò a Is Mirrionis la “Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis”, che ha consentito a centinaia di lavoratori del quartiere e del resto della città di acquisire una seria preparazione culturale, conseguendo il titolo di licenza elementare (in alcuni casi) e di media inferiore (nel maggior numero di casi). Tale circostanza ha consentito a molti lavoratori migliori prospettive di lavoro e, spesso, il proseguimento di ulteriori percorsi formativi. Questa esperienza, condotta da un gruppo di universitari e di laureati, che si poneva nella scia degli insegnamenti di don Lorenzo Milani, pensatore cattolico e animatore della Scuola Popolare di Barbiana, ha costituito un grande esempio di solidarietà sociale e di pratica di riscatto culturale dei ceti popolari che oggi sembra importante ricordare, valorizzare, riproporre nei suoi elementi fondanti di solidarietà e impegno sociale e culturale.
Su questa esperienza è stato “costruito” un libro che oggi viene presentato a Cagliari nei locali della Biblioteca L’albero del riccio di via Doberdò 101. Per gentile concessione dell’Editore La Collina di seguito riproduciamo la presentazione, a cura di Michela Caria e Laura Stochino per L’Associazione A. Gramsci Cagliari.
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Una Scuola Popolare per l’oggi
di Michela Caria e Laura Stochino
Il 25 Settembre 2014 presso la sede dell’Associazione Antonio Gramsci Cagliari in via Doberdò 101 è stata inaugurata la Biblioteca popolare L’albero del Riccio. In un’assemblea partecipata e alla presenza di tanti compagni, amici e rappresentanti delle istituzioni, nel quartiere di Is Mirrionis è stato aperto un presidio di cultura e partecipazione. Durante quel momento di incontro e di confronto con il quartiere, grazie all’intervento di Franco Meloni e Ottavio Olita, è stata raccontata la storia della Scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis. La maggior parte degli under 40 presenti all’assemblea non conosceva quell’esperienza che negli anni ’70 ha visto un gruppo di donne e di uomini deciso di mettere le proprio energie, il proprio tempo e il proprio entusiasmo al servizio della cittadinanza.
Abbiamo pensato che fosse necessario recuperare il patrimonio storico che quell’esperienza ha costituito e l’insegnamento che ancora oggi può mandare alle nuove generazioni che continuano a nutrire la stessa voglia di provare a cambiare il mondo. Per questo è iniziato un lavoro di incontro, discussione e studio, volto alla realizzazione del presente testo che per noi costituisce un punto di partenza. Partire dalla memoria di ciò che è stato, è il primo passo per proseguire un cammino, iniziato da altri di cui, anche solo in modo virtuale, vorremo essere eredi speriamo non troppo immeritevoli.
Il quartiere oggi.
Dagli anni della lotta per le ‘150 ore’ sono ormai passati quarant’anni, per molti aspetti il quartiere (compreso l’allungamento in via San Michele) è cambiato. Negli anni alle nuove residenzialità popolari come ‘via Castelli’ e ‘via Premuda’ si è aggiunta la presenza degli studenti ‘fuori sede’ e l’emigrazione dalla zone interne dell’Isola non è mai cessata. Un quartiere che rimane popolare, ma periferico e che sconta ancora le debolezze e le fragilità di tutte le zone marginalizzate delle città.
Proprio nei mesi in cui è iniziato il progetto del libro sulla Scuola Popolare, il quartiere di Is Mirrionis è stato al centro dell’attenzione della stampa principalmente a causa dei blitz della polizia contro lo spaccio di droga e per il problema delle case occupate.
Gli anni della crisi hanno coinciso con l’intensificarsi delle attività malavitose; negli ultimi due anni Is Mirrionis viene rappresentato come lo snodo cruciale dello spaccio di stupefacenti, con un’organizzazione criminale con tanto di boss, giovani stipendiati in qualità di vedette, pali e pusher e un giro di affari per milioni di euro.
Il problema dello spaccio è strettamente connesso a quello degli alloggi popolari, infatti le case “parcheggio” di via Timavo sono la base operativa in cui custodire gli stupefacenti, i proventi del loro commercio e dove si appostano le vedette e i pali. La situazione è talmente degenerata che alcuni appartamenti restano vuoti perché i beneficiari dell’alloggio preferiscono non andare ad abitare in quei palazzi dove è molto difficile vivere a stretto contatto con chi ha fatto dell’illecito la sua principale fonte di guadagno.
L’unica risposta che lo Stato riesce a fornire al dilagare del fenomeno è quella inefficace della repressione e della riduzione del problema a questione di ordine pubblico.
Per quanto questi episodi siano circoscritti, sono una spia del disagio profondo che il quartiere di Is Mirrionis continua a vivere. Ai ritardi storici si somma l’attuale contingenza di difficoltà dovuta alla congiuntura economica e la carenza di politiche nazionali e locali volte ad eliminare il gap esistente tra centro e periferie.
I dati sulla disoccupazione sono preoccupanti: solo il 30% dei residenti ha un’occupazione stabile e in particolare è il lavoro femminile a latitare. Tale indicatore conferma il disagio sociale ed economico del quartiere ed individua una comunità in cui sono presenti fasce di povertà materiale, culturale, di prospettiva, di diritti di cittadinanza.
Eppure Is Mirrionis (con San Michele) è uno dei quartiere più popolosi di Cagliari, in cui convivono diverse fasce di popolazione con esigenze, substrato economico e culturale profondamente differenti. La Circoscrizione n° 3 (Mulinu Becciu-Is Mirrionis) accoglie 27.000 abitanti circa il 17% dei cittadini di Cagliari, benché il quartiere, in linea con i dati del resto della città, continui a perdere residenti, si registra, come si accennava prima, una popolazione variegata al cui interno convivono lavoratori, studenti fuori sede e un numero sempre maggiore di immigrati (circa il 10 % dei residenti stranieri dell’intere area cittadina).
Come risulta evidente dalle interviste rilasciate sia dagli studenti che dagli insegnanti, quella della scuola popolare è stata un’esperienza cruciale che ha profondamente cambiato la loro visione del mondo, l’approccio con la realtà ed è riuscita a concretizzare le speranze e i sogni dei protagonisti.
Negli anni ’70 il titolo di studio offriva un immediato miglioramento delle condizioni materiali e quindi della vita di decine di uomini e donne. La fiducia e l’entusiasmo che si evincono dalla viva voce dei protagonisti affascinano anche a distanza di 40 anni e offrono spunti di riflessione e interrogativi che possono indicare una strada anche per il nostro presente.
Benché le condizioni storiche siano profondamente cambiate resta fermo un principio: la scuola e più in generale l’istruzione è ancora oggi un ascensore sociale. Ossia è vero che l’innalzamento del livello culturale garantisce diritti di cittadinanza e partecipazione attiva alla vita democratica. È vero anche che da quell’esperienza di militanza si sono fatti diversi passi avanti nella conquista e applicazione del diritto all’istruzione per tutte e tutti. Basterebbe citare la storia degli insediamenti scolastici proprio in questo quartiere. A partire dagli anni Ottanta sono diversi i nuovi edifici scolastici: la scuola Alagon in via Premuda (oggi in parte in via Redipuglia), la scuola elementare ‘Emilio Lussu’ in via Flumentepido, la scuola media di via Bligny e di via Meilogu, le scuole dell’infanzia di via Brianza e via Castagnevizza; presenze importanti che hanno abbattuto i numeri sulla dispersione e hanno modificato le prospettive degli abitanti dell’intera zona in un trend positivo rispetto ai dati di partenza.
Oggi nonostante il diritto all’istruzione sia assicurato, non solo a livello nazionale, ma con particolare enfasi a livello europeo, la nostra Regione si attesta come fanalino di coda per quanto riguarda gli standard di conoscenze e competenze nelle abilità di base e negli obiettivi chiave dell’Unione Europea. In particolare il nostro quartiere è quello con il maggior numero di abbandoni e dispersione della città di Cagliari dal 2014.
A questo dato corrispondono degli interventi i cui risultati dovranno verificarsi nei prossimi anni, ma che a nostro avviso rischia di compromettere ulteriormente la situazione, infatti l’invecchiamento della popolazione e la politica dei dimensionamenti scolastici ha fortemente compromesso la sopravvivenza capillare dell’istituzione scolastica (in particolare quella dell’obbligo). La tendenza già in atto è quella di accorpare tutti gli edifici in un’unica autonomia che copra i quartieri periferici di Is Mirrionis e Mulinu Becciu. A tale processo si accompagna un paradosso, infatti da un lato si prevedono ingenti quantità di denaro per mettere in piedi un ‘campus’ territoriale (linea d’intervento finanziata dall’Unione Europea) dall’altra si svuotano edifici scolastici di recente costruzione o ristrutturazione senza valutare alternative di utilizzo in campi attinenti la loro natura originale.
Negli anni abbiamo assistito all’occupazione di questi luoghi o alla loro riconversione in casa di abitazione, come se le politiche abitative potessero essere risolte a discapito dei necessari luoghi di formazione e cultura.
Ma non è la scuola l’unico settore in cui si paga il prezzo altissimo delle politiche economiche del presente, un discorso a parte meriterebbero i servizi sociali legati all’infanzia, alla terza età e alla maternità. È sufficiente affermare, in questo contesto, che negli anni alla loro riduzione è corrisposta una delega ai privati, basata sul ribasso degli appalti e sulla precarizzazione dei lavoratori occupati in questo settore. Sono passati 40 anni da quando la scuola popolare ha chiuso i battenti; nel frattempo sono state istituzionalizzate le 150 ore per il diritto allo studio ed è venuta a mancare il motivo principale della scuola. Oggi ci dobbiamo chiedere quale eredità vogliamo cogliere da quell’esperienza?
Una scuola popolare per l’oggi.
È evidente che il contesto attuale sia completamente mutato, la storia della scuola italiana dal secondo dopoguerra in poi è andata di pari passo con i modi di produzione e con le conquiste portate avanti dal movimento operaio. Un processo egemonico che è perdurato sino agli anni Novanta e ha portato grandi risultati in termini di cultura e di cittadinanza. Dalla ‘scuola media unica’ alle ‘150 ore’, un lungo percorso che ha dato agibilità ad un diritto per bambini, adolescenti e adulti in un contesto di progresso e democratizzazione che ha coinvolto i lavoratori e le lavoratrici di tutta Italia.
Si tratta di capire se oggi è ancora possibile pensare e agire con le categorie e gli obiettivi che allora mossero i promotori e attivisti della scuola popolare.
Come ha spiegato bene Claudio Pilleri nella sua tesi di laurea dedicata alla scuola popolare, i giovani che misero in campo queste attività non erano un’eccezione, in Sardegna e in Italia esistevano diverse esperienze che si proponevano lo stesso obiettivo, in questo caso specifico la formazione cattolica era accompagnata da una coscienza politica che si richiamava a Marx e a Gramsci. La società era letta in chiave marxista e la proposta educativa ricalcava la convinzione gramsciana di un’istruzione che coniugasse la cultura umanistica e quella tecnica. La scuola si arricchiva dei metodi messi a punto da Lorenzo Milani nella comunità di Barbiana: la parola e dunque la lingua come strumento di liberazione.
I lavoratori che si avvicinavano, anche se meno consapevoli politicamente, comprendevano appieno l’importanza dello studio e della sua funzione emancipatrice. Anche loro erano inseriti all’interno di quel panorama di cambiamento e modernizzazione che permetteva la legittimazione di esperienze forti e militanti come la scuola popolare dei lavoratori.
Se dunque quelli erano anni di speranze e di partecipazione, quelli che viviamo oggi sono contrassegnati dall’involuzione culturale e democratica. L’attuale legislazione scolastica (anche quella rivolta agli adulti) ricalca in pieno l’arresto di quel processo egemonico da parte delle classi subalterne. Le ultime riforme e i tagli alla spesa hanno indebolito l’offerta formativa e modificato profondamente gli obiettivi educativi. Da una scuola che tentava di abbandonare il nozionismo per insegnare ad imparare si è passati ad una scuola di ‘competenze’. Lo stesso destino è toccato alle altre agenzie formative che avevano avuto un importante ruolo nelle conquiste degli ‘anni ruggenti’ come i partiti, i sindacati e l’associazionismo democratico. Ecco perché a coloro che ci leggono potrebbe sembrare nostalgica la scelta di sostenere e promuovere come associazione culturale questo libro. Noi pensiamo invece che quella della scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis sia una storia da raccontare e da riproporre, sicuramente con modalità diverse, ma mantenendo saldo lo stesso principio di fondo: creare le condizione soggettive per la costruzione di una società giusta e democratica.
Lo stabile in cui si svolgevano le lezioni è oggi un rudere. Un blocco di cemento al centro di una piazza, inutilizzabile ed inutilizzato. Contestualmente alla redazione del libro è partita un’azione volta al recupero dello stabile e all’intitolazione della piazza, prospiciente l’edificio, alla scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis. Purtroppo la mozione non è stata presentata in Consiglio Comunale perché sullo stabile (oggi in carico ad AREA) sarebbe già pronto un progetto volto alla realizzazione di appartamenti di edilizia popolare per i disabili.
Come Associazione Antonio Gramsci abbiamo più volte chiesto che l’edificio non fosse convertito in alloggi, non perché contrari al diritto alla casa, ma perché riteniamo che sia fondamentale recuperare lo stabile e restituirlo agli abitanti di Is Mirrionis e di Cagliari nella sua funzione originaria.
Siamo consapevoli del fatto che non è nella fondazione di un ‘centro culturale’ fine a se stesso che si rimette in moto un processo ormai interrotto, siamo però convinti che non siano venute meno le diseguaglianze che mossero i protagonisti di questo libro. L’educazione (nelle sue varie forme), l’associazionismo sono ancora uno degli strumenti politici più validi.
Per noi tale conferma arriva dalla biblioteca popolare, che a poco più di un anno dall’apertura, è diventata una piccola realtà operativa e riconosciuta come presidio culturale con i suoi 4000 testi, gli oltre cento iscritti e le decine di prestiti operati nel frattempo. I fruitori sono in maggioranza persone che nel quartiere vivono e operano: dalle casalinghe agli studenti universitari fuori sede ai diversi immigrati che frequentano corsi di inserimento e apprendimento in una vicina Scuola Statale. Siamo consapevoli che sia ancora poco, una goccia che scalfisce la roccia, ma continuiamo a percorrere questa strada, insieme alle altre realtà associative presenti nel territorio.
Il lavoro sociale, politico e culturale da fare è tanto, ma goccia dopo goccia anche la pietra più dura cederà e noi non ci stancheremo di essere una delle gocce!
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LA SCINTILLA
(Aladinew https://www.aladinpensiero.it/?p=31699)
Esperienze esemplari. La Scuola Popolare dei Lavoratori del Quartiere di Is Mirrionis di Cagliari (1971-1979?)
(f.m.) All’inaugurazione della biblioteca “L’albero del riccio” del Circolo culturale Antonio Gramsci, che ha visto come ospite illustre il nipote del grande Antonio Gramsci, Antonio Gramsci jr, nel corso del breve dibattito seguito alla presentazione (a cura di Michela Caria, Alessandro Ruggeri, Irma Ibba) dopo il sindaco Massimo Zedda e l’assessore regionale alla Cultura Claudia Firino sono intervenuti Francesco Cocco, Simone Seu e Ottavio Olita. Seppure brevi, la presentazione e gli interventi, meriterebbero di essere riportati e rilanciati in un auspicabile proseguo della riflessione sui temi proposti. In certa parte, essendo stati presenti, lo faremo. Qui vogliamo riprendere una parte dell’intervento di Ottavio Olita, noto come scrittore e giornalista, tanto da non aver bisogno di presentazione. Olita nel compiacersi per l’iniziativa del Circolo Gramsci soprattutto per la scelta culturale e di impegno politico nei confronti del quartiere popolare di Is Mirrionis ha voluto riallacciarla all’esperienza della Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis, che si dispiegò dall’ottobre 1971 fino alla fine degli anni 70, quando la Scuola Popolare già aveva dato vita al Comitato di Quartiere di Is Mirrionis. Io, Franco Meloni, che di quella Scuola sono stato uno dei fondatori, oltre ad una inevitabile emozione nel ricordarla per la passione politica e le intense relazioni umane che la connotarono, nel ritrovare pertinente il collegamento fatto da Ottavio, penso che quell’esperienza debba essere rievocata, studiata, approfondita per il suo enorme valore (anche per i suoi limiti) e per gli insegnamenti che può riservarci per l’oggi. E’ un lavoro che può essere fatto a più mani e più cervelli, assumendo come base organizzativa proprio il Circolo Gramsci. A Ottavio, che fu insegnante e operatore politico culturale della Scuola, anche per la sua capacità professionale chiediamo di coordinare una ricerca, che sfoci in una pubblicazione. Ovviamente sarà l’occasione per una collaborazione di vecchi e nuovi protagonisti delle lotte sociali cagliaritane, con la partecipazione innanzitutto degli studenti lavoratori e degli insegnanti che fecerò quell’esperienza. Ne riparleremo presto.
Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis
DOCUMENTAZIONE
La tesi di laurea di Claudio Pilleri
A.A. 1981-1982, relatore prof. Giulio Angioni.
SCUOLA POPOLARE TESI (3)b (2)-2
Oggi venerdì 9 dicembre 2016 – Il giorno della Scuola Popolare di Is Mirrionis
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- La pagina fb dell’evento.
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REFERENDUM.THE LONG DAY AFTER. IN SARDEGNA
Il rimpasto non salverà il duumvirato Pigliaru-Paci. All’isola serve invece una nuova legge elettorale (ma non arriverà).
Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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Caro Pigliaru, sai cos’hai fatto? Hai invitato i sardi all’autocastrazione! Ora, ascoltami, da amico sincero, ti dico dimettiti, torna alla cattedra. Subito!
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
UOMINI e DONNE di BUONA VOLONTA’ CON e PER la SARDEGNA
SABATO 10 DICEMBRE 2016 INCONTRO “UOMINI E DONNE DI BUONA VOLONTA’ PER LA SARDEGNA”, ORE 9,30 – CAGLIARI AULA MAGNA SEMINARIO ARCIVESCOVILE – VIA MONSIGNOR COGONI, 9 (TRASVERSA VIA CADELLO) – Per ADERIRE ed INTERVENIRE telefonare a MARCO MAMELI 3477255895 o ad ANGELO CREMONE 3479369527. ADERISCI e PARTECIPA anche TU.
INTERVENGONO E PARTECIPANO
Vincenzo Migaleddu, Ottavio Olita, Massimo Dadea, Giacomo Meloni, Lidia Frailis, Marco Mameli, Salvatore Lai, Angelo Cremone, Alessandra Seu, Antony Muroni, Ennio Cabiddu, Don Angelo Pittau, Don Antonio Mura, Marco Manca, Paolo Porcina, Virna Pruna, Tiziana Frongia, Marco Ligas, Riccardo Piras, Vito Biolchini, Carlo Vincenzo Monaco, Franco Meloni, Dino Deriu, Efisio Pilleri, Mario Rocca, Michele Pipia, Piero Marcialis, Rinaldo Crespi, Piero Loi, Enrico Lobina, Antonello Carai, Perdu Pietro Solinas, Marianna Pilleri, Paola Lai, Francesca Monni, Giancarlo Ballisai, Roberto Cotti, Salvatore Cubeddu, Gianni Loy, Mario Carboni, Mario Origa, Mario Puddu, Teresina Perra, Andrea Ardillo, Giuseppe Carboni, Salvatore Sardu, Danilo Scintu, Riccardo Schirò, Teresa Piras, Antonio Muscas, Stefania Adamu, Carlo Porru, Alberto Sanna, Emilio Floris, Hanri Caruso, Simone Spiga, Fabio Argiolas, Giuseppe Pisano, Giampaolo Marras, Costantino Murgia, Graziano Pintori, Laura Scintu, Roberto Frongia, Debora Locci, Bonny Peluffo Giua, Nico Palmas, Samuele Mereu, Ponziana Ledda, Fernanda Sau Tanas, Piero Ligas, Fabbrizio Murgia, Giancarlo Manca, Valerio Manconi, Paolo Zedda, Giuseppe Perra, Giovanni Columbu, Roberto Mirasola, Pietrino Murrighine, Piero Pili, Igor Melis, Valter Erriu, Elisa Muntoni, Giovanni Muntoni, Spano Roberto, Bustianu Cumpostu, Joan Oliva, Doddore Meloni, Cristiano Sabino, Gianni Sarais, Vincenzo Di Dino, Roberto Copparoni, Claudia Zuncheddu, Paolo Longoni, Carmelo Gesuino Mura, Elio Maccioni, Bruno Calabrò, Anselmo Loddo, Giorgio Lai, Domenica Pinna, Claudio Zuddas, Giorgio Muscas, Vincenza Medda, Padre Salvatore Morittu, Laura Cadeddu, Fernando Codonesu, Gigi Marotto, Gianfranco Bitti.
Prosegue il Festival L.E.I. – lettura, emozione, intelligenza.
Compagnia B presenta
Festival L.E.I. – lettura, emozione, intelligenza.
(COMUNICATO STAMPA) Oggi, giovedì 8 dicembre, con inizio alle ore 17, all’Auditorium Comunale di Cagliari Alessandra Ballerini, avvocato civilista specializzato in diritti umani e immigrazione terrà un incontro dal titolo Dalla parte degli ultimi. Libro di riferimento: La vita ti sia lieve. Storie di migranti e altri esclusi. A seguire, alle 18, lo scrittore Maurizio Pallante, presidente dell’Associazione Movimento per la Decrescita Felice, per parlare di nuovi paradigmi di pensiero, per un progetto di economia che predilige il benessere individuale sulla ricchezza economica, a vantaggio della sostenibilità e della solidarietà. Libro di riferimento: Destra e sinistra addio. Per una nuova declinazione dell’uguaglianza. La giornata sarà chiusa alle ore 19 dalla lectio magistralis del filosofo Ermanno Bencivenga dal titolo Libertà positiva e negativa.
Il programma completo è consultabile sul sito www.leifestival.com
Comitato Sardo per il NO nel referendum costituzionale. Continuare nell’impegno militante per l’attuazione della Costituzione e per un Nuovo Statuto Sardo.
Carissimi amici e compagni
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Con l’incontro di ieri 7 dicembre all’Hostel di Marina di Cagliari (gustatevi al riguardo le belle foto di Renato Nunziacarta d’Ascanio Ticca: https://www.facebook.com/renato.dascanio/media_set?set=a.10211222411144986.1073742624.1499874862&type=3&pnref=story, che ringraziamo) si chiude una fase della nostra storia di Comitato Sardo per il NO. Chiudiamo con una strabiliante Vittoria e non aggiungiamo altro perché quasi tutto è stato detto e altro diremo. Non sappiamo se o come continuare. Lo decideremo senza fretta nei prossimi giorni… tranquilli: dopo la meritata sosta per le Festività. C’è molta voglia di continuare su un meraviglioso programma: quello della nostra Costituzione e per un nuovo Statuto Sardo ! Vedremo come. Intanto questa nostra mail non vi romperà più o forse cambierà solo nome.
Potete seguire il dibattito che proseguirà con rinnovato impegno nei nostri siti amici, dei quali per almeno tre consentiteci una menzione speciale (senza voler far torto a tutti gli altri):
- il manifesto sardo: http://www.ilmanifestosardo.it
- Democraziaoggi http://www.democraziaoggi.it
- Aladinews: https://www.aladinpensiero.it
Infine e senza ancora una volta far torto a molti, consentiteci di unirci ai ringraziamenti alla Confederazione Sindacale Sarda (CSS) e il suo segretario nazionale Giacomo Meloni, che insieme all’ANPI e a tante altre Organizzazioni (ANPPIA, Giustizia e Libertà, CIDI, ecc) hanno consentito la vita del nostro Comitato e per quanto ci riguarda lo svolgimento efficace della nostra funzione di responsabili della comunicazione.
Con affetto e ottimismo della volontà: Buone, Sante, Giuste e Serene Festività a tutti.
Saludos a totus e… a prestu!
Franco Meloni e Roberto Loddo
Oggi giovedì 8 dicembre 2016
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I cazzari del Sì
Francesco Cocco su Democraziaoggi
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Matteo, da rottamatore a rottamato
Carlo Dore jr. su Democraziaoggi
“Guardando le formiche dal basso”
L’associazione Eutropia presenta:
“Guardando le formiche dal basso”
Partecipano:
l’autore Roberto Paracchini
Susanna Orrù
Bepi Vigna
Introduce e presenta Annamaria Baldussi
Sabato dalle ore 19:00 alle ore 21:00
Circolo “La Marina – T. Sankara”
Via Napoli 62, Cagliari
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Tredici storie che possono anche essere lette come tredici capitoli di un libro “aperto” che racconta l’imprevedibilità e il fascino misterioso della vita quotidiana, spesso in bilico tra realtà e irrealtà. Il tutto in un imprevedibile che a volte si trasforma in favola dai toni chiaroscuri e delicati, sino ad arrivare a un mondo in cui tutto scompare e riparte nelle storie vissute (o inventate), o in cui i tempi dell’esistenza si miscelano tra loro, o l’amore diventa la cifra per risolvere strani enigmi. Guardando le formiche dal basso è come un acquerello che intreccia colori e sfumature con esiti mai scontati.
Ogni racconto ha come titolo una parola, in genere ma non sempre un oggetto della vita quotidiana, come per evidenziarne la ricchezza simbolica ed espressiva; spesso le storie sono contaminate da elementi legati a conoscenze scientifiche, ma non in termini di divulgazione scientifica, bensì di suggestione letteraria. Ogni racconto può avere diversi registri di lettura (sembrare un giallo o una storia d’amore o un gioco a incastri, o un racconto fantasy, solo per fare alcuni esempio). Il linguaggio è apparentemente semplice, in realtà molto ricercato ma senza staccarsi dal linguaggio di tutti i giorni. Ogni racconto presenta, però una sua cifra stilistica capace di far entrare il lettore in mondi sconosciuti e intriganti in cui la realtà difficilmente è quella che sembra e in cui ogni storia ne apre altre. Guardando le formiche dal basso è come un puzzle nello stesso tempo frivolo e intenso, e di godibile lettura.
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Impegnati per il NO e oltre il NO
Comitato Sardo del NO nel referendum costituzionale
Cagliari – Nota Stampa 7.12.2016
Andrea Pubusa – coordinamento Comitato Sardo del NO – Cagliari
Introducendo l’assemblea del Comitato per il NO all’Hostel Marina, Andrea Pubusa ha dichiarato:
Abbiamo concluso con un successo superiore alle aspettative una campagna referendaria dura e difficile, iniziata quasi un anno fa, nel febbraio scorso. L’abbiamo condotta senza mezzi, mossi solo dal nostra passione civile e da patriottismo costituzionale, dalla volontà di difendere con fermezza l’autonomia della Sardegna e il suo statuto speciale..
Abbiamo vinto perché abbiamo condotto una battaglia di verità e di unità contro le forze della divisione e della menzogna. Intorno a noi si sono, via via, mobilitate tante persone di buona volontà, migliaia di donne ed uomini a cui stanno a cuore i valori di libertà e di eguaglianza che la nostra Carta, frutto mirabile della Resistenza, racchiude.
Siamo stati traditi dai nostri governanti regionali, Pigliaru e Ganau prima di tutti, che, anziché difendere le istituzioni autonomistiche, per servilismo, calcolo o convenienza, hanno aperto le porte ad un attacco, mai visto prima d’ora, alle autonomie locali e regionali, e cioè ad uno dei pilastri su cui si fonda il bilanciamento dei poteri nel nostro ordinamento. Hanno accettato e sostenuto la svolta neocentralistica con la falsa argomentazione che lo Statuto è indenne dallo scasso Renzi, ma i sardi hanno capito che la compressione delle Regioni ordinarie è l’anticamera per l’aggressione alle regioni speciali e all’autonomia sarda. La Sardegna, sola e isolata, sarebbe stata facile vittima del montante spirito neocentralista.
Ora questi governanti dovrebbero dimettersi. Non basta Demuro a fare il capro espiatorio. Devono dimettersi tutti perché la sconfitta è stata per loro così grande e perentoria da mostrare che non godono ormai di nessuna fiducia del popolo sardo. L’esito del voto suona per loro come ripudio popolare.
Ora dobbiamo pensare al futuro, ad attuare innanzitutto la Costituzione e a rimettere in piedi una Regione che, a partire dalle autonomie locali, è stata sfasciata. Lo faremo con impegno, con generosità e passione civile, indicando programmi e soluzioni, con la serietà che ci ha sempre distinto.
Web: http://www.iovotono.it/
Facebook: Comitato Sardo per il No nel referendum
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Ripreso da Ansa: http://www.cagliaripad.it/news.php?page_id=40428
Foto Renato Nunziacarta d’Ascanio Ticca