Monthly Archives: dicembre 2015
Le scuole storiche devono restare in città! Successo dell’assemblea odierna
Importante e interessante l’assemblea tenutasi oggi nell’aula magna del Liceo Alberti a Cagliari in via Ravenna. Manifestazione che contribuisce a tenere alta l’attenzione sul problema dell’allontanamento delle scuole storiche dalla città. Numerose e rappresentative le presenze in sala e numerosi gli interventi dopo i saluti e le considerazioni del preside dell’Alberti Raffaele Rossi e le relazioni introduttive di Rita Sanna e Gianna Lai (rispettivamente a nome del Forum “Scuola Università Ricerca” e del Cidi). Precisamente sono intervenuti nel dibattito: Gianni Marilotti (docente dell’Alberti), Matteo (studente dell’Alberti), Esmeralda Ulzega (studentessa del Motzo), Sandra Mureddu (docente del Martini), Gabriele Siddi (alunno del Martini), Signora (mamma di un’alunna del Martini), Laura e Michela (alunne del Martini), Massimo Zedda (Sindaco di Cagliari), Giorgio Sanna (ex assessore della Provincia), Riccardo (Associazione Eureka), Enrico Lobina (Consigliere comunale di Cagliari), Marco Rocca (libero professionista e docente), Marco Sini (ex sindaco di Monserrato ed ex alunno del Martini). Applausi di chiusura.
Ecco un mini servizio fotografico apparso in tempo reale in Facebook, con alcuni commenti a caldo. Torneremo sui contenuti del Convegno e in generale su queste tematiche quanto prima.
Assemblea all’Alberti per la salvaguardia della permanenza delle scuole storiche (Alberti e Martini) in città. Coordinano per i promotori Rita Sanna e Gianna Lai; unici politici in sala il Sindaco Massimo Zedda e il Consigliere comunale Enrico Lobina…
Rita Sanna: Aggiungiamo Francesca Ghirra, che segue con attenzione e partecipa a tante iniziative delle associazioni degli insegnanti.Franco Meloni: Sì è vero.
Interviene Esmeralda Ulzega, alunna dell’Istituto Motzo, scuola attualmente smembrata in sei diverse sedi a Quartu e Selargius…
Interviene la prof. Sandra Mureddu del Martini. C’è la paura fondata che si voglia allontanare definitivamente il Martini dalla sua sede storica. Non lo consentiremo! Giovanna d’Arco: la nostra amata scuola!!!
Intervengono Laura e Michela, rappresentanti di classe del Martini: abbiamo scelto il Martini soprattutto per la sua collocazione in città.
La mamma di un’alunna del Martini. Non possiamo fidarci dei tempi della Regione…
Parla il Sindaco. Lo svuotamento della città delle sue scuole viene da lontano. Come Sindaco si oppone, ma ha poche competenze. Aspetta di essere Sindaco metropolitano! L’AlbertI è al sicuro almeno per cinque anni. Il Martini scatena appetiti ma lo spostamento deve essere temporaneo, perché il Martini deve tornare nella sua sede storica…
Ultimo intervento Enrico Lobina. Poi applauso di chiusura e colletta finale per contribuire alle spese. Giusto. Un plauso alle organizzatrici Rita Sanna e Gianna Lai anche al posto del Sindaco che in questa come altre occasioni ha fatto il giovane giovanilista…. Sì perché in queste occasioni quando ci sono i giovani e giovanissimi lui (il Sindaco) cerca di instaurare un rapporto diretto con gli stessi come interlocutori privilegiati. E va bene, ma senza esagerare. Senza il lavoro di Rita, Gianna e colleghe/i con la collaborazione del preside dell’Alberti non si sarebbe fatta l’assemblea e non si potrebbe costruire la mobilitazione necessaria per la salvaguardia delle nostre scuole. Perlomeno andavano ringraziate come persone e per quanti rappresentano. Insomma mi danno fastidio i comportamenti giovanil-giovanilisti convinto come sono che solo le alleanze tra generazioni ci potranno salvare…
Ecco un precedente: https://www.aladinpensiero.it/?p=491#more-491
Carlo Felice e Sardegna Infelice
Sardegna in-felice
di Raffaele Deidda*
“La Sardegna ha dimostrato che sa governare e risolvere i suoi problemi. Le istituzioni sarde hanno saputo esercitare il loro potere legittimo per eliminare una vera e propria servitù dovuta a un’incuria a cui ci si è opposti con determinazione”. Sono le parole dell’assessore regionale dei Lavori Pubblici per la riapertura al traffico a quattro corsie, con un ritardo di tre anni sulla tabella dei lavori (e di otto anni dall’inizio degli stessi), del tratto della strada statale 131 fra i chilometri 32,300 e 35,300 fra Serrenti e Villasanta.
E’ comunque un buon risultato, considerando i tempi biblici dei lavori nella “Carlo Felice”, anche se appare trionfalistico il commento del capo Compartimento Anas in sinergia con l’assessore Maninchedda e il presidente Pigliaru: “Abbiamo raggiunto l’obiettivo di risolvere la principale criticità per la viabilità dell’Isola nel minor tempo possibile”.
Ma tant’è, se lo sblocco di tre chilometri di superstrada fa gridare al miracolo, quali altri prodigi dovremmo aspettarci dalla Giunta dei professori? Il primo, nell’ordine, sarà quello di cambiare nome alla strada statale che collega Cagliari a Sassari e viceversa.
Maninchedda ha proposto di intitolarla a Mariano IV d’Arborea o a Giomaria Angioy. Sarebbe, nelle intenzioni dell’assessore sovranista-indipendentista già democristiano, già sardista e già convinto assertore della bontà delle praterie della destra sarda ai tempi in cui era organico alla Giunta Cappellacci, un evento assolutamente rivoluzionario.
Altro prodigio prossimo venturo il presidente della Giunta Pigliaru lo vede nella rete ciclabile della Sardegna: duemilasettecento chilometri di piste e otto milioni di investimento dal Piano infrastrutture, mirati alla destagionalizzazione del turismo estivo. Ipotesi progettuale aperta anche ai soggetti privati con l’obiettivo di creare occupazione e sviluppo nell’ambito del turismo sostenibile. Tutto bene, tutto utile e interessante ma….e i sardi?
Secondo il Report su povertà ed esclusione sociale presentato dalla Caritas nei giorni scorsi, sono 108mila le famiglie indigenti nell’isola. Solo a Cagliari 7mila persone vivono in povertà assoluta. La Caritas ha precisato che i numeri sono nella realtà molto più alti in quanto “molte persone non conoscono i servizi offerti dalla rete Caritas e tante altre, per pudore, non hanno il coraggio di chiedere aiuto“. Altro che rete ciclabile! E’ davvero così straordinario il risultato dello sblocco del tratto della (già ex?) Carlo Felice se ancora oggi in Sardegna il costo delle opere pubbliche è fra i più alti d’Italia, inferiore solo a quelli della Basilicata e del Trentino Alto Adige, con la spesa quasi doppia rispetto alla media nazionale?
E’ normale che, nonostante questi valori, l’isola non sia riuscita a colmare il grave gap infrastrutturale che si estende a strade, ferrovie, reti bancarie e di distribuzione energetica e idrica, scuole e ospedali? Eppure, come evidenzia la Cna, la Sardegna è stata una delle regioni con la spesa più alta pro capite in infrastrutture (oltre 1.240 euro l’anno per residente contro una media italiana di 764).
E’ in via di risanamento il buco nei conti della sanità? Relativamente ai trasporti, cosa si sta facendo per convincere Ryanair a non abbandonare lo scalo di Alghero che comporta gravissime ripercussioni per tutto il sistema e che, a proposito di destagionalizzazzione, minerebbe l’idea strategico-rivoluzionaria della rete ciclabile sarda? Quali le strategie e le azioni per creare lavoro per i disoccupati e per rioccupare le molte migliaia di lavoratori in CIG e in Mobilità? Quali iniziative per ridare senso e prospettiva al Master and Back? Quale politica industriale s’intende adottare con la Sardegna ormai senza industrie? Quale politica agricola?
Se è vero, come diceva Eduardo De Filippo, che “gli esami non finiscono mai” ciò vale anche per i professori, specialmente quando sono politici. In cattedra ad esaminarli, però, non ci sono altri politici indulgenti per le usuali ragioni di scambio. Ci sono i cittadini che, dopo quasi due anni di governo competente e accademico, ritengono maturo il momento per valutare in base ai risultati nell’amministrare le risorse pubbliche.
Il voto sarà poi assegnato nell’urna elettorale e non è detto che sarà un trenta e lode
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* By sardegnasoprattutto / 2 dicembre 2015 / Società & Politica /
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Rapporto Caritas 2015 sulle povertà in Italia
Oggi mercoledì 2 dicembre 2015
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“Martini, Alberti, Motzo. La scuola non si sposta, la scuola al primo posto”
Oggi, mercoledì 2 dicembre, a Cagliari, alle 16.00, nell’Aula Magna del Liceo Scientifico Alberti, sede di via Ravenna, organizzata dal Forum delle associazioni “Scuola Università Ricerca” e dal Cidi, si svolgerà l’assemblea pubblica “Martini, Alberti, Motzo. La scuola non si sposta, la scuola al primo posto”, per discutere del diritto all’istruzione nelle scuole delocalizzate.
Parteciperà il Dirigente Scolastico dell’Alberti, prof. Raffaele Rossi; interverranno docenti, studenti e genitori dell’Istituto Tecnico Martini, del Liceo Alberti e del Liceo Motzo.
La discussione con studenti, docenti, famiglie, rappresentanti delle Associazioni della scuola si svilupperà sui temi caldi dei processi decisionali che hanno portato allo smembramento e alla dislocazione di importanti scuole superiori cagliaritane e non solo. La pagina fb dell’evento.
Archivio del Coordinamento dei Comitati e Circoli di Quartiere di Cagliari: le copertine di Cittàquartiere.
Archivio del Coordinamento dei Comitati e Circoli di Quartiere di Cagliari: le copertine di Cittàquartiere. (In costruzione)
Nuova serie
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“Io che conosco il tuo cuore”
Presentazione del libro di Adelmo Cervi “Io che conosco il tuo cuore”
(ANPI) OGGI 1° dicembre alle ore 17 presso la Fondazione “Enrico Berlinguer” in via Emilia 39 a Cagliari, avremo il piacere di avere come ospite Adelmo Cervi che presenterà il suo libro “Io che conosco il tuo cuore” coadiuvato da Gianna Lai e da Antonello Murgia; introdurrà la serata il nostro Presidente provinciale Marco Sini. Il libro narra le vicende di Aldo, padre di Adelmo e dei suoi 6 fratelli trucidati dai fascisti il 28 dicembre 1943.
Mese dei Diritti Umani: ad Assemini mostra di Takoua Ben Mohamed, la ragazza che combatte le discriminazioni con i fumetti
Giovedì 3 DICEMBRE la CONFERENZA STAMPA di presentazione – segue -
Elezioni comunali a Cagliari. L’alternativa al centro destra e al centro sinistra c’è. Basta unire quanti la vogliono nel rispetto della ricchezza delle diversità.
di Gianni Loy
Da una vita, ormai, constato un rito che si ripete, periodicamente, alla vigilia di ogni elezione. Persone, o gruppi, si organizzano con l’idea di partecipare alla competizione al fine di rappresentare istanze politiche, sociali, o anche solo corporative. Si tratta, ovviamente, di espressioni legittime che, spesso, hanno in comune il fatto di rivendicare spazi di democrazia partecipativa. A volte trovano origine in una marcata ideologia politica, altre volte rappresentano bisogni o aspettative trascurati dalle organizzazioni politiche tradizionali.
Possono essere antagonisti, tanto più in caso di latitanza da parte delle organizzazioni tradizionalmente deputate alla rappresentanza, un tempo i partiti, oggi gli epigoni di quegli stessi partiti a seguito di tortuosi percorsi di trasformazione.
Non nego di aver partecipato personalmente a quei processi, negli anni passati, a volte con la speranza di poter marcare una rappresentanza nelle istituzioni, a volte anche solo per semplice testimonianza, poco più che simbolica, quando era soprattutto l’ideologia a marcare i nostri percorsi di militanza politica.
Ma l’acqua che rumina lungo la riva che siamo soliti frequentare non è sempre la stessa. Magari abbiamo voluto crederlo, talvolta vorremo ancora crederci. Ci illudiamo, anche contro ogni evidenza, che le cose non siano cambiate, o non del tutto.
Amo ancora i riti. Ho persino rimpianto delle esperienze passate. Pentito, in ogni caso, non lo sono, o non ancora.
Ma altro è il mio desiderio di sobbalzare per le esplosioni del cloruro di potassio misto allo zolfo che animavano il centro della città, o rifrequentare la Novena di Natale col rito gregoriano, meglio ancora se officiata nella lingua mia, sarda e materna, altro passare l’avvento illudendomi ancora che questa possa essere la volta buona, che le cose, il prossimo anno, andranno sicuramente meglio, come vagheggiava il venditore di almanacchi di leopardiana memoria.
E’ il razionale che è in me a sconsigliarmelo. Vivamente.
La società civile, quella che anni addietro si pretendeva potesse rianimare la politica, è defunta da un pezzo, le consultazioni pre-elettorali (primarie) sono in coma. Solo i 5 stelle, forse anche meritoriamente, continuano a praticarle. Tuttavia, anche in quell’esperienza, avverto qualcosa di stonato.
La parte più deteriore del sistema partitico ha ripreso in mano il gioco. Veniamo informati, di tanto in tanto, di tresche, di mercanteggiamenti, di rimescolamento di carte (e di sigle) che ci preparano alla futura kermesse. Ma come potrebbero consultare gli elettori organizzazioni che neppure consultano più i loro iscritti? Tra divorzi e sospette riconciliazioni viene ipotecata la spartizione del potere. Si parla di complotti, della Magistratura che potrebbe avere la parola decisiva nella scelta dei candidati, di eminenze che preparano il rientro…
E’ stato così anche in altre occasioni, non posso negarlo. Ma un quadro così povero e desolante non credo di averlo mai visto. A volte mi vengono gli scrupoli per avere contribuito (almeno con il desiderio) al superamento di un sistema politico incentrato su partiti storici, la democrazia cristiana, il partito comunista… Perché allora (anche per un sistema elettorale indubbiamente più democratico) almeno era reale la dialettica tra maggioranza ed opposizione: le transazioni, le mediazioni, non di rado sfociavano in provvedimenti amministrativi (o in leggi) sicuramene apprezzabili. Oggi il Consiglio comunale, in teoria la massima espressione della partecipazione democratica, è umiliato. Non è più la sede nella quale (pur tenendo conto di poteri esterni) si possano prendere decisioni, al massimo è la sede in cui le decisioni vengono ratificate, obbligatoriamente, pena lo scioglimento del Consiglio ed il ritorno a casa. Non è lo scopone scientifico, è il rubamazzi: chi vince l’ultima mano si appropria di tutto, sarà l’unico decisore, in conto proprio o in conto altrui.
La difficile composizione degli interessi tra chi veramente detiene il potere è una faccenda che non si consuma, se non in piccola parte, nell’aula consiliare.
La delusione, confesso di aver immaginato un altro futuro, non deve tuttavia impedirci di fare i conti con l’acqua che scorre sotto i nostri ponti in questo fine d’anno ancora siccitoso.
Nonostante tutto, i fermenti che attraversano la città costituiscono la nostra maggiore ricchezza, è su di essi che si può continuare a fondare la speranza. La speranza, ed il progetto, di una città capace di guardare ai bisogni dei suoi cittadini, che non sono solo i cosiddetti cagliaritani doc, per costruire, a partire dalla solidarietà, un programma di sviluppo della città stessa. La prima solidarietà è con i cittadini dell’area vasta, con i quali condividiamo le corsie delle strade ed i posti a sedere nei mezzi pubblici. Ne sentiremo di tutti i colori, proiezioni verso l’universo, programmi per i turisti prossimi venturi, viaggi alla conquista dell’ovest. Ed invece, è prima di tutto ai bisogni dei cittadini che occorre pensare, restituendo loro il protagonismo. Che dire dell’insensato rifiuto di ogni delega partecipativa alle organizzazioni territoriali, terminato con il seppellimento del fantasma delle circoscrizioni! Soprattutto, occorre pensare ai più deboli, ai più poveri. Basta con il delegare alla Caritas il dovere, costituzionalmente garantito, dell’assistenza.
Pensando alle elezioni prossime venture, per quanto possa dispiacerci, anche la distinzione tra destra e sinistra, almeno per quanto riguarda i resti delle tradizionali organizzazioni politiche, si è affievolita. C’è forse qualche differenza, nelle politiche economiche e del lavoro, tra gli epigoni di Forza Italia e quelli del glorioso PCI? Gli uni e gli altri conservano gelosamente la lettera riservata ricevuta dalle autorità monetarie europee con le istruzioni per l’uso: si tratta della stessa lettera per entrambi gli schieramenti. Nessuno dei due principali schieramenti ha la forza, o l’ardire, di declinare il cortese invito.
L’unico, tra i rappresentanti dei grandi movimenti, che ancora utilizza le categorie del marxismo, che grida contro la privatizzazione dei beni essenziali, che proclama prima di tutto la dignità del lavoro (anche lo Statuto dei lavoratori la proclama, ma lo stanno riducendo a brandelli perché possa più facilmente entrare nel bidone dell’indifferenziata) è Papa Francesco. Che Dio lo protegga! Se possibile, assieme alla nostra bella Costituzione repubblicana ripetutamente azzannata.
Per quanto riguarda la città di Cagliari, penso che quanti abbiano qualche proposta da fare, debbano farsi avanti, presentare una lista, cercare di entrare in Consiglio, nonostante i suoi più limitati poteri, senza rassegnarsi all’idea che un mostro burocratico presenti loro, come se fosse il fiore della virtù, l’esito degli aggrovigli politici che si stanno consumando dentro e fuori il Partito Democratico. Partito Democratico che, se avesse a cuore gli interessi dell’area progressista alla quale pretende di fare riferimento, dovrebbe avere il coraggio di misurarsi, nella scelta del suo candidato sindaco, con l’area degli elettori dai quali aspira a ricevere il mandato, piuttosto che con altri soggetti quasi totalmente autoreferenziali.
Una proposta ce l’avrei. Ritengo inutile, se non ridicolo (perdonatemi l’espressione), che ciascuna istanza che voglia cimentarsi con la presentazione di una propria lista elettorale presenti anche un proprio candidato sindaco. Quale sarebbe il significato politico di verificare in termini di voti, assieme al risultato di una lista, anche quello di un candidato sindaco espresso dalla stessa lista? Intendo nell’attuale contesto politico-amministrativo della città.
Invece: perché non adoperarsi per realizzare una aggregazione molto più ampia, che raccolga (senza che ci sia alcuna contraddizione) gruppi della sinistra radicale accanto a gruppi d’ispirazione cristiana, tutti o gran parte dei movimenti, o partiti, di ispirazione sardista e/o indipendentista che pure stentano a dialogare tra di loro, movimenti sociali ispirati ad esperienze di partecipazione civica?
Vorrei essere chiaro. Non si tratta affatto di trovare una sintesi politica o di costruire un programma comune tra tutti. Sarebbe impresa impossibile. Si tratta di apprezzare il progetto di ciascuna delle istanze che intendono partecipare a questa ampia aggregazione e di consideralo un contributo ad un più vasto movimento di cambiamento costruito con il contributo di molti. Un polo, un’area.
Un unico candidato sindaco sarebbe non solo l’espressione di una volontà comune di cambiamento, peraltro analoga a movimenti che si stanno affermando in altre parti d’Europa, ma anche la cifra in grado di permettere un confronto con le altre aggregazioni e di lasciare il segno nella tornata elettorale. Ciò significa che ciascuno dei partecipanti non dovrà tanto cercare il candidato più affine al proprio programma elettorale (questa funzione è rappresentata da ciascuna lista) ma una persona in grado di rappresentare il movimento nel suo complesso, lasciando da parte tutti quei tatticismi, peraltro stupidi, che spesso accompagnano queste scelte. Intendo dire che non ha nessuna importanza se si tratti di un militante più o meno radicale, indipendentista o magari un po’ meno, cristiano o mussulmano. Serve la faccia di un persona impegnata, senza scheletri nell’armadio, sicuramente progressista, indiscutibilmente aperta alle istanze dell’autogoverno. Non che sia cosa da poco. Ma se ancora dobbiamo impegnarci, almeno sia per qualcosa di ambizioso. Proporre un candidato sindaco significa, a mio avviso, raccogliere adesioni attorno ad una persona in grado di partecipare alla sfida. Chi non possieda tale attitudine, anche se qualcuno pretende di chiamarlo candidato sindaco, non lo sarebbe. Non lo è. Sarebbe solo un feticcio. Sarebbe persino ridicolo proporre ai nostri concittadini un nome ed un programma di governo di chi sappiamo destinato a percentuali irrisorie.
Sarà difficile? Ma se non viene giocata questa carta, quale altra ipotesi ci rimane?
Gianni Loy, anche su il manifesto sardo.