Monthly Archives: gennaio 2016
Il “Quartetto per il dialogo nazionale tunisino” Premio Nobel per la Pace 2015 a Cagliari dal 28 al 30 gennaio
(Fonte Fondazione Banco di Sardegna) “Quartetto per il dialogo nazionale tunisino” è il titolo dell’iniziativa promossa dalla Fondazione Banco di Sardegna a Cagliari domani venerdì 29 gennaio 2016 dalle ore 15:30 in Via San Salvatore da Horta (traversa tra la Via Torino e il Viale Regina Margherita).
Sarà presente una delegazione dell’Unione generale tunisina del lavoro (UGTT), importante componente del “Quartetto per il dialogo nazionale tunisino” ovvero le quattro organizzazioni che hanno contribuito alla transizione democratica della Tunisia dopo la Rivoluzione dei Gelsomini del 2011, che mise fine agli oltre 20 anni di potere di Zine El Abissine Ben Ali. Per l’impegno e i risultati conseguiti, all’organismo è stato assegnato il Nobel per la Pace 2015.
Il “Quartetto per il dialogo nazionale tunisino” fu creato nell’ottobre del 2013 con l’obiettivo di favorire il dialogo tra le diverse forze politiche tunisine. Il risultato più importante ottenuto finora è stata la ratifica, nel gennaio del 2014, della nuova Costituzione tunisina dopo mesi di forti discussioni e tre anni di tensioni politiche e violenze.
Le organizzazioni che formano il “Quartetto per il dialogo nazionale tunisino” sono: l’Unione generale tunisina del lavoro, la Confederazione dell’industria del commercio e dell’artigianato, la Lega tunisina per i diritti dell’uomo e l’Ordine nazionale degli avvocati di Tunisia. [PER CORRELAZIONE: una riflessione del primo luglio 2014 su Aladinews]
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Cagliari città metropolitana. Sì, ma il sindaco metropolitano dovrà essere eletto a suffragio universale!
In attesa di disporre del testo completo della legge approvata ieri dal Consiglio regionale (il testo disponibile sul sito ufficiale del Consiglio regionale è tuttora quello non aggiornato rispetto agli ultimi emendamenti; ad esempio risulta ancora che il Consiglio metropolitano è composta da 14 membri, anziché dai 34 stabiliti da un apposito emendamento approvato a maggioranza) rammentiamo un concetto da noi totalmente condiviso del prof. Roberto Camagni, da lui ribadito anche nel recente “Convegno sul ruolo delle città nella pianificazione strategica per lo sviluppo dei territori”: “La città metropolitana è impegnativa e non può essere gestita da sindaci a mezzo servizio. Bisogna eleggere a suffragio universale il presidente della città metropolitana…”. Peraltro tale possibilità, purtroppo non obbligo, è contenuta nella stessa legge approvata, come risulta dall’articolo 29, che di seguito riportiamo integrale.
“Art. 29 Sindaco metropolitano
1. Il sindaco metropolitano rappresenta l’ente, convoca e presiede il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti ed esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto.
2. Lo statuto della città metropolitana può prevedere l’elezione diretta del sindaco metropolitano con il sistema elettorale che sarà determinato con legge regionale. In fase di prima applicazione della presente legge e, in ogni caso fino all’approvazione della legge elettorale regionale, sindaco metropolitano è il sindaco del Comune di Cagliari.
3. Il sindaco metropolitano può nominare un vicesindaco, scelto tra i componenti del consiglio metropolitano, stabilendo le eventuali funzioni a lui delegate e dandone immediata comunicazione alla conferenza metropolitana. Il vicesindaco esercita le funzioni del sindaco metropolitano in ogni caso in cui questi ne sia impedito. Il sindaco metropolitano decade dalla carica per cessazione della titolarità dell’incarico di sindaco del proprio comune. In tal caso il vice- sindaco metropolitano rimane in carica fino all’insediamento del nuovo sindaco metropolitano.
4. Il sindaco metropolitano può inoltre assegnare deleghe a componenti del consiglio metropolitano, secondo le modalità e nei limiti stabiliti dallo statuto.
5. Il sindaco del Comune di Cagliari assume le funzioni di sindaco metropolitano alla scadenza del termine di cui all’articolo 25, comma 2; alla stessa data esso assume anche le funzioni commissariali di cui all’articolo 40 bis, comma 3.”
Come cambia la democrazia
Il non detto di una riforma imposta
Gustavo Zagrebelsky*
Coloro che, la riforma costituzionale, la vedono gravida di conseguenze negative non si aggrappano alla Costituzione perché è «la più bella del mondo».
Sono gli zelatori della riforma che usano quell’espressione per farli sembrare degli stupidi conservatori e distogliere l’attenzione dalla posta in gioco. La posta in gioco è la concezione della vita politica e sociale che la Costituzione prefigura e promette, sintetizzandola nelle parole «democrazia» e «lavoro» che campeggiano nel primo comma dell’art. 1. Qui c’è la ragione del contrasto, che non riguarda né l’estetica (su cui ci sarebbe peraltro molto da dire, leggendo i testi farraginosi, incomprensibili e perfino sintatticamente traballanti che sono stati approvati) né soltanto l’ingegneria costituzionale (al cui proposito c’è da dire che nessuna questione costituzionale è mai solo tecnica, ma sempre politica).
Molte volte sono state chiarite le radici storiche e ideali di quella concezione, perfettamente conforme alle tendenze generali del costituzionalismo democratico, sociale e antifascista del II dopoguerra, tendenze riassunte nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre del 1948, di cui la nostra Costituzione contiene numerose anticipazioni, perfino sul piano testuale. Quelle, le radici della Costituzione che c’è. E quelle della Costituzione che si vorrebbe che fosse, quali sono?
Quale visione della vita politica?
Quali credenziali possono esibire gli attuali legislatori costituzionali? A parte la questione, bellamente ignorata, dell’incostituzionalità della legge elettorale in base alla quale essi sono stati eletti; a parte la falsificazione delle maggioranze che quella legge ha comportato, senza la quale non ci sarebbero stati i numeri in Parlamento; a parte tutto ciò, la domanda che deve essere posta è: quale visione della vita politica li muove? A quale intento corrispondono le loro iniziative? C’è un «non detto» e lì si trovano le ragioni di tanta enfasi, di tanto accanimento, di tanta drammatizzazione che non si giustificherebbero se si trattasse solo di riduzione dei costi della politica e di efficientismo decisionale. La posta in gioco non è di natura economica e funzionale (risparmiare sui costi e sui tempi delle decisioni). Se fosse solo questo, si dovrebbe trattare la «riforma» come una riformetta da discutere tecnicamente, incapace di sommuovere acute passioni politiche. Invece, c’è chi la carica d’un significato eccezionale, si atteggia a demiurgo d’una fase politica nuova e dice d’essere pronto a giocarsi su di essa perfino il proprio futuro politico.
I tecnici, la partecipazione e i partiti-sgabello
Ciò si spiega, per l’appunto, con il «non detto». Cerchiamo, allora, di dirlo, nel quadro delle profonde trasformazioni istituzionali degli ultimi decenni, trasformazioni che hanno comportato un ribaltamento della democrazia parlamentare in uno strano regime tecnocratico-oligarchico che, per sua natura, ha come suo punto di riferimento l’esecutivo. Viviamo in «tempi esecutivi»! La politica esce di scena. I tecnici ne occupano lo spazio nei posti-chiave, cioè nei luoghi delle decisioni in materia economica, oggi prevalentemente nella versione della finanza, e nel campo della politica estera, oggi principalmente nella versione degli impegni militari. La partecipazione politica che dovrebbe potersi esprimere nella veritiera rappresentazione del popolo, cioè in Parlamento, a partire dai bisogni, dalle aspirazioni, dagli ideali non è più considerata un valore democratico da coltivare, ma un intralcio. Così, del fatto che la metà degli elettori sia lontana dalla politica al punto da non trovare attrattive nell’esercizio del diritto di voto, nessuno si preoccupa: pare anzi che ci se ne rallegri. Il fatto che i sindacati trovino difficoltà nel rappresentare i bisogni dei lavoratori, invece che a spingere a misure che ne rafforzino la capacità rappresentativa, induce ad atteggiamenti sprezzanti e di malcelata soddisfazione. Che i diritti dei lavoratori siano sottoposti e condizionati alle esigenze delle imprese, non fa problema: anzi il ritorno a condizioni pre-costituzionali si considera un fattore di modernizzazione. Che i partiti siano a loro volta ridotti come li vediamo, a sgabelli per l’ascesa alle cariche di governo e poi a intralci da tenere sotto la frusta del capo e di coloro che fanno cerchio attorno a lui, non è nemmeno da denunciare con più d’una parola.
La piramide rovesciata
A questa desertificazione socialpolitica corrisponde perfettamente la legge elettorale. Essa dovrebbe servire a incoronare «la sera stessa delle elezioni» il vincitore, cioè il capo politico che per cinque anni potrà governare controllando il Parlamento attraverso il controllo del partito di cui è capo. La piramide si è progressivamente rovesciata e non abbiamo fatto il necessario per impedirlo. La democrazia dalle larghe basi voluta dalla Costituzione è stata sostituita da un regime guidato dall’alto dove si coagulano interessi sottratti alle responsabilità democratiche. L’informazione si allinea; la vita pubblica è drogata dal conformismo; gli intellettuali tacciono; non c’è da attendersi alcuna vera alternativa dalle elezioni, pur se e quando esse si svolgano, e se alternative emergessero dalle urne, sarebbe la pressione proveniente da fuori (istituzioni europee, Fondo monetario internazionale, grandi fondi d’investimento) a richiamare all’ordine; nella scuola si affermano modelli verticistici e i nostri studenti e i nostri insegnanti gemono sotto programmi ministeriali finalizzati a produrre non cultura ma tecnica esecutiva.
Può essere che questo è quanto richiedono i tempi che viviamo, i tempi dello sviluppo per lo sviluppo, dell’innovazione per l’innovazione, della competitività che non ammette deroghe, della spremitura degli esseri umani, dei diritti dei più deboli e delle risorse naturali per tenere il passo sempre più veloce della concorrenza. Può essere che solo a queste condizioni il nostro Paese sia annoverabile tra i virtuosi, nei quali la finanza sovrana consideri conveniente investire le sue immani risorse; cioè, in termini più realistici, consideri conveniente venire a comperarci, approfittando delle tante privatizzazioni che segnano l’arretramento dello Stato a favore degli interessi del mercato. Gli inviti che provengono dalle istituzioni sovranazionali, legate al governo della finanza globale, sono univoci. I moniti che provengono dall’Europa («ce lo chiede l’Europa») sono dello stesso segno. Perfino una banca d’affari (gli «analisti» della J.P. Morgan) ha dettato la propria agenda, nella quale è scritta anche la riduzione degli spazi di democrazia che le costituzioni antifasciste del II dopoguerra (è detto proprio così e nessuno, tra le autorità che avrebbero il dovere di difendere la democrazia e la Costituzione ha protestato) hanno garantito ai popoli usciti dalle dittature. La riforma della Costituzione, promossa, anzi imposta dall’esecutivo in alleanza col presidente della Repubblica, s’inserisce in questo contesto generale. Il «non detto» è qui. Occorre dimostrare d’essere capaci di rispondere alle richieste.
Complici di una involuzione
Se, come si dice nella prosa degenerata del nostro tempo, non si riesce a «portare a casa» il risultato, viene meno la fiducia di cui i governi esecutivi devono godere rispetto ai centri di potere che stanno sopra di loro e da cui, alla fine dipende la loro legittimazione tecnica. La chiamiamo «riforma costituzionale», ma è una «riforma esecutiva». Stupisce che tanti uomini e tante donne che hanno nella loro storia politica numerose battaglie per la democrazia, si siano adeguati a subire questa involuzione, anzi collaborino attivamente chiudendo gli occhi di fronte a ciò che a molti appare evidente. La riforma costituzionale è il coronamento, dotato di significato perfino simbolico, di un processo di snaturamento della democrazia che procede da anni. Coloro che l’hanno non solo tollerato ma anche promosso sono oggi gli autori della riforma. Sono gli stessi che ora ci chiedono un voto che vorrebbe essere di legittimazione popolare a un corso politico che di popolare non ha nulla.
Un guazzabuglio
I singoli contenuti della riforma importano poco o nulla di fronte al significato politico. Contano così poco che chi avesse voglia di leggere e cercare di capire ciò su cui ci si chiede di esprimerci nel referendum resterebbe sconcertato. A parte la lingua, a parte la tecnica più da «decreto mille proroghe» che da Costituzione (si veda il modo di elencare le competenze del nuovo Senato), non si arretra né di fronte alle leggi della matematica e della sintassi, né alle esigenze della logica. Si prenda quello che viene presentato come il cuore della riforma, il nuovo Senato: 95 senatori che rappresentano Regioni e Comuni, più cinque che «possono essere nominati» dal Presidente della Repubblica. Quale logica regga un mélange come questo che poteva spiegarsi nel vecchio Senato che portava tracce di storia costituzionale pre-repubblicana, sfugge. Ogni Regione «ha» (sic!) almeno due senatori, e così anche le Province di Trento e Bolzano. Se si ritiene (ma non è chiaro) che tra i due non sia compreso il sindaco, che dunque si deve aggiungere al numero fisso minimo per ogni Regione, il conto è presto fatto: le Regioni sono 20; venti per 2 fa 40. A ciò si aggiungono 4 senatori per le Province anzidette, e fa 44. Si aggiungono i 22 senatori eletti tra i sindaci, uno per ciascuno dai consigli regionali e provinciali e fa 66. 95 meno 66 fa 29. Questi 29 seggi senatoriali dovrebbero servire a garantire la «ripartizione proporzionale» tra le Regioni, secondo le rispettive popolazioni! 29/20! Se si fa qualche calcolo, risulta tutto meno che la proporzionalità che pure è prevista dal IV comma dell’art. 2. Non cambia di molto il risultato, se il sindaco entra a far parte del numero due garantito a ogni regione. È un guazzabuglio di logiche diverse: la garanzia di almeno due posti in Senato corrisponde all’idea della rappresentanza degli Enti regionali, ma la distribuzione proporzionale dei seggi ulteriori corrisponde invece all’idea che, a essere rappresentate sono le popolazioni. Per non parlare del caso del Trentino Alto Adige che si troverebbe ad «avere» 6 senatori, due per ciascuna Provincia e due per la Regione (a meno che si sostenga, contro ciò che dice lo Statuto speciale, che il Trentino non è una Regione, ma è semplicemente la risultante delle due Province, nel qual caso avrebbe comunque quattro senatori). Anzi, forse ne avrebbe 7, calcolando il sindaco fuori del numero minimo di due, garantito alla Regione. Qual è il filo conduttore che ha seguìto il legislatore costituzionale? Ma c’è un filo conduttore o siamo allo sbando?
E lo scoglio rimane
L’art. 2 avrebbe dovuto superare lo scoglio su cui, per un certo periodo, sembrava doversi incagliare la riforma: l’elezione indiretta o diretta. È storia parlamentare nota e non merita d’essere raccontata ancora una volta. Si è creduto di superare l’ostacolo lasciando ferma l’elezione da parte dei Consigli regionali e provinciali: dunque, elezione indiretta, aggiungendo però, in un comma (il V) che tratta di tutt’altro (la durata del mandato dei senatori), lo shibbolleth: eletti «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo» dei Consigli regionali e provinciali. Bel rompicapo! Se «in conformità» significa che i Consigli non dispongono di poteri di scelta autonoma, l’elezione non è più un’elezione ma è una ratifica. Se possono operare scelte, è la «conformità» a essere contraddetta. In più, il II comma stabilisce che i Consigli «eleggono con metodo proporzionale»: presumibilmente, in proporzione alla consistenza dei gruppi consiliari. Ma gli elettori si esprimono sulle persone. I gruppi consiliari si formano dopo. Come può esserci «conformità» quando non c’è omogeneità delle volizioni? Come può esserci proporzionalità, inoltre, se si tratta di assegnare due posti o pochi di più?
Cambiare, ma come?
Questo articolo 2 è esempio preclaro del modo con cui si è giunti all’approvazione della riforma. Essendo prevalsa l’opinabile opinione secondo la quale nella «lettu- ra» del Senato si sarebbe potuto intervenire solo su norme modificate dalla Camera, si è sfruttata la circostanza che alla Camera, in quel V comma, si era sostituito un «nei» con un «dai» per appiccicarci «la conformità», oltretutto con una virgola e un inciso sintatticamente scorretti. Tutte queste difficoltà dovranno essere affrontate in una legge di attuazione. Ma, ci può essere attuazione di contraddizioni? Queste considerazioni precedono la discussione circa l’opportunità di superare il c.d. bicameralismo perfetto, opportunità peraltro da gran tempo largamente condivisa. Ma, una cosa è il cambiare, un’altra è il come cambiare. Siamo di fronte a un testo incomprensibile. Verrebbe voglia di interrogare i fautori della riforma – innanzitutto il presidente della Repubblica di allora, il presidente del Consiglio, il ministro – e chiedere, come ci chiedevano a scuola: dite con parole vostre che cosa avete capito. Qui, addirittura, che cosa avete capito di quello che avete fatto? Saprebbero rispondere? E noi, che cosa possiamo capirci?
*Gustavo Zagrebelsky su Rocca n. 3 / febbraio 2016
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- Comitato per il NO al Referendum costituzionale di Cagliari
Oggi giovedì 28 gennaio 2016
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Giovedì 28 gennaio, a cura dell’ANPI alle ore 17.30, presso la sala riunioni “Renzo Laconi” della Fondazione Berlinguer in Via Emilia 39: omaggio a Bianca Sotgiu Ripepi e a Gerolamo Sotgiu ai quali nel 2015 è stato conferito il titolo di “Giusti tra le nazioni” da parte dello Yud Vashem di Gerusalemme e a loro nome è stato impiantato un albero d’ulivo nel “Giardino dei Giusti” di Gerusalemme. Sarà presentato il libro “Da Rodi a Tavolara” di Bianca Sotgiu. Presenta il libro e rievoca la vicenda di Rodi il prof. Stefano Pira. Luisa Sassu coordina la serata. Saranno letti brevi periodi del libro a cura di Rita Atzeri.
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Appello dell’associazione “Amici sardi della Cittadella”: non sopprimete la linea aerea Cagliari-Perugia e viceversa!
GRAVE PREGIUDIZIO AI RAPPORTI RELIGIOSI SOCIALI CULTURALI ED ECONOMICI DALLA SOPPRESSIONE DELLA LINEA AEREA RYANAIR CAGLIARI-PERUGIA.
Appello dell’associazione “Amici della Cittadella”
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Alla Compagnia Ryanair
Al Presidente e all’Assessore ai Trasporti della Regione Autonoma della Sardegna
Cagliari
Al Presidente e all’Assessore ai Trasporti della Regione Umbria
Perugia
e, p.c.
All’Ordine dei Francescani Minori della Sardegna
All’Ordine dei Francescani Conventuali della Sardegna
All’Ordine dei Cappuccini Sardegna
All’Ordine dei Francescani Minori dell’Umbria
All’Ordine dei Francescani Conventuali dell’Umbria
All’Ordine dei Cappuccini dell’Umbria
Loro Sedi
Alla Pro Civitate Christiana
La Cittadella
Assisi
Siamo i componenti di un gruppo religioso-culturale che opera a Cagliari e nella sua area vasta, denominato “Amici della Cittadella”, particolarmente legato alla Pro Civitate Christiana di Assisi. Proprio per questa appartenenza siamo soliti recarci, singolarmente o in gruppo, ad Assisi e nelle località adiacenti dell’Umbria, dove si svolgono la maggior parte delle iniziative non locali, alle quali aderiamo. I nostri viaggi ad Assisi avvengono in tutto il corso dell’anno, ma per la maggior parte sono concentrati nel periodo primaverile ed estivo. Al riguardo era nostra consuetudine utilizzare la linea aerea diretta Cagliari-Perugia e viceversa, della Compagnia Ryanair, sfruttando le favorevoli condizioni tariffarie e le notevoli comodità in termini di tempo (in un’ora o poco più eravamo in grado di raggiungere Assisi partendo dalla nostra città). Ora, abbiamo avuto notizia che tale linea è stata soppressa, nonostante la grande popolarità della stessa, segnalata dal fatto che gli aerei ad essa dedicati abbiano sempre viaggiato a carico pieno di passeggeri. La soppressione di detta linea comporta notevoli disagi per i cittadini che se ne servivano con grande soddisfazione. Certamente la mancanza del collegamento diretto Sardegna-Umbria comporta non solo i disagi dovuti al fatto che le uniche alternative sono dispendiose in termini tariffari e di tempo (ad esempio per raggiungere Assisi via Roma occorrono allo stato non meno di 8-9 ore) ma fa anche registrare notevoli perdite economiche, basti pensare solo alla prevedibile flessione delle presenze in Umbria legate al turismo religioso, e non solo.
Ci rivolgiamo pertanto alla Compagnia Ryanair e alle Istituzioni competenti (la Regione Umbria e la Regione Sardegna) perché si attivino per scongiurare la soppressione della linea aerea Cagliari-Perugia e viceversa. Inviamo la presente anche agli Ordini religiosi francescani delle due Regioni perché si uniscano a questa nostra istanza.
Il Gruppo “Amici sardi della Cittadella”
presso padre Agostino Pirri
Convento di Santa Rosalia
Via Torino
09124 – Cagliari
Oggi mercoledì 27 gennaio 2016. GIORNATA della MEMORIA
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LETTERA DEL PRESIDENTE DELL’ANPI
Le iniziative dell’ANPI si collocano nell’ambito delle celebrazioni della “Giornata della Memoria” istituita dalla Legge 211/2000 con la quale “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
In occasione della “Giornata della Memoria” sono previste le seguenti iniziative (ulteriori rispetto a quelle tenutesi ieri 26):
Mercoledì 27, a cura dell’ANPI alle ore 17.30 presso la Sala riunioni della Fondazione Banco di Sardegna di Cagliari in via Salvatore Da Horta si terrà una iniziativa su “La Giornata della Memoria – I Deportati sardi”. L’iniziativa sarà coordinata dal giornalista Vito Biolchini. La relazione sarà svolta dal Prof. Aldo Borghesi, direttore dell’Istituto per la Storia dell’Antifascismo e dell’Età contemporanea nella Sardegna centrale. Nel corso della serata saranno letti testi attinenti ai deportati sardi, alla Shoah e al Porrajmos (genocidio dei Rom e dei Sinti). Saranno eseguite musiche sul tema della Shoah e delle Deportazioni.
Giovedì 28 gennaio, a cura dell’ANPI alle ore 17.30, presso la sala riunioni “Renzo Laconi” della Fondazione Berlinguer in Via Emilia 39: omaggio a Bianca Sotgiu Ripepi e a Gerolamo Sotgiu ai quali nel 2015 è stato conferito il titolo di “Giusti tra le nazioni” da parte dello Yud Vashem di Gerusalemme e a loro nome è stato impiantato un albero d’ulivo nel “Giardino dei Giusti” di Gerusalemme. Sarà presentato il libro “Da Rodi a Tavolara” di Bianca Sotgiu. Presenta il libro e rievoca la vicenda di Rodi il prof. Stefano Pira. Luisa Sassu coordina la serata. Saranno letti brevi periodi del libro a cura di Rita Atzeri.
Saluti
Marco Sini, Presidente ANPI – Comitato Provinciale di Cagliari
CAGLIARI 2016. Dibattito su/per la città dentro la campagna per le elezioni comunali
Riportiamo integrale da L’Unione Sarda di oggi (utilizzando al riguardo la “rassegna stampa” del Comune di Cagliari) l’ottimo articolo di Pietro Picciau che da conto esaurientemente dell’interlocuzione in corso tra tre importanti componenti politiche del mondo cittadino in vista di un possibile – e noi diciamo auspicabile – accordo per la presentazione di una forte coalizione civica alle elezioni amministrative della prossima primavera. All’appello non ha fino ad ora risposto la componente sardista che fa capo al Psdaz, adesione che davvero completerebbe il quadro per la costruzione di una coalizione di sicuro successo. Nonostante questa prospettiva, che è sì un auspicio, ma fondata su una corretta analisi della situazione, non è detto che questa coalizione si concretizzi. Noi ci impegniamo perché si superino tutti gli ostacoli e che si trovi un candidato Sindaco che esprima la ricchezza di questa costituenda coalizione. In una campagna elettorale già in corso prendiamo atto che i contenuti allo stato pervengono quasi esclusivamente dalle attuali componenti di questa coalizione in fieri, mentre gli altri tacciono (è il caso del centro sinistra) o si muovono in prevalenza su questioni di schieramento. Ci piace riportare di seguito un passaggio del documento base dell’incontro, che ben esprime lo spirito della coalizione:
“Dal punto di vista politico, si tratta di una proposta di largo respiro. Il dialogo tra componenti che, pur nella loro diversità, riconoscono tra i propri principi una forte ispirazione alla partecipazione dei cittadini e l’affermazione del diritto all’autogoverno non può esaurirsi nella partecipazione alla competizione elettorale di Cagliari, ma deve intendersi come il contributo all’apertura di una più ampia fase “costituente” che abbia l’ambizione di preparare, attraverso un percorso di riflessione e di proposizione, un più vasto rinnovamento della politica in Sardegna, anche in prospettiva delle future consultazioni in ambito regionale. Ciò dando atto di come il modello organizzativo dei partiti, oggi in evidente crisi, anche in Sardegna, non solo appare inadeguato a rispondere ai bisogni espressi dai primi titolari del potere democratico, i cittadini, ma presenti anche pericolosi fenomeni di involuzione”.
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Sardegna Possibile in campo Spano: finora nessun accordo
Fonte: L’Unione Sarda, 26 gennaio 2016. Articolo ripreso da ComuneCagliariNews.it
VOTO 2016. Incontro del movimento di Michela Murgia con Matta e Lobina
Il primo incontro ha illuminato lo scenario: un’area civica dove far confluire attese e sensibilità diverse che spaziano dalla solidarietà all’autodeterminazione. Quando l’altra sera Alessandro Spano (Sardegna Possibile, il movimento fondato dalla scrittrice Michela Murgia), Paolo Matta (La Quinta A) e Enrico Lobina (Cagliari Città Capitale) si sono ritrovati attorno a un tavolo, sapevano già di dover discutere su una serie di temi proposti da Gianni Loy – ex docente di Diritto del lavoro e passato di consigliere comunale – con uno scopo: trovare, se possibile, un’intesa e creare un soggetto nuovo, sintesi delle tre forze. L’esito del confronto è – non poteva non esserlo – interlocutorio. Ma sembra gravido di sviluppi. Matta, Spano e Lobina: «Non è stato siglato nessun accordo elettorale».
CONFRONTO Loy, per agevolare il dibattito, aveva fatto un’articolata premessa tecnica: «Il sistema elettorale e la dinamica stessa della consultazione penalizzano i movimenti che si muovono al di fuori del sistema dei grandi partiti o delle loro aggregazioni. In particolare, certamente esclude dalla rappresentanza le liste che non raggiungano un buon risultato elettorale ed impedisce l’utilizzazione dei resti». Pertanto «in presenza di un accordo sui principi ispiratori di fondo, e sul rispetto reciproco, è possibile, ed auspicabile, che queste istanze, pur mantenendo l’assoluta autonomia, sperimentino la possibilità di presentare un raggruppamento unitario che le contenga». Da qui l’esigenza di far incontrare Matta, Spano e Lobina. All’incontro era stato invitato anche il Psd’Az ma dal partito non è giunta risposta.
I TEMI Quattro gli argomenti-guida esaminati da Matta, Spano e Lobina: la dignità, la partecipazione, l’appartenenza e la solidarietà.
Dopo il vertice Paolo Matta, candidato sindaco di La Quinta A , ha mostrato ottimismo: «Una collaborazione sarebbe auspicabile, sono fiducioso che questa possa svilupparsi».
Enrico Lobina, candidato sindaco di Cagliari Città Capitale : «Diritto all’autodeterminazione e sostenibilità sono i nostri principi. In generale, la città non riconosce alle classi dirigenti del centrodestra e del centrosinistra cagliaritane la capacità di affrontare i problemi che la situazione attuale presenta, cioè quelli del lavoro e della solidarietà». L’analisi: «Floris e Zedda hanno fallito in modi diversi, soprattutto per avere ragionato più su schemi preconfezionati e basati sulla loro rispettiva appartenenza partitica, che non confrontandosi con la realtà». Gli slogan: «In un caso e nell’altro, quando si è trattato di dare un sostegno alle fasce più deboli della città abbiamo sentito molti slogan ma visto pochi fatti, così come per il tema del lavoro». La sintesi di Lobina: «Auspichiamo che Cagliari Città Capitale, Sardegna Possibile e La Quinta A trovino una convergenza: tutte nascono in maniera originale, senza alcun debito nei confronti degli schieramenti maggiori, e tutte pongono al centro della loro azione i temi della solidarietà, dell’autodeterminazione, di un nuovo sviluppo sostenibile e di un approccio alla questione morale che in tanti, dopo avere sbandierato, di fatto non praticano. L’unione di queste forze sarebbe il primo passo per continuare ad aggregare intorno ad un progetto originale tutti quei cagliaritani che, già da oggi, affermano di non voler andare a votare alle prossime elezioni di giugno, per costruire uno schieramento che si propone come la vera alternativa e la vera novità delle prossime elezioni».
IL DOCENTE Alessandro Spano, 46 anni, docente universitario. Per Sardegna Possibile, se il movimento di Michela Murgia avesse vinto le elezioni regionali (si è fermata al 10 per cento), avrebbe dovuto fare l’assessore. «Dopo quell’esperienza», spiega Spano, «abbiamo passato un periodo di analisi attenta. Il risultato è stato interpretato da molti come negativo, io invece lo ritengo straordinario». Il prossimo obiettivo: «Presentarci alle regionali, ma c’è tempo». Sull’esito dell’incontro con Matta e Lobina: «Al momento non abbiamo preso una decisione. Ci stiamo guardando intorno per capire cosa fare. Dialoghiamo con tante persone che riteniamo possano avere progetti e valori comuni». Il tempo a disposizione non è tanto: «Ne siamo consapevoli. Il fatto è che a me non piace fare squadra perché sono costretto a farla. Se la squadra nasce con questi presupposti la squadra all’indomani del voto si scioglie». La caratteristica di Sardegna Possibile: «Siamo persone che non vedono la politica come un’alternativa lavorativa ma crediamo davvero in quel che proponiamo».
IL PERCORSO L’idea del movimento: «Fare un percorso con persone che non stanno con noi perché obbligate ma perché condividono un itinerario. Mi rendo conto che questo può sembrare demagogico ma si tratta della verità. Non ci sentiamo costretti a fare una coalizione perché altrimenti è peggio». Sardegna Possibile è la novità delle amministrative 2016: «Su di noi ci sono molte aspettative e una grande attesa. Quel che faremo è riprendere a intervenire nel dibattito politico. Fare questo ci piace e ci diverte. Con una differenza, rispetto a molti altri che fanno politica: indichiamo le soluzioni, non ci accontentiamo della sola critica». Murgia sempre presente: «Con Michela ci sentiamo continuamente. Stiamo ripercorrendo la strada tracciata in passato da lei». Il movimento si è rimesso in moto: «Credo, crediamo nel coinvolgimento delle persone nella politica. E noto già un grosso entusiasmo. Avvertiamo un bisogno generale di dibattito in cui anche Sardegna Possibile, d’ora in avanti, dirà la sua».
Pietro Picciau, L’Unione Sarda.
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Oggi martedì 26 gennaio 2016. Per la GIORNATA della MEMORIA
[Fonte UnicaNews, gennaio 2016 (VZ)] – Oggi 26 gennaio alle 15.30 nell’Aula degli Specchi del corpo aggiunto del Polo umanistico dell’Università di Cagliari si svolgerà la Giornata della memoria 2016.
Le relazioni saranno svolte dai professori Enzo Collotti, Bruno Maida e Donatella Picciau. Coordinerà l’incontro il prof. Francesco Atzeni. La manifestazione avrà al centro la vicenda di Anna Frank e il tema delle vite spezzate dei giovani nella Shoah. Al centro dell’attenzione saranno la storia di Anna, l’occupazione nazista dell’Olanda e la condizione degli ebrei e di coloro che lì si erano rifugiati per sfuggire alle persecuzioni, l’elevato grado di collaborazionismo degli apparati amministrativi locali alla Shoah, lo sciopero generale ad Amsterdam contro le deportazioni e le azioni di solidarietà delle persone comuni che ospitarono e nascosero migliaia di ebrei nella clandestinità.
La straordinaria figura umana di Anna Frank acquista ulteriore rilevanza attraverso una rigorosa contestualizzazione storica capace di coniugare gli aspetti contraddittori di una storia tragica e di una realtà quanto mai complessa, e quindi di individuare la pluralità delle corresponsabilità e di distinguere tra miti e realtà.
– L’incontro è organizzato dal Dipartimento di Storia, beni culturali e territorio, dall’ISSRA e dall’Istituto D. Scano, in collaborazione con altri prestigiosi enti culturali e numerosi istituti scolastici della città e del territorio.
- La locandina dell’evento di Unica.
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Qual è la funzione degli intellettuali (di chi si ferma a pensare) in un mondo dominato dalla faciloneria e dall’amnesia?
La memoria necessaria
di Salvatore Settis
By sardegnasoprattutto / 24 gennaio 2016/ Culture/
La Repubblica 23 Gennaio 2016. Perchè la Germania ha tanto successo nel mondo? Perché sa fare i conti con il proprio passato, anzi assorbe la storia come ingrediente essenziale del futuro.
La diagnosi è di Neil MacGregor, il brillante direttore del British Museum ora passato alla testa del nuovo Humboldt Forum di Berlino, nel suo ultimo libro (Germany. Memories of a Nation, Knopf). In un Paese come l’Italia, che coltiva la smemoratezza, la distrazione e la superficialità come altrettante virtù, può sembrare una provocazione. Ma proviamo a guardarci intorno.
«L’America è famosa per essere a-storica », ha dichiarato Obama, aggiungendo «dimenticare è uno dei nostri punti di forza». Lo conferma il discorso d’insediamento di Bush II, che invitava gli americani a dimenticare il Vietnam, perché «una grande nazione non può permettersi memorie che fomentano discordia». Ma è meglio promuovere l’amnesia di marca americana o la memoria storica “alla tedesca”? La scuola italiana, riducendo di riforma in riforma lo spazio della storia (e della storia dell’arte) propende per l’arte della dimenticanza, forse più per sciatteria che per progetto.
Sul ruolo della storia nella vita di una nazione è tutta da leggere la conversazione di Obama con la grande scrittrice Marilynne Robinson (premio Pulitzer 2005), pubblicata dalla New York Review of Books. Dialogando con il Presidente, Robinson si chiede se l’America possa ancora dirsi una democrazia, intesa come «la conseguenza logica e inevitabile di un umanesimo religioso al più alto livello, da applicarsi all’immagine umana in quanto tale e al rispetto che le si deve». – segue -
Una nuova classe dirigente degna e indipendente per credere sia possibile arrestare ed invertire il declino della Sardegna
Il 2015 sardo si è concluso con le esternazioni trionfalistiche dei massimi esponenti della Giunta Regionale riguardo i dati sull’occupazione nell’isola. Francesco Pigliaru e Raffaele Paci ci informano che il lavoro è cresciuto, la disoccupazione cala, crescono i contratti a tempo indeterminato. Interessante è questa frase del Presidente: “Significa che le imprese puntano di più sull’occupazione, rispondendo positivamente alle politiche del Jobs Act”. Confrontando il terzo trimestre del 2015 e quello del 2014, si contano 28000 posti di lavoro in più, il 68% dei quali nel settore alberghiero e ristorativo e dunque per lo più stagionale.
Perciò gli effetti delle politiche governative sul lavoro sardo saranno riscontrabili chiaramente solo nell’analisi dei prossimi trimestri. Ma al di là di questo, è significativo che Pigliaru si sia richiamato alla riforma renziana del lavoro, quindi alla creazione di occupazione per mezzo della restrizione dei diritti dei lavoratori. Infatti, questa giunta non ha una sua politica sul tema, oltre la mera recezione delle politiche italiane ed europee (Jobs Act, Garanzia Giovani, incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato). Ci sono senza dubbio dei limiti interni: secondo lo Statuto Autonomo, la competenza regionale sul lavoro è di mero accompagnamento (norme di integrazione e attuazione) alle politiche centrali. Tuttavia, possiamo affermare che l’economista condivida le idee del capo del governo del PD. Ciò si è notato non solo per quanto riguarda il lavoro ma anche sull’istruzione: si noti il rifiuto di fare ricorso contro la Buona Scuola, motivato con la presenza di “cose positive”.
Proprio questi due ambiti sono quelli che toccano in maniera particolare la situazione dei giovani sardi; inoltre, sono anche stati i due ambiti attraverso cui le controriforme dei governi italiani degli ultimi venti anni sono venute incontro alle esigenze del capitale italiano, contribuendo in modo decisivo alla redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto, ovvero alla crescita delle diseguaglianze sociali, grazie ad uno svilimento continuo dei diritti dei lavoratori ed alla progressiva trasformazione dell’istruzione in uno strumento a servizio del mercato.
Tali controriforme non sono “neutrali”, tese a migliorare la qualità dell’istruzione o la produttività. Sono provvedimenti con una precisa motivazione sociale e politica, per soddisfare gli interessi di una classe sociale specifica. Guardando la struttura dualistica dell’economia italiana, con un divario storico tra un Nord economicamente centrale e le periferie Meridione ed isole, tenendo conto della condotta statale a favore del primo, si può notare come i giovani sardi siano doppiamente vittime: non soltanto come studenti, lavoratori o in entrata nel mercato del lavoro ma anche come membri di una nazionalità in condizione di dipendenza economica, politica, culturale.
Nel secondo trimestre 2014, la disoccupazione era del 50,2% fra i giovani tra i 15 e i 24 anni e al 44,3% tra nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni; dispersione scolastica al 25%; nell’ateneo maggiore dell’isola, a Cagliari, si è verificato un calo degli iscritti (meno 1789) e dei laureati (meno 416) rispetto a tre anni fa. Inoltre, la Sardegna si trova al quintultimo posto tra le regioni europee per percentuale di laureati (13.1% nel 2014). Mettendo assieme la situazione del mercato del lavoro sardo e dell’istruzione, possiamo affermare l’esistenza di un circolo vizioso: da un lato un’educazione al ribasso, dall’altro una realtà che non offre opportunità sufficienti per coloro che sono altamente qualificati. Da qui si comprende la nuova emigrazione: 17.6% gli studenti sardi immatricolati fuori dall’isola nel 2013; dal 2000 i sardi laureati emigrati nel centro-nord sono in continua crescita, a differenza di quanto accade per gli altri titoli di studio; i laureati sono 1/5 di quelli totali, 7200 nel 2014).
Dal 2008 al 2015, l’Università di Cagliari ha perso il 27.1% del FFO; a Sassari, il 24.3%. Come nel caso del turnover dei docenti, si può notare come il Ministero dell’Istruzione abbia agito per favorire gli atenei del Nord e vessare quelli del Sud e delle isole. Si tratta di una politica inserita nel Processo di Bologna, il quale era chiaramente volto alla creazione di poli d’eccellenza e periferie dell’educazione superiore entro l’Unione Europea. Qui si spiega anche il suddetto drenaggio di capitale umano dalla Sardegna al Nord Italia.
Quando si parla di emigrazione è sempre bene ricordare come essa sia sempre stata una risorsa per lo sviluppo capitalistico italiano (rimesse per consumare i prodotti industriali del Nord; lavoro a basso costo nelle industrie settentrionali; cervelli al servizio della parte più sviluppata del “Paese”); dunque, come si può pensare che un qualsiasi governo- a meno che non sia rivoluzionario- possa porre rimedio a questa tragedia tutta delle periferie, private delle menti che dovrebbero servire ad un loro sviluppo endogeno? Davanti a tale evidenza, sono possibili solo due strade: la rassegnazione del colonizzato (giustificare l’emigrazione in realtà più sviluppate in una linea di pensiero che vuole una Sardegna condannata al sottosviluppo e un’Italia come luogo prediletto in cui i sardi di valore possano esprimere le proprie qualità) o il riconoscimento di uno scontro di interessi tra il popolo sardo d lo Stato centrale.
Di fronte ad una situazione sociale con caratteristiche specifiche, in cui la condizione del lavoro e dell’istruzione sono illeggibili se non entro il contesto di dipendenza economica in cui la Sardegna si trova, non è pensabile che la Regione Autonoma possa essere solo una mera esecutrice di politiche del lavoro e dell’istruzione concepite per le esigenze di altre realtà e che non possa intervenire direttamente.
La gioventù sarda dovrebbe organizzarsi per condizionare direttamente un potere con in mano gli strumenti così importanti per migliorare la sua condizione; ora, invece, si ritrova a fronteggiare potere italiano per cui la Sardegna non esiste se non, al massimo, inserita in un Mezzogiorno monolitico quasi quanto la nazione italiana astratta cui lo Stato fa riferimento ed un ceto politico regionale suddito di questo, anche da un punto di vista ideologico. Per questo, la Sardegna ha bisogno di una politica sovrana in materia di lavoro ed istruzione e di una classe dirigente degna ed indipendente dai centri del potere politico ed economico italiano.
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Del tutto condivisibile l’analisi di Andria. Sicuramente un’ottima base per ulteriori approfondimenti. Per quanto riguarda le Università sarde viene confermata dai dati del recente studio della Fondazione RES, a cui rimando perchè merita di essere letto, divulgato e di cui, a mio parere, è possibile realizzare con immediatezza alcune proposte politiche (ecco il link dello studio ripreso da Aladinews: https://www.aladinpensiero.it/?p=51203). Concordo con le conclusioni di Andria, cioè sul fatto che occorra una presa di coscienza della gioventù sarda che la porti ad organizzarsi per difendere i propri diritti, protagonista all’interno di un movimento più ampio di riscatto della Sardegna, guidato da “una classe dirigente degna ed indipendente dai centri del potere politico ed economico italiano”. E’ un programma importante, difficile e di non breve periodo… ma che va intrapreso e percorso con determinazione. Gli esempi catalani e corsicani sono al riguardo incoraggianti. Ma le decisioni per quanto ci riguarda sono di noi sardi. E allora, avanti! Con l’incitamento gramsciano del pessimismo della ragione e dell’ottimismo della nostra volontà!
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* – su il manifesto sardo: http://www.manifestosardo.org/gioventu-sarda-e-dipendenza/#sthash.6fq1EtfY.dpuf. Anche sul sito ufficiale di Cagliari Città Capitale.
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PIOVVE. Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta… e la sprechiamo
Non piove, ma ladri ce ne sono molti
di Tonino Dessì
Il fatto è che quest’anno non piove. E il mare non è fatto di acqua dolce. Dopo trent’anni che non se n’è più parlato, temo che presto sentiremo nuovamente invocare i dissalatori. Con l’aria che tira qualche nostro governante regionale potrebbe anche prendere la cosa sul serio. Ovviamente sarà la solita scempiaggine estemporanea. Quello che non è estemporaneo è che da almeno vent’anni il problema dell’invasamento della risorsa primaria in Sardegna è stato risolto, come è stato risolto -fisicamente- il problema delle interconnessioni tra i sistemi. Tuttavia per vent’anni si è continuato a sperperare l’acqua. Mentre ci si è accaniti a creare e a lottizzare un mostro burocratico come Abbanoa, non è stato praticamente fatto nulla per rinnovare il sistema della distribuzione. L’acqua va persa in rete e addirittura è stata sversata in mare quando alcuni invasi si sono colmati.
Il 30 per cento della risorsa idropotabile è consumata dai centri abitati. Non è una quantità immensa, ma tutti abbiamo esperienza di come siano ridotte le reti urbane di distribuzione.
La gran parte dell’acqua consumata per uso civile finisce (almeno: dovrebbe finire) in depuratori, che però non sono finalizzati al riciclo per il riutilizzo agricolo o urbano: conclusivamente viene buttata via.
Il restante settanta per cento dell’acqua raccolta va prevalentemente all’agricoltura, considerato che il consumo industriale di acqua dolce in Sardegna non superava, vent’anni fa, il dieci per cento: non è verosimile che sia aumentato, anzi è probabile il contrario. Chi ha occhio per queste cose si rende conto che ancora molta parte della canalizzazione per la distribuzione irrigua è a cielo aperto, soggetta a evaporazione e a perdite. Nessuno sa se è stata completata l’installazione dei contatori nelle aziende agricole. Non esiste pianificazione nè regolamentazione dell’uso virtuoso dell’acqua a seconda delle colture.
Esistono ancora feudi politici di gestione dell’acqua, in particolare alcuni grandi consorzi di bonifica e c’è anche l’Enel, che quattro anni fa si vendette in piena estate l’acqua (non sua, visto che deve usarla soltanto per ricaricare un sistema idroelettrico chiuso) del Lago di Gusana, svuotandolo.
Se c’è una risorsa sulla quale abbiamo una larga sovranità é proprio l’acqua. Se c’è stato un segmento strategico del dibattito sullo sviluppo prima che arrivassero sulla scena politica e di governo “innovatori” immemori, rozzi e malamente acculturati, è stato, decenni fa, quello sull’acqua in Sardegna.
Il risultato è uno scenario da incubo: quello che si prospetta per la prossima, vicina estate.
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Sarà un gioco, ma non è divertente neppure un po’
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Peccato che non sia solo un gioco innocuo. Perché si gioca con la cosa pubblica.
E la cosa pubblica sono, da qualche tempo, un sistema amministrativo devastato (con la riforma degli enti locali “a la càrte” che stanno per approvare, voglio vedere quali punti di riferimento certi e razionali avranno i cittadini utenti dei servizi), un sistema sanitario sempre meno efficiente, ma i cui sprechi si vuole farli pagare ai cittadini e alle imprese (comunque che gli aumenti delle addizionali siano delle furfantesche coglionerie pare che se ne stiano rendendo conto), un’isola sempre più isolata in mezzo al Mediterraneo e con trasporti interni in pezzi ad onta dei mezzi di trasporto gabellati per “moderni”.
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di Antonio Dessì
Nel PD sardo si assiste a un balletto che ripete paro paro spettacoli ai quali abbiamo assistito anche tanti anni fa. A me ricordano precisi quelli dei tempi delle Giunte Melis e Palomba (ma anche nel periodo della Giunta Soru non era meglio), tuttavia con minor costrutto.
Congressi di partito in cui si formano maggioranze intorno a un segretario, poi ridislocamenti a geometria variabile a seconda di convenienze di gruppo e individuali, riunioni di parata o riunioni disertate di organi di partito, sostegni mobili agli esecutivi regionali, fiducie tiepide, sfiducie mirate, strattoni “costruttivi”, risentimenti, fuffe dei piu’ disparati contenuti ad uso di quadri intermedi e militanti infeudati. Il declino del centrosinistra ha radici lontane. Quando ancora mi stupivo di queste cose, un mio compagno più saggio e disincantato mi diceva: “Vedi, Tonino, per molti la politica è come un gioco per adulti: non è importante la posta, quel che conta è il gioco in sè e c’é chi vuol stare sempre in campo e mai in panchina”. Io credo che in gran parte sia vero (altrimenti non si capisce perché molti sprechino tanto tempo della propria vita -purtroppo l’ho fatto anch’io- in riunioni “delle parole perdute”) e credo anche che per l’attuale segretario regionale del PD la massima aspirazione esistenziale, da un certo punto in poi, sia stata quella di essere ammesso in quel gioco per adulti.
Peccato che non sia solo un gioco innocuo. Perché si gioca con la cosa pubblica.
E la cosa pubblica sono, da qualche tempo, un sistema amministrativo devastato (con la riforma degli enti locali “a la càrte” che stanno per approvare, voglio vedere quali punti di riferimento certi e razionali avranno i cittadini utenti dei servizi), un sistema sanitario sempre meno efficiente, ma i cui sprechi si vuole farli pagare ai cittadini e alle imprese (comunque che gli aumenti delle addizionali siano delle furfantesche coglionerie pare che se ne stiano rendendo conto), un’isola sempre più isolata in mezzo al Mediterraneo e con trasporti interni in pezzi ad onta dei mezzi di trasporto gabellati per “moderni”.
Sarà un gioco, ma non è divertente neppure un pò.
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Alle radici dell’autonomismo sardo
Renzo Laconi e le basi storiche dell’autonomia sarda
24 Gennaio 2016
di Francesco Cocco, su Democraziaoggi.
Ricorre nel 2016 il centenario della nascita di Renzo Laconi. Credo sia doveroso ricordarlo essenzialmente per due motivi: egli è stato una dei padri della nostra Costituzione repubblicana (membro della Commissione dei 75 e del Comitato dei 18) ed ha avuto la capacità d’intravedere che le ragioni della nostra autonomia speciale non erano semplicemente da individuare nel sottosviluppo economico ma soprattutto nella particolare storia e cultura dell’Isola.
Laconi aveva ben chiaro che le ragioni della nostra specialità erano da individuare in un contesto più ampio rispetto alle condizioni di sottosviluppo economico e sociale della Sardegna negli anni ’40 del secolo scorso. Già nell’immediato dopoguerra in un articolo pubblicato sul periodico del PCI “Il Lavoratore” scriveva di un particolare “diritto all’autonomia che trova il suo naturale presupposto nelle caratteristiche storiche, culturali e geografico-economiche dell’ Isola”. Posizione riaffermata in un discorso alla Camera del ‘54 , in cui affermava “…la Sardegna non è come le altre regioni… è stata per secoli una nazione a sé, ha avuto ed ha una sua lingua, una sua tradizione, una sua storia. Non possiamo ignorare questa realtà” – segue -
Svegliati Italia, svegliati Sardegna, svegliati… E’ ora di essere civili
SVEGLIATI SASSARI. E’ ORA DI ESSERE CIVILI
Grande partecipazione in Piazza d’Italia alla manifestazione a sostegno delle legge per regolamentare le unioni civili. Manifestazione festosa, con una notevole presenza di giovani. Presenti, tra gli altri, il Sindaco di Sassari Sanna e il Presidente del Consiglio regionale Ganau e numerose associazioni della società civile.
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SVEGLIATI NUORO. E’ ORA DI ESSERE CIVILI
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SVEGLIATI CAGLIARI. E’ ORA DI ESSERE CIVILI
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…SVEGLIATI SARDEGNA!
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RIFLESSIONI PROFONDE E PERTINENTI
Cos’è la “famiglia cristiana”?
Svelare le mistificazioni e le menzogne
Una profonda riflessione di Padre Ernesto Balducci risalente al 1974 in occasione del Referendum sul divorzio, ripresa da SardegnaSoprattutto.
- segue –
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