Monthly Archives: gennaio 2016
La Regione si organizza per le politiche di accoglienza dei migranti. Seguiamo con interesse e occhio critico nella misura necessaria
Riferendoci alla precedente nostra comunicazione del 12 u.s., diamo conto della pubblicazione nel sito ufficiale RAS della deliberazione della Giunta regionale n. 1/9 del 12 gennaio 2016 sull’attuazione organizzativa delle politiche di accoglienza dei migranti. Approfondiremo e vigileremo sulle concrete iniziative e soprattutto sulla scelta del personale di direzione e coordinamento.
DELIBERAZIONE N. 1/9 DEL 12.1.2016
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Oggetto: Disposizioni regionali per l’accoglienza dei flussi migratori non programmati. Piano regionale 2016.
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Mamma, Massimo ha perso l’aereo. Purtroppo anche tutti noi sardi!
By sardegnasoprattutto/ 15 gennaio 2016/ Culture/
Sardegna. Low cost, high confusion.
E’ quello che penserebbe un viaggiatore straniero constatando la situazione del trasporto aereo in Sardegna. Avrebbe le stesse difficoltà dei sardi che pure leggono i giornali, ascoltano la radio e guardano la Tv in lingua italiana, a capire cosa realmente stia succedendo nel settore che riguarda la cosiddetta continuità territoriale.
Di certo si sa che la compagnia Ryan Air ha, per il momento, soppresso nove tratte da e per la Sardegna. Perché? Perché non prende più soldi dalla Regione, sostiene il competente assessore regionale dei Trasporti. Anzi, l’assessore competente, trattandosi di docente universitario nominato dal Presidente Pigliaru in virtù del principio della competenza che la sua Giunta ha posto come elemento valoriale dell’azione politico-amministrativa.
Bene, perchè Ryan Air non prende più soldi dalla Regione? Perché l’Unione Europea vieta gli aiuti pubblici alle compagnie private. “Sull’intervento pubblico a favore del comparto aereo la Regione è ovviamente tenuta al rispetto della normativa nazionale e Comunitaria e ad applicare i principi fondamentali che regolano ogni provvedimento in materia”, ha dichiarato l’assessore regionale Deiana che ha richiamato la procedura di infrazione della Commissione Europea contro la legge 10 del 2010 che aveva finanziato il low cost.
Secondo il deputato di Unidos Mauro Pili l’assessore non è coerente: “Un consulente di nome Massimo Deiana nel luglio del 2011 scriveva un parere pro veritate per conto dell’aeroporto di Alghero. Il testo è chiaro: la regione deve pagare subito i low cost oppure bisogna perseguire penalmente la regione stessa che nega quanto stabilito. Un assessore regionale, con lo stesso nome del consulente, ora afferma l’esatto contrario: i voli low cost devono essere bloccati perché quei contributi sono sotto procedura di infrazione”.
Intanto si è formata una rete di imprenditori sardi, guidata da Federalberghi e Confcommercio, che vuole creare un fondo per far restare i voli Ryanair in Sardegna. E’ partito il crowfunding per raccogliere almeno un milione di euro, cifra base per trattare con Ryan Air. Tutti d’accordo, quindi? Ma neanche per idea!
La Confesercenti, per esempio, non ci sta a scaricare sulle aziende responsabilità che sono solo politiche: “Non vogliamo che dopo le varie Ires, Irpef, Irap, Tari, Tasi eccetera ora arrivi a carico dell’impresa anche una tassa Ryanair”. Non è d’accordo neppure l’Assoturismo Sardegna: “Seppure si riuscisse a raggiungere la cifra richiesta e un accordo con la compagnia irlandese resterebbe comunque il problema per gli anni a venire” e rivendica un tavolo di confronto Stato-Regione con la Compagnia low cost, allargato alle imprese sarde.
Parafrasando Ennio Flaiano verrebbe da dire: “La situazione in Sardegna è grave ma non è seria”. Si, perché a lanciare le accuse più pesanti contro la Giunta Pigliaru e il suo assessore dei Trasporti è l’ex Presidente della Regione Ugo Cappellacci: “Non hanno vigilato sul corretto funzionamento della continuità per Roma e Milano, varata dalla nostra Giunta, hanno abrogato in maniera ottusa la continuità per le rotte minori, stanno facendo scappare le compagnie low cost”. Eppure i supporti alle compagnie aeree low cost, contrari a quanto previsto dai regolamenti europei, erano stati attivati dalla Giunta di centrodestra guidata da Cappellacci.
A rendere lo scenario ancora più vivace, ma altrettanto confuso per i cittadini, arriva l’europarlamentare e segretario regionale del Pd Renato Soru: “Gli aiuti agli aeroporti sono ammissibili secondo la legislazione europea ed altrettanto ammissibili sono gli accordi tra aeroporti e compagnie aeree”. A suo dire non è corretto addebitare l’impasse creatasi “alle rigide norme europee o il disinteresse della Commissione Europea rispetto alle esigenze di mobilità della Sardegna” in considerazione del fatto che “Le norme europee non impediscono alle Regioni di sostenere lo sviluppo del traffico aereo tramite trasferimenti agli aeroporti per opere infrastrutturali, o per il finanziamento delle compagnie low cost, attraverso tariffe ridotte per i servizi aeroportuali, il cofinanziamento di campagne di co-marketing”.
Il messaggio è invece chiarissimo per l’Assessore Deiana che replica duramente al segretario regionale del Pd: “Un intervento oggi potrebbe essere molto rischioso. Non esiste ora un punto di riferimento interpretativo sulle linee guida. Abbiamo l’obbligo morale, prima che legale politico di non trascinare la Sardegna in avventure disinvolte, dettate da logiche tanto populistiche quanto superficiali, che presentano, anche dopo anni, il conto”. Sembra invece affezionato, l’assessore, alla realizzazione di un sistema di collegamento dell’isola con sei capitali europee di Spagna, Francia, Regno Unito, Svizzera, Germania e Benelux: “Si procederà con invito a tutti i vettori aerei a presentare manifestazioni di interesse per un collegamento, bi o tri settimanale”.
Tutto chiaro cari viaggiatori stranieri, italiani, sardi? Se no, aspettate i nuovi interventi chiarificatori dei politici sardi, che arriveranno certamente con più frequenza degli aerei. Così sarà evidente che, se non dovessero arrivare le tratte aeree low cost, non ci saranno responsabilità politiche. Perché loro, i politici tutti, sì che l’avevano detto cosa bisognava fare! E la Sardegna ha nei fatti un’altra servitù: quella della mobilità.
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Auguri Sardegna! Augurios Sardigna!
de Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto / 15 gennaio 2016/ Culture/
Bonas uras Sardigna, bonas uras pro s’annu chi est cumintzende. Augurios ca n’amus bisonzu, tue e nois fizos tuos. Bivimus in tempos de tribulìa in dd’unu mare chi est in mesu de gherra; sa terra nostra incuinada, furada, fraigada; sos giovanos chi si che sunt fuende ca no agatant traballu e sorte. Unu logu impoberidu in manos de una classe duègna chi pensat pètzi a sos interesses suos, chi si bendet totu pro nde tennere balanzu solu issa.
Tirannos minores chi oe, comente eris, si regollent su ranu e lassant sa paza a sos ateros. Meda sunt sas cosas de augurare ma de uras ti nde fatzo solu duas. Est de custas dies chi a tie Sardigna ti che ant postu in s’Encyclopedia of race, ethnicity and Nationalism, pro sa prima borta unu istitutu de importu ti riconnoschet comente natzione a banda. Comente sempere, novas che custas, sa classe dirigente at a narrere chi sunt de pagu importu, chi sunt giocos de pagu sinnìficu. Ateru pro issos est su chi contat.
Politicos chi votant una modifica de sa Costitutzione italiana, chi che at a cantzellare cussu pagu de autonomia chi tenimus galu, cundadèndesi a èssere de pagu contu peus che como. Su primu auguriu tando est chi tue tenzas una classe politica e dirigente chi si conoscat comente espressione de sos Sardos, chi no bivat cun sa berrita in manos, isetende su chi che ruet de sas mesas romanas, chi tenzat su corazu de sighere peri sos caminos chi populos frades, comente sos cadalanos, ant leadu. Una classe dirigente chi no abaidet solu a Roma, chi cunprendat chi pro bivere in su mundu vasto e terribile, comente naraiat Antoni Gramsci, tenet bisonzu, a primu, de si riconoschere comente populu e natzione aperta a totus sos chi cherent cumbàtare pro sa libertade e s’egualidade.
Su sigundu auguriu chi ti cherzo faghere est pro su sardu, sa limba tua ismentigada, aburrida de sa classe dirigente, chi est disposta a istimare e impreare cale sia limba, bastet chi no siat sa sua. Su sardu, limba pobera e de poberos, limba ruza de pastores, o de bastassos de portu; issos sunt creschidos in cussa idea. Imparados a tennere birigonza de su chi sunt, prontos fintzas a mudare su denghe, una borta passadu su mare o cando chistionant cun dd’unu furisteri.
Parimus torrados a sos annos Trinta de su seculu passadu, cando unu tale Dotor X iscriat in sos giornales contra sa poesia e sa limba sarda. Su poeta mannu, tziu Antoni Cubeddu, li torraiat faeddu in custa manera:
“Unu currispundente nostru, sardu,
brivu d’intelligenzia e d’afetos
che chi esserat de s’isula bastardu
sas virtudes classificat difetos
e degradende chena riguardu
sos poeticos sardos intelletos
criticu responsabile si rendet
de su chi no connoschet ne cumprendet”
Una ottada chi paret unu retratu de medas sardos, istranzos in logu issoro. Ti cherzo augurare, Sardigna, mama istimada, chi fintzàs issos cumprendat su chi sunt perdinde, rinuntziande a tennere un’anima diferente, a èssere unicos in dd’unu mundu chi nos cheret totus cun sos matessi pensamentos e peraulas, pro nos porrere subacàre mezus. Bonas uras Sardigna, bonas uras, pro s’annu chi est cumintzende.
Chimica verde in Sardegna. Dal fallimento annunciato del progetto Matrìca l’ennesima “cattedrale nel deserto”? Le responsabilità di Eni
Grandi manovre intorno al piano per la chimica verde – Il disimpegno dell’Eni con la cessione di Versalis. Mobilitazione operaia per la difesa dell’occupazione a Portotorres. Sciopero nazionale di otto ore il 20 Gennaio.
L’impianto di Matrìca per la trasformazione del vecchio polo petrolchimico di Portotorres in un moderno impianto per la chimica verde è ancora fresco di vernice e di recente inaugurazione quando si apprende che l’Eni, capofila del progetto, sta per cedere il 70 % del capitale della società Versalis – uno dei pilastri portanti del progetto Matrìca – Chimica Verde – a un fondo di investimenti internazionale. Operazione che, se realizzata, potrebbe significare la fine del progetto Matrìca, l’annullamento dei finanziamenti programmati, il mancato completamento degli impianti, il licenziamento per gli operai attualmente impiegati nello stabilimento di Portotorres. Il progetto di riconversione industriale del vecchio polo petrolchimico concordato nel non lontano giugno del 2011 per il quale sono stati finora investiti e spesi 200 milioni di euro, diventerebbe l’ennesima incompiuta nell’area industriale del nord Sardegna. A monte ci sarebbe la scelta di Eni, comune a molte altre multinazionali del settore petrolifero, di svincolarsi dal comparto per destinare le proprie risorse alle attività energetiche, alla produzione e distribuzione di energia. Ad essere messi in discussione quindi sarebbero l’insieme dei progetti per la riconversione e il rilancio della chimica nazionale, dei quali il progetto Matrìca è una componente, e neppure quella più importante. Una questione nazionale quindi che sta determinando la mobilitazione operaia anche in altre regioni. Cosa possa aver indotto il colosso chimico e rivedere cosi drasticamente i propri progetti per la chimica e quello per la chimica verde in Sardegna non è facile comprenderlo, siamo soltanto nel campo delle ipotesi. Sicuramente c’entra la congiuntura internazionale relativa al crollo del prezzo del petrolio che sta rivoluzionando le politiche energetiche ed il mercato internazionale del greggio e orientando le multinazionali del petrolio a rivedere le proprie strategie di investimento. Nel caso specifico del progetto Matrìca potrebbe aver avuto un ruolo anche il sostanziale fallimento di quella parte del progetto relativa al reperimento della materia prima in loco. Si ipotizzava la messa a coltura con il cardo di qualche migliaio di Ha di terreni incolti (senza nulla togliere alle aree già destinate ad altro utilizzo agricolo). In realtà a tutt’oggi non si è andati oltre i 550 Ha di messa a coltura di cardo (fonte Coldiretti) ed é noto che l’approvvigionamento di materia prima in aree lontane dall’impianto o mediante importazione non sarebbe assolutamente conveniente. Un fallimento nella comunicazione e nell’informazione ai lavoratori delle campagne sui quali sarebbe necessaria una maggiore riflessione. Ha certamente inciso la campagna allarmistica sul “pericolo” della monocoltura del cardo in merito alla quale sono state dette poche verità e molte sciocchezze fondate sostanzialmente su pregiudizi di una parte della nostra società. Non si è riusciti a far comprendere ai coltivatori che nessuno chiedeva loro di abbandonare i lavori agricoli tradizionali per sostituirli con la coltivazione del cardo. Nessuno lo ha mai ipotizzato. Si trattava invece di praticare, in aggiunta alle coltivazioni ordinarie, degli interventi colturali nei terreni incolti e nelle aree abbandonate per favorirne il recupero produttivo o fornire materia prima per l’impianto della chimica verde. Neppure le garanzie e gli incentivi finanziari che stavano alla base dell’accordo tra Matrìca e le organizzazioni agricole hanno scalfito luoghi comuni e modalità produttive consolidate e poco inclini a confrontarsi con il nuovo, con i cambiamenti di mentalità e di organizzazione produttiva. Ma anche tale considerazione non ci illumina più di tanto sulle cause che hanno indotto Eni e la sua creatura Matrìca all’abbandono del progetto chimica verde. Non dimentichiamo che si trattava di realizzare, su quello che rimaneva del vecchio petrolchimico un polo di rilevanza internazionale nella produzione di materie plastiche di origine vegetale contemporaneamente all’avvio delle bonifiche dell’intera area industriale e la promozione di nuovi insediamenti industriali per le seconde lavorazioni della materia prima che Matrìca avrebbe dovuto fornire. Un progetto di ampio respiro che non può certo essere accantonato dall’oggi al domani. Per dovere di cronaca pensiamo di dover dare conto anche di una ipotesi particolare sul voltafaccia dell’Eni che circola tra i vecchi lavoratori del petrolchimico, quegli operai che hanno vissuto l’intera esperienza petrolchimica del polo industriale. E’ soltanto una ipotesi tutta da verificare, forse anche un po’ fantasiosa, probabilmente dettata da una certa abitudine a “pensare male” dei potentati economici quali l’Eni. La riferiamo, cosi come l’abbiamo appresa. L’insediamento petrolchimico della Sir e delle sue consociate nell’area industriale di Portotorres ha determinato un inquinamento ambientale e dei territori dell’insediamento di dimensioni quasi incalcolabili. Studi scientifici accreditati parlano di livelli di inquinamento superiori perfino a quelli raggiunti a Taranto. Evidentemente si rende necessario un piano di bonifiche di grandi dimensioni e con costi elevatissimi nella speranza di poter ripristinare, almeno in parte, le condizioni ambientali dell’intero polo industriale. La questione delle bonifiche, o meglio degli enormi costi che una seria bonifica dell’area del petrolchimico comporterebbe, diventa centrale quindi non solo per la salute della popolazione e il recupero dell’integrità ambientale perduta ma anche, e soprattutto dal punto di vista dell’Eni, per gli ingenti capitali da investire. Nelle aree industriali dismesse l’intervento di bonifica deve essere integrale e comporta, come dicevamo, costi molto elevati. Nell’area della vecchia Sir, nel cuore dell’impianto petrolchimico che fu di Rovelli, una delle aree più inquinate in assoluto, non si parla di area dismessa e abbandonata bensì, grazie alla genialata dell’impianto per la chimica verde, di intervento di ristrutturazione industriale. Gli obblighi e i vincoli di bonifica, in questo caso sono molto inferiori. In pratica, afferma la citata “voce di popolo”, costruendo un nuovo impianto (Matrìca) sulle rovine del vecchio petrolchimico, l’Eni avrebbe evitato le costosissime operazioni di bonifica che sarebbe stato necessario affrontare nell’area. Il nuovo e scintillante impianto petrolchimico verde appena inaugurato avrebbe di fatto seppellito l’inglorioso passato del vecchio polo petrolchimico e, con esso, l’inquinamento straordinario ed eccezionale che l’area nasconderebbe. Certo per farlo Matrìca ha speso ben 200 milioni di euro, ma quanto sarebbe costata la bonifica integrale del sito? La cessione di Versalis affermano gli esperti, sarebbe più che sufficiente a far recuperare le somme investite e alla Sardegna resterebbe l’ennesima “cattedrale nel deserto” da gestire. Fantasie? Forse! Ma a costo di apparire ripetitivi non ci stancheremo mai di citare la solita frase attribuita a Giulio Andreotti: “a pensare male si commette peccato, ma spesso ci si azzecca”.
Che fine ha fatto il Gect Archimed?
A proposito di mobilità e insularità
Che fine ha fatto il Gect Archimed delle Isole mediterranee?
Oggi venerdì 15 gennaio 2016
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- La pagina fb dell’evento, sabato 16 gennaio 2016.
Referendum costituzionale: riunione a Cagliari per la costituzione del Comitato per il NO
“L’Italia riparte dal lavoro”. Quale Italia? Questa è la domanda che ci poniamo. E la Sardegna?
L’Italia che non c’è: nel Paese Nord e Sud restano separati da un divario spaventoso.(…) La Sardegna, profondamente segnata dalla crisi, è arretrata sensibilmente rispetto alle ristrette aree avanzate del Sud (Abruzzo e Molise) e alle regioni del Centro, cui si era avvicinata nei principali indicatori del mercato del lavoro, mostrando dalla metà degli anni Novanta un progressivo distacco dai valori rilevati nel resto del Mezzogiorno. Oggi nell’Isola l’occupazione è poca e la disoccupazione è troppa, incombe un impoverimento generale e c’è una povertà estesa e cronica, cui si aggiunge una povertà sconcertante di idee e proposte in quasi tutti gli ambiti più rilevanti, primi fra tutti l’istruzione, la formazione, il lavoro. Le aree di crisi sono immobili, inchiodate ad un destino di assistenza e di attesa, senza nessuna soluzione, nessun cambiamento, nessun investimento di rilievo. Larga parte dei fondi europei continua ad essere clamorosamente sprecata, in particolare le risorse del Fondo Sociale Europeo. Le riforme di cui si sta dibattendo – dagli enti locali alla rete ospedaliera – sono ispirate fondamentalmente a criteri di sostenibilità finanziaria, di contenimento della spesa pubblica, non di sostenibilità sociale e di investimenti, e prefigurano un complessivo arretramento dell’intervento pubblico. Da dove verrà il lavoro?
di Lilli Pruna, sociologa.
13 gennaio 2016 Blog, Lilli Pruna Lavoro che traballa su SardiniaPost.
“L’Italia riparte dal lavoro”, ha esultato Renzi qualche giorno fa, commentando gli ultimi dati resi noti dall’Istat. Quale Italia? Questa sarebbe la domanda da porsi, se esistesse una consapevolezza del divario interno al Paese che il governo Renzi continua a non voler vedere, meno che mai ad affrontare. La nota flash pubblicata dall’Istat il 7 gennaio 2016, con gli ultimi dati mensili (relativi al mese di novembre 2015) sull’occupazione e la disoccupazione in Italia, ha fatto esultare il premier perché non presenta alcun dato sulla situazione del mercato del lavoro a livello territoriale, cioè sulla situazione reale del Paese (o del Paese reale). In Italia qualsiasi dato e indicatore del mercato del lavoro che si riferisca all’intero territorio nazionale non ha alcun senso (se non per confrontarsi con altri Stati, cosa che Renzi si guarda bene dal fare, visto che non gli conviene), perché non corrisponde alla situazione di nessuna parte del Paese e occulta le distanze abissali che dividono il Sud dal Nord (e dal Centro). Parlare dell’Italia come se fosse un paese in cui il lavoro è distribuito più o meno uniformemente su tutto il territorio è una grossolana mistificazione: i dati per cui ha esultato Renzi e tutto il suo governo descrivono un paese che non c’è.
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Oggi giovedì 14 gennaio 2016
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- La pagina fb dell’evento, sabato 16 gennaio 2016.
“1914-18 – “La guerra ripudia i diritti”
- Domani giovedì 14 gennaio 2016 La pagina fb dell’evento.
La democrazia cambia o precipita?
di Raniero La Valle*
È risaputo, e non contestato da nessuno, che la Costituzione Italiana è il risultato eccellente dell’incontro di tre culture, messe a confronto e proiettate ad un progetto comune dal reagente della guerra, dell’antifascismo e della resistenza; ognuna di queste tre culture, la comunista, la liberale, la cattolica ha dato un’impronta di valore inestimabile alla Costituzione e quindi alla Repubblica: basti ricordare, per la cultura comunista, quel principio di realtà, quella cura delle persone concrete, che portò la più giovane deputata partigiana, Teresa Mattei, a fare inserire quel «di fatto» nell’art. 3 della Carta, che richiamava agli ostacoli non solo di principio, ma di fatto, economici e sociali, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e che toccava alla Repubblica rimuovere… E per i liberali basti evocare l’impronta di Calamandrei, e per i socialisti di Lelio Basso.
Ma qui vorrei ricordare la portata e il valore dell’innesto nella Costituzione del ’47 della cultura cattolica, senza per questo sminuire le altre. Di certo si è trattato del contributo più alto che i cittadini di tradizione cattolica hanno dato alla società civile nel Novecento: più alto dell’invenzione del partito aconfessionale di massa di Sturzo, più alto dell’intransigentismo che ha portato il popolo cattolico a lottare contro l’inequità sociale dei clerico-moderati e del feudalesimo liberale, perfino più alto della partecipazione cattolica alla resistenza antifascista.
Il miracolo del cattolicesimo laico
La Costituzione è stata infatti il miracolo del cattolicesimo laico del Novecento, il primo segno dei tempi che ha fatto irruzione nella storia italiana dopo le tenebre della Questione Romana e la tragedia del- la seconda guerra mondiale. La cultura cattolica che ha innervato la Costituzione ha anticipato di vent’anni le tre grandi riconciliazioni della Chiesa con l’età moderna che sono state proclamate dal Concilio: la riconciliazione con la scienza mo- derna, che in Costituzione figura all’articolo 33 con la solenne affermazione della libertà di ricerca e insegnamento e all’articolo 34 con l’istruzione e il diritto allo studio per tutti, senza cui non esiste la «buona scuola»; la riconciliazione con lo Stato laico moderno, che in Costituzione è la Repubblica democratica dei diritti, la scuola pubblica, e quella privata «senza oneri per lo Stato», e la riconciliazione con la libertà di coscienza e il pluralismo religioso, che è in Costituzione all’articolo 19 con la libertà religiosa e all’articolo 8 con l’eguale libertà e le intese assicurate a tutte le confessioni, diverse dalla cattolica. Ma dove la ricchezza del patrimonio di fede, pur non nominato, è traboccata in una costruzione imperitura, è stato nell’articolo 1, dove la sovranità, una volta rivendicata ai prìncipi e ai papi, è attribuita al popolo (che poi il Concilio Vaticano II chiamerà «popolo di Dio») e dove il fon- damento della Repubblica viene posto nel lavoro, con largo anticipo su papa Francesco che nel lavoro stabilirà non solo il mezzo per il sostentamento e per l’esercizio della responsabilità verso la famiglia, ma la dignità stessa della persona umana. Sovranità popolare e lavoro come fondamento, dovevano poi dall’articolo 1 dilagare e invadere tutta la Costituzione, la cui seconda parte non è altro che l’attuazione nell’ordinamento di questi due supremi valori cristiani.
Quanto al primo, perché non restasse solo una vuota formula di principio la Costituzione traduceva la sovranità nella rappresentanza, che è l’unica attuazione possibile della sovranità popolare in tutti i casi, come nelle grandi e popolose democrazie, in cui non si può esercitare una democra- zia diretta. La rappresentanza vuol dire assemblee in cui non siedano solo uno o due partiti ma si riversino tutte le diversità del corpo sociale, e si convenne che le Camere fossero due con diversa base elettorale, perché le leggi fossero più ponderate e non si finisse in una dittatura d’assemblea; ed era ovvio per la Costituente, tanto da non metterlo su carta, che il sistema elettorale fosse proporzionale, tanto ovvio come il fatto che il sole illumina il giorno e la luna la notte, che infatti non si mette in Costituzione.
Quanto al secondo – il lavoro – la Costituzione prevedeva un sistema di governo, uno statuto della proprietà e un rapporto tra economia e politica che consentisse una politica di piena occupazione, non essendo nemmeno concepibile che si stabilisse un «tasso di disoccupazione necessaria per non fare aumentare i salari» (Nawru), quale oggi si sta programmando in Europa, e stabiliva i diritti del lavoro «in tutte le sue forme ed applicazioni», in perfetta parità per gli uomini e per le donne.
Nonostante queste altezze la Costituzione tuttavia non era affatto perfetta e all’avvento della globalizzazione avrebbe do- vuto essere modificata ma in avanti, non all’indietro; per esempio si sarebbe dovuto introdurre il diritto dell’ambiente, il diritto all’esistenza della stessa natura umana, come l’ha chiamato il papa all’Onu, si sarebbero dovuti mettere in Costituzione dei vincoli di bilancio a favore delle spese sociali o scolastiche, come in molte Costituzioni dell’America Latina, che ci hanno superato in garantismo, si sarebbe dovuto articolare «il diritto e il dovere della pace», come lo definisce la Costituzione della Colombia, si sarebbero dovuti potenziare gli strumenti della democrazia diretta, man mano che il potere si allontanava da Roma per attestarsi a Bruxelles o a Wall Street, si sarebbe dovuto compensare con più incisive forme di partecipazione politica e di corresponsabilità di governo la perdita della sovranità monetaria; e ora dinanzi alla nuova minaccia dell’Isis si sarebbe dovuto rilanciare il costituzionalismo internazionale e attivare le forze armate di pace dell’Onu in armonia con il ripudio della guerra sancito dall’articolo 11 della Carta.
Uno scrigno di valori che non ha trovato custodi
Purtroppo questo scrigno di valori cristiani ed umani che era la Costituzione italiana non ha trovato custodi. Pazienza per gli eredi della cultura comunista che per la loro formazione storicista sono meno propensi ad attestarsi su valori definitivi nella storia. È stato questo il caso di Napolitano, della sua assillante richiesta di riforme, immemori del suo stesso retaggio. Ma anche l’altra tradizione ha mostrato di non avere idea della cultura da cui veniva, della sintesi che essa comportava
tra nuovo ed antico, tra l’idealismo della prospettiva e il realismo di limiti e garan- zie ben piantati nel presente. Non ha visto ad esempio nelle precauzioni costituzionali contro gli abusi del potere la cicatrice lasciata da passate oppressioni ma anche la saggezza cristiana che conosce il peccato e perciò non può lasciare a un uomo solo al comando senza controllo e senza vincolo di fiducia il destino di un intero popolo e perfino della pace.
Il personale politico che usando il Partito democratico si è investito del potere in Italia ha preso la Costituzione come un in- tralcio, come un telefono a gettoni che non può più funzionare nell’età dei telefonini, e come una mera carta da giocare insieme alla legge elettorale, al tavolo del potere. Al termine del processo ci sarà un governo sostenuto non più dalla fiducia parlamentare, ma dalla disciplina di un solo partito, in una sola Camera; e la democra- zia sarà svuotata della rappresentanza come ha già detto la Corte Costituzionale bocciando la legge elettorale precedente (Porcellum) del tutto simile all’attuale (Italicum) e anzi meno distorsiva di questa. Queste norme elettorali producono infatti, ha denunciato la Corte, «un’eccessiva divaricazione» (cioè un contrasto) «tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica» (cioè la Camera che rimarrà sola dopo la neutralizzazione del Senato) «che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione», e la volontà dei cittadini «espressa attraverso il voto»… Cioè i cittadini vanno da una parte, il governo e la sua Camera vanno dall’altra.
Dunque la Carta del ’47, la Costituzione della sovranità popolare, della democrazia rappresentativa e della dignità del lavoro non ci sarà più. Il governo dello «zero virgola» (secondo il Pil), che doveva cambiare l’Italia, ne cambia invece il regime. Ma in tal modo la democrazia cambia, o precipita?
Forse un attimo prima che si schianti al suolo distrutta, bisognerebbe tirare la funicella del paracadute, interrompendo questo ciclo di governo o, al più tardi, col referendum oppositivo, questo ciclo di «riforme».
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COME CAMBIA LA DEMOCRAZIA
la democrazia cammbia o precipita?
* su ROCCA 1 GENNAIO 2016

Il Vescovo Arrigo Miglio risponde a Gianni Loy sull’uso della lingua sarda nella liturgia: Adelante con juicio. Ma si attivino innanzitutto i vescovi nati e cresciuti in Sardegna
Caro Gianni,
grazie della simpatica provocazione pubblicata su questo giornale l’11 u.s. [*] e che correttamente mi avevi anticipato.
Provo a dare qualche elemento di risposta, parziale, con l’auspicio che il dialogo possa continuare e approfondirsi con tutti coloro che condividono la medesima sensibilità.
Premesso che autorizzare la traduzione dei libri liturgici (messale e lezionario) è cosa riservata alla S. Sede, va subito detto che la meta non è irraggiungibile: occorre compiere un itinerario, come ad es. hanno fatto da anni i Friulani.
Devo però anche subito scusarmi per le imprecisioni, inevitabili per uno come me che viene da fuori, da una regione dove questo stesso problema esiste ma è sentito da una cerchia ristretta di persone, vuoi per la molteplicità delle parlate piemontesi vuoi per la composizione variegata della popolazione.
Sono però molto interessato al problema da te affrontato perché ho avuto modo tante volte di vedere e sentire come la lingua sarda sappia esprimere bene la religiosità e la pietà popolare dei sardi.
Ma sono interessato anche perché mi affascina il mistero della Parola, che uscita dal seno del Padre si è incarnata e inculturata in Israele e nella lingua ebraica, ma è destinata a raggiungere tutti i popoli e le loro culture fino ai confini della terra.
E ogni volta che una parola passa da una lingua all’altra, ciascuna traduzione svela qualche aspetto nuovo del termine tradotto, arricchendone il messaggio. Pensiamo ad es. al termine stesso Parola – in latino Verbum – in greco Logos – in ebraico Davar – in aramaico Memra. O al termine Misericordia – in greco Eléos – in ebraico Hésèd – Rahamîm.
Ed è altrettanto vero che alcune parole sono rimaste non tradotte: Amen – Alleluia – Hosanna per l’ebraico – Christòs per il greco ecc.
Tornando a noi, un passo importante è quello di avere tutta la Bibbia in sardo, perché la gran parte dei testi liturgici è presa dalla Bibbia. A dire il vero è stato già fatto un grande lavoro nel passato e avviata la traduzione della Bibbia nelle due varietà di Campidanese e Logudorese, da cui prendere i testi liturgici. Sono pronte in bozza le traduzioni di 21 libri della Bibbia per la varietà campidanese e di 10 per quella logudorese. Il lavoro si è interrotto intorno all’anno 2000, in seguito alla Legge Regionale sulla Lingua comune che sembrava considerare superata l’impostazione data al lavoro. Il materiale prodotto è conservato dalla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, che era stata incaricata dalla CES di curare l’intero lavoro.
Altro passo importante mi pare quello di ampliare l’uso di testi sardi nella liturgia e nella pietà popolare: c’è il Rosario con il Padre nostro e l’Ave Maria (il Gloria è rimasto in latino), i canti natalizi e della Settimana Santa, i Goccius e altri. Vari cori parrocchiali possono testimoniare la mia insistenza perché siano più usati i canti sardi.
Per i testi del Messale e del Lezionario la prudenza della S. Sede va capita. Lex orandi è lex credendi, e siccome il proverbio dice che traduttore può essere anche traditore, ecco la cautela nel curare i testi che esprimono la fede ricevuta. Inoltre, la liturgia è patrimonio di tutta la Chiesa e non è di una sola comunità.
Ma, ripeto, è un percorso che si può compiere e che assolutamente io riterrei utile dal punto di vista pastorale e culturale. Su quest’ultimo aspetto conta molto di più il parere dei vescovi nati e cresciuti in Sardegna. Questo incoraggiamento, tuttavia, non può essere interpretato come un avallo a passi che non compete ai vescovi autorizzare. Ma gli ambiti dove poter lavorare non sono pochi, e proprio partendo da questi sarà possibile compiere i passi successivi.
Con viva cordialità,
+ Arrigo Miglio
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[*] Vedasi Aladinews del 7 gennaio 2016.
Oggi mercoledì 13 gennaio 2016
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- La pagina fb dell’evento, sabato 16 gennaio 2016.
Migranti. La Giunta regionale affronta finalmente il problema oltre l’emergenza
Avevamo scritto in un nostro editoriale sulla questione dei migranti in Sardegna: “… considerata la dimensione dei problemi e per certi versi la loro inedita proposizione, rinnoviamo la proposta che il presidente della Regione Pigliaru nomini un’“Alta autorità per il problemi dell’immigrazione e per le politiche di accoglienza”, dotata di adeguate competenze e risorse, anche per l’utilizzo virtuoso di pertinenti finanziamenti europei già disponibili. Per questo ci vuole forse un’apposita legge regionale? Benissimo: una ragione di più per coinvolgere la nostra classe politica decisamente distratta e con scarsa consapevolezza della drammaticità dei problemi qui esposti. Per favore se ne discuta per agire con tempestività anche per recuperare i ritardi che pagheremo comunque a caro prezzo”. Non sappiamo ancora se la decisione odierna della Giunta regionale corrisponda alla nostra richiesta, attendiamo la lettura della delibera e soprattutto i comportamenti pratici dell’Amministrazione, tra i quali la scelta di persone competenti e di grande esperienza pertinente (fuori dai soliti “cerchi magici”) per la direzione e il coordinamento progettuali, ma ci sembra giusto anticipare un giudizio positivo per il fatto che finalmente la Giunta affronti la questione “oltre l’emergenza”, nell’organizzazione di quelle che vengono rappresentate nella medesima delibera come “attività di seconda accoglienza, che saranno definite attraverso processi partecipati, al fine di favorire una reale integrazione e ricadute socio economiche positive”. Vedremo presto (f.m.).
(Dal sito della RAS) Via libera della Giunta alla costituzione di un gruppo di lavoro interassessoriale, supportato da due figure professionali con competenze specifiche in ambito migratorio e nella progettazione e coordinato dalla Presidenza, con il compito di redigere il Piano regionale per l’accoglienza dei flussi non programmati, che sarà poi presentato in Consiglio regionale.
CAGLIARI, 12 GENNAIO 2016 – La Giunta regionale, riunita in viale Trento con il vicepresidente della Regione Raffaele Paci nella prima parte della seduta e con il presidente Francesco Pigliaru nella seconda, ha dato il via libera alla costituzione di un gruppo di lavoro interassessoriale, supportato da due figure professionali con competenze specifiche in ambito migratorio e nella progettazione e coordinato dalla Presidenza, con il compito di redigere il Piano regionale per l’accoglienza dei flussi non programmati, che sarà poi presentato in Consiglio regionale. La delibera, proposta dalla presidenza, individua inoltre Angela Quaquero, in ragione della pluriennale esperienza in tematiche migratorie complesse in qualità di amministratore pubblico, quale delegata del Presidente nelle sedi di lavoro che interessino la tematica dei migranti. Considerata la portata epocale dei flussi migratori in atto, la Regione, che finora ha garantito un solido e funzionale sistema di prima accoglienza, si struttura dunque per organizzare le attività di seconda accoglienza, che saranno definite attraverso processi partecipati, al fine di favorire una reale integrazione e ricadute socio economiche positive.
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- Ecco la delibera, di cui non è ancora disponibile il testo: Delibera n. 1/9 del 2016. Disposizioni regionali per l’accoglienza dei flussi migratori non programmati. Piano regionale 2016.
Oggi martedì 12 gennaio 2016
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- Oggi:
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Progetto Iscol@, incontro di presentazione.
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