Monthly Archives: marzo 2016
CAGLIARI 2016. Dibattito su/per la città dentro la campagna per le elezioni comunali
Martinez, chi è costei? M5S e la formazione dei gruppi dirigenti
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
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449 anni fa moriva a Cagliari il frate catalano Salvatore da Horta
SALVATORE DA HORTA
18 marzo 1567. Muore a Cagliari Salvatore da Horta, frate minore. Aveva 47 anni, catalano, giunse a Cagliari nel novembre del 1565, ultimo trasferimento dei tanti cui fu obbligato per la sua fama di santo e taumaturgo che tanto imbarazzava i confratelli.
Fu perfino denunciato all’Inquisizione di Barcellona, denuncia che non ebbe conseguenze.
Proclamato santo (mica subito) il 13 aprile 1938 da Pio XI.
Venerato a Cagliari, il corpo è conservato nella chiesa di S.Rosalia.
Oggi venerdì 18 marzo 2016
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Organizzato dal Comitato provinciale per il NO nel referendum costituzionale. Sabato 19 Marzo alle ore 18.00 a Quartu Sant’Elena in via Dante 66 presso la biblioteca comunale, si terrà un dibattito avente per tema la costituzione e l’autodeterminazione, interverrà l’Avvocato Felice Carlo Besostri, del coordinamento nazionale e Flavio Cabitza per l’associazione per la tutela dei diritti dei Sardi.
La Città metropolitana di Cagliari si avvia con un deficit di democrazia
Città metropolitana di Cagliari. Insediato Massimo Zedda, sindaco di Cagliari eletto dai soli cagliaritani, a capo di un’entità di altri sedici Comuni. Non è certo un bell’esempio di democrazia che verrebbe ripristinata solo con l’elezione diretta del sindaco metropolitano da parte della totalità dei cittadini dei territori che ne fanno parte.
Un commento
Roberto Camagni, uno dei massimi esperti europei di Economia Urbana al recente Convegno sul ruolo delle città nella pianificazione strategica per lo sviluppo dei territori, tenutosi a Cagliari il 18 dicembre 2015 (vedi Aladinews https://www.aladinpensiero.it/?p=50700) ha, tra l’altro, detto: “…Attenzione non c’è buona pianificazione senza partecipazione. Per Cagliari consiglio di ripartire dal Piano strategico che era stato molto partecipato e condiviso. Nel panorama nazionale il piano di Cagliari era a mio parere il migliore…”. E, ancora: “La città metropolitana è impegnativa e non può essere gestita da sindaci a mezzo servizio. Bisogna eleggere a suffragio universale il presidente della città metropolitana… Occorre tutelare le identità del territorio; la città metropolitana deve essere un vantaggio per tutti, altrimenti meglio non farla…”. Siamo completamente d’accordo, ne tenga conto il Sindaco di Cagliari e ne tengano conto gli altri Sindaci e le forze politiche dell’area vasta
I sardi che hanno fatto grande Cagliari
Giuseppe Antonio Lonis (Senorbì 1720 – Cagliari 1805). Dotato di talento artistico sin dalla giovane età, dopo un periodo di apprendistato presso la bottega di uno zio, intorno al 1740 si recò a Napoli per affinare la tecnica scultorea. Entrò in contatto con artisti quali Gennaro Frances e Giuseppe Picano.
Rientrò in Sardegna nel 1750 e aprì una bottega a Cagliari, nel quartiere Stampace, dove lavorò i restanti 55 anni della sua vita avendo modo di trasmettere le sue conoscenze a un gran numero di apprendisti.
Il lavoro del Lonis si concentrò nella realizzazione di statue in legno policromo a soggetto religioso. Tali opere, in stile tardo barocco e neoclassico, si possono ammirare in diverse chiese soprattutto del meridione dell’Isola. (Da Wikpedia)
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- Approfondimenti.
- Su Sardegna Visuale.
- Su Aladinews. La cultura ci salverà. Cagliari ricordi degnamente un suo grande artista: Giuseppe Antonio Lonis.
- I riti della Settimana Sarda a Cagliari, con la processione dei Misteri (in gran parte statue del Lonis).
Un ruolo internazionale (e una politica estera) per la Sardegna. Non s’improvvisa.
Come contributo al dibattito su “l’assemblea costituente e il nuovo statuto” (che trovò spazio nell’interessante Convegno promosso dalla Fondazione Sardinia e dalle associazioni culturali “Carta di Zuri” e SardegnaSoprattutto, che si tenne il 9 giugno nel Palazzo regio di Cagliari) pubblicammo il 2 giugno 2014 su Aladinews una parte di un saggio del prof. Umberto Allegretti, apparso sulla rivista “www.federalismi.it” e datato 14 gennaio 2014. Lo ripubblichiamo oggi correlandolo alla notizia della delegazione delle Regioni italiane in Tunisia, coordinata dal presidente della Regione Sarda. Anche in questa circostanza sottolineiamo come l’intervento mantenga intatta validità, così come le considerazioni che allora facemmo, iscrivendolo nel quadro di una “rafforzata autonomia speciale”, che, osservammo con piacere, sembra accogliere un’impostazione di fondo che oggi possiamo definire “sovranista”. Ovviamente ammettevamo trattarsi di “considerazioni del tutto personali, che non vogliono in alcun modo costituire una forzatura rispetto al taglio dell’autore”. Ancora oggi ci sembra particolarmente significativo proporre la lettura del saggio rispetto al ruolo internazionale della Regione Sarda e alla necessità che la Sardegna abbia una sua “politica estera”, sia pure nei limiti attuali, che comunque potranno auspicabilmente modificarsi con aperture di sovranità. Tutto ciò, e torniamo al punto di partenza, sostenevamo dovesse trovare accoglimento nel nuovo statuto della Sardegna. Ma queste oggi nel periodo storico renziamo potrebbero classificarsi come pie illusioni. Ovviamente non disperiamo che alla lunga la politica renziana sarà sconfitta, anche con l’apporto del nostro impegno politico (f.m.).
Un ruolo internazionale per la Regione Sarda
di Umberto Allegretti*
(…) Sul campo dei rapporti internazionali e con l’Unione europea, campo nevralgico ma, per quel che già si è detto, rispondente per la Regione sarda a una vocazione “naturale”, si può dire di più.
La distribuzione di questi rapporti – già concepiti come quasi del tutto estranei alle regioni e comunque costituenti per esse più un limite che un oggetto di competenza (48) – ha avuto un’evoluzione notevole col nuovo Titolo V (49), anche se poi la legge di attuazione n. 131/2003 detta “La Loggia” è stata restrittiva, ad esempio nelle forme date alle intese e agli accordi (50).
Ci sono comunque in tutto questo settore passi avanti delle Regioni ordinarie e questo è il minimo della frontiera che in base all’adeguamento automatico deve già darsi per acquisito per la Regione sarda. Questo minimo è d’altronde reso sicuro dal fatto che le disposizioni del titolo V relative alla partecipazione alla formazione degli atti comunitari e all’attuazione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea sono esplicitamente riferite anche a tali regioni, e che le norme della legge ordinaria menzionano a ugual titolo delle regioni ordinarie quelle speciali anche con riguardo alle altre manifestazioni della competenza internazionale delle regioni. Ne sono esempio le norme sugli accordi e le intese (art. 6 della legge 131) e quella che garantisce alle regioni speciali “almeno un rappresentante” nelle delegazioni governative presso l’unione europea (art. 5). Naturalmente è in questo modo esclusa ogni espansione maggiore di quella riconosciuta alle regioni ordinarie e anzi i limiti, in parte impropri e criticati dalla dottrina, imposti a queste ultime valgono anche per le speciali (51).
Ma non ci si può fermare al punto raggiunto (52). E infatti la dottrina ha già individuato nella potestà su rapporti con l’estero “un settore molto importante, nel quale può essere esaltata la specialità” e ha formulato precise ipotesi per il suo potenziamento, quale l’affidamento all’autodeterminazione degli statuti e delle leggi attuative di essi dei rapporti e accordi
internazionali delle regioni – seppure “nello spazio lasciato libero dagli indirizzi esistenti della politica estera della Repubblica” “e dalle esigenze di natura militare” -, proponendo di sostituire con una semplice informazione al Governo le gravose procedure stabilire per le altre regioni e concedendo a esso solo un evidentemente eccezionale potere di veto quando ravvisasse oltrepassamenti di quei limiti (53). Per la Sardegna, valgono le ragioni di quella apertura al fuori di cui si è parlato, che nella frontiera mediterranea trova il suo massimo.
D’altronde vi è qui da conservare, migliorandola sulla base dell’attuazione datale con la norma di attuazione dettata con il raramente notato (e, sembra, poco applicato) d. lgs. 215 settembre 1999 n. 263, l’abilitazione della Regione a essere “rappresentata nella elaborazione dei trattati di commercio che il Governo intenda stipulare con Stati esteri in quanto riguardino
scambi di specifico interesse della Sardegna” prevista dall’art. 52 dello statuto attuale 54; abilitazione che come noto è assente per le regioni ordinarie.
Può essere qui richiamato un tipo di letteratura politica e filosofica che si è molto sviluppata nel sud d’Italia, (basta evocare nomi di Franco Cassano e di Pietro Barcellona) (55) per ricordare come questa questione della frontiera mediterranea dell’Italia non riguarda solo evidentemente la Sardegna, ma tutte le regioni del Mezzogiorno, cosa che rende necessario alla Regione sarda collegarsi con le altre regioni meridionali, perché soltanto facendo fronte comune tra di esse si può svolgere una funzione mediterranea reale. Sembra importante che lo statuto dica qualcosa da questo punto di vista, per esempio immettendovi il principio delnecessario dialogo con le civiltà esterne, in particolare, perché no? con quelle islamica. Non potrebbe tale dialogo trovare anche in un riconoscimento costituzionale da parte della Repubblica italiana una base precisa? Si può credere che davvero sia questa l’occasione per una novazione costituzionale importante che non ha niente a che fare (e che quindi non può essere fermata) con obiezioni riguardanti la sovranità o il federalismo spinto, poiché sarebbe una legge costituzionale dello Stato italiano a formulare un principio che d’altronde è già leggibile interamente negli articoli fondamentali della nostra Costituzione, a partire dall’articolo 11.
Quali sono le conseguenze puntuali che provengono per lo statuto speciale da questo retroterra? Non è sufficiente pensare di limitare il suo impatto a una norma-principio, data anche la sobrietà che si è ritenuta appropriata per quel tipo di norme. Sarebbe invece da porre il problema se non sia il caso di collocare nel nuovo strumento costituzionale un capo appositamente dedicato ai rapporti internazionali della regione. Si darebbe così opportuno risalto a questa parte dell’azione regionale e darle legittimazione forte nei confronti dello stato e impulso anche di fronte a esitazioni della politica e della società sarde. In esso si potrebbero inserire norme sulla relazione della Sardegna entro l’Unione europea, regole sui più generali rapporti internazionali e previsioni concernenti i rapporti con i paesi mediterranei.
Nel primo settore, si può pensare di prevedere la partecipazione diretta della regione all’attività comunitaria, corrispondenti a quelle già introdotte per le regioni ordinarie, ma maggiormente articolate. Per esempio, legittimare esplicitamente la presenza di una rappresentanza regionale in seno agli organi dell’Unione – rappresentanza ovviamente non sostitutiva di quella statale ma affiancata a questa -, e a prescindere dalle ipotesi in cui essa è già assicurata per l’insieme delle regioni speciali, nelle trattative per le decisioni comunitarie e per quelle internazionali in cui l’Unione interviene che abbiano un interesse rilevante per l’economia della Sardegna (ad esempio nella politica commerciale comune che vede l’Unione rappresentata unitariamente in trattative e organizzazioni internazionali) e anzi per ogni sua posizione anche non in campo puramente economico; costituzionalizzando così anche questa componente della specifica norma di attuazione del decreto n. 248/1999 citata sopra.
Partecipazione singola per il caso di competenze o di interessi particolari della Sardegna, affidata eventualmente in comune a una sola regione speciale per casi di interesse e competenza più generale, secondo l’ipotesi fatta dall’art. 5.1 della legge n. 131, che mantiene interesse perché stabilisce una collaborazione tra le diverse regioni speciali (e anche con le ordinarie, esse pure in tali casi rappresentate), atta a sottrarre la Sardegna al pericolo di un discorso solipsistico avente per referente il solo stato. Sarebbe poi da ribadire la partecipazione indiretta alla formazione delle decisioni dell’Unione, secondo le ipotesi
comuni a tutte le regioni o eventualmente proprie della sola Sardegna nei casi in cui essa fosse l’unica ad avere nella sua sfera di competenza la materia trattata (e in tal caso non sarebbe da escludere il riferimento alle sedi tipiche del coordinamento tra regioni e stato, date per ora, in attesa della Camera delle regioni, dalla Conferenza stato-regioni). Di questa norma sarebbe
importante una formulazione che non limitasse la partecipazione a un diritto della regione, come spesso viene inteso, ma che sottolineasse la normale doverosità della partecipazione della regione, in maniera da spingere questa a uscire da inerzie che spesso si danno in questo campo. Così pure, non sarebbe superflua la previsione esplicita, nei casi predetti e ove ne
ricorrano i presupposti cioè la particolare rilevanza politica, della cosiddetta “riserva di esame” da porsi dal governo italiano.
Nel settore dei rapporti internazionali generali, potrebbero essere introdotti per gli accordi e le intese regionali con stati ed enti esteri gli ampliamenti della discrezionalità regionale già individuati dalla dottrina sopra citata, alleggerendo gli oneri procedurali, ma in realtà reagenti sulla sostanza, posti alle regioni ordinarie.
Nel terzo settore, quello delle norme sui rapporti mediterranei, potrebbe essere specificato il principio già suggerito sopra, individuandone alcuni criteri direttivi. Tra di essi, si può pensare, nel merito, a dare espressione di un principio di parità tra le civiltà, particolarmente opportuna in presenza di un problema attuale di tendenza da parte dell’Occidente a coltivare
ancora un sentimento di una superiorità della nostra rispetto alle altre e in particolare all’araba e alla musulmana. E si può dedurne, sul terreno procedurale, la conseguenza della enunciazione come principio di azione del dialogo, della collaborazione e della concertazione coi paesi frontalieri. Inoltre, trattandosi di una potenzialità presente quanto meno in tutte le regioni meridionali italiane, si potrebbe enunciare una direttiva di massima di favore per un’azione concertata o almeno convergente con queste, a partire dall’altra regione speciale del Mezzogiorno, la Sicilia.
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Le note del testo
(48) E’ stata, come si sa, proprio la presenza nello statuto sardo, e del tutto similmente in quello valdostano e trentino, poi in quello friulano, di una clausola inserita tra quelle tese a delimitare la competenza legislativa regionale di qualunque tipo, e di riflesso, nel sistema di parallelismo allora previsto, la potestà amministrativa, clausola che imponeva alle regioni il rispetto degli obblighi internazionali (puntigliosamente il più tardo degli statuti, quello del Fiuli-Venezia Giulia, precisava trattarsi degli obblighi internazionali “dello stato”), a dare la base a una lettura in realtà abusiva. Tale lettura, imposta dalla prassi statale e dalla giurisprudenza costituzionale – si ricordi la drastica formula della sent. n.46/1961, che dichiarava “incontrovertibile” che l’esecuzione interna degli obblighi internazionali spettasse allo stato – concepiva l’osservanza degli obblighi internazionali come totale interdizione a tutte le regioni, speciali e ordinarie, di qualunque sfera d’azione comunque attinente ai rapporti internazionali e alla loro esecuzione all’interno. Tale interdizione era dunque “non..limite alla competenza regionale…bensì …limite di competenza…che ne esclude in radice l’esercizio”. Ciò avveniva in nome non certo della dizione delle norme statutarie logicamente intesa, ma della “tradizionale concezione della ‘materia’ in questione come materia speciale che mette in gioco …l’unitarietà dello Stato e che dunque richiede una gestione unitaria”: così riassume la questione P. Caretti, potere estero e ruolo ‘”comunitario” delle Regioni nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2003, p. 557. Lo stesso principio veniva allora applicato anche per i rapporti comunitari, che erano, è vero, meno sviluppati di oggi, ma che tuttavia vennero a incidere fin dalle prime esplicazioni di attività della Comunità sulle regioni italiane, ad esempio nella materia dell’agricoltura, che per la Sardegna rientrava nella potestà legislativa esclusiva. Chi scrive, che a cavallo degli anni ’50 e ’60 lavorava all’Ufficio legislativo della Giunta regionale, può dar testimonianza di quanto presto la Regione sarda si scontrò quotidianamente con un rigido atteggiamento degli organi statali teso a vietarle ogni intervento nelle relazioni con quello che allora era il MEC. L’intera concezione era senza dubbio insita nel senso dello stato e della politica estera proprio di tutta l’epoca dall’antico regime in poi, e la sua sovrapposizione allo stato democratico e alle sue norme di più alto grado prova come “i sentimenti sono importanti quanto il diritto costituzionale” (secondo un altro umoristico e acuto detto di R. Musil, L’uomo senza qualità, cit., p 29, formulato sul tema puntualmente costituzionale della trasformazione strutturale dell’Impero austriaco da Austria a Austria-Ungheria).
(49) Non solo risultano infatti confermate le attività “di rilievo internazionale” e quelle “promozionali” consentite con modalità diverse già dagli sviluppi precedenti, ma – con “novità di notevole rilievo” (così si esprime P. Caretti, Potere estero e ruolo “comunitario”, cit. p. 563) – le regioni sono state abilitate a porre in essere “accordi” e “intese” rispettivamente con “Stati” e con “entri territoriali interni ad altro Stato” – dunque a esercitare (come si dice) un vero e proprio “potere estero” nelle materie di loro competenza, con il limite della competenza riservata allo stato sulla “politica estera” e i “rapporti internazionali dello Stato”, con l’osservanza dei “casi” e delle “forme” regolati da leggi dello stato, e salva la possibilità, riconosciuta dalla dottrina allo stato, di concludere trattati anche nella materie di competenza regionale (in questo senso si
esprime, pur tendendo giustamente a valorizzare il nuovo quadro costituzionale sul potere estero delle regioni , P. Caretti, ibidem, p. 563 ss. )
(50) La “legge La Loggia” ha ristretto indebitamente la sfera d’azione regionale prevista dalla Costituzione, parificando il trattamento delle intese con enti territoriali interni ad altri stati alle attività di mero rilievo internazionale e immiserendo con condizionamenti governativi solo apparentemente procedurali gli accordi con stati esteri, inoltre mancando di prevedere la
partecipazione delle regioni alla definizione del contenuto dei trattati conclusi dallo stato su materie di loro competenza, pur
richiesta dal principio di leale collaborazione (così ancora P. Caretti, op. cit., pp. 565 ss.).
(51) Sia pure con alcuni problemi minori, il nuovo art. 117 ha costituzionalmente riconosciuto la competenza regionale all’attuazione degli accordi internazionali. Il “concorso” tra stato e regioni in materia di rapporti con l’Unione europea è poi
disciplinato oggi dalle disposizioni costituzionali e da quelle attuative in “modo assai più corretto” del passato, mediante una
partecipazione sia diretta che indiretta delle regioni alla formazione del diritto comunitario, e attraverso la garanzia dell’intervento regionale nell’attuazione della normativa comunitaria (si può anche qui rinviare allo studio più volte cit. di P.
Caretti ).
(52) Come si dice poco sotto nel testo, in materia di trattati di commercio rimangono chiaramente applicabili alla Sardegna l’art. 52 dello statuto e la normativa di attuazione specifica ricordata nella nota 54 che segue.
(53) Così G. Silvestri, Le regioni speciali tra limiti di modello e limiti di sistema, cit., pp. 1132 s.
(54) La competenza a intervenire così consentita alla regione è stata con molto ritardo disciplinata da quella norma di attuazione dello statuto, che sotto più d’un aspetto regola la fattispecie con una certa larghezza, ad esempio estendendola a tutti gli accordi (non solo ai trattati forrnali), alle sedi multilaterali e agli accordi internazionali in cui è parte l’Unione europea e, soprattutto, interpretando gli “scambi di specifico interesse della Sardegna” come quelli riguardanti “interessi rilevanti per l’economia della Sardegna”. Chi scrive, che era all’epoca rappresentante statale e presidente della Commissione paritetica per le norme di attuazione e che propose il testo di quelle disposizioni, riscontrò con piacevole stupore, dato l’abituale atteggiamento ostruzionistico dei ministeri in sede di elaborazione delle norme di attuazione, che il ministero degli esteri tenne in quel caso un atteggiamento collaborativo che rese possibile l’emanazione della normativa. Forse perché si pensava che sarebbe rimasta confinata in un angolo, come è avvenuto per la scarsa attenzione che la regione ha in genere manifestato, almeno finora, alla sua pratica implementazione! Lo stesso articolo dello statuto prevede che la regione sia sentita a tutela di interessi del medesimo tipo in materia di legislazione doganale; punto, questo, che si ritrova in termini somiglianti anche nello statuto siciliano, non senza che questo dichiari “di esclusiva competenza dello Stato” il regime doganale della regione (art. 39).
(55) Per la fondazione teorica v. specialmente F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Bari, 1996 (più volte riedito).
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* Il saggio è tratto da uno più consistente, intitolato RAGIONI E FRONTIERE DELL’AUTONOMIA SPECIALE DELLA SARDEGNA, di Umberto Allegretti (Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Firenze), pubblicato sulla rivista di diritto pubblico Federalismi.it, e datato 14 gennaio 2009.
Missioni delle Regioni italiane in Tunisia guidata dal presidente della Regione Sardegna. Scarsa efficacia in mancanza di una politica estera regionale
(Dal sito web della RAS) La Sardegna coordina missione regioni italiane in Tunisia il 18 marzo
La missione è una delle prime fattive risposte che le Regioni italiane intendono dare al Governo tunisino. Vuole essere un segnale di amicizia e di vicinanza del nostro Paese alle autorità tunisine, anche alla luce dei recenti episodi che hanno visto il riacutizzarsi delle rivolte sociali nei Governatorati più svantaggiati, e, parallelamente, una utile occasione per discutere possibili iniziative di collaborazione tra i territori. – La notizia su Regioni.it .
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Le politiche della Sardegna verso il Mediterraneo. L’interesse della Sardegna a partecipare alle Euroregioni (o altre entità cooperative similari) del Mediterraneo
A proposito dell’accordo Sardegna Corsica verso una macroregione insulare del Mediterraneo…
di Franco Meloni
Ripubblichiamo con alcune precisazioni di carattere giuridico l’articolo del 22 giugno 2014. In particolare viene dato atto della distinzione tra i nuovi strumenti di cooperazione europea, come le macroregioni e le euroregioni, argomenti tuttora da approfondire in tutti gli aspetti. La sostanza dei ragionamenti mantiene inalterata validità. Per la Sardegna si tratta di utilizzare nel miglior modo possibile gli strumenti di cooperazione territoriale disponibili e di partecipare al più vasto dibattito per individuare anche altre forme per perseguire principalmente il benessere della sua comunità (f.m)
Nei giorni scorsi sulla nostra news abbiamo dato rilievo alla notizia dell’approvazione da parte della Commissione Europea della costituzione della Macroregione europea Adriatica-Ionica, per la quale si attende ora l’approvazione finale da parte del Consiglio europeo prevista il prossimo 24 ottobre. Di questa Macroregione non fa parte la Sardegna (1) in quanto la nostra isola è situata nella parte tirrenica del mar Mediterraneo. Ma, allora, perchè siamo così interessati a questa nuova realtà istituzionale? La risposta sta in quello che appare, dai documenti pubblicati, un progetto serio e credibile, che va dandosi un’organizzazione robusta in grado di sostenere un programma ambizioso e, cosa estremamente importante, che raccoglie il consenso e l’impegno di tutte le istituzioni interessate. Al riguardo il coordinatore dell’iniziativa Gian Mario Spacca, presidente della Regione Marche, sostiene che la costituzione della Macroregione “è il frutto di un intenso lavoro svolto dalla comunità adriatica e ionica, dalle città, Università, Camere di Commercio e Istituzioni territoriali che hanno trovato a Bruxelles, nel Comitato delle regioni, il luogo per dare forza al loro progetto”. Noi che siamo del parere che una delle ragioni della situazione disastrosa della Sardegna sia imputabile in gran parte alla incapacità delle istituzioni sarde di cooperare per l’attuazione di una buona politica nell’interesse dell’Isola, non possiamo che plaudire alla capacità costruttiva delle diverse Istituzioni coinvolte nel processo di realizzazione di questa Macroregione, la quale per i protagonisti, per il percorso effettuato, per i progetti strategici e così via, costituisce un modello per altre Macroregioni o per altre Entità similari di cui fa parte o potrà far parte la Sardegna. Attualmente la Sardegna non partecipa ad alcuna Macroregione, che ha una propria caratterizzazione normativa europea, ma a un’altra aggregazione cooperativa, molto somigliante denominata Euroregione (su queste nuove Istituzioni occorrerebbero approfondimenti soprattutto di carattere giuridico; intanto si segnala l’ottimo saggio di Laura Berionni “La strategia macroregionale come nuovo strumento di cooperazione territoriale” ). Partecipa infatti alla Euroregione delle Isole, chiamata Archimed, la quale sembra versare in una situazione di precarietà, decisamente lontana dalla vitalità impressa alla Macroregione Adriatica-Ionica. Forse la causa della inconsistenza di Archimed sta nel suo vizio originario di un nuovo soggetto nato senza grande coinvolgimento istituzionale e sociale, che “si aggiunge” a tanti altri quasi una nuova bottega di generi alimentari in una città già ricca di tali esercizi. Che male c’è? Qualche posto di lavoro in più, qualche nuova prebenda per qualche amico, qualche occasione in più di turismo congressuale a spese della collettività, qualche occasione per fare fotografie di gruppo per far finta che qualcosa si fa. La gestione di Ugo Cappellacci della vicenda Archimed da proprio questa sensazione di superficialità e spreco di risorse pubbliche. Di interesse per la Sardegna esiste poi un’altra Euroregione, denominata Alp-Med, che allo stato coinvolge diverse regioni francesi e italiane (2), ma non la Sardegna né la Corsica, anche se sussisterebbe un interesse delle stesse isole, evidenziato dal fatto che ambedue fanno parte di una struttura parallela di associazionismo delle Camere di Commercio della stessa Euroregione, in attesa di un allargamento istituzionale. Peraltro anche l’euroregione Alp-Med sembra allo stato poco attiva, prova ne sia il non aggiornamento del sito web ufficiale gestito dalla regione Piemonte, fermo al 2013).
Perchè siamo così interessati alle Macroregioni europee e alle Euroregioni? Perchè crediamo possano essere utili per la Sardegna. Ci pensiamo da molto tempo. Ma diverse recenti occasioni di dibattito hanno riacuito l’interesse per questa questione. Innanzitutto mi riferisco al dibattito sulla necessità di un nuovo Statuto per la Sardegna. In particolare, trattando di politica di relazioni esterne della Sardegna, che devono avere riconoscimento anche nello Statuto, mi riferisco alle relazioni della Sardegna con il Mediterraneo. L’argomento è stato specificamente oggetto dell’intervento di Pietrino Soddu al Convegno sullo Statuto promosso dalla Fondazione Sardinia, dalla Carta di Zuri e da Sardegna Soprattutto il 9 giugno, con l’ulteriore approfondimento nell’iniziativa del 23 del corrente mese.
Nel citato intervento (non ancora trascritto in atti, ma tuttavia presente in audio/video tra i materiali del Convegno, nel sito web della Fondazione Sardinia) Pietrino Soddu sostiene che la Sardegna fino all’inizio del periodo sabaudo (1720) era saldamente collocata nel contesto Mediterraneo, specificatamente quello del Sud, verso cui intratteneva le sue relazioni più consistenti, sia in termini economici, sia di natura culturale. Gli interessi prevalenti dei nuovi dominatori sabaudi erano invece prevalentemente rivolti al Nord, in particolare alla Lombardia, circostanza che avrebbe, gioco forza, mutato la direzione dello “sguardo” della Sardegna verso il Continente italiano e verso l’Europa continentale, disinteressandosi sostanzialmente del campo passato. Secondo Soddu questa diversa prospettiva ha portato anche notevoli conseguenze positive per la Sardegna, laddove era proprio su quel versante europeo che maggiormente correva il fiume della modernità e del progresso. Oggi non si tratta di abbandonare questa collocazione, quanto di riscoprire e rilanciare l’interesse verso il Mediterraneo, nel suo complesso, e verso il Mediterraneo del Sud. Come fare? Soddu non lo ha detto, confessando di non avere idee al riguardo, se non la certezza della strada da compiere. Per questo occorre superare le incertezze e perfino le paure legate all’ancestrale timore de “su moru, che viene a rapirci le nostre donne e ad impadronirsi delle nostre risorse materiali”. I nuovi mori oggi hanno precise sembianze: sono soprattutto (e non solo) gli emiri arabi, interessati al comprarsi la Sardegna. Tutto ciò non deve portare ad un atteggiamento di chiusura, quanto piuttosto di apertura, di scambi paritari, consentiti nella misura in cui abbiamo una buona classe dirigente, espressa dalla maggioranza dei “sardi padroni in casa propria” e rafforzati sempre più nella loro identità. Ecco la migliore garanzia perchè non si venda la Sardegna a nessuno! L’intervento di Pietrino Soddu si è fermato proprio al punto che forse costituiva una prima risposta al suo interrogativo e insieme auspicio su “Sardegna: che fare verso una politica di interesse, partecipazione e integrazione nell’area mediterranea”, cioè alla seconda parte del settimo principio della Carta di Zuri: «La Sardegna (…) offre amichevole collaborazione alle comunità e alle regioni vicine per formare, a partire dal Mediterraneo, una euroregione per il progresso degli interessi comuni». Un’euroregione, appunto! E perchè, allora, non approfondire gli strumenti che l’Unione Europea mette a disposizione per realizzare concretamente questa opportunità. Sono strumenti utili e adeguati? Parliamo quindi della proposta di mandare avanti seriamente, al contrario di quanto si sia fatto finora, la realizzazione dell’euroregione Archimed, con la partecipazione di tutte le isole del Mediterraneo appartenenti all’Unione Europea, con l’intento di rafforzare una politica di pace, di solidarietà di scambi a tutti i livelli con i paesi del Mediterraneo del Sud, compresi quelli non facenti parte dell’Unione Europea e con i quali esistono già interessanti relazioni, a volte incentivate dalla stessa UE (pensiamo al programma ENPI), che potrebbero estendersi all’interno della specifica politica di favore prevista per la condizione di insularità. Ma, anche per corrispondere alla esigenza prospettata da Soddu che la Sardegna non abbandoni il fronte continentale europeo: non sarebbe utile e opportuno coltivare la piena realizzazione dell’Euroregione Alp-Med, con l’ingresso della Sardegna e della Corsica nella compagine societaria? Temi evidentemente da approfondire, che richiedono innanzitutto una “presa in carico” della Regione e, insieme, uno specifico filone d’impegno per i nostri parlamentari italiani ed europei (peraltro questi ultimi rappresentano già la circoscrizione Sardegna-Sicilia; facciamo dunque di “necessità” virtù). Peraltro, in questa sede, giova apportare un qualche correttivo all’analisi di Pietrino Soddu secondo cui la Sardegna ha abbandonato ogni interesse per il Mediterraneo a far data dal passaggio dalla Spagna al Piemonte. L’interesse per il Mediterraneo infatti se pur sopito è stato sempre coltivato e non mancano le riflessioni politiche e culturali al riguardo. Tra le prime (anch’esse culturali, ma di maggior valenza poltica) ricordiamo quanto scritto recentemente da Federico Francioni in un articolo critico proprio nei confronti del pluricitato intervento di Pietrino Soddu, pubblicato sul sito della Fondazione Sardinia, laddove Francioni ricorda che “(…) l’idea di una Federazione mediterranea – di uno Stato che avrebbe dovuto raggruppare Baleari, Corsica, Sardegna e Sicilia – fu delineata dopo il primo conflitto mondiale” proprio dal PSd’Az . Ma è giusto anche in questa sede ricordare il dibattito e gli interventi di carattere culturale (basti citare per tutti le riflessioni di Giovanni Lilliu) e l’impegno di ricerca delle Università sarde nei paesi dell’Africa mediterranea. Tutto occorre riprendere e rilanciare, perchè non si parte da zero. Anzi! E questo è il nostro e altrui impegno. Certo da rafforzare e estendere, chiamando in causa soprattutto le Istituzioni sarde.
Voglio ora concludere con una proposta operativa, sicuramente riduttiva, ma, a mio parere, importante e immediatamente fattibile.
Il 28 febbraio 2012 fu siglato dal presidente della Camera di Commercio di Cagliari e dal direttore del Dipartimento di Scienze Sociali e Istituzioni dell’Università di Cagliari un “Accordo di collaborazione” tra le due Organizzazioni per l’elaborazione di progetti per rafforzare i rapporti della Sardegna con i paesi della sponda sud del Mediterraneo, anche come possibile rappresentanza/terminale avanzato della Sardegna verso i paesi del nord Africa, soprattutto attraverso l’associazionismo camerale (Ascame, Insuleur, Alpmed). I progetti elaborati e gestiti congiuntamente si dovevano proporre l’obiettivo di dare concreta attuazione alla normativa di cui all’art. 4 della legge regionale 28 dicembre 2009, n.5, finanziata dalla Regione Autonoma della Sardegna*. Tale legge regionale prevedeva un impegno della Regione così definito: “La Giunta regionale è autorizzata al finanziamento, anche con il concorso di risorse di provenienza statale e comunitaria, di progetti speciali finalizzati:
a) alla definizione di un sistema internazionale e mediterraneo di osservatori per l’intercettazione degli allarmi di crisi economico-sociale e dei settori produttivi o delle prospettive di sviluppo delle attività produttive e dell’occupazione;
b) alla predisposizione e sperimentazione di modelli di intervento per prevenire e scongiurare gli effetti derivanti dallo stato di crisi economico-sociale o per anticipare e cogliere integralmente ogni opportunità di sviluppo dei settori produttivi e dell’occupazione (…)”. A quell’accordo di collaborazione non seguì nulla. La ragione fondamentale, mi dicono, fu (e purtroppo tuttora è, considerato che al riguardo nulla è cambiato) che non si trovò un interlocutore a livello di Esecutivo politico e di organizzazione amministrativa regionale che consentisse di passare dalle parole ai fatti. Insomma, il solito problema di grandi idee (già molto che quelle ci furono) ma miseria di comportamenti e nullismo organizzativo. Non potevamo permettecerlo allora e tanto meno oggi. La proposta è dunque riprendere quell’Accordo, riscriverlo coinvolgendo in dimensioni regionali l’Unioncamere e l’Università della Sardegna, ridefinirne l’ambito, allargandolo, per esempio, al supporto alla realizzazione delle Euregioni, prima tra tutte quella esistente Archimed, di cui, per inciso, di recente è diventato presidente, in virtù della sua carica, Francesco Pigliaru.
Per questo e altro l’imperativo è: muoviamoci!
Note
1) Della Macroregione fanno parte: Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia-Herzegovina, Serbia, Montenegro, Albania, Grecia. In Italia le regioni interessate sono Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Lombardia, Trentino Alto Adige. Come si vede la Sardegna non è interessata a detta macroregione
2) L’Euroregione Alpi Mediterraneo riunisce cinque Regioni francesi e italiane (Provenza-Alpi-Costa Azzurra, Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta e Rodano-Alpi).
3) Dell’Euroregione Archimed fanno parte la Regione Sicilia, la Regione Sardegna, il Govern de les Illes Balears e l’ Agenzia dello Sviluppo Larnaca di Cipro (Larnaca District Development Agency – Cyprus)
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- Nella foto Pasquale Paoli
Il 17 aprile votiamo il nostro SI’ per il Referendum
Il 17 aprile si vota il quesito referendario sulle trivellazioni in mare.
Vogliamo aprire con un dibattito qualificato la nostra campagna referendaria per argomentare e approfondire le ragioni del SI:
1. LE CONDIZIONI PER DARE UNA SPINTA CONTRO IL FOSSILE SONO FAVOREVOLI
2. IL VOTO DEL 17 APRILE FAVORISCE UNA GRANDE COALIZIONE SOCIALE PER ATTUARE LA TRANSIZIONE ENERGETICA FONDATA SULLE RINNOVABILI PULITE
3. LA SPINTA REFERENDARIA COSTRINGE MOLTE COMPAGNIE A RINUNCIARE
4. I TERRITORI CONTINUANO A CONTARE
Ne parleranno l’astrofisico LUCIANO BURDERI, il medico ed esperto di ambiente e salute MASSIMO DADEA, i componenti del Comitato No Eleonora MANUELA PINTUS e DAVIDE RULLO, l’eperta di politiche ambientali STEFANIA MANUNZA. – La pagina fb dell’evento organizzato dal Circolo Sankara.
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Il petrolio resti sottoterra!
di Alex Zanotelli
Eddyburg.it 15 Marzo 2016. Un fervido appello di Alex Zanotelli perchè il 17 aprile, sconfiggendo l’ostruzionismo del governo nazionale e dei gruppi petrolieri, tutti votino SI alla richiesta di abrogazione della norma che consente l’ulteriore estrazione del petrolio sulle coste italiane
- segue –
La dichiarazione d’intenti tra Sardegna e Corsica: un primo passo verso la macroregione delle isole del Mediterraneo occidentale? Seguiamo con attenzione e sempre con occhio critico…
Pubblichiamo la carta geografica del Mediterraneo, tanto per non dimenticarci le dimensioni dei problemi…
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(Dal sito web della RAS)
Sardegna-Corsica. Pigliaru e Simeoni firmano la dichiarazione d’intenti. “Momento storico”.
La volontà, si legge nel documento, è quella “di dare alla cooperazione tra la Corsica e la Sardegna una dimensione strategica, che permetterà alle due isole sorelle e ai loro rispettivi popoli, di promuovere i loro comuni interessi, non solo nei confronti dei rispettivi Governi statali, ma anche nei confronti delle autorità dell’Unione europea. In particolare dal punto di vista della evoluzione normativa ed istituzionale. Ed insieme intendono assumere un ruolo di ponte tra le sponde Nord e Sud del Mediterraneo”.
- LA DICHIARAZIONE D’INTENTI.
CORSICA E SARDEGNA
UN PATTO NUOVO TRA DUE ISOLE SORELLE DEL MEDITERRANEO
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Le piste di lavoro in dettaglio, nonché la prima composizione dei “gruppi di lavoro tematici” misti, allo stato non presenti nel sito web della RAS, sono disponibili in lingua francese nel sito web della della Collettività Territoriale della Corsica.
. Da notare come i corsi abbiano da subito inserito nei gruppi di lavoro anche responsabili di strutture pertinenti diverse dagli assessorati, mentre la Regione Sardegna che ha inserito solo gli assessori competenti. Ma forse è solo questione di tempo. – segue-