Monthly Archives: agosto 2015
Paesaggio lingua madre. Non possiamo rimanere a lungo spaesati…
Segnaliamo un interessante articolo di Silvano Tagliagambe su SardegnaSoprattuto, ripreso da Aladinews Paesaggio&Ambiente, che a nostro avviso rilancia, tra l’altro, la necessità di robusti interventi formativi sul paesaggio, a carattere permanente: una Università del paesaggio (un’idea forte di Chicco Corti), una Scuola sul modello di Trento…? La Regione Sarda ha capitalizzato un’ottima esperienza con il Progetto Itaca, che oggi è realistico riproporre, con il contributo del fondi europei 2014-2020 (un’Itaca 2), trovando lo strumento più adatto per gestirlo. Ecco appunto il richiamo alla Scuola per il governo del territorio e del paesaggio di Trento o l’eventuale costituzione di una Fondazione ad hoc tra le Università sarde, perchè no aperta alla partecipazione dell’Unioncamere Sardegna. Torneremo sull’argomento
Una o più macroregioni mediterranee che la Sardegna può promuovere e candidarsi a guidare
La riflessione di Nicolò Migheli sulle macroregioni europee (che sotto riproponiamo da Sardegna Soprattutto) dalla quale emerge la proposta che la Sardegna promuova la costituzione di una “macroregione mediterranea” (così composta: per la Spagna da Catalogna, Valencia, Murcia, Aragona e Baleari; per la Francia da Languedoc-Roussillon e Corsica; per l’Italiada Sardegna, Sicilia e Toscana), che riprendiamo corredandola con un nostro contributo apparso su Aladinews il 23 giugno 2014, ci consente di sollecitare un apposito dibattito. Particolarmente necessario proprio in relazione allo stato delle proposte in campo, che non sono totalmente combacianti, come anche risulta dai due contributi pubblicati, tuttavia convergenti nell’individuazione dello strumento “macroregione” come grande opportunità di nuovo sviluppo per la Sardegna e per le altre entità coinvolgibili, Non ci possiamo permettere di sprecarla. Ci pensino innanzitutto il Consiglio e la Giunta regionale e tutti gli altri soggetti interessati. Tra questi, non ultime, le Camere di Commercio sarde e la loro Unione regionale. Al riguardo un ruolo decisivo potrà giocarlo la commissaria straordinaria della Camera di Cagliari, Paola Piras, che, nonostante il breve tempo del suo mandato, potrà invertire la deprecabile inattività e l’autoreferenzialità che hanno per troppo lungo tempo segnato il sistema camerale sardo e segnatamente la sua parte più rilevante.
Mentre Cagliari guarda Roma, sulle Alpi…
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto/ 12 agosto 2015/ Società & Politica/
Fino ad ora l’allarme dello Svimez ha prodotto un rinfocolarsi di reciproci pregiudizi. Da una parte le accuse allo stato per aver abbandonato il Sud, dall’altra il solito sprezzante giudizio sulle classi dirigenti meridionali. Entrambe le opinioni hanno una base di verità. Il governo risponde con stanziamenti, mirabolanti solo nei comunicati Tweeter. Si scopre infatti che non c’è nulla di nuovo: solo cofinanziamenti per i programmi comunitari 2014-2020.
Compartecipazione obbligatoria da parte dello stato. Senza, i fondi non potranno essere spesi. Soldi che finiranno in gran parte in Campania, Puglia, Sicilia, Calabria e Basilicata, nei documenti Ue meno sviluppate. Abruzzo Molise e Sardegna, in transizione per le stesse classificazioni, prenderanno molto meno. Un’ulteriore dimostrazione che l’accorpamento Mezzogiorno non ha più senso, se non nelle stanche abitudini di certi commentatori. Tanto meno per la Sardegna, per ragioni geografiche, storiche, di capitale sociale, cultura e lingua.
In quei stessi giorni, la Ue approvava EUSALP, macro regione europea delle Alpi. Ne fanno parte le regioni tedesche Baviera e Baden Wutemberg; le francesi Provenza-Alpi-Costa Azzurra (PACA), Rodano-Alpi, Franca Contea. Lombardia, Piemonte, Liguria, le provincie autonome di Trento e Bolzano, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia per l’Italia. Austria e Slovenia e come regioni associate, Svizzera e Liechtenstein. Settantacinque milioni di abitanti e il Pil pro capite tra i maggiori del continente. Obbiettivi di EUSALP: promuovere innovazione e sostenibilità, sviluppo territoriale, tutela del patrimonio alpino e delle risorse naturali e culturali. Programmi ambiziosi che lasciano intravedere la creazione di un nucleo oltre gli stati nazionali. Sono in arrivo la macroregione baltica, quella del Danubio e Adriatica-Jonica. È in atto un cambiamento che determinerà quale Europa e come volerla.
La Sardegna dal 1996 fa parte di IMEDOC, con Sicilia, Corsica e Baleari. Una macroregione che nell’Ue ha rivendicato, con scarsi risultati, solo il riconoscimento dell’insularità. Uno strumento che la politica sarda ha considerato marginale. Gli occhi sempre rivolti a Roma, percepita come alfa ed omega dei nostri destini. A questo punto però occorre ragionare in maniera diversa. Avere un approccio strategico. Quindi considerare quella che fino ad ora era politica estera dello stato, come politica propria. Se gli interlocutori, quelli che possono realmente determinare il nostro futuro stanno a Bruxelles, è lì che bisogna rivolgersi.
La Sardegna, regione e non stato indipendente, ha una forza limitata, ciò non toglie che possa farsi promotrice di un’aggregazione del Mediterraneo occidentale. Sarebbe come riprendere i rapporti storici che l’isola ha avuto per settecento anni, fino all’avvento dei Savoia. Basterebbe trasformare IMEDOC ed allargarla alle regioni sul mare. Per la Spagna le Comunità autonome: Catalogna, Valencia, Murcia e le Baleari. Benché non rivierasca, l’Aragona andrebbe inserita per ragioni storiche. Per la Francia Languedoc-Roussillon e Corsica. Per l’Italia, Sardegna, Sicilia e Toscana. Questa, nelle programmazioni europee, ha fatto parte di numerosi programmi INTERREG con le regioni citate.
Si avrebbero circa 23 milioni di abitanti e molti programmi comuni da affrontare: salute del mare, ricerca, agroalimentare, artigianato di qualità, sostenibilità e sviluppo rurale; beni culturali, salvaguardia degli ambienti naturali e delle culture autoctone. Pilastri strategici della politica europea. La regione che potrebbe promuovere questa nuova aggregazione potrebbe essere la Sardegna. In questi anni con i programmi INTERREG, la cooperazione internazionale del Programma LEADER, l’iniziativa euro mediterranea dell’EMPI- la cui sede resterà in Sardegna anche per la prossima programmazione – l’isola si è dotata di professionisti e funzionari che hanno maturato esperienza. La politica dovrebbe farsi promotrice di immaginazione e di un programma ambizioso.
La Sardegna potrebbe uscire dal frangente proponendosi come perno del progetto. Basta crederci. La Catalogna impegnata in elezioni che porteranno, quasi sicuramente, ad una dichiarazione unilaterale di indipendenza, difficilmente può essere regione capofila. Lo scontro con Madrid si annuncia molto duro. Per Barcellona l’aggregazione del Mediterraneo occidentale può rivelarsi un’arma di consenso. Per la Sardegna una modalità per pensarsi centro e non periferia e per prendere in mano il proprio destino come soggetti attivi e non destinatari di scelte altrui. Agire come se Roma non ci fosse. Per quel che è possibile.
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Articolo pubblicato su Aladinews il 23 giugno 2014
Le politiche della Sardegna verso il Mediterraneo. L’interesse della Sardegna a partecipare alle Euroregioni (o altre entità cooperative similari) del Mediterraneo.
Nei giorni scorsi sulla nostra news abbiamo dato rilievo alla notizia dell’approvazione da parte della Commissione Europea della costituzione della Macroregione europea Adriatica-Ionica, per la quale si attende ora l’approvazione finale da parte del Consiglio europeo prevista il prossimo 24 ottobre. Di questa Macroregione non fa parte la Sardegna (1) in quanto la nostra isola è situata nella parte tirrenica del mar Mediterraneo. Ma, allora, perchè siamo così interessati a questa nuova realtà istituzionale? La risposta sta in quello che appare, dai documenti pubblicati, un progetto serio e credibile, che va dandosi un’organizzazione robusta in grado di sostenere un programma ambizioso e, cosa estremamente importante, che raccoglie il consenso e l’impegno di tutte le istituzioni interessate. Al riguardo il coordinatore dell’iniziativa Gian Mario Spacca, presidente della Regione Marche, sostiene che la costituzione della Macroregione “è il frutto di un intenso lavoro svolto dalla comunità adriatica e ionica, dalle città, Università, Camere di Commercio e Istituzioni territoriali che hanno trovato a Bruxelles, nel Comitato delle regioni, il luogo per dare forza al loro progetto”. Noi che siamo del parere che una delle ragioni della situazione disastrosa della Sardegna sia imputabile in gran parte alla incapacità delle istituzioni sarde di cooperare per l’attuazione di una buona politica nell’interesse dell’Isola, non possiamo che plaudire alla capacità costruttiva delle diverse Istituzioni coinvolte nel processo di realizzazione di questa Macroregione, la quale per i protagonisti, per il percorso effettuato, per i progetti strategici e così via, costituisce un modello per altre Macroregioni o per altre Entità similari di cui fa parte o potrà far parte la Sardegna. Attualmente la Sardegna non partecipa ad alcuna Macroregione, che ha una propria caratterizzazione normativa europea, ma a un’altra aggregazione cooperativa, molto somigliante denominata Euroregione (su queste nuove Istituzioni occorrerebbero approfondimenti soprattutto di carattere giuridico; intanto si segnala l’ottimo saggio di Laura Berionni “La strategia macroregionale come nuovo strumento di cooperazione territoriale” ). Partecipa infatti alla Euroregione delle Isole, chiamata Archimed, la quale sembra versare in una situazione di precarietà, decisamente lontana dalla vitalità impressa alla Macroregione Adriatica-Ionica. Forse la causa della inconsistenza di Archimed sta nel suo vizio originario di un nuovo soggetto nato senza grande coinvolgimento istituzionale e sociale, che “si aggiunge” a tanti altri quasi una nuova bottega di generi alimentari in una città già ricca di tali esercizi. Che male c’è? Qualche posto di lavoro in più, qualche nuova prebenda per qualche amico, qualche occasione in più di turismo congressuale a spese della collettività, qualche occasione per fare fotografie di gruppo per far finta che qualcosa si fa. La gestione di Ugo Cappellacci della vicenda Archimed da proprio questa sensazione di superficialità e spreco di risorse pubbliche. Di interesse per la Sardegna esiste poi un’altra Euroregione, denominata Alp-Med, che allo stato coinvolge diverse regioni francesi e italiane (2), ma non la Sardegna né la Corsica, anche se sussisterebbe un interesse delle stesse isole, evidenziato dal fatto che ambedue fanno parte di una struttura parallela di associazionismo delle Camere di Commercio della stessa Euroregione, in attesa di un allargamento istituzionale. Peraltro anche l’euroregione Alp-Med sembra allo stato poco attiva, prova ne sia il non aggiornamento del sito web ufficiale gestito dalla regione Piemonte, fermo al 2013).
Perchè siamo così interessati alle Macroregioni europee e alle Euroregioni? Perchè crediamo possano essere utili per la Sardegna. Ci pensiamo da molto tempo. Ma diverse recenti occasioni di dibattito hanno riacuito l’interesse per questa questione. Innanzitutto mi riferisco al dibattito sulla necessità di un nuovo Statuto per la Sardegna. In particolare, trattando di politica di relazioni esterne della Sardegna, che devono avere riconoscimento anche nello Statuto, mi riferisco alle relazioni della Sardegna con il Mediterraneo. L’argomento è stato specificamente oggetto dell’intervento di Pietrino Soddu al Convegno sullo Statuto promosso dalla Fondazione Sardinia, dalla Carta di Zuri e da Sardegna Soprattutto il 9 giugno, con l’ulteriore approfondimento nell’iniziativa del 23 del corrente mese.
Nel citato intervento (non ancora trascritto in atti, ma tuttavia presente in audio/video tra i materiali del Convegno, nel sito web della Fondazione Sardinia) Pietrino Soddu sostiene che la Sardegna fino all’inizio del periodo sabaudo (1720) era saldamente collocata nel contesto Mediterraneo, specificatamente quello del Sud, verso cui intratteneva le sue relazioni più consistenti, sia in termini economici, sia di natura culturale. Gli interessi prevalenti dei nuovi dominatori sabaudi erano invece prevalentemente rivolti al Nord, in particolare alla Lombardia, circostanza che avrebbe, gioco forza, mutato la direzione dello “sguardo” della Sardegna verso il Continente italiano e verso l’Europa continentale, disinteressandosi sostanzialmente del campo passato. Secondo Soddu questa diversa prospettiva ha portato anche notevoli conseguenze positive per la Sardegna, laddove era proprio su quel versante europeo che maggiormente correva il fiume della modernità e del progresso. Oggi non si tratta di abbandonare questa collocazione, quanto di riscoprire e rilanciare l’interesse verso il Mediterraneo, nel suo complesso, e verso il Mediterraneo del Sud. Come fare? Soddu non lo ha detto, confessando di non avere idee al riguardo, se non la certezza della strada da compiere. Per questo occorre superare le incertezze e perfino le paure legate all’ancestrale timore de “su moru, che viene a rapirci le nostre donne e ad impadronirsi delle nostre risorse materiali”. I nuovi mori oggi hanno precise sembianze: sono soprattutto (e non solo) gli emiri arabi, interessati al comprarsi la Sardegna. Tutto ciò non deve portare ad un atteggiamento di chiusura, quanto piuttosto di apertura, di scambi paritari, consentiti nella misura in cui abbiamo una buona classe dirigente, espressa dalla maggioranza dei “sardi padroni in casa propria” e rafforzati sempre più nella loro identità. Ecco la migliore garanzia perchè non si venda la Sardegna a nessuno! L’intervento di Pietrino Soddu si è fermato proprio al punto che forse costituiva una prima risposta al suo interrogativo e insieme auspicio su “Sardegna: che fare verso una politica di interesse, partecipazione e integrazione nell’area mediterranea”, cioè alla seconda parte del settimo principio della Carta di Zuri: «La Sardegna (…) offre amichevole collaborazione alle comunità e alle regioni vicine per formare, a partire dal Mediterraneo, una euroregione per il progresso degli interessi comuni». Un’euroregione, appunto! E perchè, allora, non approfondire gli strumenti che l’Unione Europea mette a disposizione per realizzare concretamente questa opportunità. Sono strumenti utili e adeguati? Parliamo quindi della proposta di mandare avanti seriamente, al contrario di quanto si sia fatto finora, la realizzazione dell’euroregione Archimed, con la partecipazione di tutte le isole del Mediterraneo appartenenti all’Unione Europea, con l’intento di rafforzare una politica di pace, di solidarietà di scambi a tutti i livelli con i paesi del Mediterraneo del Sud, compresi quelli non facenti parte dell’Unione Europea e con i quali esistono già interessanti relazioni, a volte incentivate dalla stessa UE (pensiamo al programma ENPI), che potrebbero estendersi all’interno della specifica politica di favore prevista per la condizione di insularità. Ma, anche per corrispondere alla esigenza prospettata da Soddu che la Sardegna non abbandoni il fronte continentale europeo: non sarebbe utile e opportuno coltivare la piena realizzazione dell’Euroregione Alp-Med, con l’ingresso della Sardegna e della Corsica nella compagine societaria? Temi evidentemente da approfondire, che richiedono innanzitutto una “presa in carico” della Regione e, insieme, uno specifico filone d’impegno per i nostri parlamentari italiani ed europei (peraltro questi ultimi rappresentano già la circoscrizione Sardegna-Sicilia; facciamo dunque di “necessità” virtù). Peraltro, in questa sede, giova apportare un qualche correttivo all’analisi di Pietrino Soddu secondo cui la Sardegna ha abbandonato ogni interesse per il Mediterraneo a far data dal passaggio dalla Spagna al Piemonte. L’interesse per il Mediterraneo infatti se pur sopito è stato sempre coltivato e non mancano le riflessioni politiche e culturali al riguardo. Tra le prime (anch’esse culturali, ma di maggior valenza poltica) ricordiamo quanto scritto recentemente da Federico Francioni in un articolo critico proprio nei confronti del pluricitato intervento di Pietrino Soddu, pubblicato sul sito della Fondazione Sardinia, laddove Francioni ricorda che “(…) l’idea di una Federazione mediterranea – di uno Stato che avrebbe dovuto raggruppare Baleari, Corsica, Sardegna e Sicilia – fu delineata dopo il primo conflitto mondiale” proprio dal PSd’Az . Ma è giusto anche in questa sede ricordare il dibattito e gli interventi di carattere culturale (basti citare per tutti le riflessioni di Giovanni Lilliu) e l’impegno di ricerca delle Università sarde nei paesi dell’Africa mediterranea. Tutto occorre riprendere e rilanciare, perchè non si parte da zero. Anzi! E questo è il nostro e altrui impegno. Certo da rafforzare e estendere, chiamando in causa soprattutto le Istituzioni sarde.
Voglio ora concludere con una proposta operativa, sicuramente riduttiva, ma, a mio parere, importante e immediatamente fattibile.
Il 28 febbraio 2012 fu siglato dal presidente della Camera di Commercio di Cagliari e dal direttore del Dipartimento di Scienze Sociali e Istituzioni dell’Università di Cagliari un “Accordo di collaborazione” tra le due Organizzazioni per l’elaborazione di progetti per rafforzare i rapporti della Sardegna con i paesi della sponda sud del Mediterraneo, anche come possibile rappresentanza/terminale avanzato della Sardegna verso i paesi del nord Africa, soprattutto attraverso l’associazionismo camerale (Ascame, Insuleur, Alpmed). I progetti elaborati e gestiti congiuntamente si dovevano proporre l’obiettivo di dare concreta attuazione alla normativa di cui all’art. 4 della legge regionale 28 dicembre 2009, n.5, finanziata dalla Regione Autonoma della Sardegna*. Tale legge regionale prevedeva un impegno della Regione così definito: “La Giunta regionale è autorizzata al finanziamento, anche con il concorso di risorse di provenienza statale e comunitaria, di progetti speciali finalizzati:
a) alla definizione di un sistema internazionale e mediterraneo di osservatori per l’intercettazione degli allarmi di crisi economico-sociale e dei settori produttivi o delle prospettive di sviluppo delle attività produttive e dell’occupazione;
b) alla predisposizione e sperimentazione di modelli di intervento per prevenire e scongiurare gli effetti derivanti dallo stato di crisi economico-sociale o per anticipare e cogliere integralmente ogni opportunità di sviluppo dei settori produttivi e dell’occupazione (…)”. A quell’accordo di collaborazione non seguì nulla. La ragione fondamentale, mi dicono, fu (e purtroppo tuttora è, considerato che al riguardo nulla è cambiato) che non si trovò un interlocutore a livello di Esecutivo politico e di organizzazione amministrativa regionale che consentisse di passare dalle parole ai fatti. Insomma, il solito problema di grandi idee (già molto che quelle ci furono) ma miseria di comportamenti e nullismo organizzativo. Non potevamo permettecerlo allora e tanto meno oggi. La proposta è dunque riprendere quell’Accordo, riscriverlo coinvolgendo in dimensioni regionali l’Unioncamere e l’Università della Sardegna, ridefinirne l’ambito, allargandolo, per esempio, al supporto alla realizzazione delle Euregioni, prima tra tutte quella esistente Archimed, di cui, per inciso, di recente è diventato presidente, in virtù della sua carica, Francesco Pigliaru.
Per questo e altro l’imperativo è: muoviamoci!
Note
1) Della Macroregione fanno parte: Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia-Herzegovina, Serbia, Montenegro, Albania, Grecia. In Italia le regioni interessate sono Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Lombardia, Trentino Alto Adige. Come si vede la Sardegna non è interessata a detta macroregione
2) L’Euroregione Alpi Mediterraneo riunisce cinque Regioni francesi e italiane (Provenza-Alpi-Costa Azzurra, Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta e Rodano-Alpi).
3) Dell’Euroregione Archimed fanno parte la Regione Sicilia, la Regione Sardegna, il Govern de les Illes Balears e l’ Agenzia dello Sviluppo Larnaca di Cipro (Larnaca District Development Agency – Cyprus)
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Archimed questo sconosciuto. Aggiornamento 27 agosto 2015
A proposito di Archimed visitando il suo scarno sito web in data odierna abbiamo appreso che l’organismo ha un nuovo presidente. Si tratta di Spyros Elenodorou – President Larnaca District Development Agency (CIPRO). Non abbiamo trovato traccia della riunione assembleare che lo ha eletto. Dal sito risulta invece la composizione dell’assemblea: per la Sardegna, oltre a Francesco Pigliaru ne fa parte l’assessore Cristiano Erriu. Chiederemo a lui qualche ulteriore informazione.Per ora Archimed rimane un oggetto misterioso.
con gli occhiali di Piero…
- Su Aladinpensiero un 27 di agosto… Dove si ricordano Romolo Murri, Antoni Van Leeuwenhoek, la Guerra più breve della storia e altre cose…
Sono finite le ferie del Consiglio regionale? Il Consiglio deve occuparsi subito dell’emergenza spopolamento e deve impostare una nuova politica dell’accoglienza
- Lo studio dell’Università di Cagliari sullo spopolamento dei comuni sardi (2013).
Nella foto: Sagama, murale di Pina Monne, tratto da muralesinsardegna.net (Lic. Creative Commons)
E’ possibile non rassegnarci allo spopolamento dei nostri paesi?
- Buone pratiche in Italia e in Europa. Su Aladinews Europa e Mediterraneo.
- Lo Sprar (Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati -SPRAR – è costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo)
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- RIACE.
Benvenuti a Riace, dove i migranti hanno risollevato l’economia
Il servizio sul Corriere della Sera.
L’Europa alla ricerca di una nuova politica dell’immigrazione
Merkel e Hollande, nell’incontro di Berlino, riflettono sul più grande movimento di profughi dal dopoguerra ad oggi.
I maggiori leader Europei, Merkel e Hollande, nel recente vertice bilaterale di Berlino, hanno avviato una seria riflessione sulla necessità di rivedere la politica di accoglienza dei migranti in ambito europeo. Un fenomeno vasto e diffuso che “attacca” il continente da più parti e si rivela sempre più come fenomeno eccezionale e duraturo, non può essere arginato con le barriere di filo spinato. Occorrono soluzioni differenti. Una prima proposta emersa nel vertice berlinese riguarda la necessità di accelerare la creazione di centri di registrazione degli arrivi, principalmente in Italia e Grecia, ma anche in tutte le altre aree di frontiera dell’Europa. Molto più esplicitamente, Merkel e Hollande, si aspettano che tutti gli Stati membri dell’Unione europea applichino totalmente il diritto di asilo e chiedono alla Commissione europea impegni precisi e rapidi in tal senso. In proposito i due leader hanno annunciato, per il prossimo mese di novembre un vertice straordinario a Malta per parlare degli accordi di rimpatrio con i paesi d’origine e dei necessari maggiori sforzi per dare una vita più dignitosa ai profughi. L’auspicio è che dal vertice di Malta possa scaturire una riflessione sulla possibilità di realizzare una nuova politica migratoria europea. Restano molte perplessità sull’idea che il rimpatrio, organizzato ed efficiente, possa rappresentare una seria e valida risposta alle esigenze di vita che i migranti esprimono. Perché è comunque importante che si sia svolto il vertice bilaterale Germania-Francia? Soprattutto perché è ormai evidente che i principali leader politici europei manifestino una maggiore attenzione al problema immigrazione. Il ministro degli Interni tedesco, per esempio, ha dichiarato che in materia di immigrazione è inaccettabile che le istituzioni europee lavorino con ritmi cosi poco sostenuti. Il vice cancelliere tedesco Gabriel ha dichiarato che la vicenda dei migranti rappresenta per la Germania la più grande sfida dopo la Riunificazione del paese. La Merkel annuncia di attendersi un afflusso record di rifugiati in Germania di almeno 800mila persone entro la fine dell’anno in corso. Preoccupa ancora la tendenza a volere scindere il problema immigrazione facendo distinzione tra chi scappa da paesi in guerra o governati dai tagliatori di teste e chi invece sceglie l’ Europa “soltanto” per sfuggire alla miseria, alla fame, alle sofferenza che i media quotidianamente documentano. Ci vuole una notevole dose di cinismo per sposare tale visione del problema. Nel contesto esaminato appare molto più equilibrata una recente dichiarazione pubblica del presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, pubblicata su Repubblica. Il Presidente afferma che: “L’Europa fallisce se la paura prende il sopravvento. L’Europa fallisce quando gli egoismi hanno più voce della solidarietà presente in ampie porzioni della nostra società. L’Europa ha successo quando superiamo in maniera pragmatica e non burocratica le sfide del nostro tempo. Spero che assieme – gli stati membri, le istituzioni e le agenzie Ue, le organizzazioni internazionali e i nostri vicini riusciamo a dimostrare che siamo all’altezza delle sfide. Sono convinto che possiamo farcela”. La questione dell’immigrazione ha reso evidente, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la debolezza strutturale dell’Unione europea, un’unione fondata quasi esclusivamente sulla moneta unica a cambio fisso, che poco o nulla ha fatto per unificare il mercato del lavoro, i sistemi educativi e la fiscalità, la necessità di generalizzazione e omogeneizzazione dei diritti per i cittadini europei. Certamente è necessario porsi nell’immediato il problema di rallentare il flusso dei migranti sui barconi studiando altre possibilità di ingresso “legale” in Europa, per esempio attivando canali di transito umanitari. Ma è altrettanto evidente che occorrono anche scelte di più ampio respiro che partano dalla riconsiderazione dei rapporti tra paesi sviluppati e sottosviluppati, rivedendo le politiche commerciali internazionali che hanno perpetuato, se non aggravato, lo “scambio ineguale” tristemente famoso fin dagli albori della politica coloniale delle potenze occidentali. Un nuovo sviluppo dei paesi del nord Africa e dell’area mediterranea, la risoluzione dei conflitti perenni in quelle regioni, la sconfitta dei regimi totalitari e del fanatismo delle organizzazioni terroristiche dei tagliatori di teste, sono tutti problemi di un’unica questione che origina il movimento dei migranti nel mondo. L’Europa ha la possibilità di evolvere e riqualificare l’attuale Unione e porsi al centro di una rivoluzione politica, economica e culturale sempre più indispensabile per sconfiggere la miseria, le guerre, l’ingiustizia. Un compito non da poco, quasi una utopia. Servirà la pazienza e l’impegno di molti uomini di buona volontà.
con gli occhiali di Piero…
PICCOLE POETESSE CRESCONO
Una delle “poetesse sconosciute” che ogni tanto vi propongo, non è più tanto sconosciuta: Jenny A. Cara ha oggi il suo alloro di poetessa.
Infatti ha vinto il primo premio a un concorso nazionale di poesia.
Jenny, a soli 18 anni, riceverà la coppa della vincitrice, vedra le sue poesie pubblicate, e le reciterà con accompagnamento musicale nella cerimonia di premiazione. Vi ripropongo una delle sue da me preferita:
NESSUNA ROSA
Sta nascosta in luogo terreo su sua stella
freme e sprofonda la povera ancella
ch’al sol vederla porta in sè sua cantata dolcezza
smarrita in men che sia
si potria scambiare per fragile creatura.
Stia attento colui che in tal pensiero dura:
nessuna rosa si è mai privata di sua spina.
E certo l’aria corre e trema
e il cuor di fatto udendo appena
non chiede nulla e rasserena
l’estroso sguardo di chi è stato solo
angosciato a pena!
Dibattito su Cagliari. Come recuperare la città perduta? Realizzare con intelligenza e tenacia una vasta opera di “rammendo”
CAGLIARI. DIBATTITO SULLA CITTA’
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo al dibattito su Cagliari da parte del comm. Paolo Fadda, intellettuale, scrittore, uomo politico tra i più informati ed impegnati della e per la propria città, a prescindere dalla adesione alle sue opinioni comunque sempre di estremo interesse.
Paolo Fadda. Con il titolo “Cagliari, baronessa senza baronia (e senza classe dirigente)” il giornale web SARDINIA POST ha pubblicato, fra i suoi editoriali, questa mia riflessione sullo “stato” attuale della città. E’ un invito a riflettere su come si possa impedirne il declino ed avviarne un rinascimento. E’soprattutto un invito a confrontarsi insieme per dare a Cagliari un suo differente futuro. Quel che scrivo è certamente opinabile, può essere anche bollato come una provocazione, ma certamente non deve essere fatto cadere nel silenzio (così spero).
Questo è il testo.
Cagliari, baronessa senza baronia (e senza classe dirigente)
di Paolo Fadda
- “C’è molta tristezza in molti cagliaritani nel dover assistere al declino della loro città. Perché da qualche tempo in qua Cagliari sembra abbia smarrito la sua anima, stravolto la sua identità, imbastardito la sua immagine. Pare una città che non abbia più – ed è questa la notazione più triste – la voglia, la propensione ed il gusto di immaginarsi e di delinearsi un futuro. Né ci si interroga sulle ragioni di questo progressivo decadimento e dell’avanzare della pericolosa ventata d’incultura (parente stretta dell’ignoranza e della rassegnazione) che sembra essere divenuta più fastidiosa e pesante di una levantata di pieno agosto.
Sembra proprio che da parte di molti di noi cagliaritani si sia perduto il senso alto della città, di quel che ha rappresentato nella storia del progresso e nella costruzione di quello straordinario patrimonio di conoscenze e di contenuti di civiltà che forma, per comune sentire, la cultura urbana. Ci si è pian piano sottomessi ad una esuberante cultura biddaia che ha fatto di quella Cagliari che era stata rigenerata culturalmente e socialmente dalle influenze genovesi e piemontesi, niente più che un paesone, una bidda manna. Una sorta di villaggio di taglia XXL.
Sono molti i segnali di questa spiacevole decadenza (li ha colti con molta sensibilità anche Nanni Spissu in un suo acuto intervento su questo sito [SardiniaPost]). Li si ritrovano in quell’osservazione che piace sintetizzare nella perdita della consapevolezza d’essere città (che è, per dirla in rapida sintesi, la capacità d’essere il battistrada del progresso e di saper offrire ai suoi abitanti beni e valori di alta civiltà). In effetti quel che sconforta (e fa pure rabbia) è che oggi appaia come una città precocemente invecchiata, decaduta come una baronessa senza più baronia, aggrappata ad un passato di cui, peraltro, non ha neppure saputo coglierne appieno l’eredità. D’altra parte non pare neanche molto amata dai suoi abitanti, che paiono essere sempre più degli users-city, cioè dei semplici utilizzatori dei suoi servizi, e non certo dei convinti citizens, dei veri cittadini.
Ed è poi questo il male oscuro che ha minato la salus di Cagliari, accentuandone quel deperimento che ha colpito molte altre città del mondo, con il passaggio dal moderno al postmoderno nella cultura urbanistica (qui intesa, ovviamente, nella scienza di far piacevoli e meglio vivibili le città del XXI secolo). Un passaggio che ha modificato radicalmente il modo di vivere e di immaginare la città.
Proprio quel male non ha risparmiato neppure le élite cagliaritane. Anzi, sono state proprio quelle che ne dovrebbe essere l’establishment (per ruoli ed incarichi ricoperti, per competenze e saperi acquisiti) ad accusare ed a dimostrare il più grave deperimento. La Cagliari d’oggi, infatti, non ha più una sua classe dirigente – nella politica, nell’economia, nella cultura, nella religione – che mostri sufficiente carisma ed abbia riconosciute doti per essere ritenuta tale. “No b’est homini” si dice dalle nostre parti per indicare le deficitarie doti di chi viene chiamato a qualche importante responsabilità: ed è questa l’amara considerazione che si sente di dover fare per definire quanti oggi parrebbero essere, nei diversi campi, “i consoli” della città.
Quel che sembra mancare a queste nostre élite è – soprattutto – quella che si potrebbe indicare come l’idea della città di questo secolo. In modo da poterla restituire all’amore, ed all’orgoglio, dei suoi abitanti. Eppure il bisogno (la necessità e l’urgenza) di quest’idea è nei fatti d’ogni giorno. Si prendano ad esempio i tanti luoghi dismessi dalle loro pregresse utilizzazioni (caserme, ospedali, carceri, depositi, fabbriche, ecc.): su di essi si sono sovrapposti e confusi opinioni e utilizzazioni le più disparate, senza che si mettesse insieme una visione globale per poter ridare alla città la disponibilità di luoghi che hanno fatto la sua storia. Ci si è voluti fregiare d’essere città europea della cultura e non ci si è accorti d’essere rimasti prigionieri di un’imperante incultura urbana.
Sulla città, sui luoghi della città si è continuato a rimuginare dei vecchi stilemi urbanistici, sordi e distratti nel captare quel che di postmoderno è maturato al di là del mare. Rimasti però prigionieri degli screzi di congrega e dei favori e disfavori corporativi che sono poi i contrassegni emblematici di quest’incultura civica (quel che s’è letto, ad esempio, sui “fatti oscuri” della Camera di commercio ne sarebbe la conferma).
Come recuperare quindi la città perduta? La domanda l’ha formulata recentemente il sociologo delle città Marc Augè. Ed è poi la domanda che s’intende fare nostra, provocatoriamente, perché si possa aprire su Cagliari, sul suo futuro, un vero dibattito (ed in quel “vero” c’è la distanza da ogni intenzione o velleità elettoralistiche). Perché occorre ripensare la città nel suo insieme, dato che Cagliari non può essere quell’arcipelago che è divenuto oggi, con una molteplicità di isole-rioni da stilemi edilizi ed abitativi assai differenti (cos’hanno in comune La Palma e Genneruxi pur vicini ad un tiro di schioppo?). Perché rammendare la città significa ridarle, con l’unità, l’identità perduta e sconvolta, ricollocando le volumetrie dismesse in un insieme razionale di utilità e di fruizione.
Si tratta – come sostiene proprio Augé – di operare con intelligenza e tenacia «una vasta opera di “rammendo” (così come una volta le sartorie rammendavano i vestiti strappati e i filati rozzi). Si dovrebbe, nella misura del possibile, ritracciare frontiere tra i luoghi, tra l’urbano e il rurale, tra il centro e le periferie. Frontiere, vale a dire soglie, passaggi, porte ufficiali per far saltare le barriere invisibili dell’esclusione implicita. Bisogna poi ridare la parola al paesaggio. Ci si potrebbe assegnare a lungo termine il compito di rimodellare un paesaggio urbano moderno, nel senso inteso da Baudelaire, in cui gli stili e le epoche si mescolerebbero consapevolmente come le classi sociali, in un insieme armonico dal grande valore ambientale e culturale».
Cercando di non dimenticare mai che la città dev’essere più che ammirata, vissuta; non solo accogliente per i suoi visitatori, capace di dare benessere (cioè opportunità di lavoro) ai suoi abitanti. Ed è questa la morale finale da porre a questa riflessione.
Ecco, il rammendare – urbanisticamente, economicamente, culturalmente – questa nostra città è l’idea portante – a mio parere – di quel renewal urbano che ci si augura possa avvenire senza troppi ritardi, per non perdere definitivamente la città come valore patrimoniale. Perché ritornare ad essere bidda e biddazzones proprio non ci andrebbe” -.
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- Per correlazione un intervento del direttore di Aladinews su Cagliari e un possibile e auspicabile nuovo ruolo
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ALADINEWS SARDEGNA FOR EUROPA & MEDITERRANEO. UNA NUOVA POLITICA DI ACCOGLIENZA PER CONTRASTARE LO SPOPOLAMENTO
ALADINEWS SARDEGNA FOR EUROPA & MEDITERRANEO.
UNA NUOVA POLITICA DI ACCOGLIENZA PER CONTRASTARE LO SPOPOLAMENTO. ———————————
- Spopolamento e accoglienza su Aladinews.
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MIGRANTI. Vito Biolchini: La Regione non abbia paura di osare. Faccia un investimento sui migranti: altrimenti si troverà a governare sempre e solo polemiche.
Sono d’accordo con Vito Biolchini per quanto ha scritto oggi (25 agosto) nel suo blog e pertanto mi unisco a quanti sollecitano una adeguata risposta politica delle nostre Istituzioni regionali e non solo. La questione delle migrazioni è complessa, ma non ci trova del tutto impreparati sia per affrontare l’emergenza (come finora è stato, tutto sommato, dimostrato) sia soprattutto per costruire prospettive nuove accettabili e sostenibili per andare oltre l’emergenza e per fronteggiare l’accresciuta richiesta di accoglienza. Sulla questione richiamando l’impostazione di fondo di ALADINEWS ben delineata da Vanni Tola, riportiamo alcuni altri interventi ripresi e commentati sempre su Aladinews.
IL DIBATTITO…
(Franco Meloni) Concordo con l’impostazione e con le proposte di Antonietta Mazzette, coerenti con quanto da noi sostenuto nelle pagine di Aladin. Occorre passare subito all’operatività, posto che si chiarisca quanti e chi tra gli immigrati decidano di fermarsi in Sardegna. Sappiamo che la gran parte vuole solo transitarvi e pertanto evita di farsi “riconoscere”, per non essere costretta a rimanervi contro la propria volontà. Ci sono molte altre questioni da chiarire, in capo al Governo italiano e all’Unione europea (la quale purtroppo colpevolmente non si è fatta pienamente carico del “problema” rispetto alle sue dimensioni straordinarie e drammatiche). – segue –
Oggi martedì 25 agosto 2015
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ci vuole un piano… anzi due.
Si fa strada una risposta politica europea e mondiale al dramma delle migrazioni? Qualche segnale… ma occorre far presto per non contare nuovi morti
di Vanni Tola
Aprire le frontiere alla disperazione e alla miseria dei popoli dell’altra sponda.
Dopo diversi tentativi di impedire il transito dei migranti con la forza, la Macedonia è stata costretta ad aprire le frontiera al passaggio dei profughi. Secondo fonti della Croce Rossa locale da 6000 a 8000 disperati hanno potuto attraversare la frontiera in un solo giorno. In questo caso si tratta principalmente di individui provenienti dal Medio Oriente, prevalentemente siriani, che stanno raggiungendo in grande quantità la Serbia. La prima tappo serba dei disperati che fuggono da guerra e miseria è la cittadina frontaliera di Miratovac dove i migranti ricevono cibo e ricovero temporaneo. Da Miratovac i migranti sono trasferiti in pullman nella vicina città di Presevo. In questa città la polizia locale fornisce loro documenti di viaggio e li indirizza con autobus verso il confine con l’Ungheria. La prossima frontiera da superare, nuove barriere da abbattere. Intanto proseguono gli sbarchi nel porto ateniese del Pireo (2.500 migranti) nelle isole greche dell’Egeo meridionale . L’agenzia greca Amna ha affermato che sono stati predisposti autobus per trasferire subito gli immigrati nelle più vicine stazioni della metropolitana, da dove potranno raggiungere la Macedonia.
Nella giornata di ieri, in un’altra area del Mediterraneo, sono stati salvati circa 4.400 migranti in 22 diverse operazioni di salvataggio. Lo afferma la Guardia Costiera che ha gestito le numerose richieste di soccorso pervenute alla sua Centrale operativa del ministero delle infrastrutture e dei trasporti a Roma. Gran parte di questi profughi raggiungerà la Sardegna, almeno mille parte dei quali, dovrebbe lasciare l’isola per altre destinazioni nei prossimi giorni. Che dire? Si rimane senza parole di fronte alla drammaticità della situazione, alla vastità del fenomeno migratorio che assume sempre più dimensioni maggiori interessando sempre più vaste aree del continente europeo. Le risposte messe in atto dalle autorità di alcuni paesi europei sono per ora orientate al contenimento dell’invasione utilizzando la forza, riesumando le barriere e il filo spinato che ci fanno fare un salto indietro in un tristissimo passato. Tuttavia, al di la delle posizioni estreme di alcuni paesi e forze politiche decisamente ostili a qualunque logica di accoglienza, pare farsi strada una ricerca di soluzioni più razionali e politicamente più corrette in termini di politica dell’accoglienza. L’apertura della frontiera in Macedonia, la richiesta di organismi internazionali per l’attivazione di corridoi umanitari nel continente europeo per fronteggiare l’emergenza e gettare le basi per una nuova politica comunitaria della accoglienza, aprono spiragli di cauto ottimismo. Naturalmente restano insoluti o grandi problemi internazionali che solo uno impegno straordinario dell’Onu e dei paesi dell’Unione Europea può contribuire a risolvere. La questione della Libia, la risoluzione dei conflitti in Africa, la lotta contro i fomentatori di odio e di guerre nell’area medio-orientale e nel bacino mediterraneo restano i grandi problemi irrisolti. Certo è triste pensare che il Mediterraneo, da sempre luogo di incontro e confronto fra culture e civiltà differenti, sia diventato un grande cimitero di uomini, donne e bambini. Spezza il cuore ricordare che i duemila cinquecento morti annegati sarebbero potuti arrivare in Europa vivi con un solo viaggio delle nostre capienti navi passeggeri.