Monthly Archives: gennaio 2016
Per combattere l’assenteismo e i fannulloni occorre applicare le norme che già esistono e riorganizzare le Pubbliche amministrazioni a misura delle esigenze dei cittadini
L’assenteismo del personale nelle Pubbliche Amministrazioni e la questione dei “fannulloni” recentemente riportati all’attenzione dell’opinione pubblica dai fatti di Sanremo e di Roma, anziché indurre il Governo a una seria riflessione sulle condizioni delle organizzazioni pubbliche da cui far scaturire efficaci rimedi migliorativi, primo tra tutti l’eliminazione di ogni impedimento all’applicazione delle norme che già consentono la punizione dei disonesti, costituisce invece il pretesto per sfornare ulteriori provvedimenti ad effetto quanto inutili, anzi dannosi, nella misura in cui complicheranno ulteriormente la vita delle PA, rendendo più difficile il lavoro di quanti vi operano lodevolmente. Al riguardo concordiamo con il commento della Segretaria generale della CGIL Susanna Camusso laddove accusa il Governo di “inventare una campagna che faccia sembrare che i 3 milioni di lavoratori del pubblico impiego siano tutti nulla facenti, dei truffatori dello Stato: così si fa del male”.
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Quali pubbliche amministrazioni vogliamo? La cosa più saggia è ascoltare i cittadini, capire le loro esigenze, prendere in considerazione le loro proposte
di Franco Meloni
Il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, di cui tra alcuni giorni celebreremo il ventitreesimo compleanno, ha costituito, a mio parere, la più importante riforma della pubblica amministrazione italiana dall’Unità d’Italia. I caposaldi erano ben chiari: 1) la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni italiane sulla base dei sistemi dei più avanzati paesi europei, nella ricerca di adeguamento ai loro standard; 2) la distinzione tra la funzione di indirizzo, propria del potere politico, da quella di gestione, propria dei dirigenti e dei loro collaboratori; 3) la “privatizzazione” del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni; 4) la fine della “supremazia” e dell’irresponsabilità delle pubbliche amministrazione nei confronti dei cittadini, i quali, utilizzando uno slogan, da “cittadini-sudditi” diventavano “cittadini-sovrani”.
Da quella grande riforma doveva diramarsi un processo di attuazione, che certo doveva correggere, integrare, completare… ma soprattutto attuare concretamente (dalle parole ai fatti) e rendere operativa l’impostazione data. Oggi, al tirare delle somme, senza voler tranciare un giudizio manicheo in senso negativo su quanto poi è avvenuto, prendiamo atto che le cose non sono andate per il verso giusto, che pertanto la riforma è stata sostanzialmente tradita. Constatiamo come la riforma sia stata continuamente rimaneggiata, con poderosi e frequenti interventi normativi, spesso del tutto pleonastici (a riscrivere cose già scritte) e contradditori, che hanno complicato tutto, demotivato gli operatori e depotenziato il carattere innovativo della stessa (trasfusa, come sappiamo, nel decreto legislativo 165/2001 in costante aggiornamento e integrata in misura considerevole dal decreto legislativo 150/2009, cd decreto Brunetta). Con un furore sconosciuto ad altri settori il legislatore e quanti avevano competenza di regolazione sottordinata sono intervenuti spessissimo, creando un complesso normativo mostruoso. Ne sono un’immagine le chilometriche circolari dell’ex ministro Brunetta (mezza pagina solo per la sua firma***), che solo a leggerle e a capirle ci volevano tempi indefiniti. Siamo arrivati all’assurdo che per semplificare la normativa se ne creava nuova aggiuntiva e di maggior volume. Che dire? Zero buonsenso e danni irreparabili. Brunetta merita una citazione particolare: frustrato per non essere stato nominato ministro di un importante dicastero (come per esempio quello dell’Economia, assegnato all’odiato collega Tremonti) ha cercato di far crescere con invenzioni e artifizi l’importanza del modesto (sul piano del potere) dipartimento della Funzione pubblica, accreditandosi come capo dell’amministrazione dello Stato, cosa senza fondamento giuridico, non possibile in considerazione dell’attuale ordinamento della Repubblica, basato sulle autonomie locali. Ne è scaturito un continuo conflitto tra i diversi livelli istituzionali e una larga disapplicazione delle norme, anche di quelle sulla carta innovative, e, sopratutto, la creazione in ambito pubblico del peggior clima in cui un’organizzazione possa trovarsi ad operare.
Sarebbe lungo ma interessante addentrarci oltre, ma, state tranquilli, non lo facciamo, almeno ora. Solo qualche constatazione e un rinvio per opportuni approfondimenti e specificazioni.
Per le pubbliche amministrazioni italiane in questa contingenza tutto è più difficile anche perché ulteriormente complicato dalla politica di Matteo Renzi, e del suo ministro alla funzione pubblica Marianna Maida, improntata a ragioni di risparmio piuttosto che di ricerca dell’efficienza e dell’efficacia dell’operato pubblico per la soddisfazione delle esigenze dei cittadini. In questo contesto si inquadrano le politiche di dismissioni delle partecipazioni pubbliche nell’economia e la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali (acqua e rifiuti, tanto per fare esempi di competenze di ambito comunale)
In questa situazione disperata, oltre che fare appello al buon senso, occorre il più possibile essere propositivi. Come? Occorre innanzi tutto dare voce ai cittadini e ripensare le pubbliche amministrazioni partendo appunto dalle loro esigenze. Le parole d’ordine sono: difesa del carattere pubblico delle organizzazioni che erogano servizi essenziali, riorganizzazione sulla base della semplificazione; sburocratizzazione; pratica del principio di sussidiarietà (cioè far fare le cose ai livelli dove s’incrociano efficienza ed efficacia); aprire alla trasparenza e alla partecipazione dei cittadini; coinvolgimento dei lavoratori alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, dei quali vanno rispettati e valorizzati la professionalità e l’impegno.
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E’ quanto propone Cagliari Città Capitale nel proprio programma di riorganizzazione dell’Amministrazione del Comune di Cagliari e delle sue partecipate, condizione per la realizzazione del programma politico più generale per il quale richiede il consenso e il coinvolgimento dei cagliaritani.
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- Nell’illustrazione in testa, particolare degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti “Allegoria del Buono e del Cattivo governo“.
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*** Megalomani
Per combattere l’assenteismo e i fannulloni occorre applicare le norme che già esistono e riorganizzare le Pubbliche amministrazioni
L’assenteismo del personale nelle Pubbliche Amministrazioni e la questione dei “fannulloni” recentemente riportati all’attenzione dell’opinione pubblica dai fatti di Sanremo e di Roma, anziché indurre il Governo a una seria riflessione sulle condizioni delle organizzazioni pubbliche da cui far scaturire efficaci rimedi migliorativi, primo tra tutti l’eliminazione di ogni impedimento all’applicazione delle norme che già consentono la punizione dei disonesti, costituisce invece il pretesto per sfornare ulteriori provvedimenti ad effetto quanto inutili, anzi dannosi, nella misura in cui complicheranno ulteriormente la vita delle PA, rendendo più difficile il lavoro di quanti vi operano lodevolmente. Al riguardo concordiamo con il commento della Segretaria generale della CGIL Susanna Camusso laddove accusa il Governo di “inventare una campagna che faccia sembrare che i 3 milioni di lavoratori del pubblico impiego siano tutti nulla facenti, dei truffatori dello Stato: così si fa del male”.
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Quali pubbliche amministrazioni vogliamo? La cosa più saggia è ascoltare i cittadini, capire le loro esigenze, prendere in considerazione le loro proposte
di Franco Meloni
Il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, di cui tra alcuni giorni celebreremo il ventitreesimo anno, ha costituito, a mio parere, la più importante riforma della pubblica amministrazione italiana dall’Unità d’Italia. I caposaldi erano ben chiari: 1) la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni italiane sulla base dei sistemi dei più avanzati paesi europei, nella ricerca di adeguamento ai loro standard; 2) la distinzione tra la funzione di indirizzo, propria del potere politico, da quella di gestione, propria dei dirigenti e dei loro collaboratori; 3) la “privatizzazione” del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni; 4) la fine della “supremazia” e dell’irresponsabilità delle pubbliche amministrazione nei confronti dei cittadini, i quali, utilizzando uno slogan, da “cittadini-sudditi” diventavano “cittadini-sovrani”.
Da quella grande riforma doveva diramarsi un processo di attuazione, che certo doveva correggere, integrare, completare… ma soprattutto attuare concretamente (dalle parole ai fatti) e rendere operativa l’impostazione data. Oggi, al tirare delle somme, senza voler tranciare un giudizio manicheo in senso negativo su quanto poi è avvenuto, prendiamo atto che le cose non sono andate per il verso giusto, che pertanto la riforma è stata sostanzialmente tradita. Constatiamo come la riforma sia stata continuamente rimaneggiata, con poderosi e frequenti interventi normativi, spesso del tutto pleonastici (a riscrivere cose già scritte) e contradditori, che hanno complicato tutto, demotivato gli operatori e depotenziato il carattere innovativo della stessa (trasfusa, come sappiamo, nel decreto legislativo 165/2001 in costante aggiornamento e integrata in misura considerevole dal decreto legislativo 150/2009, cd decreto Brunetta). Con un furore sconosciuto ad altri settori il legislatore e quanti avevano competenza di regolazione sottordinata sono intervenuti spessissimo, creando un complesso normativo mostruoso. - segue -
Il Governo sul personale dipendente dalle Pubbliche Amministrazioni: quando la propaganda si sostituisce alla competenza e alla serietà!
Su La Repubblica di lunedì 18 gennaio 2016. Intervento di Susanna Camusso (CGIL) su “i fannulloni nelle PA”: Legge per licenziare fannulloni c’è già. “Le regole per licenziare i cosiddetti fannulloni ci sono già: mi piacerebbe che il governo dicesse perché non funzionano. Sennò, è una campagna, si chiama propaganda”. Il segretario generale della Cgil vede il rischio di “inventare una campagna che faccia sembrare che i 3 milioni di lavoratori del pubblico impiego siano tutti nulla facenti, dei truffatori dello Stato: così si fa del male”.
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Susanna Camusso ha ragione. Anziché applicare le norme che esistono se ne vogliono inventare di nuove, che complicano ulteriormente la vita delle Pubbliche Amministrazioni, già oberate da un’infinità di leggi, leggine e regolamenti… Normative spesso paradossalmente create per “semplificare” (Brunetta da questo punti di vista è stato pessimo). Si finisce poi per alimentare il malessere organizzativo, a scapito di tutti (dipendenti e cittadini) che complica il lavoro soprattutto del personale più diligente. Politici ignoranti che utilizzano le Amministrazioni per il proprio tornaconto e Decisori altrettanto ignoranti, in tutti i settori e senza distinzione di titoli (gli accademici sono spesso i più presuntuosi e i peggiori, anche quando non disonesti) sono tra i maggiori responsabili di questa situazione, insieme ai dirigenti, tra di essi troppi incapaci di assumersi le responsabilità e privi di capacità di gestione delle persone (se possibile evito di chiamarle “risorse umane”). Prendiamo atto che i “dipendenti pubblici” salvo qualche eccezione (magistrati, professori universitari, etc.) non esistono più, tanto è che i testi legislativi di riforma (l’antesignano d.lvo 29/93 ed esplicitamente d.lvo 165/2001 e successivi) parlano di “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, avendo operato una sostanziale privatizzazione del lavoro pubblico. Che tra l’altro prevede la licenziabilità del dipendente. Di cosa si sta allora parlando? Un po’ di serietà signori e meno propaganda, che non produce nulla di buono, anzi… Si facciano sentire i giuristi e soprattutto i giuslavoristi che tanto si erano impegnati per “modernizzare” la Pubblica Amministrazione. Si facciano sentire gli esperti psicologi delle organizzazioni, che tanto hanno da dire sul clima organizzativo che consente una migliore produttività… Da quello che si sente in giro sembra proprio che i peggiori stiano al governo… si prendano una pausa di riflessione, prima di parlare e soprattutto prima di fare ulteriori danni…
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Indagare a fondo sull’assenteismo nel pubblico impiego per debellarlo senza inutili e improduttive “cacce alle streghe”. Invito al dibattito
Pugno duro del Governo contro l’assenteismo del personale alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni. Scrive La Repubblica: “Un giro di vite dopo i recenti scandali di Sanremo, con il vigile che timbrava in mutande, e del museo dell’Eur a Roma, con alcuni dipendenti che passavano il tesserino per i colleghi che non si presentavano nemmeno in ufficio”. Lungi da noi esprimere qualsiasi giustificazione del comportamento truffaldino dei dipendenti infedeli; tuttavia invitiamo ad indagare a fondo sull’assenteismo nel pubblico impiego, al fine di debellarlo senza inutili ed improduttive “cacce alle streghe”. E’ un obbligo morale fare questi ragionamenti e invitare il Governo ad esaminare la complessità del fenomeno, perché assuma adeguati provvedimenti, anche per salvaguardare quella che riteniamo sia la maggioranza dei lavoratori pubblici (o comunque in servizio nelle diverse Ammministrazioni pubbliche) che svolge il proprio lavoro con dedizione nell’interesse dei cittadini. Al riguardo ci sembra utile la riflessione di Romolo Menighetti sul periodico Rocca, che sotto riportiamo integrale.
La radice dell’assenteismo
di Romolo Menighetti, su Rocca 22/2015
Sanremo, da «Città dei Fiori» è scaduta a «Città dei Fuori» (stanza). Infatti, un’indagine della Guardia di Finanza relativa al 2014 nei suoi uffici comunali si è conclusa con l’arresto di 35 dipendenti per assenteismo e 236 inquisiti, su un totale di 528 dipendenti municipali.
Le truffe si concretizzavano in «strisciate» del tesserino per interposto collega o familiare, certificazioni di presenze fatte in pigiama, gite in canoa; e poi la spesa utilizzando la Vespa del Comune, la passeggiata igienica del cane, partite a biliardo e prolungate soste al bar. Dal punto di vista giudiziario si tratta di «Truffa aggravata, falso in atto pubblico e interruzione di pubblico servizio». A rimetterci sono i cittadini, i quali pagano con le tasse dei fannulloni, che li ricambiano con servizi lenti e scadenti. Il tutto sotto lo sguardo passivamente complice degli altri colleghi e di un’opinione pubblica cittadina che assiste silente a quell’anomalo via vai durante l’orario d’ufficio. Segno che l’assenteismo è recepito ormai come realtà ineluttabile, contro la quale è inutile opporsi. A fronte di questi fatti non è sufficiente l’indignazione, né l’invocazione di giuste sanzioni.
Se l’assenteismo è così diffuso (quanti Sanremo ci sono nella Penisola?), nonché tollerato anche da chi agisce correttamente, ci saranno motivi che vanno oltre una generica «poca voglia di lavorare».
Perciò è necessario, per tentare di porvi rimedio, chiedersi quali siano le cause profonde di una così diffusa disaffezione per il lavoro entro la pubblica amministrazione. Alla base dell’assenteismo c’è che la pubblica amministrazione, per le sue contraddizioni interne dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro e per le indebite interferenze politiche, offre ben poche possibilità ai suoi operatori, specie a quelli medi e piccoli, di realizzarsi come lavoratori e come persone. Da qui disaffezione e disimpegno. Perciò, esaminare l’assenteismo dal punto di vista dell’operatore nella pubblica amministrazione appare come la strada migliore per tentare di trovare soluzioni al fenomeno.
Il piccolo e medio burocrate è inserito in un ingranaggio di lavoro che non permette di sviluppare sufficientemente le proprie potenziali capacità. Ripetere atti e gesti aventi poco interesse in sé fa intravvedere, come unica difesa contro la monotonia, lo svicolare fuori dall’ufficio per sbrigare affari personali o per la visita al bar. Che l’operatore non veda quasi mai realizzato il proprio lavoro in qualcosa di concreto e completo non fa che accrescere la frustrazione, specie se il suo lavoro si svolge in un contesto di scarsa efficienza, che vanifica parzialmente o totalmente la sua opera. Egli avverte che i diversi passaggi burocratici non sono finalizzati a migliorare il servizio, ma sono funzionali ai diversi centri di potere per inserirsi in una «pratica», spesso al fine di lucrare illegalmente un compenso. C’è poi la sua totale esclusione dall’elaborazione delle decisioni, che egli deve concretizzare solo a livello esecutivo. Questa situazione configura il burocrate come essere non pensante.
Da qui l’esigenza di una collaborazione collegiale delle decisioni, e il superamento del dogma che prescrive «essere in regola con le carte» indipendentemente dal fatto che si svolga o no un servizio efficiente per il cittadino. Avere come solo punto di riferimento le norme astratte di un regolamento elimina il rapporto arricchente con la realtà e le persone, colte nella loro varietà e imprevedibilità, e per conseguenza toglie interesse al proprio impegno. Infine, l’interferenza dei poteri politici fa vivere l’impiegato in un contesto in cui la capacità professionale non è valutata in base al suo merito e al suo impegno ma in base alla sua abilità a destreggiarsi nei meandri dei gruppi di potere all’interno dell’ambito lavorativo.
Perciò la repressione dovrà essere affiancata da una riforma che tenda a fare del burocrate un essere pensante e creativo. In questo senso si era posta la Regione Siciliana con una legge di riforma della Pubblica amministrazione (l.r. 23/3/1971 n.7), che ebbe tra gli altri promotori un giovane Piersanti Mattarella, allora assessore regionale al Bilancio, ma i risultati non sono stati all’altezza delle illuminate decisioni dei legislatori.
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“Così saranno licenziati i dipendenti assenteisti”. Ecco il piano del governo
In 48 ore scatta la sospensione, poi si avvia la procedura. L’obbligo di denuncia. Il ruolo della Corte dei conti
di ROBERTO MANIA, su La Repubblica.
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La Ghilarza Summer School – Scuola internazionale di studi gramsciani: 15 posti per la partecipazione a un corso di alta formazione sul pensiero di Antonio Gramsci
La Ghilarza Summer School – Scuola internazionale di studi gramsciani bandisce 15 posti per la partecipazione a un corso di alta formazione sul pensiero di Antonio Gramsci.
Il corso si svolgerà a Ghilarza (il paese della Sardegna in cui Gramsci visse negli anni dell’infanzia e della giovinezza) dal 5 al 10 settembre 2016 e sarà dedicato al tema: L’estensione dell’ideologia: folclore, religione, senso comune, buon senso, filosofia.
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Il lavoro: da diritto a eventualità
Riforma o restaurazione?
16 gennaio 2016
di Gianni Loy, su il manifesto sardo
C’è stato un tempo, neppure troppo lontano, nel quale al “padrone” ed al lavoratore era concesso di porre fine, liberamente, al rapporto di lavoro,, senza dover fornire alcuna giustificazione. La legge prevedeva l’obbligo di un periodo di preavviso, così da consentire al lavoratore di darsi da fare per trovare un’altra occupazione e, al datore di lavoro, di cercare un sostituto del lavoratore che si fosse dimesso.
Poiché il termine normale di preavviso, per gli operai, era di otto giorni, è invalso l’uso di sostituire l’intimazione “alla prima che mi fai, ti licenzio e te ne vai”, come accadeva ai tempi del signor Bonaventura, con il più elegante: “ti do gli otto giorni”.
Non si tratta di niente di arcaico, sta tutto scritto nel codice civile in vigore, solo che, a partire dal 1966, è stato introdotto l’obbligo di motivare il licenziamento con una giusta causa o un giustificato motivo. In mancanza, sono state previste sanzioni che potevano arrivare sino all’obbligo di reintegrare il lavoratore licenziato nel proprio posto di lavoro. L’articolo del codice civile non è stato mai abrogato, perché sempre è rimasta una piccolissima frangia di casi nei quali il licenziamento ha continuato, e continua, ad essere del tutto libero, come per il periodo di prova, il lavoro domestico e per i dirigenti.
Poi, i sistemi di produzione sono cambiati, è arrivata la stagione della flessibilità e, infine, è sopraggiunta la crisi. In conseguenza, le tutele contro il licenziamento illegittimo sono state fortemente ridotte. Il diritto alla reintegrazione è rimasto solo per il caso dei licenziamenti discriminatori o per quelli privi di forma scritta, oltreché per i pubblici impiegati. Per il resto, tutto è stato limitato ad una sanzione economica imposta a chi licenzi senza motivo: 2 mensilità per ogni anno di servizio, per le unità produttive sopra i 15 dipendenti, con un massimo di 12, e 1 sola, con un massimo di 6, per i datori di lavoro con un numero di dipendenti inferiore.
Tutto è automatico: al giudice è stata tolta la facoltà di stabilire la sanzione (entro un limite massimo) a seconda del caso concreto.
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Indagare a fondo sull’assenteismo nel pubblico impiego per debellarlo senza inutili e improduttive “cacce alle streghe”. Invito al dibattito
Pugno duro del Governo contro l’assenteismo del personale alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni. Scrive La Repubblica: “Un giro di vite dopo i recenti scandali di Sanremo, con il vigile che timbrava in mutande, e del museo dell’Eur a Roma, con alcuni dipendenti che passavano il tesserino per i colleghi che non si presentavano nemmeno in ufficio”. Lungi da noi esprimere qualsiasi giustificazione del comportamento truffaldino dei dipendenti infedeli; tuttavia invitiamo ad indagare a fondo sull’assenteismo nel pubblico impiego, al fine di debellarlo senza inutili ed improduttive “cacce alle streghe”. E’ un obbligo morale fare questi ragionamenti e invitare il Governo ad esaminare la complessità del fenomeno, perché assuma adeguati provvedimenti, anche per salvaguardare quella che riteniamo sia la maggioranza dei lavoratori pubblici (o comunque in servizio nelle diverse Ammministrazioni pubbliche) che svolge il proprio lavoro con dedizione nell’interesse dei cittadini. Al riguardo ci sembra utile la riflessione di Romolo Menighetti sul periodico Rocca, che sotto riportiamo integrale.
La radice dell’assenteismo
di Romolo Menighetti, su Rocca 22/2015
Sanremo, da «Città dei Fiori» è scaduta a «Città dei Fuori» (stanza). Infatti, un’indagine della Guardia di Finanza relativa al 2014 nei suoi uffici comunali si è conclusa con l’arresto di 35 dipendenti per assenteismo e 236 inquisiti, su un totale di 528 dipendenti municipali.
Le truffe si concretizzavano in «strisciate» del tesserino per interposto collega o familiare, certificazioni di presenze fatte in pigiama, gite in canoa; e poi la spesa utilizzando la Vespa del Comune, la passeggiata igienica del cane, partite a biliardo e prolungate soste al bar. Dal punto di vista giudiziario si tratta di «Truffa aggravata, falso in atto pubblico e interruzione di pubblico servizio». A rimetterci sono i cittadini, i quali pagano con le tasse dei fannulloni, che li ricambiano con servizi lenti e scadenti. Il tutto sotto lo sguardo passivamente complice degli altri colleghi e di un’opinione pubblica cittadina che assiste silente a quell’anomalo via vai durante l’orario d’ufficio. Segno che l’assenteismo è recepito ormai come realtà ineluttabile, contro la quale è inutile opporsi. A fronte di questi fatti non è sufficiente l’indignazione, né l’invocazione di giuste sanzioni.
Se l’assenteismo è così diffuso (quanti Sanremo ci sono nella Penisola?), nonché tollerato anche da chi agisce correttamente, ci saranno motivi che vanno oltre una generica «poca voglia di lavorare».
Perciò è necessario, per tentare di porvi rimedio, chiedersi quali siano le cause profonde di una così diffusa disaffezione per il lavoro entro la pubblica amministrazione. Alla base dell’assenteismo c’è che la pubblica amministrazione, per le sue contraddizioni interne dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro e per le indebite interferenze politiche, offre ben poche possibilità ai suoi operatori, specie a quelli medi e piccoli, di realizzarsi come lavoratori e come persone. Da qui disaffezione e disimpegno. Perciò, esaminare l’assenteismo dal punto di vista dell’operatore nella pubblica amministrazione appare come la strada migliore per tentare di trovare soluzioni al fenomeno.
Il piccolo e medio burocrate è inserito in un ingranaggio di lavoro che non permette di sviluppare sufficientemente le proprie potenziali capacità. Ripetere atti e gesti aventi poco interesse in sé fa intravvedere, come unica difesa contro la monotonia, lo svicolare fuori dall’ufficio per sbrigare affari personali o per la visita al bar. Che l’operatore non veda quasi mai realizzato il proprio lavoro in qualcosa di concreto e completo non fa che accrescere la frustrazione, specie se il suo lavoro si svolge in un contesto di scarsa efficienza, che vanifica parzialmente o totalmente la sua opera. Egli avverte che i diversi passaggi burocratici non sono finalizzati a migliorare il servizio, ma sono funzionali ai diversi centri di potere per inserirsi in una «pratica», spesso al fine di lucrare illegalmente un compenso. C’è poi la sua totale esclusione dall’elaborazione delle decisioni, che egli deve concretizzare solo a livello esecutivo. Questa situazione configura il burocrate come essere non pensante.
Da qui l’esigenza di una collaborazione collegiale delle decisioni, e il superamento del dogma che prescrive «essere in regola con le carte» indipendentemente dal fatto che si svolga o no un servizio efficiente per il cittadino. Avere come solo punto di riferimento le norme astratte di un regolamento elimina il rapporto arricchente con la realtà e le persone, colte nella loro varietà e imprevedibilità, e per conseguenza toglie interesse al proprio impegno. Infine, l’interferenza dei poteri politici fa vivere l’impiegato in un contesto in cui la capacità professionale non è valutata in base al suo merito e al suo impegno ma in base alla sua abilità a destreggiarsi nei meandri dei gruppi di potere all’interno dell’ambito lavorativo.
Perciò la repressione dovrà essere affiancata da una riforma che tenda a fare del burocrate un essere pensante e creativo. In questo senso si era posta la Regione Siciliana con una legge di riforma della Pubblica amministrazione (l.r. 23/3/1971 n.7), che ebbe tra gli altri promotori un giovane Piersanti Mattarella, allora assessore regionale al Bilancio, ma i risultati non sono stati all’altezza delle illuminate decisioni dei legislatori.
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“Così saranno licenziati i dipendenti assenteisti”. Ecco il piano del governo
In 48 ore scatta la sospensione, poi si avvia la procedura. L’obbligo di denuncia. Il ruolo della Corte dei conti
di ROBERTO MANIA, su La Repubblica.
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Referendum costituzionale: riunione a Cagliari per la costituzione del Comitato per il NO
Mercoledì 20 gennaio alle ore 19 nella sede CSS (Confederazione sindacale sarda) in via Roma,72 a Cagliari, riunione preparatoria per organizzare l’assemblea costitutiva del
Comitato per il NO al referendum costituzionale.
- Approfondimenti. Democraziaoggi rilancia un’intervista del Fatto quotidiano alla costituzionalista Lorenza Carlassare.
- Sandra Bonsanti su Libertà e Giustizia.