Monthly Archives: settembre 2016
Turismo
Vorrei chiudere, per quanto mi riguarda, la polemica col geometra Briatore relativa al tipo di turismo che i sardi dovrebbero realizzare. Mi sono ricordato di un episodio del bellissimo film di Salvatore Mureu “Ballo a tre passi”. Vi invito a rivedere l’episodio di Massimo, il “sardo” che accoglie i turisti in spiaggia e offre loro i propri servigi (offre l’anguria, noleggia le tavole da surf, offre da bere e si esibisce, parlando un improbabile italiano frammisto a parole sudamericane, come una scimmia ammaestrata del circo, in altrettanto improbabili azioni di animazione (balla su un palco improvvisato) tra l’indifferenza e la derisione dei turisti “continentali”. Nel frattempo la moglie è impegnata in cucina a preparare le “cose buone” per i turisti loro ospiti, che lei neppure vede. Penso sia una delle scene più importanti del film, il degrado, l’abbrutimento, la perdita di identità e di dignità del sardo sottomesso alle esigenze del turismo dei padroni. E’ questo il turismo che alcuni operatori turistici immaginano per la Sardegna e i Sardi. Un pò come accade per gli indigeni delle isole del pacifico ormai relegati al ruolo di danzatori e distributori di collanine per i turisti in arrivo negli aeroporti. Andatevelo a rivedere questo episodio (io consiglierei tutto il film), un’opera alla quale la critica cinematografica ha destinato minore attenzione di quella che avrebbe meritato (V.T.)
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=34700
Il film intero in streaming lo trovate su youtube
Ammentu de Giuanne Frantziscu Pintore
Il 25 settembre prossimo a San Sperate, a quattro anni dalla sua scomparsa, verrà ricordato Gianfranco Pintore, la sua opera, la sua figura. A parlarne, suoi amici e compagni di tante battaglie, soprattutto per la lingua sarda e il bilinguismo perfetto. Fra gli altri, Diego Corraine (uno degli organizzatori), Mario Carboni e Gesuino Mattana, già sindaco di San Sperate.
GIANFRANCO PINTORE, uno degli intellettuali sardi più significativi degli ultimi decenni è stato giornalista, saggista e scrittore bilingue e identitario. Nasce ad Irgoli (Nuoro) il 31 agosto 1939. Nel 1951 lascia la Sardegna. A Firenze frequenta il ginnasio, il liceo classico e si iscrive all’Università. Ha in testa un’idea: la laurea non serve per il mestiere di giornalista che vuol fare e fa gli esami che gli interessano: in Architettura con Ludovico Quaroni, in Scienze politiche con Giovanni Spadolini, di Giurisprudenza. Intanto, a partire dal 1962 fa il “volontario di cronaca” nella redazione fiorentina di “L’Unità” e nel 1965 è chiamato alla redazione centrale a Roma, per la quale lavora prima nella sezione cronaca e quindi in quella degli esteri. È inviato speciale e per un certo periodo corrispondente da Varsavia. Dopo le sue dimissioni da ”L’Unità” in seguito all’invasione della Cecoslovacchia, lavora nel settimanale “Mondo Nuovo” e quindi, a Milano, nel settimanale “Abc” come inviato e infine come redattore capo.
Nel 1973 stipula con la casa editrice Mazzotta di Milano un contratto per la redazione di un saggio che l’anno successivo è pubblicato con il titolo “Sardegna: regione o colonia?”. È lo studio del rapporto conflittuale fra la comunità di Orgosolo e lo Stato, giocato fra storia, tradizione orale, testimonianze, ed è anche la ricerca di quanto Orgosolo rappresentasse lo spirito dell’intera Sardegna, di quanto in altre parole la Sardegna potesse sentirsi rappresentata dal sentimento comunitario del paese, altrimenti e altrove descritto come “il paese dei banditi”.
All’uscita del libro decide di restare in Sardegna, come corrispondente di “L’Espresso” di Eugenio Scalfari prima e successivamente di “Tempo illustrato” di Lino Jannuzzi. Lavora anche per “La Nuova Sardegna” di cui fa l’inviato e conduce una serie di campagne di stampa. Quella per il bilinguismo e quella per la Zona franca gli costerà il licenziamento in tronco per richiesta esplicita di un dirigente di partito decisamente contrario e all’uno e all’altra. Dirige a Nuoro la prima, e per ora unica, radio libera bilingue, “Radiu Supramonte” e fonda a San Sperate il mensile “Sa Sardigna”, anch’esso bilingue. - segue -
Università della Sardegna. Oggi l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Sassari
Oggi venerdì 23 settembre, a partire dalle ore 11,00, avrà luogo la cerimonia inaugurale del 455° anno accademico 2016-2017 dell’Università di Sassari, presieduta dal Rettore Massimo Carpinelli.
Il prof. Tito Boeri, Presidente dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, terrà una prolusione dal titolo “Il lavoro futuro”.
L’evento si svolgerà secondo il programma diramato dall’Ateneo e sarà trasmesso in diretta streaming sul portale istituzionale (www.uniss.it).
Comitato Sardo per il NO nel referendum costituzionale
Sardegna Dibattito
L’industrializzazione “forzata” del Mezzogiorno: meglio uno sviluppo endogeno?
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi
Adriano Giannola, in un articolo pubblicato sul n. 4/2015 della “Rivista Giuridica del Mezzogiorno” (“L’estensione del settore delle imprese in mano pubblica; la sua funzione, storica e prospettica, per lo sviluppo”), torna a parlare del ruolo, a suo avviso centrale, che le imprese a partecipazione statale hanno svolto negli anni in cui il dualismo Nord/Sud dell’economia italiana è stato assunto come “problema prioritario” da risolvere.
A parere di Giannola, ciò che ha caratterizzato il processo di industrializzazione forzata è il fatto che esso non sia stato l’esito di un’operazione “pianificata”, ma di una razionale operazione programmata, “cosa ben diversa e compatibile, anzi essenziale per aprire nel sistema dualistico nostrano uno spazio crescente all’economia di mercato”. L’operazione programmata che ha sorretto il processo di industrializzazione forzata non è stata, tuttavia, universalmente condivisa, in quanto alcune parti, tra le quali la Svimez, l’hanno valutata pericolosa, considerando che il superamento del dualismo economico dell’economia nazionale avrebbe penalizzato strutturalmente le regioni meridionali.
In effetti, lo stesso Giannola riconosce la concretezza del pericolo paventato dai critici dell’industrializzazione forzata, ma ne attribuisce la causa, non al “consolidato luogo comune” che l’industrializzazione forzata si sia risolta solo nella costruzione delle cosiddette “cattedrali nel deserto”, ma agli effetti collaterali dell’attività iniziale della “Cassa”. La fase della pre-industrializzazione degli anni Cinquanta ha originato, come conseguenza della Riforma Agraria, un esodo degli occupati in agricoltura e un aumento dell’occupazione nelle piccole e medie attività manifatturiere, che la comparsa delle “Cattedrali” negli anni successivi avrebbe concorso a distruggere.
Questo fenomeno, a parere di Giannola, deve essere imputato al fatto che la fase iniziale dei lavori pubblici e della Riforma Agraria, mentre ha concorso a sostenere con continuità il reddito meridionale, ha anche contribuito a sviluppare un mercato locale che ha consentito di stimolare una produzione di beni tesa a soddisfare una domanda in espansione; è stato perciò inevitabile che la concorrenza delle grandi, piccole e medie imprese centro-settentrionali, ben più strutturate di quelle meridionali, trovassero un ulteriore mercato di sbocco per le loro produzioni.
Quindi, conclude Giannola, la tesi che, in luogo dell’industrializzazione forzata del Mezzogiorno, sarebbe stato più conveniente uno sviluppo endogeno fondato su una lenta espansione di piccole e medie attività di trasformazione locali, in un contesto dualistico, era inesorabilmente destinato a consentire al Centro-Nord già sviluppato di consolidare “una forma di dipendenza del Sud, proprio ostacolando le possibilità di uno sviluppo endogeno”.
L’industrializzazione forzata doveva consentire di evitare questo pericolo, che si è concretizzato nella seconda metà degli anni Settanta, allorché si è imposta l’idea di promuovere la crescita del Mezzogiorno attraverso uno sviluppo endogeno autopropulsivo. Quindi, il pericolo scampato negli anni Sessanta si sarebbe invece puntualmente presentato successivamente, quando il “localismo autopropulsivo” avrebbe condotto “alla dipendenza patologica del Sud e alle ben note conseguenze disgregatrici del sistema, tuttora operanti e per nulla contrastate”.
L’insuccesso del processo di industrializzazione forzata del Mezzogiorno può essere espresso anche in modo più esplicito: le strutture produttive impiegate dal sistema delle imprese a partecipazione statale sono state di solito sovradimensionate, sia perché la loro produzione (costituita da prodotti di base) non è stata totalmente “assorbita” dai comparti produttivi nazionali, sia perché esse non hanno avuto alcuna connessione con le attività produttive preesistenti, o ancora perché non è stata “programmata” la contemporanea localizzazione nelle regioni del Sud, a valle della attività produttive ad alto rapporto capitale/lavoro, di altre attività che avrebbero dovuto utilizzare, come fattori intermedi di produzione, una parte dei prodotti base allestiti. E’ questo il motivo per cui le grandi imprese a partecipazione statale, che hanno costituito il fulcro del processo di industrializzazione forzata del Sud, si sono lentamente trasformate nel simbolo del sostanziale fallimento del processo, ovvero in “cattedrali nel deserto”.
Per tutti i motivi esposti, non solo l’attività della “Cassa” degli anni Cinquanta, ma anche l’attività d’investimento forzato, attuata dall’inizio degli anni Sessanta sino alla fine della prima metà degli anni Settanta, ha concorso a migliorare solo il reddito disponibile delle regioni del Sud, ma non anche quello prodotto. Ciò a causa del fatto che, malgrado i notevoli investimenti effettuati al loro interno, non è stata migliorata la produttività della loro base produttiva; in altre parole, perché non è stata migliorata la loro capacità di produrre nuova ricchezza, idonea a consentire l’attivazione di un processo autopropulsivo di crescita e sviluppo, affrancato dal continuo flusso di trasferimenti di natura pubblica.
Anche dopo l’interruzione del processo di industrializzazione forzata, il persistente flusso dei trasferimenti pubblici, giustificato dalla necessità, di natura prevalentemente politica, di “tenere in vita” attività incapaci di conservarsi autonomamente sul mercato, ha causato nelle regioni meridionali la formazione di istituzioni politiche “estrattive”, non di istituzioni “inclusive” (secondo la terminologia introdotta nell’analisi dell’arretratezza economica da Daron Acemoglu e James Robinson in “Perché le nazioni falliscono”). Le prime hanno consentito che “ristretti gruppi locali” catturassero le opportunità offerte dai continui trasferimento o, peggio ancora, che gran parte dei trasferimenti fosse utilizzata per finalità extraeconomiche. Il prevalere di questo tipo di istituzioni ha impedito la formazione di istituzioni ad esse alternative, cioè quelle inclusive, sorrette da società civili orientate a legittimare le decisioni politiche solo se giustificabili sul piano strettamente economico e su quello dell’equità distributiva.
In chiusura della sua analisi, Giannola si chiede se oggi il “vecchio disegno” che ha preso il via alla fine degli anni Cinquanta possa essere “occasione di una riflessione quanto mai opportuna” sul rilancio di una politica diretta a promuovere la crescita e lo sviluppo dell’area meridionale del Paese. Egli è del parere che ciò sia possibile, ma solo attraverso un “responsabile intervento pubblico”, fondato, non su una riproposizione dell’esperienza del passato, ma su un nuovo progetto che sia l’esito di una “complessa operazione ‘maieutica’”; in altre parole, di un’operazione che consenta di esprimere i contenuti del nuovo progetto attraverso un complesso e generalizzato dialogo tra tutte le parti sociali interessate (incluse, si spera, le società civili delle regioni meridionali, in origine trascurate e fatte oggetto degli effetti connessi all’attuazione di una politica di intervento dai contenuti esogenamente determinati).
Gramsci
GRAMSCI SULL’AMBIZIONE
di Piero Marcialis
Oggi, che sembra prendano il sopravvento le “piccole ambizioni”, mi sembra utile (almeno a chi si vuole ancora porre il compito di stare a sinistra) ricordare queste considerazioni del nostro grande sardo.
“L’ambizione ha assunto un significato deteriore e spregevole per due ragioni principali: 1) perché è stata confusa l’ambizione (grande) con le piccole ambizioni; 2) perchè l’ambizione ha troppo spesso condotto al più basso opportunismo, al tradimento dei vecchi principii e delle vecchie formazioni sociali che avevano dato all’ambizioso le condizioni per passare a servizio più lucrativo e di più pronto rendimento. In fondo, anche questo secondo motivo si può ridurre al primo: si tratta di piccole ambizioni, poichè hanno fretta e non vogliono aver da superare soverchie difficoltà o troppo grandi difficoltà…
La grande ambizione, oltre che necessaria per la lotta, non è neanche spregevole moralmente, tutt’altro: tutto sta nel vedere se l’ambizioso si eleva dopo aver fatto il deserto intorno a sè, o se il suo elevarsi è condizionato (consapevolmente) dall’elevarsi di tutto uno strato sociale e se l’ambizioso vede appunto la propria elevazione come elemento dell’elevazione generale.”
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13° INTERVENTO 33 x 366 con Marco Simbola nel suo studio a Cagliari in Via San Domenico, 52, con un intervento di Giuseppe Manias. Locandina di Gigi Meli Mura
Caro Massimo lascia perdere Roma e dedicati alla nostra Città…
di Pino Calledda, consigliere comunale del M5S
Ancora una volta il Sindaco Zedda accusa gli altri per nascondere le proprie debolezze.
Oggi sulla stampa si scopre più renziano di Renzi. Marcia su Roma a suon di richiesta di Referendum nazionale per le olimpiadi del 2024 così come il “trombettiere toscano” marcia sulla Costituzione. Anzi, si spinge ad accusare la Sindaca Raggi di non aver ancora nominato l’Assessore al Bilancio. Scusate, ma Zedda ha nominato a Cagliari il suo Assessore al Bilancio? La risposta è No, anzi nella sua Giunta precedente, dopo le dimissioni del primo Assessore, Zedda tenne per se la delega. Perché continua con questa strategia? Credo che la risposta sia nella sua incapacità di Governare tutte le politiche legate al Bilancio oggi coperto tecnicamente dal Dirigente. Non a caso ci ritroviamo la Tari tra le più alte in Italia, i risparmi non vengono spulciati attentamente, niente lotta ai grandi evasori e ancor di più nella stessa Commissione si continuano a portare una marea di “debiti fuori bilancio” che successivamente finiscono in Consiglio senza interrogarsi sulle vere cause che producono questi debiti per i cittadini cagliaritani.
Le Olimpiadi sono sicuramente un beneficio per chi si occupa di mattone, ma esiste una corposa letteratura sul fatto che non lo siano per i cittadini. Riguardo le ultime, un sondaggio ha rivelato che il 63% dei brasiliani ha ritenuto che i giochi portassero più danni che vantaggi al paese. Il loro costo è stato stimato in 10,5 miliardi di euro, senza considerare nemmeno tutte le spese indirette, e non sono state le più dispendiose, quelle di Pechino hanno toccato i 40 miliardi di euro.
Virginia Raggi, legittimamente, ha ritenuto che i costi per la città sarebbero superiori ai benefici e che gli interessi dei cittadini vengano prima e non coincidano con quelli del mattone. Un principio, questo, che le amministrazioni di Cagliari, di centrosinistra e di centrodestra, hanno troppo spesso dimostrato di ignorare.
Allora, caro Sindaco, dia un segnale e lasci perdere Roma, saranno i romani a decidere sul futuro politico della propria città. Completi la Giunta con il nuovo Assessore al Bilancio e avvii politiche fiscali vere a favore dei cittadini cagliaritani.
Pino Calledda – Gruppo Consiliare Movimento 5 Stelle, Cagliari
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Virginia Raggi ha fatto bene: le Olimpiadi a Roma sarebbero state un disastro.
I giochi di Roma 2024 sarebbero stato un rischio insensato per una città in crisi. E poco importano le polemiche con Malagò sui trentacinque minuti di ritardo e sulla diretta streaming del loro incontro. C’era da prendere una decisione ed è stata presa quella giusta.
di Francesco Cancellato su Linkiesta.
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- Su il manifesto sardo.
Scienza e fantascienza tra conoscenza inquietudine e meraviglia. Vivere negli altri, gioire e soffrire nel cinema
(Comunicato stampa) La rassegna Scienza e fantascienza tra conoscenza inquietudine e meraviglia, promossa dalla Biblioteca Provinciale nell’ambito dei programmi di promozione della lettura prosegue, come da programma, giovedì 22 settembre alle ore 17,45 nella sede convegni Emilio Lussu della della biblioteca provinciale (situata in cima al parco di a Monte Claro, ingresso da via Mattei, sia a piedi che in auto) con l’incontro dibattito dal titolo Vivere negli altri, gioire e soffrire nel cinema.
Perchè quando vediamo un film ci sembra di entrare dentro le storie proiettate sullo schermo sino a commuoverci o gioire o indignarci? Sono sentimenti che, pur consapevoli che il film è una finzione (salvo i documentari), è difficile o quasi impossibile non provare se si tratta di una pellicola ben costruita. Come mai avviene questo e che cosa capita dentro la nostra mente mentre guardiamo il film? Lo stesso avviene, in genere, se vediamo una persona soffrire o gioiere, quasi che la nostra vita e la nostra interiorità fosse contrassegnata non solo da quello che facciamo noi, ma anche e soprattutto da quello che fanno gli altri, quasi fosse un vivere negli altri. Ma è realmente così? Oggi anche una corrente di pensiero che prende spunto da una scuola di neuroscienze (quella di Parma che ha individuate i cosiddetti “neuroni specchio”) sostiene che la soggetività di ognuno di noi nasce dall’intersoggettività. Per discutere di questi problemi giovedì 22 vi sarà il dibattito accennato con riferimento iniziale al film La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock (proiettato nella biblioteca martedì 20 settembre); e in cui si parlerà in specifico del libro Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze di Vittorio Gallese (neuroscienziato della scuola di Parma) e Michele Guerra. partecipano all’incontro il neuroscienziato Gian Luigi Gessa, il critico cinematografico Gianni Olla e il filosofo della scienza Silvano Tagliagambe. L’incontro sarà coordinato dal giornalista Roberto Paracchini.
- segue il Programma integrale -
Banca Etica a Cagliari
“La Finanza Etica è una danza”
è il nome delle iniziative – aperte a tutta la città e alle reti di economia civile – per festeggiare il nuovo ufficio a Cagliari il prossimo 23 settembre. Il programma è stato realizzato dal Gruppo di Socie e Soci di Banca Etica attivo sul territorio insieme con le lavoratrici e lavoratori.
- La pagina fb dell’evento. – segue il programma -
DIBATTITO. Come uscire dal capitalismo in crisi. La Sinistra ha (o potrà avere) ancora un ruolo? Ma, quale Sinistra? Un intervento (una chiamata al dibattito) di Mauro Tuzzolino.
Sin qui tutto bene?
…Serve guardare in faccia il nostro tempo, superare la paura di avere paura. Una “strategia dello sguardo”, direbbe il filosofo S.Tagliagambe, che consenta nella consapevolezza dei limiti, di prefigurare, se non proprio un orizzonte, almeno una percezione condivisa del nostro destino. (Mauro Tuzzolino su il manifesto sardo)
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Questa citazione di Montale ci sta proprio bene: https://www.aladinpensiero.it/?p=4984