Monthly Archives: maggio 2016

Votiamo NO nel referendum costituzionale!

NO NO NOOOGli slogans di Renzi: semplici, confusi e menzogneri

democraziaoggidi Gonario Francesco Sedda

Per Matteo Renzi [Enews 427, 16 maggio 2016] «il referendum di ottobre sarà su argomenti molto semplici». Qualche considerazione su due di essi.

1. «Se vince il Sì diminuiscono le poltrone; se vince il no restiamo con il Parlamento più numeroso e più costoso dell’Occidente».
Certo, se vince il Sì diminuiscono le “poltrone” e se vince il NO rimane l’assetto dell’attuale Parlamento italiano. È banale, molto banale! Non siamo più in fase interlocutoria. Senza una maggioranza qualificata sulle modifiche costituzionali è prevista la possibilità di ricorrere al referendum popolare. Ma resta da dimostrare che il nostro Parlamento sia il «più numeroso e più costoso dell’Occidente».
Comunque, prima di andare avanti, noto l’uso cialtronesco della parola “poltrone” al posto di “seggi dei rappresentanti del popolo”. Al politicante dell’antipolitica Matteo Renzi sfugge che le “poltrone” che resterebbero in caso dell’auspicabile vittoria de NO sono le stesse che gli hanno permesso di manomettere la Carta in chiave di restaurazione oligarchica e con maggioranze deboli e forzate.
Torniamo ai conti. Anche con una diminuzione dei seggi il Parlamento potrebbe restare numeroso per il paese o il più numeroso dell’Occidente. Dipenderà dall’entità della diminuzione dei seggi e dai termini del confronto rispetto allo stesso paese o al resto dell’Occidente.
- Nel Regno Unito (bicameralismo debole) le “poltrone” sono 1.439 (con 650 deputati).
- In Italia (bicameralismo paritario) i parlamentari sono 945 (con 630 deputati).
- In Francia (bicameralismo differenziato) i parlamentari sono 925 (con 577 deputati).
- In Germania (bicameralismo forte su base federale) i parlamentari sono 669 (con 600 deputati).
- In Spagna (bicameralismo differenziato) i parlamentari sono 614 (con 350 deputati).
- In Austria (bicameralismo debole) i parlamentari sono 245 (con 183 deputati).
- Negli USA (bicameralismo differenziato) i parlamentari sono 535 (con 435 deputati).
Ora, a uno sguardo sbrigativo o a “volo d’uccello” (come si usa dire dalle parti di Rignano sull’Arno) e tenendo conto del peso non molto diverso della popolazione, tra Regno Unito, Italia, Francia e Germania, il “poltronificio” più virtuoso risulta quello tedesco (e tale resterebbe anche se non venisse cancellata la “giorgi-napolitanesca” riforma conservatrice a gestione renziana). Anche se nella Germania – federale e con sistema di voto proporzionale corretto – il numero dei seggi parlamentari è rimasto invariato (non è aumentato e neppure diminuito). Come dicevo sopra, invocare una generica diminuzione di “poltrone” dimostra poco o niente. La Riforma federale del 2006 ha modificato il procedimento legislativo, ma non la struttura degli organi (Bundestag e Bundesrat) né il numero dei loro componenti. Il potere di veto del Bundesrat è stato limitato con una nuova rimodulazione delle “leggi perfette” che richiedono obbligatoriamente la doppia approvazione. La Camera alta non è stata tuttavia sbeffeggiata né svuotata delle sue competenze e funzioni che sono state ridefinite, arricchite e persino aumentate.
Quando si fa qualche confronto – «il Parlamento più numeroso e più costoso dell’Occidente» – occorre individuare un criterio o un insieme di criteri che rendano giustificato e ragionevolmente decifrabile il confronto stesso. Così, assumendo come criterio la rappresentatività rispetto alla popolazione, il caso degli USA (con oltre 300 milioni di abitanti) è quello più virtuoso tra quelli considerati sopra (con un solo stato che supera gli 80 milioni di abitanti, alcuni stati più o meno sotto i 70 milioni e il resto sotto i 50) – ma ciò non vuol dire che sia “immediatamente” il più adeguato. Secondo tale criterio moltissimi parlamenti “occidentali” dovrebbero rispetto al caso USA subire una riduzione numerica fin quasi alla disfunzionalità oppure conservare più o meno lo stesso numero di componenti e restare “tutti” sovradimensionati, tutti eccessivamente numerosi. Dunque, confronti “scriteriati” fanno solo propaganda confusa.
È un’altra banalità la constatazione che se diminuisce il numero dei parlamentari (specificamente dei senatori) diminuisce anche la spesa. È la stessa banalità dell’affermazione che otto fagioli sono meno di dieci! Ma questa banalità non dimostra che senza la riforma retrograda sotto referendum il nostro parlamento resterà il più costoso dell’Occidente. Matteo Renzi non ha mai detto con sufficiente precisione quanto si risparmia in valore assoluto e quanto in percentuale sulle nostre spese totali per il Parlamento, non ha mai fatto riferimento palese alle spese per gli altri Parlamenti dell’Occidente, non ha proposto criteri per rendere confrontabili le spese nostre e altrui sulla base di aggregati omogenei, cioè non ha fatto nulla per essere in grado di affermare che il nostro è «il Parlamento … più costoso dell’Occidente».
Al nostro politicante dell’antipolitica interessa solo accreditare l’idea menzognera che tutti coloro che si oppongono alla sua riforma della Carta in chiave di restaurazione oligarchica siano contrari a una diminuzione del numero dei Parlamentari, che vogliano conservare il bicameralismo paritario e che non siano disponibili a prendere in considerazione una soluzione monocamerale neppure davanti alla sua proposta di “bicameralismo scemo”. Ad esempio, io trovo ancora troppo alto il numero totale dei parlamentari (630 deputati e 100 senatori) quale risulta dalla riforma costituzionale sotto referendum e troverei troppo alto anche il numero di 630 deputati nel caso di una soluzione monocamerale.

2. «Se vince il Sì, per fare le leggi e votare la fiducia sarà sufficiente il voto della Camera come accade in tutte le democrazie; se vince il no continueremo con il ping-pong tra i due rami del Parlamento».
Intanto occorre distinguere tra procedimento legislativo e il luogo dove nasce ed è sottoposto a verifica il rapporto fiduciario tra governo e parlamento. Il fatto che il voto di fiducia venga dato in una sola Camera (quella bassa dei deputati) o in entrambe non influisce di per sé sul procedimento legislativo, che dipende invece dal tipo di differenziazione delle due camere, dalle loro funzioni e dalle loro competenze. Dunque non è vero che, se vince il Sì, «per fare le leggi … sarà sufficiente il voto della Camera»; non è vero che ciò «accade in tutte le democrazie»; non è vero che “solo in Italia” con la vittoria del NO «continueremo con il ping-pong tra i due rami del Parlamento». Anche in Germania il ping-pong ha un peso non trascurabile e la stessa riforma renziana che pretende il Sì non lo ha eliminato prevedendo diversi procedimenti legislativi nel rapporto tra Camera e “Senato mostriciattolo”.
Per quanto riguarda gli USA basta prendere in mano un manuale di diritto costituzionale comparato per sapere che entrambe le camere del Congresso partecipano al procedimento legislativo in modo sostanzialmente paritario, essendo solamente la materia tributaria riservata all’iniziativa della camera dei rappresentanti (ma con la possibilità comunque da parte del senato di apportare emendamenti); che prima di arrivare alla firma del Presidente le leggi devono essere approvate da entrambe le camere “nell’identico testo”; che nel caso di difformità nei testi approvati nei due rami del Congresso e qualora non si arrivi a un accordo tra le due camere, si ricorre a una commissione per trovare un accordo su un testo comune. Tutto ciò nonostante che né la camera bassa né quella alta votino la fiducia all’esecutivo del Presidente.
Insomma, quello che M. Renzi vorrebbe far passare definitivamente con una sua vittoria nel referendum non accade affatto in tutte le democrazie del mondo.
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costituz RI
Referendum, Zagrebelsky: “Il mio No per evitare una democrazia svuotata”
di Ezio Mauro

La Repubblica 26 maggio 2016. Per l’ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky la riforma del Senato sommata all’Italicum “realizza il sogno di ogni oligarchia: umiliare la politica a favore delle tecnocrazie”

Professor Zagrebelsky, dunque più che a un referendum saremmo davanti a un golpe, come sostiene il fronte del “no” alla riforma che lei guida insieme a altri dieci ex presidenti della Consulta, e a molti costituzionalisti? Non lo avete mai sostenuto nemmeno davanti agli abusi di potere di Berlusconi e alle sue leggi ad personam: cos’è successo?
“Nel “fronte del no” convergono preoccupazioni diverse, come è naturale. Vorrei però che si lasciassero da parte le parole a effetto. L’atmosfera è già troppo surriscaldata. Contesto la parola golpe, non l’allarme. Come si fa a non vedere che il potere va concentrandosi e allontanandosi dai cittadini comuni? Non basta per preoccuparsi?”.

Sono qui per sentire lei, e aiutare i lettori a capire. Dove vede questo disegno di esproprio del potere?
“Non penso a una “Spectre“, per intenderci. Vedo un progressivo svuotamento della democrazia a vantaggio di ristrette oligarchie. Per ora le forme della democrazia reggono, ma si svuotano. Si parla di post-democrazia e, se subentra l’autoritarismo, di “democratura“. Ripeto: non c’è da preoccuparsi?”.

Tutto questo per il referendum sulla riforma del Senato?
“Il Senato è un dettaglio, o un’esca. Meglio se lo avessero abolito del tutto. È all’insieme che bisogna guardare. Rispetto ai mali che tutti denunciamo (rappresentanti che non rappresentano, partiti asfittici e verticistici e, dall’altro lato, cittadini esclusi e impotenti) che significa la riforma costituzionale unita a quella elettorale? A me pare di vedere il sogno di ogni oligarchia: l’umiliazione della politica a favore di un misto di interessi che trovano i loro equilibri non nei Parlamenti, ma nelle tecnocrazie burocratiche. La conseguenza è che viviamo in un continuo presente. Il motto è “non ci sono alternative“, e così il pensiero è messo fuori gioco”.

Lei ha avuto responsabilità istituzionali, è stato presidente della Consulta: non ha mai sollevato questo allarme coi vertici dello Stato?
“Con “i vertici” ho poche occasioni d’incontro. Ma ne ricordo uno, al Quirinale col presidente Napolitano. Gli parlai dell’alternativa che si prospetta sempre, quando le condizioni sociali si fanno strette e il malessere aumenta, tra chiusure autoritarie e aperture democratiche: o la ricerca di nuove strade o l’insistenza su quelle vecchie che pesano sui gruppi sociali più deboli”.

Ad esempio?
“Pensi al modo abituale di tirare avanti esponendosi ai creditori. Il debitore finisce per cadere totalmente nelle loro mani. Nel diritto antico potevi finire schiavo. Oggi puoi essere spogliato. Si canta vittoria quando la finanza internazionale rifinanzia il debito pubblico e non si vede il nodo del cappio che si stringe. Eppure c’è l’esempio della Grecia che parla chiaro. Lo stato sociale è allo stremo e si sono chiesti in garanzia spiagge, isole e porti, se non anche il Partenone”.

Io sono più preoccupato per questi problemi che per la riforma del Senato: il welfare state, quella che abbiamo chiamato l’economia sociale di mercato, la democrazia del lavoro fanno parte della civiltà europea, non le pare?
“Anche per me questa è la vera posta in gioco. Guardi però che tutto nel nostro discorso si tiene, dal welfare al referendum. Sennò non si capirebbe, di fronte all’enormità dei problemi che abbiamo, tanto accanimento nei confronti del povero Senato. Il “sì” spianerebbe una strada; il “no” farebbe resistenza”.

Insomma, dalla crisi si può uscire con meno o più democrazia?
“Sì. La prima strada porta alla rottura dei vincoli sociali, diciamo pure alla distruzione della società, condannando i più deboli all’impotenza e all’irrilevanza. La seconda passa per un grande discorso democratico, franco, sincero, che non nasconda le difficoltà e chiami tutti a uno sforzo di responsabilità, ciascuno secondo le proprie possibilità, mobilitando le energie civili del Paese e recuperando sovranità”.

Anche lei pensa che l’Europa sia un nemico, come dicono ogni giorno gli opposti populismi?
“Per nulla. Ma l’Europa è una scelta, non un guinzaglio. L’articolo 11 della Costituzione prevede la possibilità che l’Italia limiti la sua sovranità a favore di organismi internazionali, ma a condizione che ciò serva alla pace e alla giustizia tra le Nazioni. Che cosa vuol dire? Che non è un’abdicazione incondizionata alla finanza, entità immateriale con conseguenze molto concrete, ma una partecipazione consapevole e paritaria a istituzioni democratiche sovranazionali. L’Europa dovrebbe significare più, non meno democrazia”.

Sta dicendo che l’Europa è un destino democratico da scegliere ogni giorno, non un vincolo di cui si smarrisce la legittimità?
“È l’opposto della semplificazione brutale dei nazionalisti. Anzi, un recupero dello spirito di Ventotene, un “plebiscito d’ogni giorno” dei popoli, non dei mercati. Invece si è pensato che unendo i mercati la politica avrebbe seguito. Ma gli interessi economici spesso sono ostili alla politica, e la riducono a intendenza. Speriamo che non sia troppo tardi”.

Ma secondo lei la politica accetta consapevolmente questa diminuzione di ruolo e di peso, o decide il rapporto di forza?
“C’è un pensiero unico in campo, tra l’altro responsabile della crisi. Perfino un riformista come Keynes è considerato un eretico. La politica, dicevo, si è ridotta a una dimensione puramente esecutiva, con interventi tampone, incapace di un pensiero autonomo e prospettico. L’implosione è sempre in agguato”.

Professore, non è troppo pessimista?
“Non parlerei di pessimismo, ma di prudenza, una virtù che nel governo delle società non è mai troppa. A parte tutto, la riforma è scritta malissimo, illeggibile, talora incomprensibile”.

Sta facendo un problema di forma?
“Di sostanza, prego, perché una costituzione democratica ha innanzitutto l’obbligo della chiarezza. Il linguaggio dei riformatori rivela due difetti: semplificazione e radicalità, brutalità e ingenuità”.

Si può essere brutali e ingenui al tempo stesso?
“Certo. Prenda lo slogan: la sera delle elezioni si saprà chi ha vinto. Non le sembra che riveli una mentalità al tempo stesso sbrigativa e ingenua? In quel giorno ci saranno vincitori e vinti e vae victis!“.

Ma lo slogan non indica anche un rimedio alla palude, all’eterna tentazione del consociativismo?
“A patto di non considerare la vittoria come un’unzione sacra che permette di insultare chi non è d’accordo: sindacati, professori, magistrati, pubblici amministratori, con l’idea che siano avversari da spegnere. Un governante saggio non dovrebbe crearsi il nemico perché, appena le cose incominceranno ad andare male, sarà chiamato a pagare un conto salato”.

Ma nel Paese dell’eterno democristiano, non è meglio un legame diretto tra il voto e il governo?
“Perché “diretto” sarebbe “non democristiano“? A me pare che proprio l’idea del vincitore e dello sconfitto alimenti una vocazione tipica da noi: il timore d’essere lasciati nel campo della sconfitta. Così, c’è stata e c’è una vocazione potente a salire sul carro del vincitore. E questa non è forse la forma peggiore del consociativismo, addirittura preventiva?”.

Lei teme l’abuso del vincitore?
“Si è parlato della Costituzione vigente come il frutto ormai superato della “paura del tiranno“. Il tiranno, nel senso del fascismo, oggi non c’è più. Ma il vento che tira in Europa e nel mondo non ci rende avvertiti di altri, nuovi pericoli? Tanto più che le istituzioni che saranno sottoposte a referendum varranno per il futuro e non sappiamo chi potrà avvalersene”.

Ma ci sono costituzionalisti, come il professor Cassese, che non vedono nella riforma un rafforzamento dell’esecutivo: è così?
“Nessuno può essere certo delle sue previsioni, ma il gioco combinato della “velocità” nella politica e dell’elezione come investitura trasformerà chi vince in arbitro indiscusso del sistema. Già ora il Capo del governo è anche Capo del suo partito, e la minoranza interna è schiacciata sotto il ricatto permanente del voto anticipato”.

Anche De Mita per un breve periodo fu segretario della Dc e capo del governo: perché nessuno lo paragonò a un tiranno?
“Semplice: perché c’erano i partiti e una legge elettorale proporzionale con le preferenze. Oggi i partiti sono dei monoliti, col solo compito di sostenere il Capo. E, di nuovo, tutto si tiene: con la legge elettorale vigente in Parlamento siederanno i fedelissimi”.

Lei ritiene Renzi capace di tutto questo?
“Non voglio personalizzare. Tra l’altro oggi c’è Renzi, domani può venire chiunque. I governi passano, le istituzioni restano”.

Ma la società non vuole un superamento del bicameralismo perfetto?
“Lo voglio anch’io, ma non in questo modo. Ridurre procedure e costi è positivo. Ma tutto ciò non va cavalcato in termini antiparlamentari, perché saremmo all’antipolitica. Di un parlamento vitale si ha sempre bisogno. Anzi avremmo bisogno che rappresentasse il meglio del Paese, come si diceva una volta: ridotto nel numero e più competente”.

Le ricordano sempre che Ingrao si schierò a favore di una sola Camera: cosa risponde?
“L’idea di Ingrao era la “centralità del Parlamento“. Voleva una Camera sola per promuovere la politica in Parlamento, non per umiliarli entrambi”.

E’ questa la vera ragione del suo “no”?
“E’ fondamentalmente questa, unita a ragioni specifiche. Il Senato è ridotto, ma non abolito. Il bicameralismo rimane per una serie di materie che possono innescare seri conflitti. È previsto che siano risolti dalla trattativa tra i due presidenti. Ma è lecito patteggiare sul rispetto delle regole? Le incongruenze tecniche sono molte. Non invidio chi dovrà scrivere la nuova legge elettorale del Senato. Non si capisce da chi saranno scelti i nuovi senatori: se sono “designati” dagli elettori non possono essere “eletti” dai Consigli regionali. Sa cosa le dico? Non mi dispiace non insegnare più il diritto costituzionale il prossimo anno, perché non saprei come spiegare ai miei studenti non una materia, ma un guazzabuglio”.

Più facile spiegare la fiducia al governo da parte di una sola Camera, non crede?
“Questo è giusto, e utile. Non sono affatto contrario a un governo che governi. Ma dentro un sistema che respiri democraticamente a pieni polmoni”.

Dal governo non può venire niente di buono?
“Perché? Sono buone le unioni civili, l’autonomia dai vescovi, la prudenza sulla Libia, il rifiuto della politica del “a casa nostra” verso i migranti. Vede che non ho pregiudizi? Ma non mi piace che una discussione sulla Costituzione si trasformi in un plebiscito sul governo. La Costituzione non è a favore né contro qualcuno, non si vince in questa materia e non si perde. Nessuno si gioca tutto sulla Carta, tutti ci giochiamo qualcosa e forse molto”.

Professore, non l’ho mai sentita richiamare i grillini, come fa con il Pd, ad una responsabilità comune sul destino del sistema: come mai?
“Potrei dirle che l’antipolitica è figlia della cattiva politica. Ma è giunta l’ora che i Cinque Stelle si emancipino dalle idee elitistiche e accettino la logica parlamentare. La vera arte politica sta nel creare le condizioni dello stare insieme. Il che non vuol dire rinunciare alle proprie ragioni, ma cercare di diffonderle oltre i propri confini. Dire questo non significa nostalgia del vecchio ordine, ma desiderio di buona politica”.

A proposito di vecchio, cosa risponde a chi usa questo termine come un insulto contro di voi?
“Anche noi siamo stati giovani, senza averne merito, e anche loro diventeranno vecchi, senza colpe per questo. Ma, non era la destra che polemizzava coi vecchi?”.

Sì, ricorda gli attacchi a Spadolini, Rita Levi Montalcini sbeffeggiata in Senato: dunque?
“C’è traccia di futurismo nella rottamazione. I giovani hanno sempre ragione, i vecchi devono tacere. Sono battute, dice qualcuno. Ma vede: così si smarrisce il sentimento del passaggio generazionale, la trasmissione dell’esperienza. Si vuole rompere la tradizione in nome di un presunto Anno Zero. Certo, l’eccesso di tradizione spegne. Ma tagliare ogni radice per il peso della memoria espone al vento. Vivi nell’oggi e improvvisa”.
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NO NO NOOO
Martedì 31 maggio, alle ore 10.30 Conferenza Stampa del Comitato di Cagliari per il NO nel Referendum costituzionale, presso la saletta-stampa del Consiglio regionale della Sardegna, in via Roma, Cagliari.

Oggi venerdì 27 maggio 2016

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La Pinacoteca Nazionale di Cagliari acquisisce un’opera di Pietro Cavaro, pittore di Stampace di livello europeo. E’ costata allo Stato 195mila euro. Sono soldi spesi bene, perché Cavaro li può rendere centuplicati alla città e al territorio

oggi Cavaro 26 5 2016le due grazie Cavaro 26 05 2016cavaro deposizioneTavola del Cavaro- Pietro Cavaro, pittore stampacino.
Questa mattina nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari (Cittadella Giovanni Lilliu), la Direttrice del Polo Museale della Sardegna, Giovanna Damiani e Maura Picciau, Soprintendente alle Belle Arti e Paesaggio di Sassari, hanno presentato la tavola raffigurante “Il seppellimento di Cristo”, dipinto su tavola opera di Pietro Cavaro, databile dopo il 1520. Dalle relatrici e dal comunicato stampa dell’organizzazione, abbiamo appreso che l’opera fu acquistata dal Ministero dei Beni Culturali (MiBACT) alla fine del 2014, a seguito della proposta formulata dalla Soprintendenza SBAPSAE di Cagliari sulla base della segnalazione di uno studioso e soprattutto grazie alla tenace volontà di Maria Assunta Lorrai, allora Direttore Regionale per i Beni Culturali della Sardegna, e di Maura Picciau, che per molto tempo cercarono di non perdere le tracce del dipinto, dopo che era andato in asta a Parigi presso la casa d’aste Boisgirard&Associes nel luglio 2012. Il dipinto riaffiorò poi in Italia, a Napoli, nel 2013, dopo essere passato da Londra e forse New York. Nel 2014, il MiBACT ne deliberò l’acquisto a trattativa privata, dalla Galleria Porcini di Napoli: un’opera di altissima qualità formale e testimonianza della migliore pittura sarda del Cinquecento. Il dipinto rappresenta un importante tassello per la ricostruzione del Retablo della “Madonna dei sette dolori” di Pietro Cavaro, retablo andato disperso alla fine del XIX secolo, e si ricongiunge alla superstite “Deposizione” che fa parte della collezione della Pinacoteca Nazionale dal 1955, quando Raffaello Delogu la recuperò dalla collezione Antico a Tangeri, assicurandola alle collezioni statali.
lampada aladin micromicro Com’è nell’ordine delle cose, presenti all’evento alcuni giornalisti (tra questi il direttore di Aladinews) e altre persone nell’ambito degli “addetti ai lavori” (tra questi Franco Carta della Fondazione di Sardegna); del tutto assenti politici e amministratori pubblici. Eppure, come hanno insistito la Direttrice Damiani e la Sovrintendente Picciau, Pietro Cavaro è un pittore cagliaritano ascrivibile tra i grandi della sua epoca, sicuramente di livello europeo. Come scrive la prof.ssa Renata Serra (docente di Storia dell’Arte – la più grande esperta dei Cavaro – per fortuna ancora tra noi nella sua splendida età di 90 anni): [Pietro Cavaro] Il maggiore dei pittori di Stampace, fu il vero iniziatore di quella scuola che prese il nome dal quartiere di Cagliari dove i Cavaro tennero bottega dalla seconda metà del XV sec. e per tutto il XVI. Probabile nipote di Antonio, e forse figlio di Lorenzo, è per certo il padre di Michele, anch’egli pittore di fama. Finora le notizie che lo riguardano vanno dal 1508 al 1538. Al 2 gennaio della prima data, il C. figura tra i membri dell’associazione dei pittori barcellonesi (Madurell Marmion, pp. 39 e 46); egli doveva essere a Barcellona almeno da un decennio e certo abbastanza apprezzato se godeva di tale posizione. Prima opera dopo il suo ritorno in Sardegna è il retablo della parrocchiale di Villamar, che nelle cimase inferiori dei pulvaroli reca dipinta la seguente iscrizione con firma e data: “Anno salutis MDXVIII die XXV mensis maius − pingit hoc retabolum Petri Cavaro pictorum minimus Stampacis” (…) [Dizionario Biografico Trecani]. L’opera è costata alle casse dello Stato 195mila euro; sono molti soldi, ma sono spesi bene, sia per il valore intrinseco della stessa, sia per il ritorno che può dare alla città come valorizzazione dei suoi musei e pertanto attratività turistica (turismo culturale). Al riguardo per apprezzare qualcosa occorre sapere che esiste e conoscerne il valore. Non sembra che questi due aspetti siano allo stato presenti nella testa dei nostri amministratori. Probabilmente qualche colpa l’hanno pure gli accademici e i funzionari pubblici (in accezione vasta). Anche in questo caso è d’obbligo denunciare la pessima pratica dei “compartimenti stagni”… Torneremo sull’argomento e sulle sue implicazioni (fm).

DIBATTITO su elezioni del Sindaco e del Consiglio comunale di Cagliari. Voce al dissenso

Torri municipio Cagliari
- Senza una vera leadership sarà difficile convincere una città stremata o peggio rassegnata. Carlo Melis su SardegnaSoprattutto.
- Zedda a Cagliari potrà anche rivincere le elezioni ma il suo progetto politico è fallito. Vito Biolchini su vitobiolchini.it.
- Ci battiamo per una alternativa, per una terza via, lontano dalla destra e da una sinistra fasulla, per fare di Cagliari città capitale, capitale sarda. Piero Marcialis su Aladinews.

Oggi giovedì 26 maggio 2016

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Ci battiamo per una alternativa, per una terza via, lontano dalla destra e da una sinistra fasulla, per fare di Cagliari città capitale, capitale sarda

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Piero Marcialis 1ELEZIONI A CAGLIARI
di Piero Marcialis

Le elezioni del prossimo 5 giugno per il rinnovo del Consiglio Comunale di Cagliari, non hanno valore solo amministrativo, hanno valore politico.
Rinnovare Sindaco e Consiglio della prima città della Sardegna ha riflessi consistenti sulla politica italiana.
All’indomani dei risultati sentiremo commentare “ i sardi sono con noi, condividono la nostra politica”.
E il riflesso manderà effetti sul voto del referendum di ottobre e sulla prossima legge elettorale. E’ fatale.
Naturalmente, prima delle elezioni, si fa l’operazione contraria: sono amministrative, non sono politiche.
E questo verrà detto dai furbi che sanno che è falso, ma anche dagli ingenui che credono che il governo di una città sia solo un fatto di buona amministrazione.
I nostri maestri di scienze sociali e di cultura politica ci hanno da tempo insegnato la differenza abissale tra “buona amministrazione” e governo politico.
La buona amministrazione consiste nell’applicare le regole, quelle esistenti, la può fare la sinistra e ugualmente la destra: potrebbe farla un calcolatore elettronico.
Il governo politico consiste nel cambiare le regole, nel distinguere tra quelle giuste e quelle ingiuste, nel decidere per regole più favorevoli alla classe che vuoi rappresentare.
In genere le regole esistenti rappresentano lo statu quo, gli interessi della classe dominante, e limitarsi ad applicarle è sempre una politica di destra, anche se lo fa la sinistra.
Naturalmente c’è un governo politico che opera sulle leggi modificandole in senso maggiormente favorevole alla classe dominante: è la politica di destra e quando la fa un partito che proviene dalla sinistra significa semplicemente che ha cambiato campo, è diventato di destra.
Assistiamo nella attuale sonnolenta campagna elettorale cagliaritana a malinconiche parabole.
Un sindaco uscente, che aveva esordito legato a Vendola, chiude la sua parabola legato a Renzi.
Assistiamo, con tristezza, alla parabola di giovani che erano schierati per la sinistra, per l’ecologia, per la libertà, portare acqua al mulino di un partito che ormai con la sinistra ha poco a che vedere, con l’ecologia sta nel campo opposto, con la libertà ha autoritari sentimenti di odio.
Assistiamo, con sospetto, a militanti del fu comunismo che sventolano la gloriosa bandiera rossa in appoggio a chi di essa ha fatto stracci, a chi odia i partigiani, la Costituzione nata dalla Resistenza, la riscossa del popolo.
Assistiamo, con desolazione, al coalizzarsi di vari partiti sardisti con gente che odia il sardismo, la lingua sarda, Sa Die de sa Sardigna, la patria sarda, ed è complice della occupazione militare, dello scempio ambientale, dei padroni di turno della nostra Isola.
Di fronte a tutto ciò l’allegra baldanza della coalizione di destra che, immemore del suo passato, lancia programmi di risanamento ambientale, di rifare la spiaggia, di liquidare Equitalia, e tante belle cose, a cui si replica solo denunciando il passato, ma non proponendo miglior futuro. Ed è per questo miglior futuro, perchè meglio di prima non ci basta (figuriamoci peggio!), che ha senso battersi per una alternativa, per una terza via, lontano dalla destra e da una sinistra fasulla, per fare di Cagliari città capitale, capitale sarda, non finta metropoli, capoluogo alla stregua di una qualsiasi provincia italiana.

Comunicare le guerre dimenticate per non dimenticare

Blog social loghettoIl suo ultimo libro si intitola “Vittime e carnefici nel nome di Dio” ed è una interessante riflessione sulla guerra che sta insanguinando tante parti del mondo e sul fenomeno epocale dell’esodo dai paesi africani. Padre Giulio Albanese, missionario comboniano, direttore della rivista “Popoli e Missione” e fondatore dell’agenzia MISNA (Missionary International Service News Agency), che oggi purtroppo è stata chiusa, sarà in Sardegna per parlare di guerre dimenticate in due incontri di formazione organizzati dall’Ordine dei giornalisti in collaborazione con la Delegazione regionale Caritas Sardegna e con l’UCSI Sardegna.
“Comunicare le guerre dimenticate per non dimenticare”
I due seminari, dal titolo “Comunicare le guerre dimenticate per non dimenticare”, si terranno domani 25 maggio a Cagliari e giovedì 26 maggio a Sassari. Ad affiancare padre Albanese ci sarà la professoressa Patrizia Manduchi, docente di Storia e istituzioni dei paesi islamici all’Università di Cagliari. (Fonte)
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Oggi mercoledì 25 maggio 2016

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La scienza della fantascienza, strategie dello sguardo tra invenzione letteraria e invenzione scientifica

scienza della fantascienzaSCIENZA E FANTASCIENZA TRA CONOSCENZA INQUIETUDINE E MERAVIGLIA

La scienza della fantascienza: strategie dello sguardo tra invenzione letteraria e invenzione scientifica.

Giovedì 26 maggio alle ore 18 quattordicesimo appuntamento e ultimo del modulo invernale-primaverile della rassegna culturale “Scienza e fantascienza tra conoscenza inquietudine e meraviglia” promossa dalla Biblioteca Provinciale nell’ambito dei programmi di promozione della lettura. L’incontro-dibattito si terrà nella sala conferenze della Biblioteca Provinciale, in cima al parco di Monte Claro, ingresso da via Mattei in auto e a piedi.
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Al May Mask

may Mask dueIl May Mask inaugura con La maschera che porto
Il nuovo spazio culturale polivalente (ri)apre a Villanova con una collettiva ed una performance d’effetto
di Carla Deplano

Il 22 maggio la neonata Associazione culturale May Mask di Massimiliano Murru, Ignazio Loi e Daniela Porcu ha inaugurato l’omonimo spazio polivalente di via Giardini 149a con la mostra collettiva “La Maschera che porto”.
La prima performance del progetto “12 mt sul livello del mare” ha visto come protagonisti Massimiliano Murru (percussioni etniche e rumori), Francesca Romana Motzo, (clarinetto improvvisato), Laura Fortuna (voce recitante) e Boucar Wade (poeta narrante). – segue -

Arregordarì Save the date Prendi nota: la sera di mercoledì primo giugno a Cagliari

Piero Marcialis 1Sa-dì-de-sacciappa-Piero-Marcialis-SDLProponenda piazza Giovanni Maria Angioy (per ora ancora Corso Vittorio Emanuele II) Performance di Piero Marcialis, tratto dalle sue opere teatrali e letterarie.

“L’intendance suivra”? Non proprio! Nominato il sub-commissario della Camera di Commercio per la liquidazione della Fiera. E’ il commercialista Andrea Dore. Si tratta del giovane (junior) o dell’anziano (senior)? La determina del Commissario non lo chiarisce… ancora.

Figari armatoriLa determina del Commissario sul sito della Camera di Commercio, ripresa da Aladinews: http://oivcamcomca.blog.tiscali.it/2016/05/24/nominato-il-sub-commissario-della-camera-di-commercio-di-cagliari/?doing_wp_cron.
lampadadialadmicromicro“L’intendenza seguirà”: lo diceva De Gaulle o forse prima di lui Napoleone (“L’intendance suivra”). Nel senso che data una direttiva del supremo comando, segue la sua attuazione da parte di un adeguato apparato organizzativo. Così non capita quasi mai e non è capitato neppure in Camera di Commercio dove il Commissario non ha trovato l’intendenza e ha ricorso al lavoro grauito e volontario di un professionista. Ma si può?

Un appello di Gianfranco Murtas, giornalista e scrittore, per la salvezza della biblioteca della Camera di Commercio di Cagliari. Primo a raccoglierlo e rilanciarlo è Paolo Fadda, storico dell’economia.

C.C.CAGLIARI-sala letturaGianfranco Murtas-1 Fond SardiniaDall’articolo di Gianfranco Murtas, pubblicato sul sito della Fondazione Sardinia: (…) Quello che duole è che da sei mesi ormai, per vera o presunta – direi vera sul piano obiettivo, ma pur gestibile – inagibilità degli ambienti deputati al servizio – sotterraneo rispetto al Largo Carlo Felice, al piano stradale ma interno a vederla dalla via Angioy, la biblioteca sia inaccessibile.
Commissariata la gestione amministrativa della Camera di Commercio, non sembra entrata nelle priorità, ma neppure nelle seconde file delle preoccupazioni della professoressa Piras, al comando pieno dell’ente, proprio la questione della biblioteca. E spiace molto – davvero molto – che ella non abbia mai avvertito come suo dovere, che invece potrebbe o dovrebbe nascere dalla stessa sua sensibilità di docente, di tenere informata l’utenza – leggi la cittadinanza – della tempistica prevista per il rimedio delle cause all’origine dell’interruzione del servizio.
E’ un modo, a mio avviso, sempre incomprensibile quello di non rispettare il pubblico, la cittadinanza, da parte di politici e burocrati di varia provenienza. La Piras si mostra omologa alla massa di chi, titolare di un ufficio pubblico, rimuove il dovere elementare della informazione, che è fatto di democrazia anch’esso. E pure ci vorrebbe poco: un comunicato alla stampa scritta e radiotelevisiva locale per comunicare i perché della sospensione ed i tempi del ripristino.
So bene quanto la Camera di Commercio di Cagliari avesse bisogno di una revisione radicale dei suoi bilanci, tanto più per raddrizzare orientamenti e scelte incomprensibili anch’essi, e certo non meno dei silenzi dell’attuale commissario straordinario. Non sarà mai nelle benemerenze della presidenza Deidda la sospensione delle pubblicazioni della bellissima rivista – “Sardegna Economica” –, cui non di rado mi è capitato di collaborare, diretta dal commendatore Paolo Fadda. Scriverci era diventato un punto d’onore anche per diversi docenti universitari colleghi della Piras.
Mentre si sopprimeva quel periodico, non si sopprimevano né si contenevano altre spese forse meno idonee a creare valore, e a dare valore, al buon nome storico della Camera fondata dal Serpieri e cofondata dal Rossi Doria e dal Pernis. Lontani un decennio ormai i tempi della perfetta diarchia Romano Mambrini – Paolo Solinas, perduta la sua rivista, l’ente camerale di Cagliari ha perduto anche la sua biblioteca. Nel silenzio generale. Sale una protesta, la mia, solitaria, a futura memoria
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img_9554Il COMMENTO di PAOLO FADDA, 22 maggio 2016 sul blog della Fondazione Sardinia.

Quel che scrive, caro gfm, è giustissimo, e suona a conferma che al declino-sfacelo di questa benemerita istituzione non c’è più limite alcuno. La Camera di commercio di Cagliari è oggi niente più che un fantasma, ridotta ad essere niente più che un modesto certificatificio, estranea del tutto a quel che accade alle nostre imprese colpite dalla crisi, ai nostri trasporti avviliti da defezioni sempre più pesanti, alle attività produttive in sofferenza per l’inaridimento dei crediti bancari, ecc. ecc. Così anche la sua biblioteca, già così ricca di contenuti e così efficiente per servizi, sembra prossima all’estinzione: è anche questo il segno manifesto di quanto un’ottusa burocrazia e delle gestioni infelici siano capaci di cancellare anche le più importanti e qualificanti istituzioni cittadine, Sono quindi con lei, carissimo amico, pronto ad aggiungere anche la mia firma (e la mia voce) a quest’appello di protesta e cdi indignazione!

La Cagliari sconosciuta, anche a gran parte dei Cagliaritani. Il palazzo dell’Economia della (declinante) Camera di Commercio di Cagliari.

C’era un fior di biblioteca, una volta, alla Camera di Commercio di Cagliari
di Gianfranco Murtas su Fondazione Sardinia

I giornali hanno pubblicato nei giorni scorsi una bella foto ritraente numerosi pazienti nostri concittadini in fila per entrare nella sede della Camera di Commercio, dall’ingresso ufficiale del largo Carlo Felice, in occasione della ventesima edizione di Monumenti Aperti. Entrati nelle sale basse e in quelle alte, bellissime, della presidenza e dei convegni, con i quadri bellissimi del Serpieri e del Pernis fra gli altri, essi sono stati impediti però di vedere la magnifica biblioteca camerale, una perla rara a Cagliari. Mal funzionanti (da anni!) le scale che portano al sottopiano, interdetti i locali adibiti da lunghi anni al servizio bibliotecario. Questo è l’incipit.
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La “vertenza entrate” oltre la propaganda

sardegna-dibattito-si-fa-carico-181x300Vertenza entrate: vittoria storica o pietra tombale dell’autonomia finanziaria sarda?
23 Maggio 2016

democraziaoggi loghettodi Tonino Dessì, su Democraziaoggi

Due comunicati, uno del Presidente della Regione sarda, uno della Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno reso nota l’approvazione, da parte del Governo, dell’atteso decreto legislativo di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto speciale per la Sardegna, come modificato dalla legge n. 296 del 2006.
Il decreto legislativo contiene la specificazione della base su cui vengono determinati alcuni cespiti erariali da ripartire fra Stato e Regione, unitamente all’accordo sulla corresponsione, a rate, di 900 milioni di euro che avrebbero dovuto essere corrisposti alla Regione in base alla legge, ma che invece sono state trattenute finora dallo Stato.
Il Presidente Pigliaru e altri esponenti della Giunta e della maggioranza regionale hanno definito l’accordo, raggiunto nell’apposita Commissione paritetica, per l’adozione del decreto legislativo, un evento “di portata storica”, tale da concludere definitivamente, addirittura, l’annosa “vertenza entrate” tra Stato e Regione.
Più concretamente, tuttavia, va detto che il decreto legislativo non cambia affatto i contenuti della legge di modifica dell’articolo 8 dello Statuto approvata dal Parlamento nel 2006: quella riforma ha trasferito per intero alla Regione, tra le altre, le spese della sanità e dei trasporti interni, in cambio di un incremento di entrate insufficiente a coprire, per la prima, la spesa storica (da qui il deficit strutturale che si era perfino pensato, recentemente di coprire con aumenti delle addizionali regionali IRPEF e IRAP), per i secondi, gli oneri necessari per gestire e per ampliare i collegamenti.
La vera e propria novità del decreto legislativo parrebbe stare nella modifica del meccanismo di tesoreria. Lo Stato infatti finora non ha versato sempre, alla scadenza, le tranches periodiche delle entrate erariali riscosse in Sardegna spettanti alla Regione. Non le ha versate sia quando ha verificato che la Regione, per sue lentezze nella spesa, disponeva ancora di liquidità giacenti, sia quando in generale, per rallentare il flusso corrente della spesa pubblica, esso è ricorso unilateralmente a restrizioni dei trasferimenti liquidi di cassa. Finora lo Stato poteva anche trattenere una parte delle entrate regionali a titolo di riserve erariali per fronteggiare eventuali emergenze.
Col nuovo decreto legislativo è stato stabilito invece che l’erogazione delle spettanze di competenza regionale avverrà, anche in termini di cassa, puntualmente, a scadenza e che prescinderà dallo stato delle liquidità disponibili nel conto centrale di tesoreria (nel quale le spettanze tributarie della Sardegna sono finora contabilizzate e gestite dal Governo). In futuro, un decreto ministeriale stabilirà le modalità di accredito diretto alla Regione (senza verosimilmente passare dal conto centrale di tesoreria), delle quote tributarie di competenza regionale accertate e riscosse in Sardegna dall’Agenzia statale delle Entrate e dagli altri soggetti incaricati dallo Stato.
Non si tratterranno più, infine, quote di riserve erariali e le eventuali emergenze verranno determinate volta per volta sulla base di intese.
Senza sminuirne l’utilità “operativa”, non pare tuttavia un risultato di così enorme portata da definirsi “storico” ed è assai preoccupante leggere che in tal modo si concluderebbe “definitivamente” la “vertenza entrate”.
A questo proposito sembra opportuno ripercorrere sommariamente alcune vicende, per comprendere il filo di continuità che lega questi fatti recentissimi a processi che risalgono assai più indietro nel tempo.
Più d’uno, infatti, continua a scrivere che la questione delle entrate finanziarie della Sardegna e il relativo contenzioso con lo Stato sono nati per la prima volta con la Giunta Soru nel 2004. In realtà si è trattato e si tratta di una vertenza prolungata e caratterizzata da diverse fasi, nella storia dell’Autonomia speciale. - segue –