Monthly Archives: settembre 2016

Martedì 13 settembre 2016

Logo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413. . – confronti

Migranti oltre l’emergenza: che fare di più e di diverso da quanto già si fa?

Correlato con l’editoriale, pubblichiamo due interventi sulla questione dei migranti apparsi in questi gioni su Democraziaoggi. Riproponiamo al riguardo anche un nostro intervento datato 22 marzo 2016, che ci sembra mantenga (purtroppo) validità rispetto alla situazione migranti. Infine condividiamo un appropriato commento di Francesco Cocco, sempre su Democraziaoggi, che riportiamo integralmente.
Francesco Cocco, 12 Settembre 2016 su Democraziaoggi
Due interventi stimolanti sia quello di Franco Sabattini sia quello quello del direttore di Democraziaoggi. La soluzione la indica Sabattini a conclusione del suo articolo: stabilizzarli nei loro paesi d’origine pena la catastrofe. Non si può porre soluzione a questo esodo biblico con forme di carità pelosa o con interventi di becero affarismo come giustamente sostiene Andrea. Si stanno cominciando a delineare grossi problemi di ordine pubblico che col tempo possono diventare irrisolvibili. L’Occidente ha gravi responsabilità verso il terzo mondo ed oggi se ne deve far carico anche perchè quei popoli non hanno solo diritto ad un’assistenza caritatevole ma soprattutto a realizzare la loro soggettività storica e loro identità nelle terre d’origine. Quel che sta accadendo è in linea col più speculativo e cieco capitalismo non certo con gli interessi del popolo dei migranti.

occhi-migrantiL’accoglienza non basta, ci vuole l’inserimento

democraziaoggidi Andrea Pubusa su Democraziaoggi
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Migranti e mercato globale
di Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi
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Oltre l’emergenza poco si parla e poco si fa… microlamapadaaladinFranco Meloni su Aladinews (22 marzo 2016).
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Migranti. Verso il Dossier Statistico Immigrazione 2016

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Il Centro Studi e Ricerche IDOS con la rivista Confronti
hanno programmato per il 27 ottobre 2016
la presentazione del “Dossier Statistico Immigrazione 2016”

Questi i punti affrontati nella introduzione al Dossier Statistico Immigrazione 2016:
- Nel 2015 è apparentemente stazionario il livello della presenza straniera in Italia: 5.026.153 residenti (aumento di sole 12mila unità rispetto all’anno precedente);
- Ma non è mancata una notevole movimentazione. 250mila stranieri sono stati registrati in anagrafe in provenienza dall’estero, mentre 178mila residenti sono diventati cittadini italiani, poco più di 6mila sono morti e a molti disoccupati di lungo periodo non è stato rinnovato il permesso di soggiorno;
- Nel 2015, inoltre, sono sbarcate in Italia 153.842 persone, tra richiedenti asilo e migranti economici e si è accentuata tra gli italiani la “sindrome dell’invasione”;
- Tuttavia, secondo le proiezioni demografiche dell’Istat, nell’ipotesi media (quella più realistica) per garantire l’equilibrio demografico della popolazione in diminuzione (-150mila persone nel 2015), si deve considerare che i nuovi ingressi di cittadini stranieri (solo in parte destinatari a tradursi in soggiorni stabili) non si collocano al di sopra di queste previsioni;
- Sussiste la necessità di valorizzare al meglio le nuove presenze a livello formativo, occupazionale e sociale, impegno quanto mai funzionale alla fase di ripresa dell’economia;
- Fin da ora, però, sembra possibile realizzare un’accoglienza sul territorio più diffusa dei nuovi arrivati, attraverso un coinvolgimento strutturale anche delle famiglie, devolvendo loro parte dei fondi destinati per l’accoglienza e favorendo un più fruttuoso e molteplice processo di inte(g)razione sociale.

Segue l’introduzione al “Dossier”

Dossier Statistico Immigrazione 2016: statistiche e prospettive controcorrente
Introduzione del Centro Studi e Ricerche IDOS e della rivista interreligiosa “Confronti”

A cura di Ugo Melchionda, presidente del Centro Studi e Ricerche Idos
Claudio Paravati, direttore della rivista interreligiosa “Confronti”

Il Dossier Statistico Immigrazione 2016 propone, come di consueto, i dati principali sul fenomeno migratorio in Italia, che aiutano a superare i luoghi comuni troppo spesso diffusi. Tali dati, desunti da archivi ufficiali, sono stati elaborati e commentati dall’équipe interna al Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con la redazione della rivista Confronti e con la rete dei redattori regionali del Dossier e di oltre un centinaio di autori. Anche quest’anno è stato fondamentale il supporto del Fondo Otto per Mille della Chiesa Valdese.
La tesi di fondo della nuova edizione, avvalorata dai dati, evidenzia che l’immigrazione non è una questione ormai superata, né una “invasione”, come alcuni paventano, ma un fenomeno sociale importante di cui occorre tenere conto proprio a partire dai dati statistici.
Alla fine del 2015 la popolazione straniera in Italia è rimasta pressoché invariata rispetto all’anno precedente: 5.026.153 residenti, con un aumento di appena 12mila unità. Si tratta, però, di una immobilità solo apparente. Nelle anagrafi comunali sono stati registrati 250mila cittadini stranieri in arrivo dall’estero (lo stesso numero dell’anno precedente), un livello equiparabile ai grandi flussi degli emigrati che lasciavano l’Italia negli anni ’60. Inoltre, nel 2015 sono stati 72mila i nuovi nati da genitori entrambi stranieri (circa un settimo di tutte le nascite registrate nel paese).
Se è mancato un corrispondente aumento dei residenti stranieri registrati nelle anagrafi, ciò dipende dal fatto che nello stesso periodo ben 178mila stranieri sono diventati cittadini italiani, portando il numero complessivo degli italiani di origine straniera a circa 1 milione e 150mila. È inoltre presumibile che anche nel 2015, considerato il non brillante andamento occupazionale, siano stati molti i nuovi disoccupati non comunitari a cui non è stato rinnovato il permesso di soggiorno, con il conseguente obbligo di lasciare il paese.
Nel periodo 2011-2065, secondo lo scenario più probabile ipotizzato nelle proiezioni demografiche curate dall’Istat, la dinamica naturale in Italia sarà negativa per 11,5 milioni (28,5 milioni di nascite e 40 milioni di decessi) e quella migratoria con l’estero sarà positiva per 12 milioni (17,9 milioni di ingressi e 5,9 milioni di uscite). Per la prima volta nel 2015, infatti, la popolazione complessiva residente nel paese è in calo di 150mila unità (gli italiani erano in calo già negli anni precedenti) e questa tendenza peggiorerà, trovando un parziale temperamento nei flussi dall’estero e nelle nascite che ne conseguono. L’Istat ha ipotizzato, a partire dal 2011, un livello iniziale di migrazioni nette con l’estero superiore alle 300mila unità annue (livello superiore agli ingressi attuali), per discendere sotto le 250mila unità annue dopo il 2020, pervenendo ad un livello di 175mila unità annue nel 2065. Quindi, si sta verificando quanto per l’Italia è stato ritenuto funzionale da un punto di vista demografico.
Purtroppo, favorisce un atteggiamento di chiusura la considerazione che, rispetto al passato, i flussi attuali, per lo più composti da profughi, non sono programmati. In realtà, una programmazione efficace è mancata anche nel passato, come attestano le sette regolarizzazioni varate (1986, 1990, 1995, 1998, 2002, 2009, 2012) e le misure adottate dai Decreti flussi annuali, per molti versi equiparabili ad altrettante regolarizzazioni di fatto. Guerre, contrapposizioni politiche interne, disastri finanziari, cause naturali, persecuzioni di varia natura: sono tante le cause delle migrazioni. Venirne a capo è difficile e, anche se si può e si deve fare meglio a livello internazionale e nazionale, a poco servono le schermaglie politiche. Preso atto che, da una parte gli arrivi dei profughi sono andati fortemente incrementandosi e che, dall’altra, dal 2012 non sono state più varate le quote di ingresso per lavoro per non comunitari, è tempo di iniziare a considerare anche i nuovi venuti come persone da inserire nel mondo del lavoro, facendosi carico del bilancio delle loro competenze e di adeguate strategie formative e occupazionali.
Al 30 agosto 2016 si è trattato di 107.089 persone giunte via mare in Italia a partire dal primo gennaio dello stesso anno, a cui si aggiungono i 153.842 sbarcati nel 2015 e i 170.100 nel 2014, per un totale di 431.031 persone approdate negli ultimi 30 mesi. Dei nuovi arrivati, a fine agosto 2016, solo 145.900 risultano ospiti del sistema nazionale di accoglienza (e di essi 111.061 presso i centri straordinari delle diverse regioni e solo gli altri presso lo Sprar).
C’è un’altra obiezione, spesso ricorrente: il costo dell’accoglienza. Roberto Garofoli, capo Gabinetto del Ministro dell’Economia, presentando all’Accademia dei Lincei il “Libro dell’anno del Diritto 2016”, ha precisato che per i nuovi arrivati nel 2015 sono stati spesi 3,3 miliardi di euro, il doppio degli anni precedenti. Una cifra considerevole, probabilmente non destinata a diminuire. A tale riguardo è stato ipotizzato in ambito sociale che, oltre al coinvolgimento dei centri specializzati, in particolare quelli che fanno parte dello Sprar, l’accoglienza, per assumere un carattere ordinario, possa ricorrere anche al coinvolgimento strutturale delle famiglie, dando un seguito effettivo alle ipotesi sperimentali finora condotte. In questo modo una parte delle spese sostenute andrebbe direttamente a favore delle famiglie stesse (opportunamente selezionate e preparate), ma soprattutto ne deriverebbero per i nuovi arrivati benefici a livello di vitto e di alloggio, di pratica dell’italiano e di conoscenza del contesto, oltre che, per entrambe le parti coinvolte, occasioni preziose di convivenza e conoscenza.
Del resto, molte Regioni e Comuni hanno già sperimentato forme di inserimento dei rifugiati e dei richiedenti asilo in attività sociali a favore della comunità ospitante (con modalità e ipotesi, a volte controverse, che vanno dal volontariato al servizio civile): una prospettiva che, se accompagnata da un’adeguata formazione civica, professionale e linguistica, con l’opportuno coinvolgimento del terzo settore e delle organizzazioni religiose, potrebbe avviare un’integrazione efficace, replicabile in vari contesti territoriali.
Questi sono solo alcuni dei dati e delle riflessioni che è possibile trovare nel Dossier Statistico Immigrazione 2016: leggendolo, queste e molte altre informazioni su immigrati, rifugiati e richiedenti asilo potranno essere utili a scoprire quanto si può ancora fare insieme a loro, per una società aperta e partecipata.
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Dossier Statistico Immigrazione 2016: statistiche e prospettive controcorrente
Introduzione del Centro Studi e Ricerche IDOS e della rivista interreligiosa “Confronti”

Ugo Melchionda, presidente del Centro Studi e Ricerche Idos
Claudio Paravati, direttore della rivista interreligiosa “Confronti
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Riferimenti
Centro Studi e Ricerche IDOS
via Arrigo Davila, 16
00179 Roma
tel.: 06.66514345 int. 1 o 2
Fax: 06.66540087
www.dossierimmigrazione.it

Lunedì 12 settembre 2016

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Domenica 11 settembre 2016

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Sabato 10 settembre 2016

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Deficit investimenti pubblici ripresa economica

albero orto capdi Roberta Carlini su Rocca

Parlare di economia del terremoto non è cinico: è essenziale. Perché è anche per vincoli economici, o per sbagliate scelte economiche, che il terremoto del centro Italia ha ucciso tante persone; e perché la distruzione, e la necessaria ricostruzione, ci dicono molto dei dilemmi nei quali la politica economica è impantanata, e delle prospettive che abbiamo per uscire dalla palude.

la fallacia del Pil

Tanto per cominciare, un terremoto è la conferma più tragica e concreta della fallacia del Pil come misura del nostro benessere. Su quest’ultima, vale ancora oggi come testo universale, per la sua semplicità, il discorso di Robert Kennedy agli studenti dell’università del Kansas (18 marzo 1968): «Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. (…) Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari». Seguono altri esempi, in negativo, di quel che non è misurato dal Pil, dalla «bellezza della nostra poesia» alla «onestà dei nostri pubblici dipendenti», per concludere che il Pil «misura tutto, tranne ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta». Un testo di altissimo impatto emotivo e politico, e solidamente agganciato anche alla teoria economica, che da allora ha sviluppato altri criteri di misurazione del benessere e aperto filoni di ricerca in materia.

anche un terremoto fa salire questo Pil

Ma torniamo alle prime righe: il Pil misura anche le ambulanze per sgomberare le strade dai morti. Se una casa crolla, il senso comune registra una perdita. Il prodotto nazionale invece può registrare un guadagno: perché bisognerà produrre altri materiali da costruzione, pagare gli operai, rifare gli arredi, tutte attività monetizzate e che andranno a far crescere la produzione e i consumi. Napalm e missili, poi, fanno crescere il Pil due o più volte: quando si producono, e quando si ricostruisce sulle macerie che hanno causato. Anche un tifone, un uragano, un terremoto fanno salire il Pil, in questo senso: prima c’è una perdita netta (patrimoniale), ma poi ci saranno i redditi da ricostruzione.
Dal punto di vista di Kennedy e di tutto il filone di critica al Pil – e di costruzione di indicatori alternativi di benessere – questo non vuol dire che allora non si devono ripulire le autostrade, ricostruire, recuperare. Ma che sarebbe sbagliato valutare il conseguente incremento del Pil come un aumento del benessere.

vincoli alla spesa pubblica

In Europa però – nell’Europa dei trattati e del patto di stabilità – c’è un altro effetto perverso dell’ancoraggio alla misurazione del Pil, ed è nei vincoli della spesa pubblica. All’indomani della tragedia di Amatrice e degli altri paesi distrutti dal sisma, le autorità di Bruxelles hanno infatti chiarito che la «flessibilità» accordata ai nostri conti pubblici in conseguenza del terremoto è limitata agli interventi d’emergenza. Dunque lo stretto necessario per riparare il danno: queste spese potranno essere fatte dal governo in deficit, senza però essere contate nel numero chiave della finanza pubblica, ossia il rapporto deficit/Pil annuale.
Se le parole di Kennedy ci invitavano a una visione qualitativa e allargata del benessere al di là del Pil, i trattati europei ci costringono in una logica solamente quantitativa e ristretta del «bene»: è bene ciò che non va in deficit oltre una certa soglia (prima era il 3%, poi è scesa di una misura che si contratta ogni anno), è male tutto il resto. Sul confine tra bene è male, si è aperta da qualche anno una contrattazione annuale che va sotto il nome di «flessibilità»: visto che c’è stata una lunghissima crisi, visto che non ne siamo ancora usciti, visto che il rapporto tra deficit (e debito) e Pil può peggiorare anche per riduzione del denominatore, oltre che per aumento del numeratore… visto tutto ciò, il governo italiano ha chiesto e in parte ottenuto un margine di flessibilità, insomma di potersi un po’ indebitare per rilanciare l’economia. L’intervento pubblico in deficit per contrastare la congiuntura economica negativa (anche eccezionalmente negativa, come la crisi che si è aperta nel 2008), diventa così l’eccezione, da conquistarsi con fatica e prove alla mano, e mesi e mesi di trattativa estenuante se ne vanno per questa procedura, volta ad evitare altre più sgradevoli procedure: come il commissariamento del Paese via troika, che scatterebbe se si finisse in un deficit «eccessivo», cioè non autorizzato.
Il keynesismo, da impostazione della politica economica molto contestata ma di un qualche successo nel Novecento, diventa un accessorio, che si può usare in presenza di gravi e comprovate disgrazie. Ne consegue che per farsi autorizzare al deficit tutto può servire. E così, via via sono stati invocati come buoni motivi per la flessibilità la crisi dei rifugiati, il terrorismo, le guerre del Mediterraneo, e adesso il terremoto.

perché includere nel computo del deficit anche la spesa per investimenti?

Viste dall’alto del nord Europa, tutte queste terribili questioni possono sembrare poco più che pretesti che i furbissimi italiani – e i popoli del Sud in generale – avanzano per farla franca ancora una volta, e far debiti sulle spalle degli Stati con i conti a posto. È la prova lampante della mancanza di quella solidarietà non solo morale, ma anche finanziaria, che sola può reggere un’area monetaria comune, come nota Joseph Stiglitz nel suo libro The Euro – And its Threat to the Future of Europe, che è da poco uscito negli Stati Uniti e tanto rumore sta facendo da noi, visto che profetizza che di questi mali, a breve, l’Unione morirà. È anche la prova di alcuni difetti di fabbricazione non da poco: per esempio, ammesso che sia accettabile e utile l’aver imposto un tetto rigido al rapporto tra deficit e Pil, perché includere nel computo del deficit anche le spese per gli investimenti? Un’impresa, una famiglia, se devono investire si indebitano, contando di ripagare i debiti con i proventi dell’investimento: perché lo Stato non può? Perché gli Stati sono inefficienti e sperperano i soldi delle tasse, spiazzando così l’iniziativa privata, è la risposta della corrente di pensiero che sta alla base dei patti europei. Come dice lo stesso Stiglitz, per la prima volta nella storia gli economisti hanno potuto fare un esperimento dal vivo. Queste teorie sono state sperimentate sul campo, e i numeri ci dicono com’è andata. Negli anni della crisi (2008-2015), il rapporto tra investimenti e Pil nella zona dell’euro è sceso da 23,2 a 20,08. In Italia, il calo è stato più marcato: da 21,24 a 16,52. Sono scesi sia gli investimenti pubblici – bloccati dal patto di stabilità e dal principio dell’austerità fiscale, che, al contrario degli Usa, l’Europa non ha voluto derogare – che quelli privati. Solo nell’ultimo anno, documenta la Bce, c’è stato un segnale di ripresa, che rischia però di essere gelato dall’incertezza del dopo-Brexit. Persino Draghi, in un’audizione al parlamento europeo, ha auspicato investimenti pubblici per aiutare la ripresa. In modo più netto e non solo per l’Europa, la stessa ricetta è stata proposta dal Fondo monetario internazionale.

se gli investimenti pubblici fossero fuori dal Patto di stabilità

Tutto questo ha a che vedere con la tragedia del terremoto. Non è in discussione l’aiuto d’emergenza, e neanche la ricostruzione delle case cadute (speriamo). Ma tutto il resto, e non è poco. Se gli investimenti pubblici fossero fuori dal patto di stabilità, l’Italia potrebbe avviare un piano di manutenzione straordinaria dei suoi paesi e delle sue città: quelle piccole opere di cui parlano gli ambientalisti, quel «rammendo» che auspica da tempo Renzo Piano, quel progetto Casa Italia che adesso il governo ha proposto. E però: l’Europa non si fida, ma noi ci fidiamo? A Bruxelles temono che Casa Italia sia l’espediente per far rientrare dalla finestra il lassismo cacciato dalla porta; qui, più concretamente, temiamo che anche questa volta tutto finisca in progetti, carte, documenti nei cassetti, oppure che le opere si facciano sì, ma al caro prezzo della ripresa di corruzione, appalti pilotati, ruberie. Se è questo l’ostacolo, con un po’ di coraggio istituzionale, da entrambi i lati, forse si potrebbe superare. Per esempio, chiamando direttamente le istituzioni e gli organi tecnici del pianeta Ue (ce ne sono, nelle Dire- zioni generali ma anche nella Banca europea per gli investimenti) a gestire la ricostruzione italiana. A concordare i piani (coinvolgendo le popolazioni locali, e gli autori delle buone pratiche di alcune passate ricostruzioni, dal Friuli all’Umbria), scrivere i capitolati, selezionare le imprese, sorvegliare l’avanzamento dei lavori. Facciamoci commissariare, insomma: forse stavolta può servire.
Roberta Carlini
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Rocca 18 2016
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Il Signore è davvero il mio Redentore?
vescovo nuoro mosè marciadi Mosè Marcia, Vescovo di Nuoro*

Abbiamo davanti a noi due date, 1901-2016.
1901, apertura nuovo secolo, papa Leone XIII, il Papa della “Rerum novarum”, indìce un anno Giubilare dedicato a Gesù Cristo Dio, nostro Redentore!
2016, altro Giubileo indetto da papa Francesco dedicato a Gesu’ Cristo, immagine della Misericordia del Padre.
Due date, due anni giubilari, ambedue dedicati all’infinito amore di Dio per noi.
Il primo pone l’accento sull’evento, liberamente voluto dal Cristo, per noi empi, ancora empi, con la sua morte in croce, dandoci la Redenzione, la liberazione dal peccato e la salvezza!
Abbiamo appena ascoltato Paolo che, scrivendo ai Romani, afferma: «In questo Dio dimostra il suo amore verso di noi perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi». (Rom 5,5-11).
È giusto per noi oggi fare festa e nel contempo «ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione».
Il secondo Giubileo, quello della Misericordia, (Miseri-cordia = Il Cuore, L’Amore rivolto alla Miseria) che viviamo noi oggi, dopo poco più di un secolo, ci richiama a contemplare ancora l’amore di Dio che si china, con la Sua infinita pazienza, sulle nostre miserie, e ci spinge ad essere degni suoi figli, misericordiosi come lui, nostro Padre, amando e riscattando gli altri dalla propria miseria: «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6, 36).
Potremo mai gustare il Suo amore infinito, la Sua eterna misericordia, se non avvertiamo – ma perdonatemi – e non vogliamo ammettere la nostra o le nostre miserie?
Siamo malati di egoismo e individualismo esasperato. La nostra cultura ci ha abituati alla competizione: la lotta per i primi posti, la ricerca del profitto, la concorrenza fino ad eliminare chi è percepito come avversario, la raccomandazione a scavalcare altri.
La corruzione per aggirare la legge, la furbizia per non pagare il dovuto e tanti altri comportamenti simili ci sono proposti e diventano con facilità i valori portanti del nostro vivere sociale.
Così possiamo contare 133 guerre dal 1900 ad oggi, 25 dal 2000 e di queste 17 ancora in atto. Solo nelle due guerre mondiali, abbiamo contato 88.469.833 morti.
Il Redentore e il Suo Vangelo insegna tutt’altro, proclama la vera rivoluzione alternativa alle nostre “mode”: orgoglio e autosufficienza sono davanti a Lui negazione della vera sapienza.
Chi usa occhiali dalle lenti rosse, vedrà tutto rosso! Se il nostro metro di misura è il PIL, la ricchezza, il denaro, proprio tornaconto, leggerà con questa ottica anche la distruzione e le morti che un terremoto causa in pochi infiniti attimi!
Invece quegli istanti di distruzione sono capaci di generare tanta solidarietà e ci fanno riscoprire bisognosi l’uno dell’altro. «Amatevi come io ho amato voi», insegna il Redentore! E non possono non farci riflettere sulla nostra precarietà e incapacità di programmarci.
È questo egoismo, questa ricerca del proprio dio-denaro, dio-interesse, a spingerci nel non rispettare il creato: «la nostra casa comune, la nostra sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, la nostra madre bella che ci accoglie tra le sue braccia» (Laudato Sii, 1)
«Questa sorella, continua papa Francesco, protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla». (Laudato Sii, 2)
Fratelli, quanto sarebbe per noi deleterio, inqualificabilmente vergognoso e disumano, se rispondesse a verità che la ricerca di gas o di petrolio nelle profondità della terra, fosse causa o anche semplicemente concausa dei terremoti!
Non bastano 291 morti, ma neanche una sola vita stroncata è mai barattabile con un “barile” di combustibile!
Noi qui, a casa nostra, in Sardegna, non siamo più innocenti delle grandi multinazionali, quando con il fuoco, con gli incendi, distruggiamo migliaia di ettari e condanniamo al rogo migliaia di animali, esseri viventi che formano la nostra fauna!
È solo piromania da curare anche forzatamente, come ogni altra malattia deleteria per la persona e per la società, o è idolatria del nostro dio-interesse?
C’è rispetto del creato o non forse ancora il culto al dio-denaro, con i suoi incomprensibili interessi, e i nostri egoismi, con chissà anche quali sospettabili abusi di potere, quando si vuole cambiare la vocazione di una terra a scapito della piccola imprenditoria, familiari private, e a favore di grandi potenze economiche, fossero anche pubbliche?
È ancora il dio “IO”, l’egoismo, il culto del dio-possesso, del dio-piacere a minare e rovinare la famiglia, unica cellula sociale che veramente forma, genera e regge la società! Dimentichiamo troppo spesso il passo della Genesi che racconta la creazione!
Dio non creò né lo stato, né la politica, né la chiesa, né il clero, ma creò la FAMIGLIA!
«Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò». (Gen 1, 27).
Il Redentore ci ricorda che Dio è Amore! Ma dov’è l’immagine di Dio-Amore nella famiglia quando per un fazzoletto di terra frutto non del proprio lavoro personale, ma di eredità, si ammazza un proprio fratello? O per un testamento, che mi esclude da un bene su cui forse non ho alcun diritto, viene armata la mano omicida contro due della mia stessa famiglia? È amore o egoismo mascherato di finto amore, che per non soffrire io sopprimo mia madre sofferente?
È mai definibile amore il rapporto famigliare dei due coniugi che sfocia nella violenza e nel femminicidio?
Certo in un contesto del genere non ci colpiscono più i dati riferiti dall’ISTAT come nel 2014 l’indice di separazione in Sardegna è stato di 309,4 ogni 1000 matrimoni, mentre vent’anni fa, nel 1995 era di soli 95,3!
O forse ci meraviglia tanto se in Sardegna, nella nostra isola, ancora dati dell’ISTAT, nel 2013 ben 2.070 donne hanno interrotto volontariamente la gravidanza, generando più di cinque aborti al giorno?
Eppure il Redentore che festeggiamo ci insegna tutt’altro, sia sul valore della vita sia sul senso dello stesso dolore, Lui che volutamente si è fatto uomo nel grembo di una donna e patì la morte per la nostra salvezza!
Credo che dovremo davvero festeggiare di più il nostro Redentore, non tanto con le sfilate che ci vedono ancora discordi e capricciosi, quanto in una sana riflessione sui nostri comportamenti che non sempre mostrano nel vissuto la nostra fede nel Cristo Morto e Risorto per noi!
La Sua Misericordia infinita, porta spalancata del Suo Amore senza limiti, attende da me, solo un atto di fiducia, un atto di fede e di abbandono alla Sua Volontà, questo non vanifica la Sua morte e lo rende mio Redentore.
Queste le riflessioni che mi venivano mentre benedicevo l’epigrafe che il comitato “Ultima spiaggia” ha voluto collocare ai piedi del Redentore, ricordando le due date giubilari: il Giubileo della Redenzione e il Giubileo della Misericordia. Credo che guardando questa targa dobbiamo chiederci se il Signore è davvero il mio Redentore o lo sto cercando altrove.
Così la targa in bronzo ricorda le due date riportando quanto scrisse per noi sardi il papa Leone XIII:
“I Sardi dedicano a Gesù Cristo Dio per la Sua Salvezza”
(“Jesu Christo Deo Restitutae Per Ipsum Salutis Anno MCMI Sardi)
Leo P.P. XIII
e l’incipit della Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia:
“Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”
(Misericordiae Vultus Patris – Annus Sanctus Misericordiae Extraordinarius – Anno MMXVI)
Franciscus.

* Omelia del Vescovo di Nuoro Mosè Marcia in occasione della Festa del Redentore del 29 agosto 2016.
L’attacco all’omelia del giornalista (ex montiamo) Mario Sechi, su Il Foglio.
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Impegnati per il NO nel referendum costituzionale

Pace1Pace a Cagliari smonta il pasticcio Renzi-Boschi
9 Settembre 2016
democraziaoggiRed su Democraziaoggi

Cosa penso della Riforma costituzionale. Parla il Prof. Alessandro Pace

Ieri pieno successo della Conferenza di Alessandro Pace a Cagliari. Gli esponenti del Comitato per il NO alla revisione costituzionale Renzi-Boschi-Verdini sono visibilmente soddisfatti, La sala pur capiente dell’Hotel Regina Margherita è stracolma; un uditorio composito, che va dagli operai metalmeccanici ad alcuni alti magistrati, ai molti professionisti ed insegnanti.
Il pubblico segue passo passo le argomentazioni del presidente nazionale del Comitato per il NO nonostante la difficoltà di alcuni passaggi tecnici, aiutata da una magistrale chiarezza del relatore, capace di rendere comprensibili a tutti temi che hanno un indubbio risvolto giuridico.
Alla fine dell’Assemblea Andrea Pubusa invita alla partecipazione alle prossime iniziative del Comitato cagliaritano in una battaglia che entra nel vivo e che sarà durissima anche per la sproporzione di mezzi e per la parzialità dei media, specie della Rai e della TV.
Pace ha affrontato i vari punti critici del testo Renzi-Boschi, riprendendo temi e ragomentio già trattati in vari interventi e pubblicazioni, a partire da quella, estremamente chiara apparsa su Micromega il 1 marzo scorso.

PCE 2
Ecco in sintesi cosa ha detto Pace.
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Oggi. L’infiltrato

LInfiltratocover2Combinando sapientemente la tensione narrativa del romanzo di successo con il lucido rigore dell’analisi storico-politica, “L’Infiltrato” di Vindice Lecis offre un potente affresco corale delle tensioni, delle speranze e dei conflitti che laceravano l’anima della società italiana durante la fase più buia degli “Anni di Piombo”: quella che va dall’uccisione di Aldo Moro al superamento del Compromesso storico, dalle prime indagini del Generale Dalla Chiesa al brutale assassinio di Guido Rossa.
Venerdì 9 settembre, presso il Salone “Renzo Laconi”della Fondazione Enrico Berlinguer in Via Emilia 39 a Cagliari, l’Autore si confronta con Francesco Macis, Marco Sini e Carlo Dore jr. sui contenuti del suo ultimo libro, per ripercorrere, tra cronaca e finzione, i passaggi più controversi di una stagione destinata a incidere in maniera irreversibile sui destini della democrazia repubblicana.

Venerdì 9 settembre 2016

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Migranti. Buone pratiche

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- L’Unione Sarda giovedì 8 settembre 2016.

SPI in festa. “S’avolutu de Casteddu de su 1906”

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Lo spettacolo di Piero Marcialis, previsto all’interno della festa giovedì 15 settembre p.v., con Piero Marcialis, Clara Murtas e Rita Atzeri e Giuseppe Baldino, ricorda, attraverso testi e canti di lotta del mondo del lavoro, la mattina del 5 maggio 1906, quando la città di Cagliari è scesa in piazza per protestare contro le condizioni di miseria di migliaia di famiglie.
Le operaie della Manifattura Tabacchi, interrotta una assemblea, si recarono in delegazione dal sindaco Ottone Bacaredda per sollecitare provvedimenti urgenti contro il continuo rincaro dei viveri. Il sindaco rispose spavaldo: “Quanti siete? Quattro, ed io ho in pugno la città. E’ cara la carne, sono cari i pesci? Non li comperate, contentatevi di baccalà.”.
Le operaie, indignate dall’insolenza del sindaco organizzarono un imponente comizio al Bastione S. Remy. Presero la parola le tabacchine Bonaria Cortis, Adelaide Nieddu e Assunta Marini che incitarono la folla a battersi contro il carovita, ma anche per il lavoro e la giustizia sociale. Fu il segnale dello sciopero generale.
- L’evento su fb.
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Giovedì 8 settembre 2016

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boh?
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comitato-no-logo-ok- Oggi a Cagliari Convegno sardo per il NO nel referendum costituzionale, con il prof. Alessandro Pace.

Oggi a Cagliari Alessandro Pace per il NO nel referendum costituzionale

democraziaoggiIl Prof. Alessandro Pace sarà a Cagliari oggi giovedì 8 settembre per una Conferenza all’Hotel Regina Margherita (a partire dalle ore 17.30).
alessandro pace profL’evento in fb.

Rocca 18 2016

Rocca 18 2016
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