Monthly Archives: settembre 2016
L’infiltrato, Venerdì 9 settembre
Combinando sapientemente la tensione narrativa del romanzo di successo con il lucido rigore dell’analisi storico-politica, “L’Infiltrato” di Vindice Lecis offre un potente affresco corale delle tensioni, delle speranze e dei conflitti che laceravano l’anima della società italiana durante la fase più buia degli “Anni di Piombo”: quella che va dall’uccisione di Aldo Moro al superamento del Compromesso storico, dalle prime indagini del Generale Dalla Chiesa al brutale assassinio di Guido Rossa. – segue -
Addio a Tore Usala
Se ne va un grande combattente. Condoglianze e vicinanza alla moglie, alla famiglia e a tutti coloro che lo hanno apprezzato e amato e che soffriranno per la sua dipartita. Così lo ricorda nella sua pagina fb Irma Ibba che ha partecipato assiduamente alle sue battaglie civili.
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HASTA LA VICTORIA, SIEMPRE! COMPAGNO E COMANDANTE TORE USALA CI HA LASCIATO QUALCHE MINUTO FA. Caro Tore, hai combattuto per i più deboli, per i malati SLA e per gli altri malati gravissimi, hai vinto tante battaglie, hai ottenuto risultati eccellenti, hai sconfitto l’ottusità, la ritrosia e l’ignoranza di ministri sottosegretari e assessori vari con la tua serietà, caparbietà e determinazione. Grazie a te tanti malati hanno riacquistato dignità e diritti che pensavano persi. Hai lottato per tutti, sempre, alla fine il tuo grande cuore ti ha lasciato. Il tuo impegno sarà un esempio per chi rimane, il tuo cuore pulsa ancora tra tutti noi. GRANDE TORE, VIVA TORE, CIAO COMPAGNO TORE!
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Da Aservice Studio srl Comunicazione e Immagine
Addio Tore… chi mi ama mi segua online di Salvatore Usala
A dare la notizia su Fb è stato proprio il “Comitato 16 novembre”: “Il nostro amatissimo Tore, l’uomo che ha fatto la storia degli ultimi 12 anni della gravissima disabilità, dopo aver a lungo lottato, dopo aver regalato ai disabili d’Italia una condizione umana più dignitosa, non appartiene più a questo mondo di miserie e sofferenze. Alla sua amatissima Josy, alla figlia adorata Mara, alla sua piccola grande Vittoria, l’abbraccio grande di tutti quanti noi del Comitato 16 Novembre che continueremo le sue lotte in suo nome e onore”.
09-03-27 chi mi ama mi segua on line di Salvatore Usala Commissione Regionale SLA Sardegna
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Un ricordo. L’intervento di Salvatore Usala a un convegno sulle politiche regionali per le disabilità (20 novembre 2015).
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Diritti dei malati con gravi disabilità.
Salvate il modello Sardegna!
Usala 20 nov 2015
IL MODELLO SARDEGNA
di Salvatore Usala
Farò un intervento brevissimo, perché ho problemi agli occhi, ma tottu succiu!
- segue -
Cavaro (Pietro)
(…) Prima opera dopo il suo ritorno in Sardegna è il retablo della parrocchiale di Villamar, che nelle cimase inferiori dei pulvaroli reca dipinta la seguente iscrizione con firma e data: “Anno salutis MDXVIII die XXV mensis maius − pingit hoc retabolum Petri Cavaro pictorum minimus Stampacis”.
È questa l’opera più complessa, più completa e anche la più bella del C. che si sia conservata: è strutturata secondo lo schema tipico del polittico catalano con nicchia centrale che ospita la statua lignea, interamente dorata, della Madonna d’Itria. Gli scomparti, compresa la predella e le porte d’accesso al retroaltare, sono trentuno: sei pannelli piccoli con Angeli musicanti fiancheggiano la nicchia; nei sette scomparti della predella si succedono da sinistra l’Annunciazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Resurrezione, l’Ascensione, la Pentecoste, l’Assunzione; nelle porte sono S. Pietro e S. Paolo, e lungo i pulvaroli, dal basso a sinistra, si snodano S. Nicola, S. Onofrio, S. Anna, S. Orsola, Tobiolo e l’arcangelo Raffaele, Dio Padre tra due vescovi, un Angelo, i SS. Cosma e Damiano, S. Caterina, S. Cristoforo, S. Antonio. Loscomparto più alto rappresenta la Crocefissione, a sinistra è S. Michele e a destra le Stigmate di s. Francesco; in basso, rispettivamente, S. Giovanni Battista e il Battesimo di Cristo. Al C. si deve pure lo stendardo processionale, con il volto di Gesù nel recto e l’Addolorata nel verso, che si conserva nella sacristia (…) Di Renata Serra.
- Pietro Cavaro.
- Ne parlammo su Aladinews.
Carissimo Omran
Lettera a Omran Daqneesh, bambino siriano di cinque anni.
Carissimo Omran, probabilmente ad Aleppo non arrivano i giornali internazionali né le notizie di agenzia. Come saprai, si è appena concluso in Cina il G20: il vertice dei Grandi della Terra. Tra lo sventolio delle bandiere, gli inni nazionali e le conferenze stampa, l’incontro è terminato con alcune considerazioni e qualche accordo tanto che, nei primi dispacci di agenzia, è definito un confronto positivo e importante. I Grandi della Terra hanno preso atto che la crescita economica mondiale è ancora debole e potrebbe avere ripercussioni negative sui mercati. Pare che la regolamentazione dei commerci internazionali stia creando non poche divergenze tra Europa e Cina. Si registrano pure divisioni concernenti la produzione internazionale dell’acciaio e le contraffazioni dei prodotti. Si è parlato inoltre dell’emergenza migranti (perché chiamare emergenza un fenomeno mondiale strutturale in atto da qualche tempo non l’hanno spiegato). La soluzione o meglio la non soluzione proposta dai Grandi nel merito, è stata quella di lanciare un appello al Mondo intero affinché tutti i paesi si facciano carico del problema migranti. A margine del G20 si è pure registrato un importante accordo tra Cina e Usa sulla riduzione dell’emissione di CO2 (d’altronde sono loro i maggiori produttori mondiali di tali emissioni). Carissimo Omran, è tutto qui. Forse ti saresti aspettato un qualche barlume di soluzione per la guerra in Siria, niente. Avrebbero potuto parlare della tregua umanitaria per interrompere il martirio dei Siriani, la strage dei bambini sotto i bombardamenti (tu hai perduto anche un fratellino e i parenti) invece i Grandi della Terra non hanno avuto tempo per farlo. Magari ne avranno parlato ma non sono riusciti a trovare il ben che minimo accordo, neppure per delle tregue umanitarie che permettessero di favorire l’arrivo dei soccorsi alla popolazione, l’invio di aiuti, l’evacuazione dei civili esposti ai bombardamenti. Usa e Russia non escludono certo la necessità di una tregua e l’urgenza di porre fine al conflitto ma, entrambe le parti, pensano di dover bombardare ancora un po’ prima di smettere. Sono lontani purtroppo i giorni della tua estrazione dalle macerie, la tua espressione di panico riportata dai media di tutto il mondo, il tuo viso da bambino di cinque anni coperto di fango e sangue, la tua mano che tocca il sangue che esce dal capo, lo sguardo che osserva quel sangue sulle mani quasi senza rendersi conto dell’accaduto. Quell’immagine ha colpito le coscienze di tutti nel mondo. Unanimamente ci si è espressi, in quei giorni, a favore della sospensione del conflitto. Tutti i paesi hanno auspicato una tregua umanitaria per consentire almeno l’arrivo dei soccorsi. Poi più nulla è accaduto. Spenti i riflettori, asciugate le lacrime, tutto è tornato come prima. I bombardamenti continuano, il Tuo paese è ormai un cumulo di macerie, la popolazione vive lo strazio della guerra e le conseguenze che tutto ciò comporta. Tu, la tua toccante immagine di bambino di Aleppo ferito dai bombardamenti, tutto dimenticato come in passato è accaduto per tante altre vittime delle guerre, per il bambino migrante trovato cadavere sulla riva del mare. Per quelli come Te il Mondo, i Grandi della Terra, non sanno dare risposte. Ti auguro di conoscere la Pace e di poter vivere un giorno in un paese normale. Quanto ai Grandi della Terra penso si sia capito che l’ho affermato con molta triste ironia, grandi non sono e, probabilmente, non lo diventeranno mai.
Impegnati per il NO
L’8 settembre l’assemblea sarda sulle ragioni del NO nel referendum
Si è svolta stamattina nella sala Giunta del Palazzo civico di Cagliari la conferenza stampa delle organizzazioni aderenti al Comitato sardo per il NO nel referendum costituzionale in cui è stata presentata l’assemblea pubblica che si terrà giovedì 8 settembre alle ore 17.30 presso la sala Castello dell’Hotel Regina Margherita a Cagliari dal titolo: “Le ragioni del NO” a cui parteciperà il prof. Alessandro Pace, presidente nazionale del Comitato per il No nel referendum costituzionale. L’assemblea sarà presentata da Carlo Dore e coordinata da Andrea Pubusa rappresentanti del comitato sardo del No. Interverranno Francesco Ara dell’Unione degli Studenti della Sardegna e Marco Sini dell’ANPI di Cagliari
“La riforma costituzionale voluta dal Governo Renzi dissolve l’identità della Repubblica nata dalla Resistenza” – sottolinea Andrea Pubusa aprendo la conferenza stampa – “è inaccettabile nel metodo e nel merito”. Secondo il giurista, esponente del Comitato per il No: “il testo approvato dal Parlamento non è una revisione costituzionale ma uno stravolgimento della Carta fondamentale della Repubblica”.
Per Francesco Sotgiu del coordinamento studentesco Link Cagliari e rappresentante degli studenti per il No: “La riforma costituzionale rappresenta un serio attacco alla democrazia e l’assemblea dell’8 settembre sarà un’occasione per ribadire le ragioni del no nel mondo della scuola e dell’università.”
Per Marta Onnis di Sardegna Possibile: “Partecipiamo all’assemblea dell’8 settembre e aderiamo al comitato sardo per il NO evidenziando ragioni di grande preoccupazione nell’attuazione di questa riforma, specialmente per la Sardegna che subirà il carattere accentratore dello Stato nel potere decisionale e di governo, una lesività inaccettabile, con conseguenze nefaste a breve e lungo termine.”
Giacomo Meloni, segretario nazionale della Confederazione Sindacale Sarda ha messo in rilievo come la riforma costituzionale “determini una forte riduzione delle autonomie locali e, in particolare, vanifichi ogni prospettiva di maggiore autonomia per la Sardegna, consentendo che in tutti casi le ragioni dello Stato accentratore potranno avere la meglio sugli interessi della popolazione sarda”.
Rita Sanna, rappresentante del CIDI, Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti di Cagliari sottolinea l’adesione del CIDI al Comitato per il No e la partecipazione all’assemblea perché: “il CIDI è un’associazione di insegnanti che ha come obiettivo la realizzazione della scuola della Costituzione, laica e vicina agli interessi delle studentesse e degli studenti”.
Il Cammino di Ospitone
Una passeggiata, da Seulo a Ollolai, nel segno di Ospitone.
di Francesco Casula.
Il Cammino di Ospitone
Bene ha fatto l’Associazione Malik (in collaborazione con le Amministrazioni comunali di Ollolai, Belvì e Seulo) a organizzare il Cammino di Ospitone, che prevede la traversata a piedi delle Barbagie di Seulo, Belvì e Ollolai. Si partirà da Seulo, martedì 6 settembre, per procedere verso nord fino a concludersi a Ollolai domenica 11 settembre: 100 Km. In sei giorni.
Si tratta – scrivono gli organizzatori – di una passeggiata suggestiva tra i sentieri antichi dei pastori che attraversano il meraviglioso territorio del cuore della Sardegna, ricco di storia, cultura, identità e ambiente. Un percorso anche religioso che, partendo da Seulo, il paese noto per i suoi monumenti naturali come Su Stampu ‘e su Tùrrunu e la gola del Flumendosa, porterà al santuario campestre di San Sebastiano a Tonara, ai menhir della valle del rio Aratu, le domus de janas di Gusana e l’antico insediamento di San Basilio in Ollolai.
La passeggiata è intitolata a Ospitone: denominato da Gregorio Magno, non a caso, dux Barbaricinorum.
- La figura di Ospitone
Il grande papa infatti nel maggio del 594, gli invia una lettera, in cui lo definisce appunto ”dux Barbaricinorum”. In essa il Pontefice, a lui unico seguace di Cristo in quel popolo di pagani, chiede di cooperare alla conversione delle popolazioni barbaricine che ancora “vivono come animali insensati, non conoscono il vero Dio, adorano legni e pietre”. Non si hanno notizie di un’eventuale risposta di Ospitone né sappiamo se lo stesso si sia impegnato nell’opera di conversione dei suoi sudditi. Una cosa è però certa: la lettera del grande papa serve a illuminare la precedente storia della Sardegna: la presenza nell’Isola alla fine del 500 di un “dux barbaricinorun” mette in discussione infatti numerose categorie storiografiche della storia ufficiale. Ad iniziare dalla visione di una Sardegna conquistata, vinta e dominata, dai Cartaginesi prima e dai Romani e Bizantini poi. In questo luogo comune inciampa persino il grande storico tedesco Theodor Mommsen che in Storia di Roma antica parla di una “Sardegna vinta e dominata per sempre” dopo la sconfitta di Amsicora nel 215 a. C. da parte del console romano Tito Manlio Torquato. Se così fosse, perché continuano incessanti le rivolte dei Sardi, soprattutto barbaricini, per secoli, con i massicci interventi militari romani?
Se fosse stata vinta e dominata per sempre che significato avrebbe nel 594 la presenza e coesistenza in Sardegna di un “dux barbaricinorum”, Ospitone appunto e di un dux bizantino, Zabarda, di stanza a Forum Traiani (Fordongianus), che proprio in quel momento tentava di concludere la pace con i Barbaricini? Evidentemente la parte interna della Sardegna, pur vinta, aveva comunque conservato, fin dal dominio romano, una sua indipendenza o comunque una sua autonomia, politica ma anche economica e sociale e persino culturale, nonostante l’imposizione della lingua latina che prenderà il posto della vecchia lingua nuragica.
E non si tratta di una parte interna circoscritta e limitata alle civitates barbariae intorno al Gennargentu: ma ben più vasta e con precise caratteristiche politiche, sociali ed economiche. Ecco in proposito l’autorevole opinione del più grande storico medievista sardo, Francesco Cesare Casula:”…Dalle parole del pontefice si evince che, al di là del limes fra Roméa e Barbària le popolazioni avevano un proprio sovrano o duca e che quindi erano statualmente conformate almeno in ducato autonomo se non addirittura in regno sovrano. Infine si ricava che malgrado fosse trascorso tanto tempo, le genti montane continuavano ad “adorare” le pietre, cioè i betili, permanendo nell’antica religione della civiltà nuragica. Purtroppo non sappiamo da quando esisteva questo stato indigeno e quanti anni ancora durò dopo Ospitone né dove fosse esattamente collocato.
Noi personalmente riteniamo che fosse esteso quanto la Barbària romana, segnalato al centro ovest dall’opposto presidio di Fordongianus e dal castello difensivo bizantino di Medusa, presso Samugheo; a sud dal confine religioso fra la cristianissima Suelli, piena di Chiese e di simboli paleocristiani e la pagana Goni, nel basso Flumendosa, con le schiere di suggestive pietre fitte campestri”. (Dizionario storico sardo, Carlo delfino Editore, Sassari, 2003, pagina 1132)
Un territorio immenso, probabilmente metà Sardegna era dunque sotto il governo di Ospitone.
- La cristianizzazione delle Barbagia
Nasce dalla consapevolezza del ruolo di Ospitone la Lettera di Gregorio Magno con cui invita ed esorta pressantemente il dux barba ricinorum ad assecondare la missione del Vescovo Felice e dell’abate Ciriaco per la conversione delle popolazioni barbaricine al Cristianesimo. Ruolo, carisma e prestigio, peraltro, riconosciuti e testimoniati dal fatto che il papa conclude la lettera inviandogli la benedizione di San Pietro che era collegata “a una catena dei Beati Apostoli Pietro e Paolo” (D. Argiolas, Lettere ai sardi, vedi Ollolai cuore della Sardegna di Salvatore Bussu, pagina 53). Benedizione che era riservata, di regola, solo agli Ecclesiastici: a dimostrazione della stima che nutriva per Ospitone.
E’ poco credibile però – come scrive il papa – che solo Ospitone si fosse convertito al Cristianesimo, ad Christi servitium: certo è però che la gran parte delle comunità continuasse nella religione primitiva naturalistica, vivendo – per usare le parole di Gregorio Magno – ut insensata animalia, adorando pietre e tronchi d’albero.
A testimoniare ciò basterebbe solo pensare al fatto che delle otto sedi vescovili presenti in quel periodo in Sardegna (Cagliari, Turris, Sulci, Tarros, Usellus, Bosa, Forum Traiani e Fausania-Olbia) nessuna è alloccata nelle civitates barbariae e la nascita della sede vescovile di Suelli con l’episcopio Barbariae [primo vescovo San Giorgio], proprio in quel periodo, pare essere dovuta proprio per la conversione delle popolazioni barbaricine.
- La foto in testa all’articolo è tratta dalla pagina fb dell’organizzazione.
Terremoto: obiettivo «vulnerabilità zero»
Pubblichiamo un articolo di Pietro Greco per la rivista Rocca, n. 18 del 15 settembre, da sabato scorso on line. Ringraziamo per la concessione l’Autore e la Direzione del quindicinale della Pro Civitate Christiana.
La cultura del rischio
di Pietro Greco, su Rocca
No, non è il terremoto che ha ucciso. È stato qualcosa di più astratto, in apparenza: la mancanza di una solida cultura del rischio sismico.
Il 24 agosto scorso un nuovo terremoto, di magnitudo 6,0, nell’Appennino centro-meridionale ha ucciso all’incirca 300 persone e lasciato senza casa costringendole a dormire in tenda poco più di 2.500 persone. Un terremoto di analoga potenza (magnitudo 6,3) a L’Aquila, il 6 aprile 2009, ha causato un numero leggermente superiore di morti (309) e oltre 70.000 sfollati. La storia sismica del nostro paese è costellata di sismi di moderata intensità – perché tale è un terremoto di magnitudo 6,0 – che causano grandi danni. Dove l’aggettivo è di tipo comparativo. Grandi rispetto ai danni che terremoti di analoga e persino di superiore potenza causano in altri paesi.
comparazioni che parlano da sole
Lo scorso 15 aprile, per esempio, una scossa di magnitudo 7,0 – trenta volte più potente di quella del 24 agosto nell’Appennino centro-meridionale – ha investito l’isola di Kyushu, in Giappone, causando 196.000 sfollati, ma solo 49 vittime. L’isola è densamente abitata: più dell’Italia appenninica. La prefettura più colpita, per esempio, è stata quella di Kumamoto: che da sola conta poco meno di 2 milioni di abitanti. Ecco perché gli sfollati sono stati così tanti. Ebbene, le statistiche ci dicono che il rapporto tra persone uccise e persone esposte che hanno avuto danni alle case tanto da non poterle abitare è stato di 120 su 1.000 per il terremoto nell’Appennino centro-meridionale del 25 agosto; di 4 su 1.000 per il terremoto dell’Aquila e di 0,25 su 1.000 a Kyushu in Giappone.
D’altra parte, tra il primo gennaio e il 24 agosto incluso nel mondo sono stati registrati 67 terremoti di magnitudo 6,0 o superiore. Ma solo uno, in Ecuador, il 17 aprile, ha provocato un numero di morti superiore (673, per la precisione). Ma in Ecuador il sisma è stato di magnitudo 7,8: ha cioè sprigionato una potenza centinaia di volte superiore a quella rilasciata dal sisma del 24 agosto al confine tra Lazio, Umbria e Marche.
Ma, d’altra parte, per fare delle comparazioni non è necessario andare all’estero. Norcia dista dall’epicentro dell’ultimo sisma quanto Amatrice. E i geofisici dicono che il suolo a Norcia ha subìto un’accelerazione analoga a quella subita ad Amatrice. Ma a Norcia i danni alle cose sono stati pochi e nessuno è morto, mentre ad Amatrice il paese è crollato praticamente per intero e i morti sono stati oltre duecento.
È evidente, dunque, che non è il terremoto a causare danni. La causa principale dei danni enormi subiti da Amatrice e di quelli analoghi che puntualmente registriamo in Italia ogni quattro o cinque anni è la persi- stente mancanza di cultura del rischio. Quella carenza che impedisce di fare ovunque
nel nostro paese ciò che è stato fatto a Norcia. Una carenza che coinvolge certo la classe politica, che dall’unità d’Italia a oggi non è stata in grado di elaborare una solida strategia di prevenzione del rischio sismico. Ma coinvolge anche noi cittadini comuni, non solo perché siamo noi a scegliere la classe politica, ma anche perché col rischio tentiamo ad avere un rapporto di tipo magico e/o fatalistico.
Il terremoto ha, invece, chiare e ben conosciute cause fisiche. E i danni da scossa sismica possono (debbono) essere evitati, fin quasi ad azzerarli.
la questione centrale
Non stiamo parlando di una questione marginale nel governo del rischio sismico. Ma della questione centrale. Perché è vero che nulla possiamo fare per impedire un terremoto o anche solo per prevedere con certezza deterministica quando si verificherà. Ma sappiamo, ormai, con solida certezza dove un terremoto avverrà. Da tempo, per esempio, i geofisici ci dicono che l’Appennino centro-meridionale, come l’Arco calabro, la Sicilia e il Friuli Venezia Giulia sono zone ad altro rischio sismico. Perché è proprio qui che la grande placca africana si scontra con la grande placca euroasiatica. Questa enorme tensione dura da alcuni milioni di anni e durerà ancora per milioni di anni. Per fortuna non c’è subsidenza e, dunque, i sismi non raggiungono la forza devastante dell’arco del Pacifico, dove non sono infrequenti terremoti anche trentamila volte più potenti di quello registrato in Italia il 24 agosto. Da noi nel futuro prossimo e persino remoto continueranno ad avvenire con una certa frequenza terremoti di magnitudo intorno a 6 o anche a 7 e forse un po’ di più.
Ma l’intensità di una scossa – fosse anche di magnitudo 9 – non basta a causare danni e lutti. Perché si abbiano degli effetti indesiderabili occorre la concomitanza di altri due fattori: l’esposizione (il numero di persone che sente la forte scossa) e, soprattutto, la vulnerabilità, ovvero la capacità degli edifi- ci abitati da queste persone di sopportare l’accelerazione del terreno. Nel Sahara non avvengono terremoti, ma se anche avvenissero e fossero fortissimi, anche di magnitudo 9, non causerebbero molti danni, perché in quel deserto ci sono poche persone e tutte abitano in tende, che non hanno problemi con l’accelerazione del terreno. Diversa la situazione in Giappone o in California: lì l’intensità dei sismi può essere altissima e comunque l’esposizione è elevata. Ma, grazie alla bassa vulnerabilità degli edifici, i danni in genere sono minori che in Italia. Ma, perché in Italia la vulnerabilità è alta? I motivi sono due, in apparenza. Ma in realtà è uno solo. Il primo motivo è che una gran parte della popolazione italiana abita in edifici storici e fragili. Edifici antichi cui non rinunciamo facilmente (e giustamente) perché costituiscono la nostra identità. Il secondo motivo è che non c’è mai stato nel nostro paese un piano nazionale teso a mettere in sicurezza i nostri edifici, storici o moderni che siano. Prova ne sia che non abbiamo neppure un «fascicolo di fabbricato», una carta di identità che dice quando e come l’edificio è stato costruito e quando e come ha subìto modificazioni.
Questi due motivi sono espressioni diverse di un’unica causa: la mancanza, appunto, di una solida cultura del rischio sismico e del suo fratello gemello, il rischio idro-geologico. Una cultura che, da sola, potrebbe ridurre pressoché a zero la vulnerabilità e, quindi, gli effetti dei terremoti. Detto in altri termini, abbiamo tutte le conoscenze e le tecnologie per mettere in sicurezza pressoché assoluta il nostro patrimonio edilizio. Tutto. Dai monumenti più antichi alle scuole più moderne, passando per case vecchie e nuove, ospedali, caserme, strade, ponti e quant’altro. Norcia è l’esempio tangibile che quello che stiamo proponendo non è un quadro astratto, ma uno scenario molto realistico e concreto.
andare oltre la visione magica
È possibile rendere tutta l’Italia sicura come Norcia.
E non è una questione di tecnologia. Ma solo di percezione del rischio.
Certo, occorrono molti soldi. Le cifre esatte non le conosce nessuno. Nei giorni scorsi si è parlato di 50, 100, persino 300 miliardi di euro. Ma, per una valutazione seria, aspettiamo la conclusione di studi affidabili. Certo, occorre tempo. Non a caso uno che se ne intende, Renzo Piano, ha parlato di almeno due generazioni. Ma lo faremo – cominceremo a rendere tutta l’Italia sicura come e più di Norcia – solo quando cesseremo di avere una visione magica del terremoto e acquisiremo una solida cultura del rischio sismico.
Quando con sguardo lungo e con un impiego tutto sommato modesto di risorse (1,3 o magari 6 miliardi l’anno per cinquanta anni) potremo mettere in sicurezza l’Italia intera. Tuttavia non basta che i politici italiani as- sumano, finalmente, uno sguardo di lungo periodo e decidano di investire in progetti la cui realizzazione va ben oltre il ciclo elettorale. Occorre che siano i cittadini tutti – che siamo anche noi, autori e lettori di Rocca – a introiettare in profondità la cultura del rischio sismico. Intanto perché i politici, in una democrazia, cambiano comportamento se c’è una forte e determinata domanda dal basso. E poi perché per azzerare la vulnerabilità sismica del nostro intero patrimonio edilizio occorre anche e soprattutto l’azione di ciascuno di noi. Siamo noi a dover rendere sicure le nostre case, oltre che a chiedere alle istituzioni di rendere sicuri ospedali, scuole, ponti e monumenti.
obiettivo «vulnerabilità zero» a partire dalle scuole
Certo, non basta la nostra buona volontà. Occorre che il sistema nazionale sia proiettato verso l’obiettivo «vulnerabilità zero»: che le banche forniscano i mutui, che lo stato elabori un piano nazionale, riduca il peso fiscale per l’adeguamento sismico, che realizzi un sistema di controllo efficiente e tempestivo. Ma anche per fare tutto questo occorre una vasta e determinata domanda sociale. Occorre, appunto, una cultura del rischio diffusa.
E allora, anche a costo di sembrare minimalisti, ecco da dove cominciare: dalle scuole. Non solo mettendole tutte prioritariamente in sicurezza. Ma anche iniziando una campagna intensa, sistematica e corretta di educazione alla cultura del rischio. Che renda gli adulti di domani non solo capaci di minimizzare il rischio durante l’emergenza acuta (come avviene in Giappone), ma anche di costruire (e di pretendere che sia costruito) un futuro sicuro per sé e per i loro figli (che sono poi i nostri nipoti).
Spesso si è detto che la prevenzione costa e che in Italia non la facciamo per mancanza di soldi. Ma la costruzione di una solida cultura del rischio non dipende solo dalla disponibilità di risorse. Una campagna intensa, sistematica e corretta di educazione a scuola è a costo zero. Perché in Italia non la si è fatta, almeno negli ultimi quarant’anni? In Irpinia, nel 1980, il sisma fece più di 2.900 morti. Ma fu un terremoto di moderata intensità: magnitudo 6,5. Avessimo avuto una cultura del rischio solida e, di conseguenza, fossero state applicate tutte le tecnologie migliori già allora si sarebbero salvati tutti. Perché, anche dopo l’Irpinia, abbiamo rinunciato a salvare migliaia di vite umane e a conservare meravigliosi borghi e floride città?
Pietro Greco
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Carissimo Omran.
Lettera a Omran Daqneesh, bambino siriano di cinque anni.
Oggi lunedì 5 settembre a Stampace: “Pietro Cavaro e la Scuola di Stampace”
Oggi, lunedì 5 settembre 2016 alle ore 18, l’associazione “Exallievi don Bosco di Cagliari” nella propria sede di viale Sant’Ignazio da Laconi 62, presenta la conferenza dal titolo “Pietro Cavaro e la Scuola di Stampace”. La “Scuola di Stampace” fu il principale fenomeno artistico del rinascimento in Sardegna. Il suo nome prende origine da uno dei quartieri storici della città di Cagliari, dove avevano sede le botteghe degli artisti tra XV e XVI secolo. Nell’incontro si ricostruisce la vicenda umana e artistica di uno dei maggiori protagonisti: Pietro Cavaro. Per la prima volta al pubblico verranno illustrate alcune opere appena aggiunte al corpus e rimaste fino ad oggi ignote.
Ne parlerà LUIGI AGUS, storico dell’arte e professore di storia dell’arte moderna all’Accademia di Belle Arti “Mario Sironi” di Sassari, ad oggi considerato uno dei massimi esperti di storia dell’arte sarda.
- Sarà possibile parcheggiare il proprio autoveicolo accedendo attraverso il cancello al n°60.
- Cavaro su Aladinews.
Impegnati per il NO
Verso l’assemblea sarda sulle ragioni del NO nel referendum con Alessandro Pace
Domani, lunedi 5 settembre, alle ore 11:30, presso la Sala Vivanet del Palazzo Civico di Cagliari in Via Roma N° 145 è convocata la conferenza stampa delle organizzazioni aderenti al Comitato sardo per il No nel referendum costituzionale.
Durante la conferenza stampa il comitato presenterà l’assemblea pubblica che si terrà a Cagliari giovedì 8 settembre alle ore 17.30 presso la sala Castello dell’Hotel Regina Margherita a Cagliari dal titolo: “Le ragioni del NO” a cui parteciperà il Prof. Alessandro Pace, presidente nazionale del Comitato per il No nel referendum costituzionale.
4 settembre 1904. ECCIDIO DI BUGGERRU
Oggi 4 settembre ricorre il 112° anniversario di quello che passerà alla storia come l’eccidio di Buggerru. L’esercito, chiamato dai dirigenti della Società che gestiva le miniere, fece fuoco sui minatori, uccidendone tre e ferendone molti altri. Commenterà Giuseppe Dessì nel suo capolavoro, “Paese d’Ombre”: ”Bava Beccaris era nell’aria e con esso il suo demente insegnamento”.
E continua: ”La notizia della strage rimbalzò in tutta l’Italia operaia. A Milano fu comunicata alla folla durante un comizio di protesta e provocò uno sciopera generale in tutta la penisola. Solo in Sardegna rimase senza eco, e il silenzio di Buggerru, dopo la strage, in quel triste pomeriggio di settembre, era il simbolo del silenzio in tutta l’Isola”.
A Cagliari due anni dopo nel 1906, in seguito a una sommossa popolare contro il caro vita ci furono 10 morti.
“Alla notizia dei morti di Cagliari – scrive Natale Sanna – insorsero subito i centri minerari dell’Iglesiente con richieste varie, scioperi, saccheggi, scontri con i soldati, morti (due a Gonnesa e duie a Nebida) e feriti (17 a Gonnesa e quindici a Nebida) fra i dimostranti” (Natale Sanna, Il cammino dei Sardi, volume terzo, Editrice Sardegna, Cagliari, 1986, pagina 472).
Duramente repressi furono anche gli scioperi e le manifestazioni che si innescarono sempre dopo i fatti di Cagliari a Villasimius, San Vito, Muravera, Abbasanta, Escalaplano, Villasalto (con 6 morti e 12 feriti). Mentre a Iglesias nel 1920 i carabinieri sparano su una manifestazione di minatori causando 7 morti.
(Francesco Casula)
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Storie che a scuola non insegnano.
di Piero Marcialis
BUGGERRU 1904
“… un orrendo spettacolo mi si para davanti.
…da una parte una massa di minatori urlanti ed esasperati e dall’altra, a una cinquantina di metri di distanza, un gruppo di soldati addossati ad un capannone. Questi sparavano e qualche minatore era già caduto…
Ricorderò sempre con raccapriccio quel minatore che cauto camminava rasente al muro fiancheggiante la strada, a pochi passi da me, che, colpito da un proiettile, s’accasciò adagio adagio appoggiato al muro… senza un grido e senza un lamento, giacque a terra per non alzarsi più.”
(Giuseppe Cavallera)
Era il 4 settembre, tre morti e undici feriti. In conseguenza dei fatti di Buggerru si verificherà il primo sciopero generale della storia italiana.
……
“Ma sa lotta no er galu finida
esisti galu sa zente maligna
esisti galu sa zente vamida
ancora es mesu morta sa Sardigna”
(Peppino Marotto)
Regionando
ASL unica megastruttura pesante e disfunzionale
di Tonino Dessì, su Democraziaoggi.
Non so più quali canali e quali criteri segua la Giunta per certe nomine. Potrebbe essere intanto che proprio cercando fuori Sardegna si peschino figure residuali, perché i migliori preferiscono altri ingaggi.
In genere peraltro è poco usuale che altre Regioni incarichino persone di provenienza estranea al proprio territorio di riferimento e alle risorse umane di cui quel territorio dispone.
Il fatto che per la sanità in Sardegna si reclutino all’esterno prima un assessore regionale, poi alcuni manager (la prima, la prof. Dirindin, parliamoci chiaro, non ha fatto una buona riuscita; su un precedente direttore generale, Gumirato, all’atto della nomina, era dubbio persino il possesso dei requisiti) è motivato dalla vulgata secondo cui le nomine esterne sarebbero indispensabili per spezzare un permanente consociativismo politico-affaristico.
Devo dire che questa è una scorciatoia poco convincente. È incredibile che in Sardegna non si sia riusciti prima a comporre una griglia di requisiti e di titoli a prova di disonesti e di incapaci e all’interno della graduatoria non si trovino uno o più sardi in grazia di Dio su cui prendersi la responsabilità di scommettere.
Il dott. Zavattaro ha una carriera piena di ombre politiche e giudiziarie, poi. E già questo non è un buon viatico. La linea che esprime nell’intervista che qui riporto non è nemmeno coerente con la scelta legislativa della Regione sull’ASL unica ( https://www.youtube.com/watch?v=hOcqX1BreV8 ). Su questo tuttavia devo dire che sono più d’accordo con lui. Studi e raffronti alla mano, ritengo che accorpare in una pesante megastruttura accentrata più strutture gestionali, in un comparto pubblico, porti alla somma delle disfunzionalità e persino all’aumento dei costi senza aggiungere nulla in efficienza (non parliamo poi degli aspetti della partecipazione e del controllo democratici).
Infine, creare una struttura cui affidare praticamente la gestione di quasi il 50% cento del bilancio regionale significa creare imprudentemente un centro di potere anomalo. Mi chiedo cosa resterà da fare all’Assessorato: e infatti considero la scelta una vera e propria abdicazione politica e funzionale a quei poteri la cui ingerenza si sostiene di voler contrastare.