Monthly Archives: ottobre 2015
Salviamo l’Alberti!
Una scuola bella? Cancelliamola.
Bella. Proprio così. Devono, per caso, essere brutte e grigie, le scuole? Da sempre, la nostra ha il privilegio di una straordinaria posizione paesaggistica; a pochi metri dal mare, direttamente affacciata sul golfo. Diamo fastidio a qualcuno? Vi sembrano “stonati” dei giovani liceali in prossimità di una zona verde e del nuovo lungomare pedonale e ciclabile?
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MITZAS 2015. TEATRO MASSIMO DI CAGLIARI, 23/25 OTTOBRE
La seconda edizione di “Mitzas – Sorgenti di Cambiamento” è dedicata al tema dell’intelligenza connettiva, dal trasferimento di conoscenze all’energia, dalla cultura alle economie collaborative e di rete. Nel Teatro Massimo di Cagliari (via De Magistris 12) in programma sei eventi nelle tre giornate di venerdì 23, sabato 24 e domenica 25 ottobre 2015. Approfondimenti sul sito di Unica (a cura di Ivo Cabiddu).
www.sorgentidicambiamento.eu
con gli occhiali di Piero…
FRANCESCO COCCO ORTU
Francesco Cocco Ortu nasce a Benetutti il 22 ottobre 1842.
La Sardegna è ancora Regno, la “fusione perfetta” deve ancora compiersi.
Il nonno di Francesco, l’avvocato Giuseppe Ortu, ha partecipato ai moti di fine Settecento, alla congiura di Palabanda del 1812.
Da bambino Francesco sente le discussioni, i dubbi, le incertezze che suo padre e suo nonno mantengono nei riguardi della Fusione, ma appunto è solo un bambino.
A 21 anni, laureato, entra in politica, ma fuori da logge massoniche e varie consorterie: diventa consigliere comunale, poi sindaco di Cagliari, deputato e Ministro di Grazia e Giustizia, Ministro dell’Agricoltura e Commercio.
E’ un governativo, un conservatore, malvisto dai socialisti che lo chiamano “genio malefico”, ma comunque genio, ed è animato da una sincera volontà di operare per il bene dell’Isola, convinto che questo bene coincida col bene dell’Italia.
Promuove una legislazione speciale, crea il Corpo degli ispettori del Lavoro,
l’assicurazione infortuni e il riposo festivo, le Cattedre Ambulanti per l’Agricoltura, il Magistrato delle Acque, promuove il credito agrario, la sistemazione idraulica, la grande diga sul Tirso.
All’avvento del fascismo ha la statura morale di dire al re:
“Ricordi che la storia registrerà che Sua Maestà si sarà pentito di aver dato i pieni poteri a Mussolini”.
Vota contro il governo Mussolini e si dimette da capogruppo dei liberali.
Ritiratosi, muore a Roma il 4 marzo 1929.
Oggi a Monte Claro: “Il mito di Frankenstein o il moderno Prometeo, la coscienza tra intelligenza naturale e intelligenza artificiale”
Oggi, giovedì 22 ottobre alle ore 18,00 nella sala conferenze della Biblioteca Provinciale Emilio Lussu a Cagliari, nel parco di Monte Claro (ingresso in auto dalla Cittadella Sanitaria) si svolgerà l’ultimo incontro previsto in “Parole simboli narrazioni tra scritture e neuroscienze”.
Il mito di Frankenstein o il moderno Prometeo, la coscienza tra intelligenza naturale e intelligenza artificiale” è il titolo dell’incontro dibattito col biologo e neuroscienziato Edoardo Boncinelli e il filosofo della scienza Silvano Tagliagambe.
Oggi giovedì 22 ottobre 2015
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Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna
Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna.
Appuntamento alla Camera di Commercio di Sassari venerdì 30 ottobre, ore 17,30, per la presentazione del volume II° del Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna (AIPSA EDIZIONI euro 23,00). L’opera, curata da Cecilia Dau Novelli, docente di storia contemporanea presso l’Università di Cagliari e Sandro Ruju, studioso della realtà economica e sociale della Sardegna contemporanea, conclude un lavoro di ricerca decennale che ha visto impegnati numerosi ricercatori.
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- La presentazione a Sassari del I volume, su Aladinews (10 maggio 2013).
Salviamo il Martini
Ecco il documento approvato nell’assemblea di martedì 20 u.s.
Comitato “Salviamo il Martini”
Al Commissario della Provincia di Cagliari
viale Ciusa
09100 Cagliari
protocollo@pec.provincia.cagliari.it
pianif.territoriale@pec.provincia.cagliari.it
e p. c.
Al Presidente della RAS
viale Trento,69
09100 Cagliari
All’Assessore alla PI della RAS
viale Trieste,186
09100 Cagliari
Al Sindaco di Cagliari
via Roma,145
09100 Cagliari
All’Assessore alla PI del Comune di Cagliari
viale S.Vincenzo,4
09100 Cagliari
Al Direttore dell’USR della Sardegna
p.zza Galilei,36
09100 Cagliari
Al DS dell’ITE “P.Martini” di Cagliari
via S.Eusebio,10
09127
Cagliari
Al Presidente del Consiglio di Istituto dell’ITE “P.Martini”
via S.Eusebio ,10
09127 Cagliari
Oggetto: Sottrazione dell’edificio storico di via S.Eusebio,10 all’ITE “P.Martini” e trasferimento della scuola al plesso Besta di Monserrato
Con riferimento all’oggetto si è costituito il sopraindicato Comitato tra docenti, studenti, personale, genitori, ex docenti ed ex studenti, allo scopo di porre in essere ogni azione utile ad impedire lo spostamento dell’ITE “P.Martini” dallo storico edificio di via S.Eusebio.
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Aspettando il treno
E sono 453 giorni! (La Nuova Sardegna 21 ottobre 2015) I tecnici dell’Ansf completeranno le verifiche sull’Atr. A novembre l’arrivo di altri 6 pendolini.
Treni a 150 chilometri orari, oggi il verdetto
CAGLIARI Il verdetto è atteso per oggi. I tecnici dell’Ansf, l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, ultimeranno in mattinata le verifiche sul treno Atr parcheggiato alla stazione di Cagliari. Arrivati in Sardegna ieri mattina, i tecnici sono chiamati a stabilire se il treno costruito dalla spagnola Caf (insieme ad altri sette identici) può accendere i motori e iniziare a fare su e giù sui binari dell’isola. In particolare i tecnici dell’agenzia dovranno dire se il treno può raggiungere la velocità di 150 chilometri orari. Se il responso sarà positivo, già nei prossimi giorni potrebbe essere programmato il prossimo viaggio Cagliari-Sassari. – segue –
Il fallimento dell’industria petrolchimica entra nella poesia sarda
di Francesco Casula
Dopo aver popolato interi studi e saggi economici-sociali, storico-politici e persino etno-antropologici il fallimento dell’industrializzazione petrolchimica in Sardegna è entrato prepotentemente anche nella letteratura e poesia sarda. Il più noto scrittore che ha preso a roncolate quell’ipotesi di sviluppo, che doveva creare lavoro e prosperità per la nostra Isola, è stato sicuramente Francesco Masala.
Nelle sue poesie come nei suoi romanzi. Canta in Innu nou contra a sos feudatarios (A sa manera de F. I. Mannu): ”Trabagliade, trabagliade/petrochimicos operajos/pro su pane tribulade/cun su ‘inari ‘e sa Rinaschida/ingrassan sos de Milanu/e a bois lassan su catramu./Trabagliade, trabagliade,/in sa chejas de petroliu/de Sarrok a Portoturre:/sa cadena de trabagliu/cun sa matta mesu piena/est trabagliu de cadena”.
Ma è soprattutto nel romanzo Il dio petrolio, tradotto in ungherese e in francese (con il titolo Le curè de Sarrok) e ambientato proprio a Sarrok (Cagliari), città simbolo dell’industria petrolchimica (de s’ozu de pedra: dell’olio di pietra), che Masala condurrà la critica più feroce e serrata a quel tipo di industria che avvelenerà e devasterà alcuni fra gli angoli più suggestivi della Sardegna, sconvolgendo anche a livello antropologico le popolazioni.
Personaggio emblematico è un sacerdote di un villaggio contadino (Arasolè) che viene trasferito nel nuovo polo di sviluppo industriale dove subisce l’inerrestabile inquinamento etnico, etico e religioso.
Il prete, Don Adamo, nonostante la chiesa nuova e il campanile nuovo, si sente nella sua chiesa come in una cattedrale nel deserto, a dispetto di ecclesia che vuol dire riunione, adunanza, gente riunita intorno al proprio parroco.
In essa vive in perfetta solitudine, contro natura: di qui i narcisismi, le immagini, le invenzioni di una donna: una giovane donna senza volto, simulacro mentale, feticcio sessuale, nelle cui ampie e gonfie mammelle immerge il suo volto fino a fargli mancare il respiro. In questo modo il prete pensa di vincere la sua desolata solitudine e non riceve aiuto né dalla fede, né dalla speranza, né dalla carità.
Ad Arasolè almeno era meno solo. La sua vita era strettamente legata a quella degli altri e si sentiva mezzo di comunicazione e messaggio in quanto i fatti della vita religiosa e della liturgia coincidevano con quelli della vita quotidiana, i cicli dell’uomo, della famiglia, della stagione.
E poi i pastori di Arasolè avevano ancora bisogno di Dio, perciò pregavano per l’acqua e il sole, il caldo e il freddo, la luce e il buio… gli operai di Sarrok invece non hanno più bisogno di Dio… Ormai c’è Lui… Se c’è buio, Lui il petrolio fa luce. Se c’è freddo, Lui il petrolio aziona i termosifoni. Se c’è caldo avvia i condizionatori d’aria, se l’acqua non viene dal cielo, Lui la cava dal mare col dissalatore…
Un altro grande romanziere e poeta sardo, Benevenuto Lobina – di cui ricordo soprattutto il suo capolavoro bilingue, in due volumi, Po cantu Biddanoa – dedica alla industrializzazione petrolchimica e ai suoi artefici una fulminante poesia, Cuaddeddu Cuaddeddu. In cui immagina che un suo nonno, richiamato in vita da un terribile puzzo di sostanze chimiche decidesse di saltare a cavallo per andare a Cagliari a fare giustizia di tutti coloro che avevano favorito quello scempio economico e umano: Su chi primu appa a cassai/cun sa bella cambarada,/cuaddeddu, è su chi nada/ca ad donau a traballai/a su popullu famiu/in Sarroccu e in Portuturri/e chi si pònidi a curri/faid mort’ ’e pibizziu.
Sdegnato, ricorda poi le devastazioni ambientali che hanno causato con quel tipo di sviluppo: No a’ biu, cuaddeddu/cantu montis abruxaus,/cantu spina in is cungiaus/a infora de Casteddu?/Anti venas i arrius/alluau tottu impari/alluau anti su mari/e is tanas e is nius.
Oltre a quelle umane e sociali: Bidda’ mes’abbandonadas/a i’ beccius mesu bius/a su prant’ ’e is pippius/a pobiddas annugiadas/Oh, sa mellu gioventudi/sprazzinada in mesi mundu/scarescendu ballu tundu/scarescendu su chi fudi.
Sdegnato, con ironia e sarcasmo sferzante e financo con disprezzo individua e descrive i politici locali, ascari e mediatori del colonialismo italiano: Ddusu bisi: allepuccius/a ingiri’ ’e sa mesa/faccis prena’ de malesa/omineddus abramius./Ma appenas a bessiri/nd’ant ’e s’enna ’e s’apposentu/donniunu ad essi tentu/e tandu eus a arriri…
Ascari e mediatori, insomma canes de istergiu ma di poco peso. Chi decide veramente est attesu: i ddi nau ca cussa genti/pinnigada in su corrazzu/non cumanda d’unu cazzu/funti conca’ de mollenti./Chi cumandada est’attesu/custus funti srebidoris/mancai sianta dottoris/funti genti senz ’e pesu.
Difficile non convenire, fotografa infatti una realtà di ieri ma anche di oggi: l’Autonomia come semplice simulacro.
Un altro poeta che, con dolore e sdegno, canta il fallimento petrolchimico, è Pinuccio Canu. Meno noto di Masala e Lobina è valente poeta in limba con due belle opere: Sa Rujada (2001), un racconto autobiografico in ottave e Contos chena tempus (2002) una silloge di racconti favolistici.
E’ nella poesia s’Eredidade di Ottana che denuncia la discrasia fra promesse e realtà: bos fattat bonu proe, malaittos/ca m’azis furriadu a remitanu/No fiant, tzertu, custos sos appiattos/da chi lassei tazos e cabbanu!
Infatti, dopo i primi anni di relativa sicurezza nel posto di lavoro, pur in un ambiente, fiagosu (malsano): Ponìa in su traballu med’afficcu/pro cant’in cussu logu fiagosu./Fattende non mi fia tzertu riccu/ma siguresa aìa e meda gosu; arriva la Cassa integrazione: ma pagu tempus sendenche coladu/su fumuderra torrat a cadone/Su sambene in su corpus s’est gheladu/ca postu m’ant in “cass’integrascione”.
Che dura anni e anni: Degh’annos m’ant lassadu pende pende/e pustis imboladu a muntonarzu./Su rimpiantu como m’est bocchende/ca non so prus nemmancu un’ervegarzu.
Si ritrova così senza il lavoro di operaio e senza le pecore. Senza identità. Costretto a bandidare. Di qui l’ultimo malaittos, inviato ai responsabili del suo dramma. Un dramma dell’intera Sardegna.
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Questo articolo è pubblicato anche su “Il Manifesto sardo”
Oggi mercoledì 21 ottobre 2015
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Il Martini va salvato come “risorsa della città”
di Gianfranco Sabattini, su Democraziaoggi
Sulle valenze economiche della permanenza del “Martini” nella sua sede storica, interviene Gianfranco Sabattini, autorevole economista dell’Ateneo cagliaritano, ma ancor prima, al pari di Paolo Savona, studente dell’Istituto, che, fra l’altro, ha avuto come preside Remo Fadda, per tanti anni docente di Economia politica a Giurisprudenza.
Giusta la preoccupazione di chi teme che le scuole collocate al centro della città siano considerate alla stregua di un ingombro, per cui sia valida l’idea di “scaraventarle” in periferia o, in ogni caso, di destinare le vecchie sedi scolastiche, poste in luoghi centrali della città, ad altre istituzioni sociali che, per quanto necessarie, non assolvono certo al ruolo proprio delle scuole. Al riguardo, si dovrebbe tener presente quanto il pensiero moderno ha acquisto riguardo al ruolo delle città e del loro tessuto scolastico in fatto di sviluppo locale, concepito ora come alternativa vincente rispetto alla tradizionali politiche centralistiche che, in realtà, come sta a dimostrare il caso del Mezzogiorno, ma anche quello della Sardegna, si sono dimostrate fallimentari.
Il moderno pensiero in fatto di sviluppo locale pone al centro dell’attenzione il ruolo delle comunità locali per sorreggere e governare la crescita e lo sviluppo del loro territorio, concorrendo alla formazione di una risorsa, il “capitale territoriale”, di cui sinora mai è stata considerata l’importanza. Una delle componenti del capitale territoriale è la coesione sociale, indispensabile per l’assunzione da parte delle singole comunità delle scelte, non prive di sacrifici, utili a promuovere una crescita ed uno sviluppo consoni alle loro aspirazioni. – segue -
Martini: chi non si fida e chi si affida
APPUNTI. E’ stata l’assemblea di chi diffida e non si fida (il rafforzativo è voluto, tanto per capirci) quella organizzata oggi presso il Liceo Eleonora d’Arborea
dal Comitato “Salviamo il Martini”. Per converso possiamo chiamare la riunione dei genitori degli studenti con il preside, pardon dirigente scolastico, che l’aveva organizzata ieri (lunedì 19), battendo tutti sul tempo, l’assemblea di chi si fida e si affida. Sì perché da quanto ci hanno spiegato alcuni docenti che hanno partecipato ad ambedue le iniziative, i genitori si sarebbero accontentati delle spiegazioni dello staff tecnico della Provincia, guidato dall’ing. Michele Camoglio, il quale ha spiegato le decisioni dell’Amministrazione provinciale, riepilogate nella delibera del Commissario straordinario n. 239 del 13 ottobre. Sulla base delle perizie tecniche effettuate, quantunque allo stato non vi sia pericolo di crolli che potrebbero pregiudicare l’incolumità degli alunni e di quanti altri operano o stazionano nell’edificio, si rende necessario effettuare “importanti interventi di consolidamento e rinforzo della struttura, per i quali la Provincia ha già inoltrato una richiesta di finanziamento alla Regione all’interno del programma ISCOLA”. Ecco il punto: l’unica certezza allo stato è che precauzionalmente si stabilisce il trasferimento di tutta l’attività didattica nei locali dell’Istituto Besta di Monserrato, rimanendo nello stabile di via Sant’Eusebio solo un presidio di segreteria. E i tempi per la messa in sicurezza dell’edificio (tale da consentirne la certificazione di “idoneità statica”)? Indeterminati, in quanto legati a finanziamenti, allo stato inesistenti, da reperire nei fondi del Programma Iscol@ della Regione Sarda. La Regione, fino ad ora assente in tutte le occasioni di incontro risulta essere stata contattata. Al riguardo il prof. Andrea Dettori ha dato notizia di una riunione che dovrà tenersi venerdì prossimo in Regione dedicata al finanziamento degli interventi sul Martini. Servono da 3 ai 3,5 milioni di euro, da reperire sui citati fondi. La Provincia disporrebbe nelle proprie casse di una cifra inferiore (2,4 milioni di euro), ma non si ha certezza sul fatto che detti fondi siano svincolati dal patto di stabilità. In questa situazione gli esponenti del Comitato paventano che tutto si sfilacci nel tempo, favorendo alcuni disegni più o meno espliciti. Tra questi quello della Regione dei Carabinieri, che le dichiarazioni dell’ing. Camoglio riportate ne L’Unione Sarda di domenica hanno apertamente ammesso. Verosimile – secondo Francesco Casula, intellettuale, ex professore del Martini ed esponente del Comitato – anche l’interesse allo stabile e complessivamente all’area in cui insiste di Banche e investitori privati.
La controproposta del Comitato, illustrata dalla prof.ssa Rosamaria Maggio, è chiara nel richiedere l’abrogazione della delibera 239; 2) l’adozione di un nuovo provvedimento che preveda i tempi dei lavori; chiarezza sulle relative coperture finanziare; un piano di uscita e rientro delle classi che consenta i lavori riducendo al minimo l’assenza dalla Scuola.
Su tutto si può negoziare, se si ricostruisce un rapporto di fiducia tra le parti in causa.
La principale garanzia che tutto vada secondo la volontà dei più è che si mantenga alta la capacità di vigilanza, da parte di tutti e prima di tutto degli studenti, che per diverse ragioni, sono stati finora abbastanza defilati.
Nel dibattito, oltre i relatori Rosamaria Maggio, Francesco Casula, Silvio Trudu, Franco Meloni e Francesco Cocco, sono intervenuti alcuni docenti dell’Istituto, con apporti differenziati e tutti di grande interesse (nel tempo pubblicheremo sintesi degli interventi o riflessioni successive dei diversi relatori e di quanti vogliano esprimere proprie opinioni).
Al termine dei lavori è stata approvata e sottoscritta una mozione a grande maggioranza (tutti a favore con l’eccezione di un voto contrario e tre astensioni). Della stessa provvederemo quanto prima ad un’integrale pubblicazione.
Oggi martedì 20 ottobre 2015
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OGGI L’ASSEMBLEA PER IL MARTINI
Mantenere l’Istituto Martini nella sua sede storica di via Sant’Eusebio è una “decisione politica” che si basa sul vasto consenso dei cittadini cagliaritani e di quanti hanno “vissuto” l’edificio come studenti, insegnanti, personale tecnico-amministrativo negli anni della sua lunga storia e nel presente. Ricordiamo come il caseggiato sia una delle non molte scuole storiche di Cagliari costruito proprio per ospitare le attività scolastiche e non un riadattamento di immobili sorti per altri usi (conventi, tribunali, etc). Il commissario e i tecnici dell’Amministrazione provinciale si adoperino solo per garantire all’immobile l’adeguamento obbligatorio agli standard di sicurezza e confortevolezza previsti dalla normativa, prendendo atto della volontà popolare, sì popolare, che si è espressa con chiarezza e continuità nel tempo fino ad oggi.
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Miliardi di poveri, milioni di ricchi, centinaia di migliaia di profughi
E’ stato pubblicato il Global Wealth Report 2015 del Credit Suisse Research, la fonte più completa e affidabile di informazioni sulla ricchezza delle famiglie a livello mondiale. Fotografa lo sviluppo economico della “classe media” in base alla ricchezza posseduta e non al reddito. Varia nei diversi paesi in base al potere d’acquisto locale. Rientrano nella classe media mondiale le persone con un patrimonio che va da 50mila a 500mila dollari.
La ricchezza globale media è raddoppiata dal 2000, raggiungendo la cifra di 80,7 trilioni di dollari, pari al 32% della ricchezza globale. Dalla metà del 2014 alla metà del 2015, però, è diminuita di 13 trilioni per il deprezzamento del dollaro. Il Rapporto evidenzia come il 90% della popolazione possieda il 12,3% della ricchezza mondiale, detenuta all’87% dal 10%. Meno dell’1% della popolazione possiede quasi la metà di tutta la ricchezza delle famiglie.
La classe media più numerosa è la cinese con 109 milioni di individui che ne fanno parte, mentre gli Stati Uniti si attestano a 92 milioni, primi nella classifica della crescita della ricchezza delle famiglie (4,6 trilioni di dollari contro la crescita annuale della Cina di 1,5 trilioni). La Svizzera resta al primo posto per la ricchezza media pro capite (567.100 dollari).
In Italia gli adulti appartenenti alla classe media sono 29 milioni, il 55% contro i 24 milioni della Francia e i 28 milioni del Regno Unito. La ricchezza nelle mani della classe media in Italia è pari a oltre 4,7 miliardi di dollari, il 47,3% della ricchezza globale del Paese.
Dati che l’Unità, house organ del PD, commenta così: “Premi Nobel e non ci hanno raccontato che gli effetti della crisi hanno colpito la classe media, in alcuni casi riducendola a nuovo proletariato, soprattutto in Europa. Ma ora arrivano dei dati che smentiscono queste tesi, almeno per quanto riguarda l’Italia”.
L’Unità afferma anche che “La vecchia borghesia ha retto l’urto della recessione, dello shock finanziario e dell’aumento delle tasse, uscendone quasi intatta. Le cifre non possono essere definite di parte e quindi non dovrebbe partire il consueto dibattito che contraddistingue ogni rilevazione sui nuovi posti di lavoro”.
Sembra di avvertire un esplicito messaggio ai “gufi” che provano gusto a criticare i provvedimenti del Governo Renzi: “Se lo dice il Credite Suiss che in Italia siamo mediamente ricchi, sarà pur vero. Fatevene una ragione!”. Meno entusiasticamente si dovrebbe riflettere sul fatto che la popolazione adulta considerata “benestante” è quella che possiede un reddito da lavoro dipendente, un’abitazione e un’autovettura di proprietà. Non moltissimo, nell’epoca del massimo sviluppo capitalistico. E’ lo stesso Credit Suisse ad evidenziare come l’aumento di produttività e l’accumulo di ricchezza vadano sempre più a vantaggio di poche decine di migliaia di individui che diventano sempre più ricchi.
E’ ai circa 219 mila italiani che possiedono un patrimonio superiore al milione di euro, individuati nel World Wealth Report 2015, che l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha lanciato un appello affinché contribuiscano alle necessità degli immigrati sbarcati in Italia nell’ultimo anno: “Se appena l’1% dei milionari italiani donasse 15.000 euro si disporrebbe di fondi sufficienti per assistere 22.000 famiglie siriane, riducendo il rischio che migliaia di bambini finiscano nella rete dei trafficanti di esseri umani“.
L’auspicio è che i Paperoni italiani, più usi a ricevere che a donare, rispondano all’appello dell’Unhcr. Soltanto nell’anno in corso oltre 365.000 persone hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Europa, 2800 sono morte in mare. Il 70% di esse sono rifugiati siriani costretti alla fuga per scampare alla morte e alle devastazioni della guerra
Intanto il Governo Renzi premia quella borghesia italiana che “ha retto l’urto della recessione, dello shock finanziario e dell’aumento delle tasse” e anche i milionari, eliminando per tutti le tasse sulla prima casa. Sarebbe forse il caso di riflettere sul fatto che se 219mila sono i milionari e il 55% degli italiani sono “classe media”, resta un non trascurabile 45% di cittadini che non sono nè benestanti nè ricchi. Resta, come evidenzia la Caritas, il 14,5% del totale delle famiglie che non hanno denaro per garantirsi un cibo proteico almeno ogni due giorni, con la percentuale che nel Sud e nelle Isole sale rispettivamente al 22,4 e al 24,4 per cento.
E’ a questi cittadini che bisogna pensare e ai loro bisogni che bisogna provvedere, prima di premiare i benestanti e i Paperoni.
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By sardegnasoprattutto / 19 ottobre 2015/ Economia & Lavoro/
Rapporto Caritas 2015
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Luciano Gallino. Cari nipoti vi racconto la nostra crisi
Con il terremoto finanziario ha perso l’idea di uguaglianza e ha vinto una diffusa stupidità Il saggio di Luciano Gallino
Quel che vorrei provare a raccontarvi, cari nipoti, è per certi versi la storia di una sconfitta politica, sociale, morale: che è la mia, ma è anche la vostra. Con la differenza che voi dovreste avere il tempo e le energie per porre rimedio al disastro che sta affondando il nostro paese, insieme con altri paesi di quella che doveva essere l’Unione europea. A ogni sconfitta corrisponde ovviamente la vittoria di qualcun altro. In realtà noi siamo stati battuti due volte. Abbiamo visto scomparire due idee e relative pratiche che giudicavamo fondamentali: l’idea di uguaglianza e quella di pensiero critico. Ad aggravare queste perdite si è aggiunta, come se non bastasse, la vittoria della stupidità. L’idea di uguaglianza, anzitutto politica, si è affermata con la Rivoluzione francese. Essa dice che ogni cittadino gode di diritti inalienabili, indipendenti dal suo censo o posizione sociale, e ogni governo ha il dovere di adoperarsi per fare in modo che essi siano realmente esigibili da ciascuno. La marcia di tale idea è stata per oltre due secoli faticosa e incerta, ma nell’insieme ha avuto esiti straordinari. La facoltà di eleggere i propri rappresentanti in Parlamento; la formazione di sindacati liberi; la graduale estensione del voto sino a includere tutti i cittadini; la tassazione progressiva; l’ingresso del diritto nei luoghi di lavoro; l’istruzione libera e gratuita per tutti sino all’università; la realizzazione dello stato sociale; i limiti posti alle attività speculative della finanza: è una lunga storia, quella che vede il principio di uguaglianza diventare vita quotidiana per l’intera popolazione.
Due periodi furono specialmente favorevoli a tale marcia: gli anni Trenta sotto la presidenza Roosevelt, negli Stati Uniti, che videro un grande rafforzamento dei sindacati e una severa regolazione della finanza, e i primi trent’anni dopo la Seconda guerra mondiale, in quasi tutti gli Stati europei, Italia compresa. Poi, sul finire degli anni Settanta, la ristretta quota di popolazione che per generazioni aveva subito l’attacco dell’idea e delle politiche di uguaglianza decise che ne aveva abbastanza. Si tratta della classe dei personaggi superpotenti e super- ricchi che controllano la finanza, la politica, i media, che dopo i moti di piazza anti Wall Street di anni recenti si usa stimare nell’1 per cento: un dato che le statistiche sulla distribuzione della ricchezza confermano. Essa iniziò quindi un feroce quanto sistematico attacco a qualsiasi cosa avesse attinenza con l’uguaglianza, previa una preparazione che risaliva addirittura agli anni Quaranta.
(…) Quando parlo di pensiero critico, che costituisce la perdita numero due, mi riferisco a una corrente di pensiero che oltre al soggiacente ordine sociale mette in discussione le rappresentazioni della società diffuse dal sistema politico, dai principali attori economici, dalla cultura dominante nelle sue varie espressioni, dai media all’accademia. La tesi da cui tale corrente è (o era) animata è che le rappresentazioni della società predominanti in un paese distorcono la realtà al fine di legittimare l’ordine esistente a favore delle élite o classi che formano tra l’1 e il 10 per cento della popolazione. È una tesi che ha una lunga storia. È stata formulata tra i primi da Machiavelli; ha toccato un vertice di spessore e complessità con Marx e poi con la teoria critica della società, elaborata dalla Scuola di Francoforte tra gli anni Venti e Cinquanta; si è prolungata in Italia con Gramsci e in Francia con Bourdieu e Foucault, sin quasi ai giorni nostri.
La suddetta tesi trova una clamorosa conferma nella società contemporanea, a cominciare dalla nostra. La rappresentazione di quest’ultima che vi propongono i giornali, la Tv, i discorsi dei politici, le scienze economiche, la stessa scuola, l’università, sono soltanto contraffazioni della realtà, elaborate a uso e consumo delle classi dominanti. È la funzione che svolgono quotidianamente le dottrine neoliberali. E guai se uno osa contraddirle. Il richiamo alle distorsioni che l’enorme aumento della disuguaglianza ha prodotto in campo sociale, politico, morale, civile, intellettuale viene confutato con l’idea che l’arricchimento dei ricchi solleva tutte le barche – laddove un minimo di riguardo all’evidenza empirica mostra che nel migliore dei casi, ha scritto un economista americano, esso solleva soltanto gli yacht.
(…) Al posto del pensiero critico ci ritroviamo, come si è detto, con l’egemonia dell’ideologia neoliberale, la sua vincitrice. È un’ideologia strettamente connessa all’irresistibile ascesa della stupidità al potere. È l’impalcatura delle teorie e delle azioni che prima hanno quasi portato al tracollo l’economia mondiale, poi hanno imposto alla Ue politiche di austerità devastanti per rimediare a una crisi che aveva tutt’altre cause – cioè la stagnazione inarrestabile dell’economia capitalistica, il tentativo di porvi rimedio mediante un accrescimento patologico della finanza, la volontà di riconquista del potere da parte delle classi dominanti. Oltre alla crisi ecologica, che potrebbe essere giunta a un punto di non ritorno.
Resta pur vero che senza l’apporto di una dose massiccia di stupidità da parte dei governanti, dei politici, e ahimè di una porzione non piccola di tutti noi, le teorie economiche neoliberali non avrebbero mai potuto affermarsi nella misura sconsiderata che abbiamo sott’occhio.
(…) Pensate a quanto è successo nell’autunno 2014. All’epoca i disoccupati sono oltre tre milioni. I giovani senza lavoro sfiorano il 45 per cento. La base produttiva ha perso un quarto del suo potenziale. Il Pil ha perso 10-11 punti rispetto all’ultimo anno prima della crisi. E che fa il governo? Si sbraccia allo scopo di introdurre nella legislazione sul lavoro nuove norme che facilitino il licenziamento, riprendendo idee e rapporti dell’Ocse di almeno vent’anni prima. Come non concludere che siamo dinanzi a casi conclamati di stupidità? (o forse di malafede: discutere di come licenziare con meno intralci legali è anche un modo per non discutere dei problemi di cui sopra. Lascio a voi il giudizio).
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IL LIBRO. La News on line DIRITTI GLOBALI anticipa un brano da “Il denaro, il debito e la doppia crisi”
di Luciano Gallino (Einaudi, pagg. 200, euro 18)
SALVIAMO IL MARTINI
di Silvio Trudu*
Ho frequentato il Martini, nella sua sede storica di via Sant’Eusebio, a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 in una fase storica che, semplicisticamente, viene spesso configurata come momento di passaggio tra il periodo dell’idealismo e quello del consumismo. Sono stati, comunque la si veda, anni di forti cambiamenti che cominciavano a intravedersi anche nel mondo della scuola, fermo sino ad allora alla fine degli anni ’60.
Decisi di iscrivermi al Martini per questioni affettive e pratiche, poiché mio nonno, che fu co-fondatore dell’ordine dei Commercialisti, studiò in quel caseggiato, nella via sant’Eusebio, e io pensavo di proseguire con la sua stessa professione.
Inoltre, il Martini era una scuola molto conosciuta nella città, ed era citata, a livello nazionale, come un modello di scuola pubblica efficiente e innovativa, perché formava professionisti di alto livello in campo economico, artistico e scientifico, segno evidente che la preparazione fornita permetteva, a chi la acquisiva, di completare con profitto qualunque percorso universitario e di realizzarsi in ambienti lavorativi diversi.
Lì ho vissuto con passione il periodo della mia adolescenza; lì hanno contribuito a formarmi come persona bravissimi docenti, raccontandomi della vita attraverso pensatori e matematici che la avevano osservata con occhi più capaci dei miei; lì ho iniziato a gioire e soffrire per gli amori vissuti e per quelli anche solo immaginati; da lì provengono i miei più cari amici di oggi, perché essi erano i miei compagni di allora.
Nella mia gioventù io non ho mai vissuto la scuola, quella scuola, come un corpo estraneo, ma mi sono sempre sentito parte di essa, parte di una comunità con un forte senso di appartenenza, intesa come partecipazione diretta e attiva alla sua vita: al Martini, da studente, ho fatto parte degli organi collegiali, mentre mio padre, per tre anni, è stato Presidente del Consiglio di Istituto.
Questo legame, unitamente ad altri fattori, non ultimo il debito di riconoscenza che io sentii, determinarono che io scegliessi quell’Istituto, alla fine degli anni ’80, dopo sei anni di lontananza, come docente, per contribuire, nel mio piccolo, a mantenerla come io la vedo ancora oggi: una scuola speciale, popolata e vissuta da persone speciali (studenti e docenti) della quale mi onoro di far parte. Persone. Con un loro vissuto e le loro scelte; scelte nobili quanto io considero le mie di allora. Non una massa poltigliosa e informe.
Questo rappresenta per me quel piccolo mondo.
In diverse occasioni, negli ultimi decenni, l’edificio della via sant’Eusebio, è stato oggetto di forti attenzioni da parte di soggetti terzi, a causa della sua posizione privilegiata e delle sue dimensioni e rimane oggi l’ultimo baluardo dell’istruzione tecnica nella città di Cagliari, ormai quasi totalmente esclusivo appannaggio dei licei.
Recentemente una relazione stilata dai tecnici della Provincia pare che abbia suggerito l’adeguamento dei parametri relativi al carico dei solai dell’edificio (oggi in linea con norme precedenti) alla normativa attuale prevista nello specifico per i caseggiati destinati alle scuole, con conseguente trasloco degli studenti in altra sede (Besta a Monserrato).
In passato abbiamo rifiutato richieste di trasferimento apparentemente temporaneo del Martini in altre zone della città. Tali proposte, presentateci con motivazioni più o meno creative, nascondevano solo il tentativo di insediare, nell’edificio che ci ospita, altri inquilini. E lo abbiamo fatto lottando, talvolta con l’occupazione dell’edificio, talaltra accettando il compromesso dello sdoppiamento, con la creazione della sede del Besta a Monserrato.
Oggi si ripropone lo stesso problema.
Apprendo ora da fonti giornalistiche (L’Unione sarda di domenica intervista Michele Camoglio, ingegnere capo della Provincia) che è allo studio l’ipotesi di traslocare il Martini (dopo il periodo di permanenza nei locali del Besta) nell’area di via Nuoro adiacente all’edificio dove oggi è presente la caserma dei Carabinieri, dopo la costruzione di un polo scolastico che dovrebbe comprendere anche il liceo Alberti…
Ciò, pare, per permettere all’arma dei Carabinieri di occupare decine di migliaia di metri quadri tra la via Sonnino e la via Sant’Eusebio, lungo tutta la via Grazia Deledda. Uno spazio niente male.
Le motivazioni di questo Risiko le lascio all’intelligenza di chi legge.
Verità o inganno?
Nel dubbio io …
chiedo alle autorità competenti, che onorino parte di quel grande debito di riconoscenza che la città e la Provincia hanno verso il Martini, GARANTENDO che esso continui a operare nella sua sede storica, come ha fatto ininterrottamente per tante generazioni di cagliaritani. Così smentendo quel fastidioso luogo comune (a cui io naturalmente non credo) che le vede amiche dei potenti di turno e dei loro serbatoi elettorali e che descrive i loro rappresentanti ottimi riscossori e pessimi pagatori;
invito tutti coloro i quali hanno a cuore le sorti del Martini a mantenere alta la attenzione, esperendo ogni azione utile ad avere GARANZIE CERTE circa il mantenimento dell’Istituto Tecnico Economico “Pietro Martini” nella sua unica sede possibile: la via Sant’Eusebio.
Infine mi permetto di suggerire a tutti coloro i quali liquidano lo scrivente, tacciandolo di dietrologia, di guardarsi bene alle spalle, affinché questa storia non si concluda seguendo lo stesso percorso dell’ombrello di Altan: senza …logìa.
*Silvio Trudu
Docente ITES “P. Martini”
Cagliari
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