Monthly Archives: settembre 2015
Quando buttavano a mare i tram
Cagliari 2015 e Luna Scarlatta per Sergio Atzeni: Quando buttavano a mare i tram
(Dal sito ComuneCagliariNews) Dal 22 al 27 settembre 2015 letture, musica, teatro e poesia per ricordare Sergio Atzeni a vent’anni dalla sua scomparsa. Il pensiero e le parole dello scrittore nei luoghi inconsueti della città: Teatro Civico di Castello, piazza San Domenico, piazza Costituzione, Mercato di San Benedetto, Is Mirrionis e Marina Piccola. Ingresso libero a tutti gli eventi. Il progetto è ideato e realizzato dall’associazione culturale Luna Scarlatta e inserito all’interno dei Progetti in Rete per Cagliari Capitale Italiana della Cultura 2015.
Locandina e programma
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Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (3)
Su proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo oggi, dopo l’esordio del 17 scorso e il secondo racconto di ieri, il terzo di una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti, ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, sul filo della memoria, Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione .
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Rosetta Landolfi . La pelliccetta bianca
1° classificato
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Oggi sabato 19 settembre 2015
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LA NOTTE dei RICERCATORI – IL PROGRAMMA COMPLETO di UNICA. Dal 22 al 25 settembre 2015
CITTADINI ITALIANI di NAZIONALITA’ SARDA
di Francesco Casula
La brava e bella attrice sarda Caterina Murino, intervistata il 30 agosto scorso da una TV, alla domanda della conduttrice: ”È vero che tu non ti consideri Italiana?” risponde: ”assolutamente, non sono Italiana sono Sarda”.
In realtà l’affermazione della Murino può sorprendere solo chi si attarda a confondere Stato con Nazione. Noi infatti siamo cittadini italiani – sia pure obtorto collo e senza avere mai scelto di esserlo – ma di nazionalità sarda.
Oltretutto il “sentimento” della Murino è largamente presente fra i sardi. Ricordo che nel 2012, in un sondaggio (curato dall’Università di Cagliari e da quella di Edimburgo e finanziato dalla Regione sarda, circa l’atteggiamento dei Sardi nei confronti della propria identità) era emerso che il 27% si sente sardo e non italiano; il 38% più sardo che italiano; il 31% tanto l’uno che l’altro e solo il 3% più italiano che sardo e l’1% esclusivamente italiano.
Ma si tratta solo di un “sentimento”, di un “umore”? O, meglio, di un ri-sentimento e di un mal-umore nei confronti dello Stato italiano, storicamente ostile nei confronti dell’Isola? O sta maturando una nuova consapevolezza e coscienza della propria “diversità” e “specificità” e persino dell’essere “Nazione”? Io credo di sì. E viene da lontano.
La Sardegna, storicamente, è entrata, coattivamente, nell’orbita italiana – a parte la parentesi pisana e genovese nei secoli XI-XIII – solo agli inizi del 1700 quando viene ceduta al Piemonte, per un baratto di guerra. Per il resto ha avuto una etno-storia, peculiare e dissonante rispetto alla coeva storia italiana ed europea.
L’espressione “nazione sarda” comincia a ricorrere con frequenza e poi sempre più insistentemente in documenti (trattati e carte diplomatiche) che accompagnano le relazioni e i conflitti fra il Giudicato di Arborea e il regno d’Aragona.
L’uso del termine nazione sarda è comprovato dalle carte della corona di Arborea e sarà alla base di quel monumento storico, giuridico e linguistico della Carta de Logu.
La lotta sanguinosa fra naciò sardesca e naciò catalana non si può però considerare chiusa con la battaglia di Sanluri: infatti, affermatosi definitivamente il dominio aragonese a seguito della sconfitta dell’ultimo marchese di Oristano Leonardo Alagon, la contrapposizione fra naciò sarda e naciò catalana non scompare.
L’intellighenzia isolana, dal canto suo, se una parte rimane accecata di fronte agli splendori dell’impero spagnolo e da ascara si prostra servilmente ad esso ed evita con grande cura lo stesso termine di nazione sarda, il poeta Araolla alle lingue castigliana e catalana contrappose la lingua sarda con cui si inizia a delineare un embrionale coscienza del rapporto fra nazione e lingua. Che sarà ancor più forte nello scrittore Gian Matteo Garipa:”Totas sas nationes iscrien & istampan libros in sas proprias limbas naturales insoro…disijande eduncas de ponner in platica s’iscrier in sardu pro utile de sos qui non sun platicos in ateras limbas, presento assos sardos compatriotas mios custu libru”.
Invito a notare i termini, estremamente chiari e significativi: parla di lingua naturale – oggi diremmo materna – che tutte le nazioni, compresa la sarda, hanno il diritto-dovere di utilizzare per rivolgersi ai “compatrioti”, ovvero ai sardi, abitanti dunque della stessa “patria”.
Ma è soprattutto alla fine del ‘700, nel vivo dello scontro politico e sociale che prende sempre più corpo l’idea di nazione sarda. Ad iniziare dal triennio rivoluzionario che vedrà protagonista principale Giovanni Maria Angioy quando i Sardi, prendono coscienza di sé e del proprio essere “popolo” e “nazione”, prima quando si battono con successo contro l’invasione francese poi quando cacciano i piemontesi da Cagliari il 28 Aprile 1794.
Il senso di “appartenenza” e di “nazione sarda” sarà fortemente presente nella stampa e negli scritti di quel periodo di grandi cambiamenti. Ancor più forte sarà il sentimento di “popolo sardo” e di “comunità nazionale” nell’Inno di Francesco Ignazio Mannu Su patriota sardu a sos feudatarios , in cui l’istanza dell’abolizione del giogo feudale si coniuga con un atteggiamento anticoloniale e un sentimento nazionale sardo.
E ancor più chiaramente tale “Identità sarda” emerge nel Memoriale di Angioy in cui l’Alternos cerca di cogliere e di interpretare i tratti distintivi, peculiari e originali della individualità sarda, cominciando dal quadro geografico e morfologico, proseguendo con cenni sugli usi, i costumi, le tradizioni, i rapporti comunitari. Con approdo dell’esperienza e della riflessione angioyna nell’esilio parigino a una repubblica sarda indipendente.
L’ingresso della Sardegna nella compagine statale unitaria, la conseguente imposizione dell’uniformismo centralistico da parte dello Stato italiano non porta alla completa omologazione o alla scomparsa di quella forte caratterizzazione individuale dell’Isola che viene messa in rilievo soprattutto nella memorialistica della seconda metà dell’Ottocento. Ma che soprattutto emergerà sul fronte nel primo conflitto mondiale con la Brigata Sassari.
A questo proposito infatti – scrive Lilliu – “Forse sarebbe utile approfondire l’analisi delle gesta belliche della Brigata Sassari nella penultima grande guerra, demitizzandola nel ruolo assegnatole dalla politica e dalla storiografia nazionalistica e fascista, di fedele e strenuo campione di amor patrio italiano. Resistendo sui monti del Grappa, guidati e formati ideologicamente da ufficiali, come Lussu, nei quali urgevano violentemente, sino a forme ritenute quasi di indipendentismo, le istanze dell’autonomia isolane, i fanti della Brigata, combattendo contro lo straniero austro-ungarico-tedesco, riassumevano tutti gli antichi combattimenti contro tutti gli stranieri conquistatori colonizzatori e sfruttatori della loro terra, comprendendo fra essi, forse gli stessi “piemontesi”, fondatori dello stato centralista e unitarista italiano. In tal senso, il momento della Brigata, può essere ritenuto una trasposizione in suolo nazionale della resistenza sarda di secoli”.
Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (2)
Su proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo oggi, dopo l’esordio di ieri, il secondo di una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti, ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, sul filo della memoria, Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione. .
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Nella Senis
Sant’Avendrace
Mi chiamo Nella Senis e sono nata 74 anni fa nel quartiere di Sant’Avendrace. Sono andata via a 37 anni ma il rione l’ho portato sempre nel cuore.
Sant’Avendrace, quando ero bambina, era come un paese. Gli abitanti erano artigiani e pescatori. Il nostro “mare” era lo stagno, nelle case dei pescatori si facevano le reti, le nasse, i palamidi e tutte le altre attrezzature che servivano alla pesca. Gli arsellai andavano nelle case a vendere per pochi soldi le arselle appena pescate. A parte l’odore dello stagno tutto il viale profumava delle fave lesse che vendeva Giacomino.
Quasi tutte le case allora avevano un cortile interno e chi poteva faceva il pane e i dolci nel forno a legna.
Nel viale la domenica sembrava sempre festa. Allora passava il tram e venivano apasseggiare i giovani degli altri rioni. A Sant’Arennara i divertimenti erano pochi ma per fare festa bastava una chitarra, una fisarmonica o un giradischi. In qualche famiglia, per far contenti i figli, si spostavano i mobili per ballare tutti insieme: era una cosa bella e pulita. Io abitavo in Vico IV con mio padre, mia madre, due sorelline e un fratellino. Oggi Vico IV, come l’ho conosciuta io, non c’è più: hanno fatto un deposito di pullman.
In tempo di guerra Vico IV era un passaggio libero per salire al monte, dove c’erano le grotte in cui si rifugiava la gente del quartiere durante le incursioni aeree. Noi ci rifugiavamo nella grotta che dal monte portava a via Is Maglias. Ce n’erano altre più piccole: sa Grutta de Su Pastori e sa Grutta de Su Stiddiu.
Nel dopoguerra queste grotte vennero abitate da persone senza alloggio.
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Caritas: dentro e fuori dal carcere. Indagine della popolazione straniera detenuta negli istituti di pena della Sardegna
Presentazione della ricerca “Caritas: dentro e fuori dal carcere. Indagine sulla popolazione straniera detenuta negli istituti di pena della Sardegna”
Sabato 19 settembre 2015 alle ore 9.30 presso l’Auditorium San Domenico (via Lamarmora, Oristano) sarà presentata la ricerca Caritas: dentro e fuori dal carcere. Indagine della popolazione straniera detenuta negli istituti di pena della Sardegna, realizzata dalla Delegazione regionale Caritas Sardegna, nell’ambito del convegno organizzato dalla stessa Delegazione in collaborazione con la Conferenza regionale Volontariato Giustizia della Sardegna.
- Locandina e COMUNICATO STAMPA (segue)
Oggi venerdì 18 settembre 2015
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LA NOTTE dei RICERCATORI – IL PROGRAMMA COMPLETO di UNICA. Dal 22 al 25 settembre 2015
Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (1)
Su proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo a partire da oggi una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti, ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, sul filo della memoria, Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione. Noi li riproduciamo nello stesso ordine. Ma tutto è ben spiegato nella introduzione al libro della presidente dell’Associazione ANTEAS, Elena Sitzia, che lo ha edito con il contributo del Comune di Cagliari. Purtroppo per difficoltà tecniche non possiamo riportare le foto che corredano il libro. Cercheremo di rimediare scovandone altre comunque pertinenti nel nostro archivio e nel vasto mare di Google. Buona lettura a cominciare da oggi.
I racconti che seguono hanno tutti partecipato al 1° concorso letterario “UNA FOTO, UNA PAGINA DI VITA. RACCONTIAMO” indetto dall’ANTEAS territoriale di Cagliari di Via Satta col patrocinio del Comune di Cagliari, Assessorato alle Politiche Sociali, nel 2010 e sono stati raccolti in una pubblicazione andata ormai esaurita.
Si è conclusa anche la seconda edizione di cui si è in attesa di pubblicarne la raccolta.
La dizione “Concorso letterario” potrebbe apparire eccessiva, sia considerato l’ambito dei partecipanti, sia la modestia degli stessi. L’iniziativa aveva infatti l’obiettivo di consentire a chi voleva di esprimersi raccontando liberamente un episodio di vita vissuta che ritenevano meritevole, per qualunque motivo, di essere ricordato, e di farlo in un confronto alla pari sia sotto il profilo delle capacità espressive, sia sotto il profilo del periodo di riferimento.
Il risultato è stato un interessante spaccato di come si viveva nel dopoguerra a Cagliari e nei paesi dell’interno, raccontati con la semplicità di chi li ha vissuti ormai da tempo e con la consapevolezza di aver contribuito a superare quelle situazioni fino ai livelli di vita attuali.
La pubblicazione inoltre ha il merito di consacrare semplici ricordi di vita vissuta in una raccolta che, pur non avendo velleità letterarie nel senso classico, ha una valenza umana e sociale decisamente importante per poter leggere quei periodi, raccontati dai protagonisti, al di là delle cronache e dei testi ufficiali.
Nel rispetto di questo spirito che ha animato l’iniziativa che promuoviamo con favore la pubblicazione dei racconti stessi e auguriamo a tutti una buona lettura e buon godimento dei momenti e delle situazioni in essi ricordati.
LA PRESIDENTE Elena Sitzia
Associazione Nazionale Terza Età Attiva per la Solidarietà
Iscritta al N°1664 del Reg. Gen. Regionale di Volontariato
ONLUS – C.F. 92149260926 – Via S.Satta,116-09128 Cagliari Tel.070/4682131-Tel.Fax 070/401904, e-mail: anteascagliari@alice.it
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Assunta Pittalis
Amo Cagliari
“Anno 1949 Cagliari” – Ottobre 1949, scuola di Sant’Avendrace, Speranza Pittalis si presenta alla V° elementare, grembiule nero e fiocco rosso trasferita dalla Maddalena con tutta la famiglia per problemi di lavoro.
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con gli occhiali di Piero e la lampada di Aladin
- Su Aladinpensiero un 17 di settembre.
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Oggi GIOVEDI’ 17, alle ORE 19, presso il Ghetto, in Castello, verrà ricordato Serafino CANEPA. non solo con parole, ma anche con la sua musica e le sue immagini.
Ecco un ricordo di Serafino scritto da Francesco Cocco su Democraziaoggi.
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Oggi, giovedì 17 settembre 2015
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LA NOTTE dei RICERCATORI – IL PROGRAMMA COMPLETO di UNICA. Dal 22 al 25 settembre 2015
Europa, Europa…
Rilanciare il processo di costruzione dell’Europa politica con un piano unitario per l’accoglienza dei migranti.
di Vanni Tola
La giornata di martedì, 15 settembre, ha un significato particolare nel panorama politico europeo. Ha sancito l’inconsistenza o, se preferite, l’inesistenza dell’Europa politica, la mancanza di obiettivi politici unificanti intorno ai quali realizzare e concretizzare l’idea stessa di Unione Europea teorizzata dai padri dell’europeismo. L’Europa, molti lo denunciano da tempo, al momento è soltanto una entità economico-finanziaria creata intorno alla moneta unica euro e tenuta insieme dalle scelte della Banca Centrale Europea. Al di fuori da tale ambito l’Unione non esiste, non decolla un progetto di unione politica, di scelte condivise, di stati uniti d’Europa. In sole tre settimane si sono registrate una serie infinita di cambiamenti di fronte che, se pure aprono qualche spiraglio di ottimismo, evidenziano la inconsistenza del progetto unitario del vecchio continente. La questione del profughi, dopo essere stata confinata a problema geopolitico limitato alla sola Europa mediterranea, si è manifestato in tutta la sua portata come fenomeno straordinario e duraturo che coinvolge l’intero continente. La Germania della Merkel, con un incredibile cambiamento di rotta, ha mostrato per prima di aver colto la complessità del problema e ha risposto dichiarando e mettendo in pratica delle scelte di grande apertura in termini di accoglienza. Per conseguenza si sono intensificati gli arrivi di profughi che ormai non arrivano più e soltanto dal mare ma anche attraverso altre vie, attraversando diversi paesi dell’est europeo. E’ a questo punto che esplodono le contraddizioni finora dormienti. Una consistente parte dell’Unione dichiara esplicitamente che non intende accogliere profughi e neppure consentirne il transito verso altri paesi. Ricompaiono i confini chiusi da filo spinato e sorvegliati dall’esercito che ricordano ai meno giovani un triste passato fatto di divisioni, guerre, muri. Un’altra parte dell’Europa invece si mobilita con slancio per realizzare la migliore accoglienza possibile dei profughi. La gente in particolare, superando i ritardi dei politici, si mobilita con entusiasmo, accoglie i profughi con affetto e simpatia, offre ospitalità nelle case. Due realtà diverse e contrapposte che andrebbero raccordate. Si propone di formalizzare e applicare il criterio della cittadinanza europea superando i vecchi trattati che, nei fatti, confinavano i migranti nel paese di prima accoglienza limitandone la circolazione in Europa. Si ripropone il criterio della ripartizione dei migranti fra i diversi paesi dell’Unione sulla base di quote obbligatorie di accoglienza. E arriviamo alla giornata di ieri, agli incontri tra i paesi dell’Unione durante i quali diversi paesi dell’est Europa ripropongono con forza la loro scelta di non accogliere migranti rendendo irrealizzabile il progetto unitario di accoglienza che si andava delineando. L’Unione europea, sulla questione dei migranti mostra cosi il nanismo politico del gigante economico realizzato intorno all’euro. Ora l’intera vicenda della accoglienza è demandata alla riunione urgente dei capi di governo che si terrà la prossima settimana nel tentativo di produrre una qualche scelta umanitaria mentre l’Ungheria e altri paesi blindano i loro confini e arrestano i migranti che li violano, mentre continuano gli sbarchi, le drammatiche vicende di uomini, donne e bambini sempre più disperati e mentre paesi quali l’Austria, alcuni paesi del nord Europa e perfino la Svizzera ribadiscono volontà e disponibilità ad accogliere di più e meglio. L’Italia fa la sua parte in termini di accoglienza in tutte le regioni, comprese quelle controllate dalla Lega ma continuano le provocazioni delle forze politiche razziste e xenofobe locali alla disperata ricerca di consensi elettorali fondati su disinformazione e paure della gente. L’ultima in ordine di tempo la scelta di togliere i finanziamenti della regione Lombardia a quelle strutture alberghiere che, rispondendo all’appello del Ministero dell’Interno, dovessero concedere ospitalità ai migranti.
Commentando il fallimento della riunione europea del 15 settembre, che avrebbe dovuto definire il progetto delle quote di accoglienza dei profughi, il vice cancelliere tedesco ha dichiarato che con tale fallimento l’Unione europea si è coperta di ridicolo dando un’immagine negativa dell’Europa e generando in alcuni paesi dell’Unione leggi restrittive della libera circolazione degli individui che fanno arrossire e delle quali ci si dovrebbe vergognare. Questa la situazione a tutt’oggi, ora non resta che attendere nuovi sviluppi dal prossimo incontro straordinario dei paesi dell’Unione sperando che la logica, la ragione e l’idea di costruire un’Europa politica si concretizzino attraverso scelte politiche illuminate.
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Per correlazione
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Giulio Sapelli su Il Messaggero. Tra euro e profughi. L’agonia dell’Europa che ha perso i suoi valori
L’esclusivismo etnico e la storia che ci sorpassa
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto/ 14 settembre 2015/ Società & Politica/
“Il faut réfléchir comment l’histoire nous dépasse“. Lo scriveva un mio amico sulla sua bacheca di Fb raccontando lo sconcerto di una funzionaria greca della Commissione Europea davanti alla tragedia dei rifugiati-migranti. Centinaia di migliaia di persone che premono alle nostre frontiere. La fotografia del bambino curdo in una spiaggia turca commuove il continente e costringe frau Merkel ad aprire le frontiere tedesche ai rifugiati siriani. Qualsiasi interpretazione si voglia dare, quel gesto politico cambia l’Europa e ne mostra il limite. Eravamo rimasti alla divisione Nord Sud sull’economia, ed ora ci ritroviamo anche con quella Ovest Est sui valori.
La vecchia e nuova Europa, come ai tempi della guerra contro Saddam Hussein. Da una parte la Germania, Austria, Svezia, Francia, Italia, Spagna e Grecia e dall’altra Polonia, Cechia, Slovacchia ed Ungheria che chiudono le frontiere, dichiarano che non accoglieranno nessuno. In Polonia si manifesta nelle piazze contro l’accoglienza. L’Ungheria accusata di pratiche neonaziste per il muro al confine, i treni blindati, i campi di concentramento, l’uso dei reparti anti sommossa, i lanci di panini e bottiglie d’acqua sugli stranieri chiusi in gabbia. Un’apocalisse della nostra umanità. Quei paesi sono entrati frettolosamente nella Ue senza avere riflettuto seriamente sulla loro storia. Vittime degli espansionismi tedeschi e russi degli ultimi due secoli, ora sono diventati gelosi della loro etnicità esclusiva. Si sentono difensori di una identità omologante, incapaci di dialogare con il diverso.
L’Ungheria in più distribuisce passaporti agli ungheresi cittadini dei paesi limitrofi, nel sogno di poter rimettere in discussione i confini stabiliti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Il Governo di Orbán si erge a difensore della civiltà cristiana immaginaria. Un’apocalisse come rivelazione della realtà che tocca noi sardi nel profondo. Occorrerebbe riflettere per l’irruzione della Storia e del mutamento in noi e nei nostri parametri di giudizio.
Occorrerebbe riflettere come i soliti cinici per calcoli di bottega politica usino questi drammi per instillare paure, mettendo contro bisogni legittimi della povertà dei locali e il dovere umano di aiutare chi fugge dalla morte. Perché anche da noi si notano segni pesanti di rifiuto della realtà. Nascono movimenti che usano la retorica identitaria per marcare confini.
Un’identità che si immagina ferma ed immutabile, il sogno di un comunitarismo cerchio caldo, per usare la brillante definizione di Göran Rosemberg. Una concezione dell’identità simile a quella dei teorici waabiti dell’Isis. Saremo salvi se non ci saranno contaminazioni, se tutti si riconosceranno come i-dentici. Perché ciò avvenga è necessario costruirsi sempre è comunque come vittime – il collettivo Wu Ming, ha scritto un articolo illuminante a proposito- di un presente che non si riesce a capire e di un passato raccontato sempre con il mito della perdita. Perché l’oggi, grazie a Tv e reti sociali, induce un tempo schiacciato sul presente, una rimozione della memoria che impedisce ogni elaborazione che sia riflessione, che sia razionalità e non semplice razionalizzazione.
Ad esempio, ogni fatto terroristico viene sottolineato con un “Da oggi siamo in guerra”. Il conflitto permanente come instrumentum regni. Ogni sbarco vissuto come invasione. Una forma sofisticata di controllo sociale che comincia con l’essere sottoposti continuamente a narrazioni manipolate, ad una incessante riproposizione di video e messaggi violenti che oltre a indurre assuefazione abbassano pericolosamente il confine della percezione dell’orrore, fino ad essere il rumore di fondo della nostra psiche. L’indignazione come corollario, il sentimentalismo e non il sentimento. Le passioni fredde che uccidono l’empatia. Tv e reti sociali il luogo eletto per un continuo lavaggio del cervello che si traduce in senso comune di ostilità nei confronti di chi è diverso, povero, fugge.
Un bisogno di ordine che somiglia molto al ritorno nel grembo materno. La sindrome del ritiro, la chiama così lo psicanalista Luigi Zoia. Una realtà che mi preoccupa molto come sardo; come la nostra nazione ad identità debole si lascia traviare in una deriva etnica esclusiva, che immagini l’appartenenza solo legata a sangue e terra, con il corollario della folklorizzazione incessante. Questo governo regionale, bloccando ogni intervento per la crescita del sardo come lingua normale, ha creato uno degli elementi che accentuano l’identità labile dei sardi. Le azioni di governo che non difendono la nostra terra dal Land Grabbing, sono ulteriori fatti che inducono il senso della perdita. Su quello i teorici dello scontento potranno costruire il rifiuto dell’altro indicato come causa di tutti i mali. Da quella rabbia il nostro inconscio collettivo potrà produrre il mostro.
L’Orbán in vellutino aspetta solo l’occasione giusta per manifestarsi. Occorre riflettere su come la Storia ci sorpassi. Non siamo riusciti a prevederla, ma almeno cerchiamo di fare in modo che non ci travolga e ci muti in peggio per sempre.
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Ben vengano i “barbari”
di Umberto Cocco
By sardegnasoprattutto / 15 settembre 2015/ Società & Politica/
Tutto accade troppo tardi, chi non lo vede? Arriva tardi la coscienza dell’Europa, o di una sua parte, davanti alle migrazioni che la penetrano. Anche l’articolo di Nicolò Migheli arriva tardi… Ma è il primo che proviene da quel mondo, è così sincero e così sinceramente autocritico, che il riferimento alle colpe altrui, il Land Grabbing, etc., sembra un inciampo nel ragionamento, forse un riflesso condizionato.
Tutte le versioni dell’indipendentismo, del sovranismo, del sardismo, sembrano così fuori tempo in queste settimane. I nazionalismi che rialzano la testa in Europa come vede bene Migheli hanno un inquietante profilo, salvo forse che in Scozia. Ma tutti sembrano ideologie obsolete, con le quali ora è pericoloso baloccarsi, alla vigilia di uno sconvolgimento delle nostre società dove il peggio può venire dal confronto-scontro di identità, le nostre e le loro.
Si vedeva da lontano che la moltiplicazione dei movimenti indipendentisti e sovranisti coincideva con la caduta della presa reale di quella prospettiva sulla società sarda. Secolarizzata, smagata, subalterna a modelli culturali e sottoculturali prodotti altrove, e che mentre distrugge ogni tratto di autonomia propria anche personale e comunitaria (le case, la lingua, il paesaggio, i beni culturali) e non produce nemmeno più beni per il proprio autoconsumo, si ubriaca di retorica, di folclore, costumi sardi a processioni dal Redentore a piazza San Pietro (gli insegnanti dal Papa), all’Expo dove molti sardi si sono vergognati di essere rappresentati così, e io con loro.
Poca e nessuna autonomia e figurarsi indipendentismo, ma il petto gonfio di aria, ogni segno identitario volgarizzato e pompato con un autocompiacimento che fa tristezza e non credo si ricordi a questi livelli di pervasività nei 50 anni passati. (Che ci fa l’assessore Morandi nelle foto sui giornali affiancato a donne in costume e maschere di carnevale fuori contesto? Che sorriso si mette in faccia, perché?
A nessuno della giunta regionale o comunale è venuto in mente di farsi fotografare con Francesco Cucca? Leggete la Repubblica di oggi, ne scrive Elena Cattaneo, nientemeno).
Scusate lo sfogo. E’ anche perché non si sta meglio a sinistra. E’ una democristiana tedesca la leader più coraggiosa di questa fase, dopo il Papa cattolico. Tutte le altre posizioni, le cautele, le chiacchiere di Renzi, saranno spazzate via, e le velleità alla Syriza, ahimè, pure, e speriamo non anche Corbyn.
Anche per cambiare questa esausta società sarda, le stanche società europee, ben vengano i barbari, si potrebbe dire con il poeta.
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Beethoven, Inno alla Gioia
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Europa, Europa… Una piccola proposta di grande significato simbolico: dovunque possibile, insieme agli inni sardo e italiano, sia eseguito l’inno europeo, l’inno alla gioia!
A proposito di Inno alla Gioia, inno europeo, ricordiamo quanto detto in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università della Sardegna-Università di Sassari: (…) – Benissimo l’inno sardo “Procurade ‘e moderare” eseguito dopo quello italiano. Annotiamo che ci sarebbe stato bene anche l’Inno alla gioia di Beethoven, che, come è noto, è l’inno dell’Unione Europea, sebbene forse non ufficiale, come peraltro non è ufficiale l’inno sardo.
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Il ruolo di Cagliari per l’Europa che vogliamo
di Franco Meloni
Un tempo contestando il malgoverno della cosa pubblica in diverse realtà si diceva che anche la sola “buona amministrazione” costituisce di per se un fatto rivoluzionario. Mi è venuto in mente pensando all’esperienza amministrativa del sindaco di Cagliari Massimo Zedda e della sua Giunta. Fare una buona amministrazione per la nostra città come il sindaco ha cercato di fare ha aspetti positivi a vantaggio dei cittadini cagliaritani. E di questo occorre dare atto, come abbiamo fatto in diverse circostanze. Ma certamente non basta. L’amministrazione Zedda ha finito per rinchiudersi nell’ambito dell’ordinario, senza azzardare progetti strategici di lungo respiro dei quali la città ha invece ineludibile bisogno, pena l’acuirsi di processi di decadenza e marginalità. Ecco perché si avverte l’inadeguatezza degli attuali amministratori unita alla non credibilità che siano in grado di prospettare esiti diversi per il futuro. Cagliari non ha finora saputo esercitare quel ruolo decisivo che le compete: di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone (e dovrebbe poter disporre in misura maggiore) di risorse specifiche, che, al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate, cioè a tutti i sardi. In Sardegna abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase, come necessità, non certo, purtroppo, come visioni politiche egemoni e concrete realizzazioni e come attuale classe dirigente in grado di farsene carico. Al riguardo è richiesto soprattutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade debba essere l’Europa, non certo l’attuale Europa, che in questa fase storica sta dimostrando la sua inadeguatezza, proprio perché chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli, capace di accogliere nuove genti e con esse rigenerarsi. In questo recuperando i valori delle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione o Federazione di Stati è solo ancora un sogno, e l’integrazione politica rischia di arretrare anche rispetto agli scarsi attuali livelli.
Allora Cagliari deve conquistare sul campo il ruolo di “città capitale”, sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa, della quale può rappresentare in certa parte le politiche per il Mediterraneo (soprattutto della sua sponda sud). Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro la stessa “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.
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Europa, Europa…
Rilanciare il processo di costruzione dell’Europa politica con un piano unitario per l’accoglienza dei migranti.
di Vanni Tola
La giornata di ieri, 15 settembre, ha un significato particolare nel panorama politico europeo. Ha sancito l’inconsistenza o, se preferite, l’inesistenza dell’Europa politica, la mancanza di obiettivi politici unificanti intorno ai quali realizzare e concretizzare l’idea stessa di Unione Europea teorizzata dai padri dell’europeismo. L’Europa, molti lo denunciano da tempo, al momento è soltanto una entità economico-finanziaria creata intorno alla moneta unica euro e tenuta insieme dalle scelte della Banca Centrale Europea. Al di fuori da tale ambito l’Unione non esiste, non decolla un progetto di unione politica, di scelte condivise, di stati uniti d’Europa. In sole tre settimane si sono registrate una serie infinita di cambiamenti di fronte che, se pure aprono qualche spiraglio di ottimismo, evidenziano la inconsistenza del progetto unitario del vecchio continente. La questione del profughi, dopo essere stata confinata a problema geopolitico limitato alla sola Europa mediterranea, si è manifestato in tutta la sua portata come fenomeno straordinario e duraturo che coinvolge l’intero continente. La Germania della Merkel, con un incredibile cambiamento di rotta, ha mostrato per prima di aver colto la complessità del problema e ha risposto dichiarando e mettendo in pratica delle scelte di grande apertura in termini di accoglienza. Per conseguenza si sono intensificati gli arrivi di profughi che ormai non arrivano più e soltanto dal mare ma anche attraverso altre vie, attraversando diversi paesi dell’est europeo. E’ a questo punto che esplodono le contraddizioni finora dormienti. Una consistente parte dell’Unione dichiara esplicitamente che non intende accogliere profughi e neppure consentirne il transito verso altri paesi. Ricompaiono i confini chiusi da filo spinato e sorvegliati dall’esercito che ricordano ai meno giovani un triste passato fatto di divisioni, guerre, muri. Un’altra parte dell’Europa invece si mobilita con slancio per realizzare la migliore accoglienza possibile dei profughi. La gente in particolare, superando i ritardi dei politici, si mobilita con entusiasmo, accoglie i profughi con affetto e simpatia, offre ospitalità nelle case. Due realtà diverse e contrapposte che andrebbero raccordate. Si propone di formalizzare e applicare il criterio della cittadinanza europea superando i vecchi trattati che, nei fatti, confinavano i migranti nel paese di prima accoglienza limitandone la circolazione in Europa. Si ripropone il criterio della ripartizione dei migranti fra i diversi paesi dell’Unione sulla base di quote obbligatorie di accoglienza. E arriviamo alla giornata di ieri, agli incontri tra i paesi dell’Unione durante i quali diversi paesi dell’est Europa ripropongono con forza la loro scelta di non accogliere migranti rendendo irrealizzabile il progetto unitario di accoglienza che si andava delineando. L’Unione europea, sulla questione dei migranti mostra cosi il nanismo politico del gigante economico realizzato intorno all’euro. Ora l’intera vicenda della accoglienza è demandata alla riunione urgente dei capi di governo che si terrà la prossima settimana nel tentativo di produrre una qualche scelta umanitaria mentre l’Ungheria e altri paesi blindano i loro confini e arrestano i migranti che li violano, mentre continuano gli sbarchi, le drammatiche vicende di uomini, donne e bambini sempre più disperati e mentre paesi quali l’Austria, alcuni paesi del nord Europa e perfino la Svizzera ribadiscono volontà e disponibilità ad accogliere di più e meglio. L’Italia fa la sua parte in termini di accoglienza in tutte le regioni, comprese quelle controllate dalla Lega ma continuano le provocazioni delle forze politiche razziste e xenofobe locali alla disperata ricerca di consensi elettorali fondati su disinformazione e paure della gente. L’ultima in ordine di tempo la scelta di togliere i finanziamenti della regione Lombardia a quelle strutture alberghiere che, rispondendo all’appello del Ministero dell’Interno, dovessero concedere ospitalità ai migranti. Commentando il fallimento della riunione europea del 15 settembre, che avrebbe dovuto definire il progetto delle quote di accoglienza dei profughi, il vice cancelliere tedesco ha dichiarato che con tale fallimento l’Unione europea si è coperta di ridicolo dando un’immagine negativa dell’Europa e generando in alcuni paesi dell’Unione leggi restrittive della libera circolazione degli individui che fanno arrossire e delle quali ci si dovrebbe vergognare. Questa la situazione a tutt’oggi, ora non resta che attendere nuovi sviluppi dal prossimo incontro straordinario dei paesi dell’Unione sperando che la logica, la ragione e l’idea di costruire un’Europa politica si concretizzino attraverso scelte politiche illuminate.
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Per correlazione
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Giulio Sapelli su Il Messaggero. Tra euro e profughi. L’agonia dell’Europa che ha perso i suoi valori
Oggi, mercoledì 16 settembre 2015
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LA NOTTE dei RICERCATORI – IL PROGRAMMA COMPLETO di UNICA. Dal 22 al 25 settembre 2015
Europa, Europa…
L’esclusivismo etnico e la storia che ci sorpassa
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto/ 14 settembre 2015/ Società & Politica/
“Il faut réfléchir comment l’histoire nous dépasse“. Lo scriveva un mio amico sulla sua bacheca di Fb raccontando lo sconcerto di una funzionaria greca della Commissione Europea davanti alla tragedia dei rifugiati-migranti. Centinaia di migliaia di persone che premono alle nostre frontiere. La fotografia del bambino curdo in una spiaggia turca commuove il continente e costringe frau Merkel ad aprire le frontiere tedesche ai rifugiati siriani. Qualsiasi interpretazione si voglia dare, quel gesto politico cambia l’Europa e ne mostra il limite. Eravamo rimasti alla divisione Nord Sud sull’economia, ed ora ci ritroviamo anche con quella Ovest Est sui valori.
La vecchia e nuova Europa, come ai tempi della guerra contro Saddam Hussein. Da una parte la Germania, Austria, Svezia, Francia, Italia, Spagna e Grecia e dall’altra Polonia, Cechia, Slovacchia ed Ungheria che chiudono le frontiere, dichiarano che non accoglieranno nessuno. In Polonia si manifesta nelle piazze contro l’accoglienza. L’Ungheria accusata di pratiche neonaziste per il muro al confine, i treni blindati, i campi di concentramento, l’uso dei reparti anti sommossa, i lanci di panini e bottiglie d’acqua sugli stranieri chiusi in gabbia. Un’apocalisse della nostra umanità. Quei paesi sono entrati frettolosamente nella Ue senza avere riflettuto seriamente sulla loro storia. Vittime degli espansionismi tedeschi e russi degli ultimi due secoli, ora sono diventati gelosi della loro etnicità esclusiva. Si sentono difensori di una identità omologante, incapaci di dialogare con il diverso.
L’Ungheria in più distribuisce passaporti agli ungheresi cittadini dei paesi limitrofi, nel sogno di poter rimettere in discussione i confini stabiliti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Il Governo di Orbán si erge a difensore della civiltà cristiana immaginaria. Un’apocalisse come rivelazione della realtà che tocca noi sardi nel profondo. Occorrerebbe riflettere per l’irruzione della Storia e del mutamento in noi e nei nostri parametri di giudizio.
Occorrerebbe riflettere come i soliti cinici per calcoli di bottega politica usino questi drammi per instillare paure, mettendo contro bisogni legittimi della povertà dei locali e il dovere umano di aiutare chi fugge dalla morte. Perché anche da noi si notano segni pesanti di rifiuto della realtà. Nascono movimenti che usano la retorica identitaria per marcare confini.
Un’identità che si immagina ferma ed immutabile, il sogno di un comunitarismo cerchio caldo, per usare la brillante definizione di Göran Rosemberg. Una concezione dell’identità simile a quella dei teorici waabiti dell’Isis. Saremo salvi se non ci saranno contaminazioni, se tutti si riconosceranno come i-dentici. Perché ciò avvenga è necessario costruirsi sempre è comunque come vittime – il collettivo Wu Ming, ha scritto un articolo illuminante a proposito- di un presente che non si riesce a capire e di un passato raccontato sempre con il mito della perdita. Perché l’oggi, grazie a Tv e reti sociali, induce un tempo schiacciato sul presente, una rimozione della memoria che impedisce ogni elaborazione che sia riflessione, che sia razionalità e non semplice razionalizzazione.
Ad esempio, ogni fatto terroristico viene sottolineato con un “Da oggi siamo in guerra”. Il conflitto permanente come instrumentum regni. Ogni sbarco vissuto come invasione. Una forma sofisticata di controllo sociale che comincia con l’essere sottoposti continuamente a narrazioni manipolate, ad una incessante riproposizione di video e messaggi violenti che oltre a indurre assuefazione abbassano pericolosamente il confine della percezione dell’orrore, fino ad essere il rumore di fondo della nostra psiche. L’indignazione come corollario, il sentimentalismo e non il sentimento. Le passioni fredde che uccidono l’empatia. Tv e reti sociali il luogo eletto per un continuo lavaggio del cervello che si traduce in senso comune di ostilità nei confronti di chi è diverso, povero, fugge.
Un bisogno di ordine che somiglia molto al ritorno nel grembo materno. La sindrome del ritiro, la chiama così lo psicanalista Luigi Zoia. Una realtà che mi preoccupa molto come sardo; come la nostra nazione ad identità debole si lascia traviare in una deriva etnica esclusiva, che immagini l’appartenenza solo legata a sangue e terra, con il corollario della folklorizzazione incessante. Questo governo regionale, bloccando ogni intervento per la crescita del sardo come lingua normale, ha creato uno degli elementi che accentuano l’identità labile dei sardi. Le azioni di governo che non difendono la nostra terra dal Land Grabbing, sono ulteriori fatti che inducono il senso della perdita. Su quello i teorici dello scontento potranno costruire il rifiuto dell’altro indicato come causa di tutti i mali. Da quella rabbia il nostro inconscio collettivo potrà produrre il mostro.
L’Orbán in vellutino aspetta solo l’occasione giusta per manifestarsi. Occorre riflettere su come la Storia ci sorpassi. Non siamo riusciti a prevederla, ma almeno cerchiamo di fare in modo che non ci travolga e ci muti in peggio per sempre.
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Ben vengano i “barbari”
di Umberto Cocco
By sardegnasoprattutto / 15 settembre 2015/ Società & Politica/
Tutto accade troppo tardi, chi non lo vede? Arriva tardi la coscienza dell’Europa, o di una sua parte, davanti alle migrazioni che la penetrano. Anche l’articolo di Nicolò Migheli arriva tardi… Ma è il primo che proviene da quel mondo, è così sincero e così sinceramente autocritico, che il riferimento alle colpe altrui, il Land Grabbing, etc., sembra un inciampo nel ragionamento, forse un riflesso condizionato.
Tutte le versioni dell’indipendentismo, del sovranismo, del sardismo, sembrano così fuori tempo in queste settimane. I nazionalismi che rialzano la testa in Europa come vede bene Migheli hanno un inquietante profilo, salvo forse che in Scozia. Ma tutti sembrano ideologie obsolete, con le quali ora è pericoloso baloccarsi, alla vigilia di uno sconvolgimento delle nostre società dove il peggio può venire dal confronto-scontro di identità, le nostre e le loro.
Si vedeva da lontano che la moltiplicazione dei movimenti indipendentisti e sovranisti coincideva con la caduta della presa reale di quella prospettiva sulla società sarda. Secolarizzata, smagata, subalterna a modelli culturali e sottoculturali prodotti altrove, e che mentre distrugge ogni tratto di autonomia propria anche personale e comunitaria (le case, la lingua, il paesaggio, i beni culturali) e non produce nemmeno più beni per il proprio autoconsumo, si ubriaca di retorica, di folclore, costumi sardi a processioni dal Redentore a piazza San Pietro (gli insegnanti dal Papa), all’Expo dove molti sardi si sono vergognati di essere rappresentati così, e io con loro.
Poca e nessuna autonomia e figurarsi indipendentismo, ma il petto gonfio di aria, ogni segno identitario volgarizzato e pompato con un autocompiacimento che fa tristezza e non credo si ricordi a questi livelli di pervasività nei 50 anni passati. (Che ci fa l’assessore Morandi nelle foto sui giornali affiancato a donne in costume e maschere di carnevale fuori contesto? Che sorriso si mette in faccia, perché?
A nessuno della giunta regionale o comunale è venuto in mente di farsi fotografare con Francesco Cucca? Leggete la Repubblica di oggi, ne scrive Elena Cattaneo, nientemeno).
Scusate lo sfogo. E’ anche perché non si sta meglio a sinistra. E’ una democristiana tedesca la leader più coraggiosa di questa fase, dopo il Papa cattolico. Tutte le altre posizioni, le cautele, le chiacchiere di Renzi, saranno spazzate via, e le velleità alla Syriza, ahimè, pure, e speriamo non anche Corbyn.
Anche per cambiare questa esausta società sarda, le stanche società europee, ben vengano i barbari, si potrebbe dire con il poeta.
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Beethoven, Inno alla Gioia
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Europa, Europa… Una piccola proposta di grande significato simbolico: dovunque possibile, insieme agli inni sardo e italiano, sia eseguito l’inno europeo, l’inno alla gioia!
A proposito di Inno alla Gioia, inno europeo, ricordiamo quanto detto in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università della Sardegna-Università di Sassari: (…) – Benissimo l’inno sardo “Procurade ‘e moderare” eseguito dopo quello italiano. Annotiamo che ci sarebbe stato bene anche l’Inno alla gioia di Beethoven, che, come è noto, è l’inno dell’Unione Europea, sebbene forse non ufficiale, come peraltro non è ufficiale l’inno sardo.
L’Università di Cagliari si apre alla città e alla Sardegna per la Notte dei Ricercatori
di Alessandro Ligas, trasferimentotec
L’Università di Cagliari si apre alla città e alla Sardegna per la Notte dei Ricercatori.
“Pensiamo sempre che il ricercatore viva nella sua “torre d’avorio”, che viva e cammini come stesse sulle nuvole. Come se avesse un “libro magico” da cui attingere. La realtà è ben diversa. Non ci sono formule segrete che facciano si che il ricercatore trasformi il suo “diabolico genio” in realtà, in qualcosa di tangibile. La ricerca è piuttosto il frutto di un processo collaborativo e cooperativo. Il ricercatore con le proprie competenze è l’attore principale della ricerca, è lui, il singolo, che la sviluppa, ma vive all’interno di un sistema, di una comunità che lo rende fecondo. La ricerca e l’innovazione diventano così impensabili come attività isolate”. La ricerca è la costruzione di una rete di “conoscenze” – In volo verso il futuro.
NOTTE DEI RICERCATORI 2015. Dal 22 al 25 Settembre l’Università degli Studi di Cagliari si apre alla sua città e alla Sardegna e mette in mostra le sue ricerche. Il prezioso contributo dato dai ricercatori dell’ateneo del capoluogo con l’obiettivo di sviluppare la società e migliorare la qualità della vita di tutti i cittadini. - segue -