Monthly Archives: dicembre 2016
La Sardegna del dopo Referendum. Incombono importanti scadenze istituzionali: come affrontarle?
Verso le elezioni politiche regionali: il metodo
di Rita Cannas*
By sardegnasoprattutto/20 dicembre 2016/ Società & Politica/
Il risultato del Referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre ha decretato la vittoria incontrovertibile del No. Vittoria straordinaria in Sardegna, con un esito referendario che è andato ben oltre le più rosee aspettative: il 72% degli elettori sardi ha respinto al mittente il tentativo di riforma della costituzione che, fra i tanti effetti deleteri, avrebbe comportato una marcata riduzione dell’autonomia regionale.
Già dalle prime battute, le analisi del voto hanno ricalcato lo stesso modello di comunicazione dominante che ha imperato durante la propaganda referendaria, secondo il quale si sarebbe trattato di vittoria o di sconfitta dei partiti. L’ombelico delle analisi elettorali è stato incentrato su di loro, e se ne sono sentite di tutti i tipi, la più esilarante delle quali è stata quella della sconfitta ribaltata in vittoria.
Questo meccanismo ha mediaticamente posto in secondo piano una realtà meno rassicurante per i partiti, ovvero: che a decidere siano stati gli elettori, in piena autonomia e non telecomandati dagli apparati elettorali delle segreterie di partito, per quanto mai sino ad oggi si sia assistito a un tale massiccio bombardamento mediatico pro-governativo. Certo, il legame tra elettori e partiti resta consistente, ma è la non centralità, o la non univocità di questo legame che è emersa come elemento più significativo dal voto del 4 dicembre.
A dimostrazione di ciò si osserva l’esperienza dei tanti Comitati per il No disseminati su tutto il territorio nazionale e regionale, sorti in forme più o meno spontanee sotto l’egida di alcune organizzazioni come l’ANPI e che si sono fortemente arricchiti su base locale con la presenza di volontari di varia appartenenza politica. Il vero collante che ha tenuto insieme persone diverse per storia personale e sensibilità politica è stata la difesa della Costituzione e, nel caso sardo, la difesa dell’autonomia.
A dispetto del massiccio spiegamento di mezzi mediatici ed economici a favore della riforma, i Comitati del no sono stati capaci di arrivare agli elettori con forme più orizzontali, esperienza che ha molto da insegnare sia ai big del marketing elettorale importati per l’occasione, sia a quanti si apprestano a calcare la scena del panorama elettorale isolano.
In altre parole, lo stesso porta a porta che ha superato le forme organizzate del consenso dei grandi partiti, dovrebbe essere al centro della riflessione sugli scenari elettorali che a breve riguarderanno lo stesso governo della Sardegna. Mai come ora la modalità di coinvolgimento del cittadino elettore determinerà non solo la forma ma soprattutto la sostanza della sua partecipazione democratica. Questo hanno chiesto i Sardi con la forza di quei no.
Assodato che in Sardegna sia tempo di costruire l’alternativa ai governi di centro-destra e centro-sinistra, ci sono lezioni che sono venute dal referendum che sarebbe bene tenere a mente:
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GIOVANI e FEDE
atei? un’indagine sorprendente
di Giannino Piana su Rocca 23/2016
Nonostante la grande difficoltà che si ha oggi ad interpretare il mondo giovanile, sia per le marcate differenze esistenti al suo interno che per la estrema mobilità che lo caratterizza, si può dire che il fenomeno della «non credenza» (o forse più radicalmente dell’«ateismo») è in esso in consistente crescita. A rilevare, con chiarezza, questo dato è una ricerca nazionale condotta di recente da Franco Garelli e pubblicata dall’editrice Il Mulino (Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio?, Bologna 2016, pp. 231) su un ampio campione di giovani dai 18 ai 29 anni, residenti nelle diverse aree geografiche della nostra penisola e appartenenti alle diverse classi sociali.
Il 28% dei giovani indagati si dichiarano infatti «non credenti» e l’aspetto più sorprendente è costituito dal tasso di accelerazione che tale fenomeno ha avuto negli ultimi anni, se si considera che l’incremento odierno è del 40% superiore rispetto al 2007, anno in cui è stata condotta, con criteri analoghi, una indagine sulla situazione religiosa in ambito giovanile. Se a questo si aggiunge che il numero dei giovani che manifestano in maniera convinta la loro fede si è ridotto negli ultimi venti anni del 30% – essi rappresentano oggi circa il 10,5% dell’intera popolazione giovanile – si ha un quadro della situazione che non può che suscitare allarme nei responsabili delle istituzioni religiose e negli operatori pastorali.
le ragioni del distacco
Il fenomeno, peraltro più contenuto rispetto ad alcune aree europee, coinvolge maggiormente le zone più avanzate del Nord e i soggetti con istruzione più elevata e riguarda – anche questo è un elemento significativo – giovani che per oltre il 90% hanno ricevuto il battesimo e fatta la prima comunione (un po’ meno la cresima) e per il 68% hanno frequentato, almeno per qualche tempo, la parrocchia e l’oratorio. Le ragioni di questo distacco, che risulta ancora più rilevante se si assomma a coloro che si professano «non credenti» il numero consistente di «atei pratici», cioè di coloro che pur dichiarandosi credenti vivono «come se Dio non esistesse», sono molte e di diversa natura. Ciò che le accomuna è tuttavia una doppia convinzione: l’impossibilità di conoscere ciò che supera la conoscenza sperimentale e la considerazione che non è necessario il ricorso a Dio per condurre una vita sensata e moralmente corretta.
Nel primo caso, ad esercitare un ruolo determinante è l’affermarsi della mentalità positivista e scientista, che induce – direbbe Gabriel Marcel – all’assunzione di un atteggiamento «problematico» con l’esclusione conseguente del «senso del mistero», che viene identificato con l’«irrazionale» o con il «magico». Nel secondo, oltre alla constatazione della scarsa testimonianza resa da coloro che si dicono «credenti», i quali ispirano spesso la loro condotta alla logica mondana, un’importanza decisiva riveste il processo di secolarizzazione, che ha reso evidente l’autonomia dell’etica dalla religione, la possibilità cioè di fondarla sulla ragione umana e perciò di condurre una vita onesta a prescindere dal riferimento religioso. In ambedue i casi ad essere messa sotto processo è la religiosità tradizionale che risulta a molti priva di una vera convinzione di fede, improntata a una visione precettistica e di facciata e basata ancora sulla immagine di un Dio giustiziere.
Ma a questi fattori che coinvolgono la significatività della fede e la sua capacità di tradursi nell’acquisizione di stili di vita umanizzanti si associano (e si assommano) fattori esterni, che hanno direttamente a che fare con il difficile rapporto con la chiesa, caratterizzato, in molti casi, da un rifiuto radicale, causato da ragioni sia ideologiche che pratiche. Alla contestazione della mediazione ecclesiale, frutto di un sentire religioso sempre più soggettivo ed autonomo, si accompagna la denuncia dell’anacronismo delle posizioni ecclesiastiche su molte questioni attuali di carattere etico – si pensi soltanto alla morale sessuale e familiare e alla bioetica – e, ancor più radicalmente, la reazione nei confronti dell’atteggiamento dogmatico, dello stretto intreccio con la politica (e con il potere in generale) e della contro testimonianza del mondo ecclesiastico: devastanti sono stati, al riguardo, gli scandali recenti provocati dal fenomeno dei preti pedofili e da Vatileaks.
Si può, in definitiva, affermare che la religione ha perso di credibilità e di funzione sociale, mentre, a sua volta, la chiesa, che registra un forte ritardo sul terreno della comunicazione, sia a causa del linguaggio arcaico della predicazione e della catechesi, sia di un vero e proprio deficit relazionale, motivato soprattutto dalla scarsa disponibilità dei sacerdoti – anche per la loro radicale riduzione numerica – a farsi trovare e ad ascoltare.
luci e ombre della situazione
In realtà, a ben vedere, l’estraneità alla fede, che i giovani non hanno oggi remore a manifestare – questo è forse uno dei motivi per cui i «non credenti» appaiono quantitativamente più numerosi del passato – è addebitabile, in ultima analisi, a un clima culturale, in cui individualismo libertario, materialismo, consumismo e logica mercantile sembrano divenuti gli unici criteri ai quali ispirare la propria condotta. Le difficoltà a vivere la fede, qualche volta persino a rendere pubblica la propria appartenenza religiosa – come osserva D. Hervieu-Léger riferendosi in particolare alla situazione francese – sono molto più accentuate che in passato. Il vangelo è oggi più che mai «segno di contraddizione»; è un messaggio controcorrente, alternativo alla logica dominante, e dunque faticoso da accettare e fare proprio, anche se grandemente liberante. Accanto alle ombre non mancano tuttavia le luci. A colpire nell’inchiesta di Garelli è, a tale proposito, la persistenza nel mondo giovanile di una consistente domanda di senso e l’ammissione da parte del 67% dei giovani interpellati che «credere in Dio» è un atteggiamento plausibile, nonché il riconoscimento che il bisogno religioso ha un carattere perenne, perché costituisce una delle risposte più autorevoli alla questione del senso. E ancora più significativa è la constatazione che la fede di quanti si definiscono credenti, lungi dal dipendere da condizionamenti ambientali o da convenzioni sociali, è la risultante di una scelta responsabile, non abitudinaria, ma radicata su convinzioni profonde, che conducono sul piano esistenziale a comportamenti maggiormente coerenti.
un nuovo modello di religiosità
La crisi della fede, d’altronde – è questo un tratto che l’analisi di Garelli non manca di rilevare – non significa abbandono di ogni forma di spiritualità, che ha tuttavia carattere eminentemente individuale e che riveste connotati strettamente immanenti, non identificandosi con il rapporto con l’Altro ma con il proprio mondo interiore. Una spiritualità, dunque, di carattere tendenzialmente orizzontale, volta a conferire armonia e benessere alla persona. A questa accezione ci si riferisce nell’inchiesta quando si parla di milieu olistico, alludendo a un contatto con il sé mediante la convergenza positiva di corpo, mente e anima. Questo giustifica anche l’accostamento alla spiritualità orientale, induista e buddista in particolare, sia pure interpretate in forme occidentali spesso vaghe e imprecise, nonché la diffusione, più in generale, di esperienze alternative, per quanto in misura ancora piuttosto ridotta.
D’altra parte, anche laddove, come in molti casi, si dà una sovrapposizione tra spiritualità e religione – quest’ultima rappresentata in primo luogo dal cattolicesimo per la persistenza piuttosto diffusa di una subcultura cattolica – l’esigenza che prevale è quella di ritagliarsi una fede su misura, rispondente alle proprie esigenze, con la tendenza perciò a vivere una credenza senza appartenenza.
Questo spiega anche come i confini tra credenti e non credenti non siano così netti; religione ed ateismo non sono categorie monolitiche e fisse, e come la spiritualità costituisca una sorta di «zona intermedia» o «terra di mezzo» tra di esse. Spiega come il mondo giovanile si presenti cioè come un mondo articolato, con una ricca gamma di posizioni intermedie e con frequenti oscillazioni tra i due poli. Ma spiega soprattutto come sussista su ambedue i fronti un senso di profonda tolleranza e di rispetto di scelte diverse e una convergenza nella critica ai modelli religiosi prevalenti e alla chiesa di cui si salvano soltanto le realtà impegnate nel sociale e nell’aiuto ai poveri.
L’indagine di Garelli non si accontenta tuttavia di descrivere la situazione presente. Lascia intravedere gli orientamenti che le diverse agenzie educative – dalla famiglia alla scuola, alla parrocchia, fino alle associazioni e ai movimenti – oggi non sempre all’altezza dei bisogni veri, devono mettere in campo, se intendono fornire ai giovani strumenti adeguati per reagire alla situazione di crisi valoriale e religiosa attuale e far maturare scelte religiose dotate di autenticità e di solidità. La posta in gioco è infatti assai alta. La fede riveste ancor oggi un ruolo di prim’ordine per la promozione della persona e per la costruzione di una società più giusta e più solidale.
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Oggi mercoledì 21 dicembre 2016
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Lotta contro la povertà? Reddito di inclusione
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
La Sardegna del dopo Referendum. Incombono importanti scadenze istituzionali: come affrontarle?
Verso le elezioni politiche regionali: il metodo
di Rita Cannas*
By sardegnasoprattutto/20 dicembre 2016/ Società & Politica/
Il risultato del Referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre ha decretato la vittoria incontrovertibile del No. Vittoria straordinaria in Sardegna, con un esito referendario che è andato ben oltre le più rosee aspettative: il 72% degli elettori sardi ha respinto al mittente il tentativo di riforma della costituzione che, fra i tanti effetti deleteri, avrebbe comportato una marcata riduzione dell’autonomia regionale.
Già dalle prime battute, le analisi del voto hanno ricalcato lo stesso modello di comunicazione dominante che ha imperato durante la propaganda referendaria, secondo il quale si sarebbe trattato di vittoria o di sconfitta dei partiti. L’ombelico delle analisi elettorali è stato incentrato su di loro, e se ne sono sentite di tutti i tipi, la più esilarante delle quali è stata quella della sconfitta ribaltata in vittoria.
Questo meccanismo ha mediaticamente posto in secondo piano una realtà meno rassicurante per i partiti, ovvero: che a decidere siano stati gli elettori, in piena autonomia e non telecomandati dagli apparati elettorali delle segreterie di partito, per quanto mai sino ad oggi si sia assistito a un tale massiccio bombardamento mediatico pro-governativo. Certo, il legame tra elettori e partiti resta consistente, ma è la non centralità, o la non univocità di questo legame che è emersa come elemento più significativo dal voto del 4 dicembre.
A dimostrazione di ciò si osserva l’esperienza dei tanti Comitati per il No disseminati su tutto il territorio nazionale e regionale, sorti in forme più o meno spontanee sotto l’egida di alcune organizzazioni come l’ANPI e che si sono fortemente arricchiti su base locale con la presenza di volontari di varia appartenenza politica. Il vero collante che ha tenuto insieme persone diverse per storia personale e sensibilità politica è stata la difesa della Costituzione e, nel caso sardo, la difesa dell’autonomia.
A dispetto del massiccio spiegamento di mezzi mediatici ed economici a favore della riforma, i Comitati del no sono stati capaci di arrivare agli elettori con forme più orizzontali, esperienza che ha molto da insegnare sia ai big del marketing elettorale importati per l’occasione, sia a quanti si apprestano a calcare la scena del panorama elettorale isolano.
In altre parole, lo stesso porta a porta che ha superato le forme organizzate del consenso dei grandi partiti, dovrebbe essere al centro della riflessione sugli scenari elettorali che a breve riguarderanno lo stesso governo della Sardegna. Mai come ora la modalità di coinvolgimento del cittadino elettore determinerà non solo la forma ma soprattutto la sostanza della sua partecipazione democratica. Questo hanno chiesto i Sardi con la forza di quei no.
Assodato che in Sardegna sia tempo di costruire l’alternativa ai governi di centro-destra e centro-sinistra, ci sono lezioni che sono venute dal referendum che sarebbe bene tenere a mente:
gli elettori sardi manifestano una crescente insofferenza verso i leader imposti dall’alto, selezionati all’interno di ristrette cerchie di potere. Il riconoscimento della leadership può realizzarsi solo a valle del lavoro collettivo, non gerarchico, tra soggetti diversi che operano e sono espressione di realtà territoriali diverse;
gli elettori sardi non sono più facilmente incasellabili negli schieramenti attuali. Il Referendum ha segnato un punto di non ritorno per molti di essi, specie di area del centro-sinistra, per i quali l’assalto peggiorativo alla costituzione e la presa di coscienza della necessità dell’attuazione dell’autonomia, non più ritrattabile, sono diventati fattori dirimenti nelle loro future scelte elettorali;
gli elettori sardi vogliono partecipare alla costruzione del loro destino politico: lo hanno già in parte dimostrato alle passate elezioni regionali, sostenendo la formazione politica Sardegna Possibile, che proprio sulla partecipazione imperniò la propria proposta elettorale, riportando un risultato significativo. Sardegna Possibile non ottenne rappresentanza in Consiglio regionale a seguito dell’ignobile blocco orchestrato da PDL e PD che costruirono a loro misura la legge elettorale-truffa ancora in vigore;
i partiti indipendentisti o di area autonomista, unendosi per costruire il cosiddetto quarto polo elettorale, difficilmente raggiungerebbero da soli i numeri per governare. Guardando ancora a quanto di positivo ha proposto la scorsa tornata elettorale, il successo espresso dalla terza formazione politica isolana venne non solo da elettori già schierati di area indipendentista, ma anche dai tanti che scelsero la prospettiva critica della non-dipendenza (oggi declinata in autogoverno), attratti dai contenuti innovativi della proposta e dal metodo partecipativo.
A chiusura di questo intervento, si vuol porre l’accento su un paio di considerazioni: la prima, mutuabile dal mondo scientifico, è che come la scienza progredisce per processi di accumulazione del sapere, così in politica si migliora facendo tesoro delle esperienze positive già sperimentate, al netto dei loro immancabili limiti.
Il metodo per una reale alternativa a modelli fossilizzati di governo è nella partecipazione, inclusiva, orizzontale, diffusa, predisposta da chi è capace di ascolto. Per favorire e realizzare la partecipazione è necessario, per esempio, spostare l’asse dai “dibattiti” programmati con relatori-mummia che si concedono sul finale dando il contentino a quei pochi fortunati che riescono ad esprimersi, alle forme che permettano l’incontro e lo scambio effettivo tra le persone.
Un altro tassello metodologico riguarda i luoghi: la partecipazione va favorita su tutti i territori, non solo sui centri più abitati, o su quelli che fanno eco a un qualche richiamo identitario. Mai come ora è necessaria la ricomposizione della frattura tra aree metropolitane, aree interne e isole minori, perché la Sardegna è fatta di ogni sua parte. L’alternativa si costruisce sul riconoscimento del bisogno all’ascolto e sulla stessa capacità d’ascolto.
L’auspicio è che il metodo partecipativo, la costruzione e la tessitura di relazioni orizzontali, l’emersione di leadership a valle dei processi di ascolto dei vari detentori di competenze diffuse, la condivisione delle idee, lo sforzo verso l’inclusione degli elettori sempre più emarginati da sistemi elettorali truffaldini, diventino in misura crescente patrimonio comune tra coloro che agiscono per l’autogoverno della Sardegna.
*Ricercatrice. Università di Cagliari
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I “Diritti Fondamentali” vengono prima del “pareggio di bilancio”
Sentenza della Corte Costituzionale: i “Diritti Fondamentali” vengono prima del “pareggio di bilancio”
La sentenza appena emessa dalla Corte Costituzionale nei confronti della Regione Abruzzo è destinata a far storia per quanto riguarda anche l’assetto della nostra Costituzione.
di Antonello Tinelli su L’Opinione pubblica.
Con la sentenza n.275/2016, in merito ad una controversia tra Regione Abruzzo e Provincia di Pescara per quanto concerne il servizio di trasporto scolastico dei disabili, la Corte ha riconosciuto che le garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere condizionato da motivi di bilancio.
Nella fattispecie, la Regione Abruzzo aveva negato in parte il finanziamento del 50% per il servizio trasporto degli studenti disabili alla Provincia di Pescara, in quanto l’articolo 6 comma 2-bis della legge regionale n.78 del 1978, aggiunto all’art.88 comma 4 del 2004, preveda l’erogazione “nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa”.
Nella dichiarazione di illegittimità della suddetta legge, la Consulta scrive:
11.− Non può nemmeno essere condiviso l’argomento secondo cui, ove la disposizione impugnata non contenesse il limite delle somme iscritte in bilancio, la norma violerebbe l’art. 81 Cost. per carenza di copertura finanziaria. A parte il fatto che, una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali, è di tutta evidenza che la pretesa violazione dell’art. 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio, sia con riguardo alla Regione che alla Provincia cofinanziatrice. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione.
La sentenza conferma ciò che da anni economisti e giuristi affermano inascoltati: la costituzionalizzazione (Governo Monti) del dogma liberista del pareggio di bilancio, e l’approvazione dei Trattati di Maastricht e Lisbona, si pongono in antitesi con i diritti fondamentali della nostra Carta costituzionale che pone l’economia al servizio dell’interesse pubblico.
Dopo la schiacciante vittoria del NO al Referendum, e alla luce della sentenza della Corte, le forze politiche che si sono battute per salvare la Costituzione dalla deforma Boschi-Renzi-Napolitano, dovrebbero iniziare una seria battaglia parlamentare al fine di abrogare l’attuale articolo 81.
Solo così, la Costituzione potrà ritornare a garantire integralmente i diritti sociali del popolo italiano.
I “Diritti Fondamentali” vengono prima del “pareggio di bilancio”
Sentenza della Corte Costituzionale: i “Diritti Fondamentali” vengono prima del “pareggio di bilancio”
La sentenza appena emessa dalla Corte Costituzionale nei confronti della Regione Abruzzo è destinata a far storia per quanto riguarda anche l’assetto della nostra Costituzione.
di Antonello Tinelli su L’Opinione pubblica.
Con la sentenza n.275/2016, in merito ad una controversia tra Regione Abruzzo e Provincia di Pescara per quanto concerne il servizio di trasporto scolastico dei disabili, la Corte ha riconosciuto che le garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere condizionato da motivi di bilancio.
Nella fattispecie, la Regione Abruzzo aveva negato in parte il finanziamento del 50% per il servizio trasporto degli studenti disabili alla Provincia di Pescara, in quanto l’articolo 6 comma 2-bis della legge regionale n.78 del 1978, aggiunto all’art.88 comma 4 del 2004, preveda l’erogazione “nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa”.
Nella dichiarazione di illegittimità della suddetta legge, la Consulta scrive:
11.− Non può nemmeno essere condiviso l’argomento secondo cui, ove la disposizione impugnata non contenesse il limite delle somme iscritte in bilancio, la norma violerebbe l’art. 81 Cost. per carenza di copertura finanziaria. A parte il fatto che, una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali, è di tutta evidenza che la pretesa violazione dell’art. 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio, sia con riguardo alla Regione che alla Provincia cofinanziatrice. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione.
La sentenza conferma ciò che da anni economisti e giuristi affermano inascoltati: la costituzionalizzazione (Governo Monti) del dogma liberista del pareggio di bilancio, e l’approvazione dei Trattati di Maastricht e Lisbona, si pongono in antitesi con i diritti fondamentali della nostra Carta costituzionale che pone l’economia al servizio dell’interesse pubblico.
Dopo la schiacciante vittoria del NO al Referendum, e alla luce della sentenza della Corte, le forze politiche che si sono battute per salvare la Costituzione dalla deforma Boschi-Renzi-Napolitano, dovrebbero iniziare una seria battaglia parlamentare al fine di abrogare l’attuale articolo 81.
Solo così, la Costituzione potrà ritornare a garantire integralmente i diritti sociali del popolo italiano.
Antonello Tinelli
“Solidarietà e rivoluzione delle coscienze”, giovedì 22 dicembre presentazione del Dossier Caritas 2016
Giovedì 22 dicembre 2016 alle ore 16.30 nella sala convegni del CIS (viale Bonaria) a Cagliari, sarà presentato il Dossier 2016 della Caritas diocesana di Cagliari “Solidarietà e rivoluzione delle coscienze. Agire nella carità per superare l’emarginazione, tutelare la dignità umana e promuovere la pace”.
Durante la presentazione verranno forniti i dati 2016 riguardanti le problematiche della povertà e verrà effettuata l’analisi dei bisogni rilevati sul territorio attraverso i Centri d’ascolto della Caritas diocesana, strumenti privilegiati di incontro e di osservazione del disagio. Il bilancio dell’attività svolta dai servizi della Caritas diocesana durante l’anno sarà collocato all’interno del più ampio contesto diocesano e regionale.
Il Dossier contiene inoltre una serie di approfondimenti tematici sull’immigrazione, sui giovani, sul lavoro, sulla finanza etica, sul terzo settore, finalizzati a suggerire chiavi di lettura a tutte quelle realtà che quotidianamente sono impegnate in questi settori.
Dopo i saluti delle autorità, interverranno alla presentazione: mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari, don Marco Lai, direttore della Caritas diocesana, Francesco Manca, responsabile Centro studi della Caritas diocesana.
“IMMIGRATI e LAVORO”
Domani mercoledì 21 dicembre, dalle ore 9:30, alla Biblioteca regionale in viale Trieste n.137 a Cagliari si svolgerà un seminario regionale dal titolo “IMMIGRATI E LAVORO”.
L’iniziativa è promossa, nell’ambito del progetto FORIMM, dalla Regione Autonoma della Sardegna in partenariato con CISV Sardegna, CRENOS (Università di Cagliari), Confartigianato, Associazione ALPO – Alleviare La Povertà, Associazione Quisqueya, Associazione Singh Sabha, Associazione FouduDia.
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La Sardegna e i migranti: le politiche europee, le proposte delle realtà locali
Oggi, martedì 20 dicembre, alle 9.00 all’Hotel Regina Margherita di Cagliari, un convegno dal titolo La Sardegna e i migranti: le politiche europee, le proposte delle realtà locali. L’evento ha un duplice obiettivo, comprendere cosa fanno l’Unione Europea e le istituzioni regionali in tema migrazione e cercare di trovare delle proposte operative sul tema dell’integrazione, anche attraverso l’ascolto delle storie di immigrati che in Sardegna sono riusciti a inserirsi e a trovare la propria strada.
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Oggi martedì 20 dicembre 2016
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Confesso: credo ai complotti, anche a quello di Renzi
Amsicora su Democraziaoggi.
Se provassimo a parlare di immigrazione e di migranti rovesciando il problema e parlando, così, di noi? Provando a rivendicare il diritto ad essere più umani o ‘di nuovo’ umani? Proviamo a rovesciare l’angolo prospettico, il punto di osservazione. Forse in fin dei conti la questione dell’immigrazione, a pensarci bene, visto da quella angolazione non esiste
In spiaggia a Pula e di immigrazione
di M.Tiziana Putzolu
By sardegnasoprattutto/ 19 dicembre 2016/ Culture/
L’estate appena trascorsa arrivo alla spiaggia de ‘Su Conventeddu’ a Pula che è un sabato mattina di fine luglio. E’ abbastanza presto. Il mare è calmo e, neppure a dirsi, bellissimo. Con la mia amica troviamo spazio in un angolo della piccola spiaggia. Niente ombrellone, solo due asciugamani stesi sulla sabbia ancora umida della rugiada della notte appena trascorsa. Piano piano iniziano ad arrivare altri bagnanti. E la spiaggia inizia a riempirsi. Forse saranno state le undici quando una famigliola cerca di trovare uno spazio proprio vicino a noi.
Puntano l’ombrellone a fianco. Posano sedie varie e borsoni intorno. Ci circondano con bambini festanti. Stendono asciugamani fino a sfiorare i miei piedi (a chi non è capitato?). Ci alziamo garbatamente e ci mettiamo sul bagnasciuga, in piedi. Sento alle mie spalle il marito che dice alla moglie forse ci siamo messi troppo vicini. E sento la moglie che risponde al marito chi se ne frega, del resto queste non sono neppure di Pula. Ci guardiamo in faccia, con la mia amica. Sorridiamo. Poi ci facciamo un lungo bagno.
Come quando quell’uomo vide la mela che cadeva dall’albero e pensò all’attrazione terrestre penso, molto, molto più modestamente, che un banale atto di maleducazione può rovesciare la prospettiva dalla quale guardare ed analizzare alcune questioni. Come la questione dell’immigrazione. Mi rendo conto infatti in quel momento di essere una migrante, a Pula. Una migrante temporanea, una migrante turistica, non una migrante economica e neppure richiedente asilo politico. Però una migrante.
Del resto sono una migrante secondo le definizioni dell’Istat, poiché non sono nata in Sardegna e quindi sono per la statistica una “migrante interna”. Sono una immigrata perché non sono cagliaritana di origine, ho vissuto nella Sardegna centrale. Chi non è di Cagliari sa quanto è difficile l’integrazione tra i cagliaritani (se esistano davvero non so ancora). Se mi guardo intorno vedo tra i miei amici e conoscenti solo migranti ed immigrati della mia fattispecie.
Con questa suggestione cerco di guardare ai dati relativi all’immigrazione in Sardegna che sto analizzando. Penso che a guardare fino in fondo, i limiti e le definizioni giuridiche, i confini territoriali sono messi lì da teorie elaborate per tentare di spiegare la complessità con argomentazioni deterministiche. Immigrati europei (anche quelli in area Schengen sono da considerarsi immigrati, secondo tali suddivisioni), ed immigrati extraeuropei (tutti gli altri).
Categorie del pensiero e non della realtà, quella che l’astronauta ci mostra dallo spazio. Una palla tonda che confina con l’infinito. Un altro e più alto dei punti di vista. Penso che il pensiero della delimitazione territoriale, la ri-costruzione ideologica del confine ci sta accompagnando lentamente verso un nuovo Medioevo. Fino alla rivendicazione di diritti di proprietà di un angolo di spiaggia per appartenenza comunale.
Viviamo con uno smartphone perennemente tra le mani a verificare ogni tre secondi se nuovi amici immaginari si sono connessi con noi da qualche parte del mondo terreno ma viviamo separati dalla sottile linea di un fiumiciattolo che per secoli divide paesi confinanti e che per secoli non si guardavano che da lontano. E si temevano. O si combattevano. La barriera, il ponte levatoio, il confine è tra noi. Sappiamolo.
Il fatto tremendamente serio, molto serio, è che questo modo di pensare è comune tra i giovanissimi. Non è colpa loro. I libri di testo dei nostri ragazzi insegnano che la Francia confina a nord a sud ad est ed ad ovest con altri stati. Che esiste l’economia della Basilicata, della Sardegna o della Liguria quando al massimo esistono le produzioni locali.
L’economia è globale, come la finanza che ridisegna il capitalismo ma chi scrive i libri di testo scolastici ci tiene a sottolineare che i confini amministrativi sono anche confini economici e politici. I bambini possono imparare l’inglese fin dalla scuola materna per poter viaggiare da grandi ma a Londra quelli che pensano di essere ancora nel Commonwealth hanno votato la Brexit pur avendo la City.
I nostri figli vengono adulti con l’idea che possono giocare con la Playstation con altri ragazzi in contemporanea in ogni parte del mondo seduti dentro un’unica stanza virtuale, ma sappiano che se vanno a Pula superano il confine della valle del Cixerri e sono considerati migranti.
Ma si da il fatto che non siamo più nel Medioevo. Oggi i nostri umani confini possiamo dialogarli con una astronauta che gira per mesi intorno alla terra e ci dimostra quanto grande è la tecnologia e quanto piccolo è il nostro pianeta. Soprattutto, a grande distanza, senza confini.
Se provassimo a parlare di immigrazione e di migranti rovesciando il problema e parlando, così, di noi? Provando a rivendicare il diritto ad essere più umani o ‘di nuovo’ umani? Proviamo a rovesciare l’angolo prospettico, il punto di osservazione. Forse in fin dei conti la questione dell’immigrazione, a pensarci bene, visto da quella angolazione non esiste.
Non esiste come questione in sé, come problema a sé stante, politico, giuridico, economico ma solo come tema del vivere umano. Da non dover necessariamente analizzare, sviscerare, comprendere nelle sue parti sezionate, nella cui scomposizione la parte più semplice si può vedere al microscopio fino al livello deterministico, oggettuale, più semplice rispetto alla grande complessità nella quale è immerso il tema. Semplicemente perché siamo tutti immigrati. O migranti. Anche in spiaggia a Pula.
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Gli immigrati cosiddetti regolari in Sardegna sono 47.425, dei quali 25.808 donne e 21.617 uomini. Sono aumentati, rispetto all’anno precedente, di 2.346 unità, meno che negli anni precedenti. Il 52,6% (cioè 24.986 persone) degli immigrati proviene dall’Europa (sia come Unione europea che come Continente Europeo). Di tutta la componente europea 17.225 sono donne. Di queste 13.340 provengono dall’EU 28, delle quali 9.183 dalla Romania.
Incidono per il 2,9% sulla popolazione sarda e sono lo 0,9% di tutti gli stranieri residenti in Italia. Le quattro principali nazionalità presenti sono la Romania (13.550), il Marocco (4.390), il Senegal (4.211) e la Cina (3.208). Gli immigrati sono concentrati nella provincia di Cagliari (15.724), in quella di Olbia Tempio (11.826), in quella di Sassari (8.982), in quel di Nuoro (3.916), Oristano (2.892), Carbonia Iglesias (1.859), Medio Campidano (1.859) e Ogliastra (919).
*Per gli approfondimenti: Dossier Statistico Immigrazione 2016, IDOS.
**Lettura consigliata: Andrew Sullivan, Per tornare umani, Internazionale n. 1183, 8/15 dicembre 2016
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“Naufragium feci, bene navigavi”
“SIAMO TUTTI NAVIGANTI, E IL NAUFRAGIO CI AIUTA A CRESCERE”, DICE A POPSOPHIA REMO BODEI
Data pubblicazione: 11/07/2015
di Giovanna Renzini su POPSOPHIA
Stimolato da Umberto Curi, il noto filosofo ha ripercorso varie teorie sul tema, a partire dall’ossimoro di Erasmo da Rotterdam “Naufragium feci, bene navigavi”
PESARO – Rispetto alla navigazione, che è la filosofia, il naufragio (amoroso, individuale, sociale, ecc.) non è un passaggio negativo ma un elemento necessario, poiché solo attraversando questa esperienza, che rappresenta di fatto il cambiamento, si può davvero crescere. E’ il pensiero di molti filosofi che, a partire dall’ossimoro latino tramandato da Erasmo da Rotterdam ed interpretato da Nietzsche e Schopenhauer, “Naufragium feci, bene navigavi” (“Quando ho fatto naufragio, allora ho ben navigato”) hanno fatto arrivare fino a noi le loro teorie. Proprio su questo aspetto si è concentrata a POPSOPHIA la “Lectio Pop” di Remo Bodei, uno dei massimi filosofi italiani e organizzatore del Festival della Filosofia di Modena, incalzato da un altro grande filosofo, Umberto Curi, da sempre attento al rapporto tra filosofia e contemporaneità.
“Questa idea del naufragio – ha detto Remo Bodei – ha nel mondo antico un punto chiave, il secondo libro del De Rerum Natura di Lucrezio, secondo il quale è consolatorio osservare da terra il naufragio di altri, non per il desiderio del male altrui ma perché ci fa sentire al sicuro. Una visione fortemente contrastata da Hegel secondo il quale guardare il naufragio degli altri sulla sponda dell’egoismo vuol dire sottrarsi alla dinamica della storia, che richiede di gettarsi nelle contraddizioni del mondo”. Come sottolineato dal filosofo Umberto Curi, quella del viaggio è una delle metafore ricorrenti per descrivere l’esperienza filosofica. “La tradizione del viaggio infinito, del naufragio felice, la ritroviamo in tutta la letteratura filosofica moderna, che incoraggia l’andare nella direzione di una ricerca”.
“Il distacco da qualsiasi terraferma – ha aggiunto Bodei – è ben presente in Pascal, che diceva ‘siete imbarcati’ per evidenziare che non c’è più terraferma e che ci troviamo su orbite libere. In effetti noi siamo continuamente in viaggio, l’esperienza umana è legata al viaggio della vita, anche la terra è in continuo movimento. Siamo tutti naviganti più o meno inconsapevoli, anche se stiamo sulla terraferma”.
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È dolce, quando sul vasto mare i venti turbano le acque, assistere da terra al gran travaglio altrui, non perché sia un dolce piacere che qualcuno soffra, ma perché è dolce vedere di quali mali tu stesso sia privo. È dolce anche vedere i grandi scontri di guerra schierati nella pianura senza che tu prenda parte al pericolo. Ma nulla è più dolce che tenere saldamente gli alti spazi sereni, fortificati dalla dottrina dei sapienti, da dove tu puoi stare a guardare dall’alto gli altri, e osservarli errare qua e là e cercare smarriti la via della vita, gareggiare in qualità intellettuali, contendere in nobiltà di sangue e sfarzosi di notte e giorno, con instancabile attività, per arrivare ad una grande ricchezza e impadronirsi del potere. O misere menti degli uomini, o ciechi animi! In quali tenebre di vita e in quanti pericoli si trascorre questo poco di vita, qualunque essa sia! E come non vedere che la natura null’altro pretende per sé, se non che in quanto al corpo il dolore sia lontano, e in quanto all’anima goda di piacevoli sensazioni, priva di affanni e di timori?
Vediamo dunque che alla natura del corpo sono affatto necessarie poche cose, che tolgano il dolore, in modo che possano offrirci anche molti piaceri. Può essere talora più gradito, però la natura di per sé non lo richiede, se in casa non ci sono statue dorate di giovani che leggono con le destre fiaccole luminose, perché sia fornita la luce al notturno banchetto, e se la casa non sfavilla d’argento, né risplende d’oro, né le cetre fanno risuonare i soffitti a cassettoni e dorati, mentre tuttavia sdraiati fra amici sulla tenera erba, accanto a un ruscello, sotto i rami di un alto albero senza grandi spese ristoriamo il corpo piacevolmente, soprattutto quando il tempo sorride e la stagione cosparge di fiori le verdeggianti erbe. Né le ardenti febbri si allontanano più rapidamente dal corpo se ti agiti tra coperte ricamate e la rosa porpora che se si deve dormire con una misera coperta. Dunque poiché i tesori, la nobiltà, la gloria del regno non sono di vantaggio al nostro corpo, quanto al resto, bisogna pensare che non giovino neppure all’animo; a meno che, per caso, quando tu vedi ondeggiare le tue legioni negli spazi della pianura movendo finte battaglie rafforzate da grandi truppe ausiliarie e dal vigore della cavalleria equipaggiate di armi e parimenti animate, o quando tu vedi la flotta agitarsi febbrilmente e spiegarsi al largo, allora, sgomentate da queste cose, le paura religiose fuggono pavide dal tuo animo e i timori della morte lascino allora il petto sgombro e sciolto da affanni.
Ma se vediamo che queste cose sono ridicole e degne di scherno e che i timori degli uomini e le angosce, che non ti lasciano mai, non temono il risuonare delle armi o i dardi incalzanti, ma con audacia si aggirano in mezzo ai re e ai potenti né riveriscono il folgore che proviene dall’oro né il chiaro splendore della coperta purpurea, come dubiti che questo potere sia completamente della ragione, tanto più che tutta la vita si affanna nelle tenebre? Infatti come i fanciulli tremano e nelle cieche tenebre temono tutto, così noi, alla luce, temiamo talvolta cose che non sono per niente da temere più di quelle che i fanciulli temono nelle tenebre e si immaginano che accadranno. Pertanto questo terrore dell’animo e le sue tenebre è necessario che li rimuovano non i raggi del sole né i luminosi dardi del sole, ma l’osservazione razionale della natura.
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Suave, mari magno turbantibus aequora ventis
e terra magnum alterius spectare laborem;
non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,
sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest.
Suave etiam belli certamina magna tueri
per campos instructa tua sine parte pericli;
sed nihil dulcius est, bene quam munita tenere
edita doctrina sapientum templa serena,
despicere unde queas alios passimque videre
errare atque viam palantis quaerere vitae,
certare ingenio, contendere nobilitate,
noctes atque dies niti praestante labore
ad summas emergere opes rerumque potiri.
O miseras hominum mentes, o pectora caeca!
Qualibus in tenebris vitae quantisque periclis
degitur hoc aevi quod cumquest! nonne videre
nihil aliud sibi naturam latrare, nisi ut qui
corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur
iucundo sensu cura semota metuque?
Ergo corpoream ad naturam pauca videmus
esse opus omnino: quae demant cumque dolorem,
delicias quoque uti multas substernere possint.
Gratius inter dum, neque natura ipsa requirit,
si non aurea sunt iuvenum simulacra per aedes
lampadas igniferas manibus retinentia dextris,
lumina nocturnis epulis ut suppeditentur,
nec domus argento fulget auroque renidet
nec citharae reboant laqueata aurataque templa,
cum tamen inter se prostrati in gramine molli
propter aquae rivum sub ramis arboris altae
non magnis opibus iucunde corpora curant,
praesertim cum tempestas adridet et anni
tempora conspergunt viridantis floribus herbas.
Nec calidae citius decedunt corpore febres,
textilibus si in picturis ostroque rubenti
iacteris, quam si in plebeia veste cubandum est.
Quapropter quoniam nihil nostro in corpore gazae
proficiunt neque nobilitas nec gloria regni,
quod super est, animo quoque nil prodesse putandum;
si non forte tuas legiones per loca campi
fervere cum videas belli simulacra cientis,
subsidiis magnis et ecum vi constabilitas,
ornatas
[fervere cum videas classem lateque vagari]
his tibi tum rebus timefactae religiones
effugiunt animo pavidae mortisque timores
tum vacuum pectus lincunt curaque solutum.
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Lucrezio: il proemio del libro II del “De rerum natura” ( VV.1-61)
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Mostra di Licia Lisei
La Sardegna e i migranti: le politiche europee, le proposte delle realtà locali
Domani, martedì 20 dicembre, alle 9.00 all’Hotel Regina Margherita di Cagliari, un convegno dal titolo La Sardegna e i migranti: le politiche europee, le proposte delle realtà locali. L’evento ha un duplice obiettivo, comprendere cosa fanno l’Unione Europea e le istituzioni regionali in tema migrazione e cercare di trovare delle proposte operative sul tema dell’integrazione, anche attraverso l’ascolto delle storie di immigrati che in Sardegna sono riusciti a inserirsi e a trovare la propria strada.
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Oggi lunedì 19 dicembre 2016
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Cari Pigliaru e Ganau, che furboni!, con questa legge elettorale rischiate di far scomparire il PD dal Consiglio regionale
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
XXX Marcia per la Pace, giovedì 29 dicembre a Cagliari
PROGRAMMA
Ore 15,00 Raduno nel Sagrato della Basilica di Bonaria
Preghiera introduttiva guidata dal Sua Ecc.za Mons. Roberto Carboni e da Sua Ecc.za Mons. Giovanni Paolo Zedda
Partenza della Marcia che seguirà il seguente percorso: Viale Diaz, Via Roma, Viale Trieste, Piazzale Trento.
Messaggi:
• Saluto del Sindaco Massimo Zedda
• Saluto di S.E. Mons. Arrigo Miglio
• Saluti dei rappresentanti delle Istituzioni
• Saluti del delegato regionale Caritas don Marco Lai
• Saluti di alcuni rappresentanti del Comitato Promotore
• Testimonianza Don Maurizio Patriciello
• Messaggio dei Giovani
• Conclusione di don Angelo Pittau
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Oggi domenica 18 dicembre 2016
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Giornata Internazionale del Migrante: due proposte
di Peppe Sini su Democraziaoggi.
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Quel NO che ha salvato la speranza
Domenico Gallo dal sito del Coordinamento democrazia costituzionale, ripreso da Democraziaoggi.