Monthly Archives: novembre 2016
Oggi lunedì 28 novembre 2016
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Letture della Costituzione: “Antifascismo, Resistenza, Costituzione”
Oggi, lunedi 28 novembre, lo storico Claudio Natoli dell’Università di Cagliari parlerà di ‘Antifascismo, Resistenza e Costituzione: tra passato e presente’, nell’ambito delle Letture della Costituzione, organizzate dall’ANPI di Cagliari e dal Comitato Sardo per il NO, in vista del Referendum di dicembre. Sempre all’Hostel Marina, Scalette S. Seplocro, ore 17,30. Coordina Gianna Lai, introduce Marco Sini. L’intervento del professor Natoli conclude le nostre ‘Letture della Costituzione’, in tutto nove incontri a scadenza settimanale, svoltisi tra i mesi di ottobre e di novembre.
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Caro Pigliaru, poveri noi nella palude del PD sardo!
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Università della Sardegna – Università di Cagliari
LUNEDI’ 28 NOVEMBRE INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO 2016/17
Nel 396° anno dal Privilegio Regio di Fondazione si terrà lunedì 28 novembre a partire dalle 15.15 nell’Aula Magna del Rettorato (via Università 40, Cagliari) la solenne cerimonia di inaugurazione dell’Anno accademico 2016/17.
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Is Mirrionis è anche questo!
La Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis
Negli anni ’70 funzionò a Is Mirrionis la “Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis”, che ha consentito a centinaia di lavoratori del quartiere e del resto della città di acquisire una seria preparazione culturale, conseguendo -in alcuni casi- il titolo di licenza elementare e –nel maggior numero di casi- di media inferiore. Tale circostanza ha consentito a molti lavoratori migliori prospettive di lavoro e, spesso, il proseguimento di ulteriori percorsi formativi. Questa esperienza, condotta da un gruppo di universitari e di laureati, che si poneva nella scia degli insegnamenti di don Lorenzo Milani, pensatore cattolico e animatore della Scuola Popolare di Barbiana, ha costituito un grande esempio di solidarietà sociale e di pratica di riscatto culturale dei ceti popolari che oggi sembra importante ricordare, valorizzare, riproporre nei suoi elementi fondanti di solidarietà e impegno sociale e culturale.
Su questa esperienza è stato “costruito” un libro che in questi giorni viene presentato in città e in Sardegna. Per gentile concessione dell’Editore La Collina di seguito riproduciamo la presentazione, a cura di Michela Caria e Laura Stochino per L’Associazione A. Gramsci Cagliari.
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Una Scuola Popolare per l’oggi
di Michela Caria e Laura Stochino
Il 25 Settembre 2014 presso la sede dell’Associazione Antonio Gramsci Cagliari in via Doberdò 101 è stata inaugurata la Biblioteca popolare L’albero del Riccio. In un’assemblea partecipata e alla presenza di tanti compagni, amici e rappresentanti delle istituzioni, nel quartiere di Is Mirrionis è stato aperto un presidio di cultura e partecipazione. Durante quel momento di incontro e di confronto con il quartiere, grazie all’intervento di Franco Meloni e Ottavio Olita, è stata raccontata la storia della Scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis. La maggior parte degli under 40 presenti all’assemblea non conosceva quell’esperienza che negli anni ’70 ha visto un gruppo di donne e di uomini deciso di mettere le proprio energie, il proprio tempo e il proprio entusiasmo al servizio della cittadinanza.
Abbiamo pensato che fosse necessario recuperare il patrimonio storico che quell’esperienza ha costituito e l’insegnamento che ancora oggi può mandare alle nuove generazioni che continuano a nutrire la stessa voglia di provare a cambiare il mondo. Per questo è iniziato un lavoro di incontro, discussione e studio, volto alla realizzazione del presente testo che per noi costituisce un punto di partenza. Partire dalla memoria di ciò che è stato, è il primo passo per proseguire un cammino, iniziato da altri di cui, anche solo in modo virtuale, vorremo essere eredi speriamo non troppo immeritevoli.
Il quartiere oggi.
Dagli anni della lotta per le ‘150 ore’ sono ormai passati quarant’anni, per molti aspetti il quartiere (compreso l’allungamento in via San Michele) è cambiato. Negli anni alle nuove residenzialità popolari come ‘via Castelli’ e ‘via Premuda’ si è aggiunta la presenza degli studenti ‘fuori sede’ e l’emigrazione dalla zone interne dell’Isola non è mai cessata. Un quartiere che rimane popolare, ma periferico e che sconta ancora le debolezze e le fragilità di tutte le zone marginalizzate delle città.
Proprio nei mesi in cui è iniziato il progetto del libro sulla Scuola Popolare, il quartiere di Is Mirrionis è stato al centro dell’attenzione della stampa principalmente a causa dei blitz della polizia contro lo spaccio di droga e per il problema delle case occupate.
Gli anni della crisi hanno coinciso con l’intensificarsi delle attività malavitose; negli ultimi due anni Is Mirrionis viene rappresentato come lo snodo cruciale dello spaccio di stupefacenti, con un’organizzazione criminale con tanto di boss, giovani stipendiati in qualità di vedette, pali e pusher e un giro di affari per milioni di euro.
Il problema dello spaccio è strettamente connesso a quello degli alloggi popolari, infatti le case “parcheggio” di via Timavo sono la base operativa in cui custodire gli stupefacenti, i proventi del loro commercio e dove si appostano le vedette e i pali. La situazione è talmente degenerata che alcuni appartamenti restano vuoti perché i beneficiari dell’alloggio preferiscono non andare ad abitare in quei palazzi dove è molto difficile vivere a stretto contatto con chi ha fatto dell’illecito la sua principale fonte di guadagno.
L’unica risposta che lo Stato riesce a fornire al dilagare del fenomeno è quella inefficace della repressione e della riduzione del problema a questione di ordine pubblico.
Per quanto questi episodi siano circoscritti, sono una spia del disagio profondo che il quartiere di Is Mirrionis continua a vivere. Ai ritardi storici si somma l’attuale contingenza di difficoltà dovuta alla congiuntura economica e la carenza di politiche nazionali e locali volte ad eliminare il gap esistente tra centro e periferie.
I dati sulla disoccupazione sono preoccupanti: solo il 30% dei residenti ha un’occupazione stabile e in particolare è il lavoro femminile a latitare. Tale indicatore conferma il disagio sociale ed economico del quartiere ed individua una comunità in cui sono presenti fasce di povertà materiale, culturale, di prospettiva, di diritti di cittadinanza.
Eppure Is Mirrionis (con San Michele) è uno dei quartiere più popolosi di Cagliari, in cui convivono diverse fasce di popolazione con esigenze, substrato economico e culturale profondamente differenti. La Circoscrizione n° 3 (Mulinu Becciu-Is Mirrionis) accoglie 27.000 abitanti circa il 17% dei cittadini di Cagliari, benché il quartiere, in linea con i dati del resto della città, continui a perdere residenti, si registra, come si accennava prima, una popolazione variegata al cui interno convivono lavoratori, studenti fuori sede e un numero sempre maggiore di immigrati (circa il 10 % dei residenti stranieri dell’intere area cittadina).
Come risulta evidente dalle interviste rilasciate sia dagli studenti che dagli insegnanti, quella della scuola popolare è stata un’esperienza cruciale che ha profondamente cambiato la loro visione del mondo, l’approccio con la realtà ed è riuscita a concretizzare le speranze e i sogni dei protagonisti.
Negli anni ’70 il titolo di studio offriva un immediato miglioramento delle condizioni materiali e quindi della vita di decine di uomini e donne. La fiducia e l’entusiasmo che si evincono dalla viva voce dei protagonisti affascinano anche a distanza di 40 anni e offrono spunti di riflessione e interrogativi che possono indicare una strada anche per il nostro presente.
Benché le condizioni storiche siano profondamente cambiate resta fermo un principio: la scuola e più in generale l’istruzione è ancora oggi un ascensore sociale. Ossia è vero che l’innalzamento del livello culturale garantisce diritti di cittadinanza e partecipazione attiva alla vita democratica. È vero anche che da quell’esperienza di militanza si sono fatti diversi passi avanti nella conquista e applicazione del diritto all’istruzione per tutte e tutti. Basterebbe citare la storia degli insediamenti scolastici proprio in questo quartiere. A partire dagli anni Ottanta sono diversi i nuovi edifici scolastici: la scuola Alagon in via Premuda (oggi in parte in via Redipuglia), la scuola elementare ‘Emilio Lussu’ in via Flumentepido, la scuola media di via Bligny e di via Meilogu, le scuole dell’infanzia di via Brianza e via Castagnevizza; presenze importanti che hanno abbattuto i numeri sulla dispersione e hanno modificato le prospettive degli abitanti dell’intera zona in un trend positivo rispetto ai dati di partenza.
Oggi nonostante il diritto all’istruzione sia assicurato, non solo a livello nazionale, ma con particolare enfasi a livello europeo, la nostra Regione si attesta come fanalino di coda per quanto riguarda gli standard di conoscenze e competenze nelle abilità di base e negli obiettivi chiave dell’Unione Europea. In particolare il nostro quartiere è quello con il maggior numero di abbandoni e dispersione della città di Cagliari dal 2014.
A questo dato corrispondono degli interventi i cui risultati dovranno verificarsi nei prossimi anni, ma che a nostro avviso rischia di compromettere ulteriormente la situazione, infatti l’invecchiamento della popolazione e la politica dei dimensionamenti scolastici ha fortemente compromesso la sopravvivenza capillare dell’istituzione scolastica (in particolare quella dell’obbligo). La tendenza già in atto è quella di accorpare tutti gli edifici in un’unica autonomia che copra i quartieri periferici di Is Mirrionis e Mulinu Becciu. A tale processo si accompagna un paradosso, infatti da un lato si prevedono ingenti quantità di denaro per mettere in piedi un ‘campus’ territoriale (linea d’intervento finanziata dall’Unione Europea) dall’altra si svuotano edifici scolastici di recente costruzione o ristrutturazione senza valutare alternative di utilizzo in campi attinenti la loro natura originale.
Negli anni abbiamo assistito all’occupazione di questi luoghi o alla loro riconversione in casa di abitazione, come se le politiche abitative potessero essere risolte a discapito dei necessari luoghi di formazione e cultura.
Ma non è la scuola l’unico settore in cui si paga il prezzo altissimo delle politiche economiche del presente, un discorso a parte meriterebbero i servizi sociali legati all’infanzia, alla terza età e alla maternità. È sufficiente affermare, in questo contesto, che negli anni alla loro riduzione è corrisposta una delega ai privati, basata sul ribasso degli appalti e sulla precarizzazione dei lavoratori occupati in questo settore. Sono passati 40 anni da quando la scuola popolare ha chiuso i battenti; nel frattempo sono state istituzionalizzate le 150 ore per il diritto allo studio ed è venuta a mancare il motivo principale della scuola. Oggi ci dobbiamo chiedere quale eredità vogliamo cogliere da quell’esperienza?
Una scuola popolare per l’oggi.
È evidente che il contesto attuale sia completamente mutato, la storia della scuola italiana dal secondo dopoguerra in poi è andata di pari passo con i modi di produzione e con le conquiste portate avanti dal movimento operaio. Un processo egemonico che è perdurato sino agli anni Novanta e ha portato grandi risultati in termini di cultura e di cittadinanza. Dalla ‘scuola media unica’ alle ‘150 ore’, un lungo percorso che ha dato agibilità ad un diritto per bambini, adolescenti e adulti in un contesto di progresso e democratizzazione che ha coinvolto i lavoratori e le lavoratrici di tutta Italia.
Si tratta di capire se oggi è ancora possibile pensare e agire con le categorie e gli obiettivi che allora mossero i promotori e attivisti della scuola popolare.
Come ha spiegato bene Claudio Pilleri nella sua tesi di laurea dedicata alla scuola popolare, i giovani che misero in campo queste attività non erano un’eccezione, in Sardegna e in Italia esistevano diverse esperienze che si proponevano lo stesso obiettivo, in questo caso specifico la formazione cattolica era accompagnata da una coscienza politica che si richiamava a Marx e a Gramsci. La società era letta in chiave marxista e la proposta educativa ricalcava la convinzione gramsciana di un’istruzione che coniugasse la cultura umanistica e quella tecnica. La scuola si arricchiva dei metodi messi a punto da Lorenzo Milani nella comunità di Barbiana: la parola e dunque la lingua come strumento di liberazione.
I lavoratori che si avvicinavano, anche se meno consapevoli politicamente, comprendevano appieno l’importanza dello studio e della sua funzione emancipatrice. Anche loro erano inseriti all’interno di quel panorama di cambiamento e modernizzazione che permetteva la legittimazione di esperienze forti e militanti come la scuola popolare dei lavoratori.
Se dunque quelli erano anni di speranze e di partecipazione, quelli che viviamo oggi sono contrassegnati dall’involuzione culturale e democratica. L’attuale legislazione scolastica (anche quella rivolta agli adulti) ricalca in pieno l’arresto di quel processo egemonico da parte delle classi subalterne. Le ultime riforme e i tagli alla spesa hanno indebolito l’offerta formativa e modificato profondamente gli obiettivi educativi. Da una scuola che tentava di abbandonare il nozionismo per insegnare ad imparare si è passati ad una scuola di ‘competenze’. Lo stesso destino è toccato alle altre agenzie formative che avevano avuto un importante ruolo nelle conquiste degli ‘anni ruggenti’ come i partiti, i sindacati e l’associazionismo democratico. Ecco perché a coloro che ci leggono potrebbe sembrare nostalgica la scelta di sostenere e promuovere come associazione culturale questo libro. Noi pensiamo invece che quella della scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis sia una storia da raccontare e da riproporre, sicuramente con modalità diverse, ma mantenendo saldo lo stesso principio di fondo: creare le condizione soggettive per la costruzione di una società giusta e democratica.
Lo stabile in cui si svolgevano le lezioni è oggi un rudere. Un blocco di cemento al centro di una piazza, inutilizzabile ed inutilizzato. Contestualmente alla redazione del libro è partita un’azione volta al recupero dello stabile e all’intitolazione della piazza, prospiciente l’edificio, alla scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis. Purtroppo la mozione non è stata presentata in Consiglio Comunale perché sullo stabile (oggi in carico ad AREA) sarebbe già pronto un progetto volto alla realizzazione di appartamenti di edilizia popolare per i disabili.
Come Associazione Antonio Gramsci abbiamo più volte chiesto che l’edificio non fosse convertito in alloggi, non perché contrari al diritto alla casa, ma perché riteniamo che sia fondamentale recuperare lo stabile e restituirlo agli abitanti di Is Mirrionis e di Cagliari nella sua funzione originaria.
Siamo consapevoli del fatto che non è nella fondazione di un ‘centro culturale’ fine a se stesso che si rimette in moto un processo ormai interrotto, siamo però convinti che non siano venute meno le diseguaglianze che mossero i protagonisti di questo libro. L’educazione (nelle sue varie forme), l’associazionismo sono ancora uno degli strumenti politici più validi.
Per noi tale conferma arriva dalla biblioteca popolare, che a poco più di un anno dall’apertura, è diventata una piccola realtà operativa e riconosciuta come presidio culturale con i suoi 4000 testi, gli oltre cento iscritti e le decine di prestiti operati nel frattempo. I fruitori sono in maggioranza persone che nel quartiere vivono e operano: dalle casalinghe agli studenti universitari fuori sede ai diversi immigrati che frequentano corsi di inserimento e apprendimento in una vicina Scuola Statale. Siamo consapevoli che sia ancora poco, una goccia che scalfisce la roccia, ma continuiamo a percorrere questa strada, insieme alle altre realtà associative presenti nel territorio.
Il lavoro sociale, politico e culturale da fare è tanto, ma goccia dopo goccia anche la pietra più dura cederà e noi non ci stancheremo di essere una delle gocce!
Festival Pazza Idea – “CaЯatteЯe Speciale”
PAZZA IDEA. CAЯATTEЯE SPECIALE
Il programma di domenica 27 novembre
Centro Comunale d’Arte e Cultura Il Ghetto
via Santa Croce 18, Cagliari
Ultima giornata dell’edizione 2016 del Festival Pazza Idea – “CaЯatteЯe Speciale” ospitato anche quest’anno negli spazi del centro comunale Il Ghetto.
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Cultura. Bonas noas dalla Regione? Vedremo
RAS – PUBBLICA ISTRUZIONE. Per tutelare le minoranze linguistiche storiche, l’Esecutivo, su proposta dell’assessora Claudia Firino, ha integrato con risorse regionali – 500mila euro – i contributi statali destinati agli Enti locali che si occuperanno della organizzazione degli Sportelli linguistici dedicati al progetto. Via libera anche allo stanziamento di 150mila euro per il sostegno alle attività delle Università della Terza Età: la metà dell’importo, pari a 75mila euro, sarà suddivisa in parti uguali tra le 31 Università, l’altra metà sarà ripartita proporzionalmente in base al numero degli iscritti nell’anno accademico 2015/2016. Approvato anche il Progetto “CultuRAS 4”. Si tratta di 56.600 euro di fondi statali e regionali per interventi in materia di politiche giovanili, volti a promuovere iniziative culturali e formative, e appositi centri o spazi aggregativi per i giovani. Infine sono stati finanziati con 100mila euro i progetti di mobilità giovanile internazionale. La somma sarà destinata a tre associazioni sarde, scelte tramite pubblicazione di avviso, che abbiano esperienza nel campo degli scambi internazionali e realizzino progetti di mobilità, promozione dell’interculturalità e cittadinanza europea.
Oggi domenica 27 novembre 2016
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La Costituzione da garanzia per tutti a clava del tribuno
Carlo Dore jr. su Democraziaoggi.
Fidel
Morto Fidel si scatena il popolo di pseudo storici e pseudo commentatori che, con l’animosità dei tifosi di squadre di calcio, si “avventano” sulla notizia. Penso invece che in questo momento sia opportuno cedere il passo allo sconforto per la scomparsa di un personaggio importante nel quadro politico mondiale e al dolore di gran parte del popolo cubano e dei suoi familiari. Lasciamo agli storici e agli analisti che realmente conoscono Castro e il castrismo, il compito di esprimere valutazioni e analisi su ciò che Fidel ha rappresentato. I cubani in esilio che festeggiano la morte con canti e balli, lasciamoli soli a festeggiare. Stanno in compagnia di alcuni giornali italiani che esultano per l’accaduto, il decesso di un leader novantenne, insieme a Trump che si dichiara felice, e con individui che sfogano la loro gioia liberatrice pensando che, essendo scomparso colui che loro definiscono l’ultimo comunista, la principale preoccupazione della loro vita ( il comunismo appunto) sia definitivamente scomparso dalla faccia della terra. Un consiglio per tutti. Pensate davvero che nel mondo non ci sia più bisogno di libertà, di uguaglianza, di giustizia sociale, di rivoluzione (pardon, scusate il termine, mi è scappato), volevo dire di cambiamento nella distribuzione della ricchezza? Non ne sarei cosi certo!
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Fidel, un mito, mai tramontato, dei miei anni verdi
di Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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- Comunque la si pensi, Fidel ha resistito a ben 11 presidenti Usa.
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Dai gesuiti al fucile, la parabola di un rivoluzionario di buona famiglia
Aldo Garzia su il manifesto del 27 novembre 2016.
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Addio compagno Fidel
E’ morto Fidel Castro –
“Hasta la victoria, siempre”. Non poteva essere questo che l’addio per il Lider Maximo. Fidel Castro, leader della rivoluzione comunista dell’isola è morto all’età di 90 anni: “Oggi, 25 novembre, alle 10:29 della notte è morto il Comandante in Capo della Rivoluzione Cubana Fidel Castro Ruz: “Hasta la victoria, siempre” l’annuncio del fratello e presidente Raul (su Il fatto quotidiano online). – Su La Repubblica online -
- aladinews.
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FIDEL
di Fidel diranno con esattezza
grande condottiero che incendiò la storia ecc.
ma il popolo lo chiamava il cavallo ed è certo
fidel un giorno montò sopra fidel
si buttò a testa bassa contro il dolore contro la morte
ma ancor più contro la polvere dell’anima
la storia parlerà delle sue imprese gloriose
preferisco ricordarlo in quell’angolo del giorno
in cui guardò la sua terra e disse sono la terra
in cui guardò il suo popolo e disse sono il popolo
e abolì i suoi dolori le sue ombre i suoi oblii
e solo contro il mondo alzò sopra un piuolo
il proprio cuore l’unico che ebbe
lo dispiegò nell’aria come una gran bandiera
come un fuoco acceso contro la notte oscura
come un colpo d’amore sulla faccia della paura
come un uomo che tremando entra nell’amore
innalzò il suo cuore agitandolo nell’aria
gli dava da mangiare da bere da accendere
fidel è una nazione
lo vidi con ondate di volti sopra il suo volto
la Storia regolerà i suoi conti faccia pure
ma io l’ho visto quando saliva gente per i suoi avessimo
buona notte Storia allarga i tuoi portoni
entriamo con fidel con il cavallo
Juan Gelman
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Alla fine te ne sei andato anche tu compañero Fidel. Sei stato un mito nei nostri anni giovanili, entusiastici e forse ingenui,per la tua tenace battaglia contro l’imperialismo americano.Mentre i tuoi avversari ti consideravano un dittatore sanguinario.
La storia, lo auspichiamo, ti assolverà. Fumerò il “puro” che ho portato da Cuba in tuo onore e ricordo, felice di essere riuscito a vedere “la isla” prima che tu la lasciassi per sempre. (rd)
Oggi sabato 26 novembre 2016
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Scenari in vista dopo il 4 dicembre
di Tonino Dessì su Democraziaoggi.
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Oggi
Ottimismo della volontà. “In mezzo alla gente”
VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER IL FESTIVAL DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
Verona, 24 novembre 2016
Un caro saluto a tutti voi che partecipate al VI Festival della Dottrina sociale della Chiesa. Il tema di quest’anno è: “In mezzo alla gente”. Esso esprime una grande verità: noi siamo fatti per stare con gli altri – lo ricordavo all’indomani della mia elezione a vescovo di Roma. La nostra umanità si arricchisce molto se stiamo con tutti gli altri e in qualsiasi situazione essi si trovano. E’ l’isolamento che fa male non la condivisione. L’isolamento sviluppa paura e diffidenza e impedisce di godere della fraternità. Bisogna proprio dirci che si corrono più rischi quando ci isoliamo di quando ci apriamo all’altro: la possibilità di farci male non sta nell’incontro ma nella chiusura e nel rifiuto. La stessa cosa vale quando ci facciamo carico di qualcun altro: penso a un ammalato, a un vecchio, a un immigrato, a un povero, a un disoccupato. Quando ci prendiamo cura dell’altro ci complichiamo meno la vita di quando siamo concentrati solo su noi stessi.
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Is Mirrionis è anche questo!
La Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis
Negli anni ’70 funzionò a Is Mirrionis la “Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis”, che ha consentito a centinaia di lavoratori del quartiere e del resto della città di acquisire una seria preparazione culturale, conseguendo -in alcuni casi- il titolo di licenza elementare e –nel maggior numero di casi- di media inferiore. Tale circostanza ha consentito a molti lavoratori migliori prospettive di lavoro e, spesso, il proseguimento di ulteriori percorsi formativi. Questa esperienza, condotta da un gruppo di universitari e di laureati, che si poneva nella scia degli insegnamenti di don Milani, pensatore cattolico e animatore della Scuola Popolare di Barbiana, ha costituito un grande esempio di solidarietà sociale e di pratica di riscatto culturale dei ceti popolari che oggi sembra importante ricordare, valorizzare, riproporre nei suoi elementi fondanti di solidarietà e impegno sociale e culturale.
Su questa esperienza è stato “costruito” un libro che in questi giorni viene presentato in città e in Sardegna. Per gentile concessione dell’Editore La Collina di seguito riproduciamo una delle introduzioni, autore Gianni Loy.
Ideali tradotti in pratica
di Gianni Loy
Abbiamo percorso un lungo camino, passo dopo passo. L’abbiamo percorso convinti che ogni esperienza potesse rimanere, a nostra disposizione, appena dietro l’angolo.
Oggi, quando l’iniziativa dei “reduci” dell’esperienza della “gloriosa” Scuola Popolare di Is Mirrionis ci impone una riflessione, non superficiale, dell’accaduto, scopriamo che è passato quasi mezzo secolo. Né parliamo. Ricostruiamo i fatti, per quanto possibile. Ci abbandoniamo, persino, a qualche confessione; all’epoca non ne avremmo avuto il coraggio. Ma tutto è prescritto. Prescritto, ma non dimenticato.
Ri-incontrarsi, anche se, in realtà, molti dei protagonisti non si sono affatto persi di vista durante tutti questi anni, consente persino di tornare a vivere, come in uno specchio, la passione e le emozioni che hanno dato senso ad uno spicchio della loro esperienza personale, consumata all’ombra di un edificio-simbolo, seminascosto tra le case popolari del quartiere di Is Mirrionis.
La storia presentata in questo libro è semplice, neppure troppo originale. Si tratta dell’evocazione dell’esperienza di una scuola popolare realizzata nel quartiere di Is Mirrionis tra il 1971 ed il 1976. In quegli anni, un gruppo di giovani, provenienti prevalentemente da esperienze maturate nel mondo cattolico, e, allo stesso tempo, politicamente impegnati nei movimenti, prevalentemente “extraparlamentari, ispirati alla grande rivoluzione culturale del 1968, hanno avvertito il “dovere” ed allo stesso tempo “il piacere” di mettere a disposizione i propri talenti a favore di altre persone che, avendo perso il treno della scuola ufficiale, avrebbero potuto avere un’opportunità di recupero scolastico conciliando il lavoro con la frequenza di quella scuola.
Che non era una scuola, come le altre. Anzi, si contrapponeva alla scuola ufficiale per finalità e per metodo. Uno degli obiettivi, come ricorda Giorgio Seguro, era quello di far si “che i lavoratori acquisissero più parole, anche una sola in più dei padroni, per poterli contrastare”. L’unico anello di congiunzione era costituito dal conseguimento del titolo di studio, visto che la licenza media poteva essere conseguita solo presentandosi, in qualità di privatisti, presso una scuola pubblica. Una scuola pubblica che, a dimostrazione dell’inconciliabilità persino del linguaggio, anziché, “promuovere”, “licenziava”. Ne sa qualcosa Avendrace che, avvezzo alla lingua del popolo, quando lesse sul tabellone di essere stato “licenziato” crollò in lacrime, convinto di essere stato bocciato!
I curatori del volume, opportunamente, non si sono cimentati nel tentativo di ricostruire cronologicamente, sin nei dettagli, tutta la storia di quell’esperienza. Hanno preferito mettere insieme i dati essenziali, i più significativi documenti dell’epoca, soprattutto i ricordi dei partecipanti, cioè degli insegnanti e degli allievi.
Insegnanti ed allievi le cui motivazioni iniziali, come si vedrà, differivano radicalmente ma che finiranno per essere complici di una esperienza comune. Non è un caso che alcuni degli insegnanti di allora, penso a Pietro Tardiola ed a Rosaria Cossu, lo ritengano, oggi, “un momento importante della nostra formazione”.
Il lettore potrà osservare quanto l’esperienza personale di ciascuno sia stata intensa e coinvolgente. Ottavio Olita, che l’ha vissuta da docente, la definisce “una delle più importanti della mia vita”. Per Giorgio Seguro “fu una palestra fondamentale” Lino Bistrussu, che invece era un allievo, afferma che “dopo 40 anni ancora mi viene la pelle d’oca a ricordarlo”. In ogni caso, una esperienza che “ha segnato la vita di tutti coloro che l’hanno vissuta”, come ricorda Gianni Ibba.
Fermarsi alle emozioni personali, per quanto appassionanti, sarebbe però fuorviante. Un’attenta lettura delle emozioni che zampillano dal ricordo dei protagonisti, perché di emozioni si tratta, ci introduce immediatamente al rapporto tra l’esperienza individuale di ciascuno e la storia, tra l’esperienza individuale e quella interpersonale, al nesso tra la scuola e la politica, al peso degli ideali nella pratica quotidiana.
La storia. L’esperienza della Scuola Popolare di Is Mirrionis, è stata possibile perché nel 1968 c’è stata la rivolta studentesca, perché qualche anno prima c’è stato il concilio Vaticano II, perché don Milani, sulla base dell’esperienza maturata con la Scuola di Barbiana, ha spedito la sua celebre Lettera ad una professoressa, perché i metalmeccanici hanno rivendicato il diritto all’istruzione dei lavoratori e conquistato le 150 ore….…
Ed infatti, la Scuola Popolare di Is Mirrionis, non è stata solo scuola, è stato luogo “alto” di elaborazione politica, ovviamente di quella politica fondata sui movimenti ispirati alla soddisfazione di bisogni, che si schierava dalla parte di persone non volevano più rassegnarsi alla rassegnazione. E’ stata anche partecipe del grande movimento di rivendicazione per la casa la cui scintilla era stata innescata nel quartiere di Sant’Elia: “Se non abbiam la casa la colpa è di qualcuno ….”, è stata soggetto attivo della battaglia contro l’abolizione della legge sul divorzio, ha sofferto il golpe cileno …
Ma non trova la sua ragione soltanto nell’essersi sviluppata nel solco della storia, quantomeno di quella storia che sembrava darci ragione, ma che non ha poi mantenuto le promesse, ma anche nella solidarietà tra le tante esperienze di quegli anni che, con proprie peculiarità, esplodevano in altre parti della città ed in tutta la Sardegna.
C’era un filo ideale che legava quelle esperienze, che ci legava tutti quanti. Mi permetto di affermarlo perché, pur non avendo partecipato all’esperienza della Scuola Popolare di Is Mirrionis, mi sentivo partecipe dell’esperienza collettiva: per aver partecipato alla Scuola Popolare di Stampace, per aver promosso, in quegli anni, la realizzazione delle 150 ore all’Università, per la similitudine del percorso di formazione, per l’amicizia e il comune impegno politico con molti di quanti oggi riflettono su quell’esperienza.
Per tentare di far comprendere quanto sia stata importante la Scuola Popolare di Is Mirrionis, ora che è intervenuta la prescrizione, ora che, per l’età, si allentano i lacci dell’autocensura, confesso di portarmi appresso un grande cruccio: quello di non aver partecipato a quella esperienza.
Quello di dover confessare, di dover dir sospirando: “io non c’era”. Lo dico perché ho sempre invidiato, lungo tutti questi anni, il senso di appartenenza di quanti hanno vissuto quella esperienza, che non a caso ho definito “gloriosa”, mentre io, che pure condividevo le aspirazioni e gli ideali di quel tempo e di quegli amici, di quei compagni…” io non c’era”.
Quel senso di appartenenza emerge, ad esempio, dalle parole di Vittorio Urracci, altro “allievo”, che oggi non ricorda solo di aver “tanti ricordi belli” ma, soprattutto, afferma che: “la scuola popolare per me è continuata per tanto tempo”.
In questa asserzione di Vittorio, per molti altri implicita, risiede uno dei principali significati. Si è trattato di un’esperienza non transeunte, non come l’adolescenza, destinata a lasciare il posto alla giovinezza, poi all’età adulta. Non come una semplice stagione della vita, che col tempo può persino diventarci estranea, pur potendo continuare ad esser meta di rivisitazione, con distaccato compiacimento, o con pentimento. No. Quell’esperienza ha lasciato segni indelebili, ha forgiato, ha impresso un imprinting culturale definitivo.
Per questo, molti di quei militanti di allora continuano a somigliare a se stessi. Anche se il brodo di cultura di quegli anni non c’è più. Anche se viviamo in un mondo ormai estraneo rispetto a quello che ci ha cullato negli anni che, per noi, hanno conciso con quelli della giovinezza.
Nella mia esperienza di insegnante, ho sempre avuto difficoltà a far intendere, ai giovani d’oggi, i movimenti di allora, la rivolta degli studenti, il femminismo, l’autunno caldo dei lavoratori.
Per poterli intendere, infatti, occorre prendere atto che, nel corso degli anni, è intervenuta una profonda mutazione antropologica. Quegli studenti, quegli operai, quelle donne, capaci di far traballare il potere e, soprattutto, di imporre al paese profonde riforme sociali, sul piano culturale e su quello legislativo, possedevano un patrimonio di valori, una fisionomia culturale, assai diversa da quello che oggi comunemente percepiamo. I valori dell’uguaglianza e della solidarietà, l’idea della democrazia diretta, ad esempio, consentivano l’audacia che ha caratterizzato quegli anni e, conseguentemente, ha consentito che venissero raggiunti risultati talora esaltanti.
Formidabili quegli anni, amava definirli un militante che ha rappresentato, probabilmente, la più nota icona del movimento degli studenti di quegli anni di contestazione.
I “reduci” che si raccontano in questo libro, appartengono ancora in larga parte a quella specie, costituiscono un frammento, un piccolo frammento, di quella aspirazione universale che, in diversi luoghi della terra, condivideva un obiettivo, forse una speranza o magari un’utopia.
Un obiettivo semplice, persino ingenuo, come ricorda Franco Meloni: “volevamo, semplicemente, cambiare il mondo, muovendoci concretamene nel nostro piccolo, che però ci sembrava grande”.
Né più né meno di quanto aspirano tutti i Don Chisciotte della terra che, di quando in quando, compaiono in qualche parte del mondo convinti di poter combattere l’ingiustizia e le diseguaglianze.
E’ stato quell’ideale, ingenuo quanto si voglia, ma che si era convinti fosse a portata di mano, che ha fornito le forze per un impegno appassionato e rigoroso.
Sono stati, per molti, anni di militanza “dura”, ispirata ad un impegno e ad un rigore morale persino eccessivo. La confessione di Fulvia Putzolu, una delle tante “confessioni” venute alla luce in occasione della preparazione di questo volume, è persino commovente: rivela, oggi, di aver disertato la festa di laurea di una sua cara amica “perché nella scuola popolare era stata indetta una riunione alla quale io sentivo il dovere di non mancare”. Facile, oggi, pensare che si sia trattato di una esagerazione. Oggi.
Poi il tempo è volato, la Scuola Popolare, nel 1976, ha cessato la sua attività. Con un bilancio lusinghiero e con un bagaglio che molti di quei compagni di un tempo hanno continuato a spendere in altre imprese, sociali e politiche.
Naturale che, alla fine, quei “reduci” si chiedano se quella esperienza, magari con forme diverse, possa avere un seguito.
A chi non farebbe piacere che i sogni si avverino? Ma, a questo punto si è costretti a prendere coscienza delle differenze. Perché allora, osserva Ottavio Olita, “docenti, discenti, tutti insieme, avevamo in comune un bisogno di partecipazione, scolarizzazione, aggregazione, di discussione, di conoscenza” mentre oggi “c’è la presunzione che tutto il mondo è conosciuto perché gli strumenti tecnologici ci metterebbero nelle condizioni di farlo”. Alla “tensione emotiva prodotta dalle differenze ideologiche e culturali di allora” aggiunge Giuseppe Corso, “è subentrata l’indifferenza”. Insomma, oggi la società produce “forme di isolamento mostruose”, sono ancora parole di Ottavio Olita.
Un’esperienza del genere potrebbe essere ripresa con formule adeguate ai tempi. Magari, come timidamente suggerisce Marcello Belelli, “sarà necessario leggere e decodificare i nuovi bisogni politici, inconsapevoli, inespressi”.
Il desiderio è forte, ma viene espresso timidamente, con titubanza. Più come omaggio a se stessi, a quel tempo, che con la convinzione che si possa davvero riaprire, magari negli stessi locali, quella straordinaria esperienza il cui ecclettismo si sforzava di testimoniare il nuovo umanesimo che costituiva aspirazione del tempo. Perché “non ci sono le condizioni di allora”, come suggerisce Gianni Ibba.
La verità è che quella gloriosa esperienza non è ancora terminata. Vive, non solamente nel ricordo, ma anche nella patica personale e politica di molti di quei compagni.
Non può essere replicata semplicemente perché non è ancora terminata. Ed il motivo per cui non può essere ripetuta, lo spiega efficacemente Lina Ibba. “perché è stata unica”.
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Oggi venerdì 25 novembre 2016
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La gentilezza di Terracini e la rozzezza di Renzi
Andrea Pubusa su Democraziaoggi