Monthly Archives: ottobre 2015
Rischiamo di diventare una democrazia che interessa un 30-40 per cento del paese
Riflessioni In Italia abbiamo un piacione e ci vuole innamorare
di EUGENIO SCALFARI, su La Repubblica on line di domenica 4 ottobre 2015
Per me è molto noioso dovermi occupare ancora di Renzi ma chi esercita la professione di giornalista ha l’obbligo di capire e raccontare quel che fanno i protagonisti delle vicende politiche. Renzi è tra questi e se c’è un uomo politico che desidera comparire ogni giorno sui media d’ogni colore, questo è lui e non certo Romano Prodi da lui accusato di commettere abitualmente questo peccato. Nel merito Renzi attribuisce a Prodi una posizione che giudica totalmente sbagliata a proposito della guerra in Siria. Il tema è tra i principali e più drammatici di questo agitato periodo: guerre tribali, delitti orribili del Califfato, stragi effettuate da Assad e prima di lui da suo padre, incertezze dell’America e dell’Europa, spregiudicatezza estrema della Russia di Putin e dell’Iran e un intrico in tutto il Medio Oriente, descritto da Bernardo Valli ieri su questo giornale.
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Sprechi edilizi urbani
Questo edificio si trova a Cagliari, nella via Vittorio Veneto. È in evidente stato di abbandono, seppure non di degrado (almeno così appare dallo sguardo esterno). Che uso se ne faceva? Di chi la proprietà? E conseguentemente: si potrebbe recuperare ad uso sociale? Per esempio per attività di educazione/istruzione. Ne possiamo parlare?
Fuori Carlo Felice con tutti i Savoia dalla toponomastica sarda
Un filo monarchico sardo, pateticamente nostalgico dei Savoia, in una lettera all’Unione Sarda propone che Cagliari dedichi una via all’ex re Umberto II. Replicano numerosi lettori del Quotidiano contestando vivamente tale proposta e ricordando le gravi responsabilità storiche dei sovrani nizzardi, ad iniziare proprio da quelle dell’ultimo re d’Italia e suggerendo di contro, di intitolare invece una via della capitale sarda a Luigi Cogodi.
Antonio Ghiani – già valente giornalista dell’Unione – scrive che “i sardi dovrebbero averne abbastanza dei Savoia e della loro infausta collaborazione con il fascio, conclusasi infine con una ignominiosa fuga, quando l’Italia, persa la guerra, era nel caos”.
Altri ricordano opportunamente la funesta politica dei Savoia tutta giocata sulla discriminazione dei sardi, la repressione e le condanne a morte ma sopratutto il brutale fiscalismo. Aumentato a dismisura dal 1799 al 1816, con la presenza della Corte savoiarda a Cagliari, in seguito all’occupazione dell’Italia settentrionale da parte di Napoleone. Nei 17 anni della presenza a Cagliari dei Savoia infatti “furono complessivamente pagate – scrive lo storico sardo Aldo Accardo – come contribuzioni straordinarie per la corte 9.714.514 lire sarde: dal 1799 373.000 ogni anno per l’appannaggio della famiglia reale; dal 1805 oltre 76.750 per lo spillatico della regina”. E ciò mentre l’Isola vive sulla propria pelle una gravissima crisi economica e finanziaria: certo conseguenza delle calamità naturali e delle pestilenze di quegli anni ma anche di una politica e di un’amministrazione forsennata da parte dei Savoia, specie, ripeto, con l’aumento delle tasse.
Il peso delle nuove imposizioni fiscali, colpivano non soltanto le masse contadine ma anche gli strati intermedi delle città. A tal punto – scrive Girolamo Sotgiu – che “i villaggi dovevano pagare più del clero e dei feudatari: ben 87.500 lire sarde (75 mila il clero e appena 62 mila i feudatari) mentre sui proprietari delle città, sui creditori di censi, sui titolari d’impieghi civili gravava un onere di ben 125.000 lire sarde e sui commercianti di 37 mila”.
Così succedeva che “Spesso gli impiegati rimanevano senza stipendio, i soldati senza il soldo, mentre ai padroni di casa veniva imposto il blocco degli affitti e ai commercianti veniva fatto pagare il diritto di tratta più di una volta” .
Il protagonista fondamentale della politica savoiarda di questo periodo è Carlo Felice, più noto come Carlo feroce: l’epiteto gli fu affibbiato da un suo conterraneo piemontese, Angelo Brofferio, letterato e critico teatrale. Ebbene Carlo Felice, fu viceré e poi re, ottuso e inetto, sanguinario e famelico (pensava ad accumulare il suo “privato tesoro” mentre le carestie decimavano le popolazioni affamate). Su di lui la storia ha già emesso la sua condanna inappellabile. Lo storico Pietro Martini, pur di orientamento monarchico, lo descrive come gaudente parassita, gretto, che avea poca cultura di lettere e ancor meno di pubblici negozi… servo dei ministri ma più dei cortigiani. Ai feudatari, da viceré, – scrive, un altro storico sardo Raimondo Carta Raspi – diede carta bianca per dissanguare i vassalli. Mentre a personaggi come Giuseppe Valentino affidò il governo: questi svolse il suo compito ricorrendo al terrore, innalzando forche soprattutto contro i seguaci di Giovanni Maria Angioy, tanto da meritarsi, da parte di Giovanni Siotto-Pintor, l’epiteto di carnefice e giudice dei suoi concittadini.
Divenuto re con l’abdicazione del fratello Vittorio Emanuele I, mira a conservare e restaurare in Sardegna lo stato di brutale sfruttamento e di spaventosa arretratezza: “con le decime, coi feudi, coi privilegi, col foro clericale, col dispotismo viceregio, con l’iniquo sistema tributario, col terribile potere economico e coll’enorme codazzo degli abusi, delle ingiustizie, delle ineguaglianze e delle oppressioni intrinseche ad ordini di governo nati nel medioevo”: è ancora Pietro Martini a scriverlo.
Carlo Felice odia i sardi: il suo maestro, in tal senso è il reazionario Giuseppe de Maistre che arrivato in Sardegna nel 1800 per reggere la reale cancelleria, non pensa nei tre anni di reggenza, che ai propri interessi denotando uno sviscerato disprezzo per i sardi je ne connais rien dans l’univers au-dessous (sotto) des molentes, soleva affermare nei loro confronti e in una lettera da Pietroburgo al Ministro Rossi nel 1805 scrive : Le sarde est plus savage che le savage , car le savage ne connait la lumiere e le Sarde la connait.
Altro che dedicare allora un’altra via alla odiosa zenia dei Savoia: all’ordine del giorno in Sardegna vi è l’urgenza e la necessità di modificare radicalmente la toponomastica, facendo sloggiare da tutte le strade e le piazze dell’Isola tutti i Savoia, ad iniziare da Carlo feroce. A meno che non si voglia continuare con un imperdonabile masochismo, ricordando e osannando, quelli che sono stati per la Sardegna i persecutori e i sovrani più nefasti.
E’ stato scritto che con i Savoia la Sardegna è stata liberata dal feudalesimo e dunque “modernizzata”. E sia. Purché non si dimentichi che l’eversione dei feudi giovò ai feudatari spagnoli e piemontesi ai quali le terre furono generosamente pagate dalle comunità, dissanguate due volte! Non di restituzione delle terre alle comunità si trattò dunque, ma di un ulteriore esproprio. Anche perché le terre distribuite a così caro prezzo ai contadini e pastori delle ville, privi di capitali e degli stessi arnesi di lavoro (aratri, zappe, falci e cavalli e buoi), caddero ben presto nelle mani di usurai senza scrupoli diventati in breve più esosi, se possibile, dei vecchi padroni.
E’ stato anche scritto che ai Savoia si deve comunque in gran parte la costruzione dello Stato italiano unitario. E sia anche questo. Purché si ricordi che l’Unità d’Italia sarà (e ancora è) tutta giocata, per quanto ci riguarda, contro gli interessi della Sardegna ridotta a “colonia” interna: oggi area di servizio della guerra e domani ricettacolo delle scorie nucleari?
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Francesco
IL SANTO DI OGGI. San Francesco d’Assisi.
(“San Francesco in estasi” secondo il Caravaggio, 1594-1595).
Il dipinto è ad Hartford (Connecticut, al Wadsworth Atheneum).
AUGURI a TUTTE le FRANCESCHE e i FRANCESCHI.
Oggi domenica 4 ottobre 2015. Francesco d’Assisi
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con la lampada di aladin… sbattendo contro un muro
IL DIBATTITO CRESCE, IL COMUNE MINIMIZZA.
- Piazza San Michele, parla la progettista Ilene Steingut: “Ecco le nostre ragioni. Ma sulla partecipazione serve un dibattito”. Sul sito vitobiolchini.it
- Il coinvolgimento deve essere una pratica quotidiana. Intervento di Enrico Lobina su L’Unione Sarda di oggi, ripreso dalla pagina fb di CagliariCittàCapitale. – Per correlazione: aladinews sul muro.
Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (13)
Su proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti – ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, alcuni non più tra noi – sul filo della memoria. Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione . Oggi il tredicesimo raccontino, dopo l’esordio del 17 settembre, il secondo del 18, il terzo del 19, il quarto del 20, il quinto del 21, il sesto del 23, il settimo del 24, l’ottavo del 25, il nono del 26, il decimo del 27, l’undicesimo del 29, il dodicesimo il 30.
Silvana Lai (3° classificata)
A morte Emilio Lussu
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con gli occhiali di Piero e la lampada di Aladin
Sa murialla ‘e su prantu. Ita chi si ‘ndi pesada padre Abbo!
Il muro che si sta innalzando nella piazza San Michele, nel quadro dei lavori di rifacimento della medesima, sembra non piaccia alla maggioranza dei cagliaritani, soprattutto alla gente del quartiere. Lo ha progettato un prestigioso studio professionale, che nella relazione progettuale ha dato ampia spiegazione della scelta. Ma non piace per diverse ragioni, esaurientemente esposte negli articoli che riproduciamo di Paolo Matta e di Vito Biolchini e nei servizi della stampa locale, che linkiamo. Nella richiamata relazione si dice, tra l’altro che “Il setto curvilineo che delimita la rampa veicolare è stato pensato come fondale per la statua di Padre Abbo, in modo da valorizzarla adeguatamente”. Per chi non lo sapesse padre Nicola Abbo è stato lo storico parroco dal 1957 per oltre trent’anni, molto amato dalla popolazione del quartiere di San Michele. A lui è dedicato un monumento proprio di fronte alla facciata della chiesa, che la nuova sistemazione conterrebbe di valorizzare. Chi ha conosciuto padre Abbo sostiene che il sacerdote sarebbe stato contrario a questo muro, proprio perché, a prescindere da qualsiasi intenzione, significa separazione ed esclusione, piuttosto che accoglienza ed inclusione. Ci sono poi ragioni di altro tipo, alquanto convincenti, che non attribuiamo a un ipotetico pensiero di padre Abbo, e che ritrovate negli articoli citati.
Che dire? Il Sindaco prenda atto, ascolti la gente e dia disposizione di modificare il progetto, facendo demolire quanto già realizzato e adeguandosi alle richieste popolari. Non ci vuole molto; lo stesso inevitabile incremento di spesa, in questa fase sarebbe sostenibile e comunque giustificato. – segue –
“LA NOSTRA QUARANTENA” nei cinema sardi
Oggi, primo ottobre, alle 21.30 al Cinema “Odissea” la prima del nuovo film di Peter Marcias “La nostra quarantena”, con la sceneggiatura di Gianni Loy, docente di Diritto del Lavoro dell’Università della Sardegna. Ancora un lungometraggio scritto dai due autori del bellissimo film “Dimmi che destino avrò”.
Il mare è simbolo. Separa e unisce due mondi, è confine e allo stesso tempo è autostrada, troppo larga perché i controlli possano evitare la disperata rincorsa di decine di migliaia di donne e uomini, bambini, che la attraversano con mezzi di fortuna. Mai nessuna statistica rivelerà il numero delle persone che hanno addormentato i loro sogni in fondo a quel mare.
Gianni Loy