Monthly Archives: maggio 2015

atto di pentimento della città di Firenze verso il suo Poeta esiliato

Dante in Duomo Fi LLImago Dantis.
Tra i ritratti di Dante, particolarmente significativo è questo di Domenico di Michelino, affrescato in Santa Maria del Fiore (metà 1400 circa), vero e proprio atto di pentimento della città verso il suo Poeta esiliato. Dante è raffigurato in posizione centrale col suo poema, a destra Firenze, riconoscibile dalla cupola del Brunelleschi e dalla torre del Palazzo Vecchio. A sinistra (è “tagliata”) ma è in parte riconoscibile una scena dell’Inferno; sullo sfondo, la montagna del Purgatorio.

Un po’ di autoreferenzialità: Aladin è anche un’associazione a cui poter liberamente aderire. Aderite!

Logo_Aladin_Pensiero

STATUTO DELL’ASSOCIAZIONE SOCIO-CULTURALE ALADIN

art. 1 - COSTITUZIONE

Con la denominazione “ALADIN” viene costituita una associazione ai sensi dell’art. 36 del Codice Civile. Fini e metodi dell’associazione sono quelli enunciati nel presente Statuto. (…)

art. 2 – FINALITA’

L’Associazione, senza finalità speculative, si propone i seguenti scopi:

a) promuovere e gestire, direttamente e anche indirettamente, iniziative editoriali  e di informazione in generale, di diffusione delle notizie e delle informazioni, di comunicazione privata e/o istituzionale, sia di pubblico e generale interesse, che di interesse settoriale o specialistico, attraverso la stampa e ogni altro mezzo di diffusione delle idee, compresi i mezzi tecnologicamente più avanzati;

b) promuovere e gestire iniziative complementari, studi, seminari, convegni, attività culturali e in genere, sia in connessione con le attività previste al punto a), sia con valenza propria, sui temi attinenti direttamente e indirettamente gli scopi sociali;

c) favorire e gestire anche direttamente corsi di formazione professionale, di aggiornamento, di perfezionamento, di specializzazione degli operatori comunque impegnati nelle attività di cui al punto a) o altre attività, anche con modalità e metodologie e-learning;

d) promuovere e gestire circoli culturali, centri sociali o di aggregazione sociale, librerie, centri di studio e documentazione, centri di informazione per i giovani, per le categorie sociali svantaggiate, per la promozione della cultura imprenditoriale, per la promozione e per la gestione di fondi comunitari,

e) produrre, acquistare, vendere, distribuire e diffondere pubblicazioni e audiovisivi (libri, riviste, giornali, film, documentari, cinegiornali, etc.), di interesse sociale;

f) svolgere qualunque altra attività connessa ed affine a quelle sopra elencate, nonché compiere tutti gli atti e concludere tutte le operazioni contrattuali, anche di carattere immobiliare, necessarie o attinenti, direttamente o indirettamente, agli stessi.

Con riferimento a tutte le attività sopra elencate la missione dell’associazione si indirizzerà particolarmente:

1) all’impegno per lo sviluppo sociale, culturale ed economico della Sardegna, specie per il suo ruolo attuale e rafforzato nell’ambito dell’Unione Europea e della cooperazione internazionale con specifico riferimento ai paesi del Mediterraneo;
2) a favorire le relazioni di pace e cooperazione tra i popoli, con riferimento particolare anche se non esclusivo, a quelli dei paesi mediterranei.
L’associazione curerà la promozione e l’attuazione dei programmi dell’Unione Europea, con specifico riferimento a quelli sostenuti dai fondi strutturali gestiti dalla Regione Autonoma della Sardegna e dalle altre Regioni e Amministrazioni pubbliche o da quelli di diretta gestione comunitaria. A questo scopo potrà effettuare attività di consulenza a organismi pubblici e privati e gestire direttamente e/o collaborare alla progettazione e/o gestione di programmi comunitari. Tali possibili interventi potranno riguardare anche programmi di altre Amministrazioni pubbliche e/o entità private.

Per il raggiungimento degli scopi suesposti e per la pratica realizzazione delle attività necessarie, la società potrà avvalersi della collaborazione di enti pubblici e di privati e a tali fini stipulare apposite convenzioni.
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- Lo Statuto integrale

Pietro Cavallini

Il Grande Pietro Cavallini, che insieme a Filippo Torriti, Duccio di Boninsegna, Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti dovrebbe avere lo stesso posto d’ onore di Giotto nella Storia dell’ Arte….Infatti è uno degli Autori con i quali nasce il “volgare figurativo”, cioè la “seconda lingua degli italiani”, il linguaggio dell’arte figurativa. (Siamo ai tempi di Dante).
L’immagine è reperibile in rete

I magnifici retabli sardo-catalani questi sconosciuti…

Retablo san Bernardino Ca
Dalla pagina fb della PINACOTECA NAZIONALE CAGLIARI

Vivacità e completezza narrativa, preziosità delle cromie: con queste caratteristiche si presenta in Pinacoteca il Retablo di San Bernardino, opera di grande fascino e splendido esempio di pittura catalano-fiamminga. Il polittico ligneo, dipinto a tempera e olio con fondo oro, è composto da venticinque tavole dove sono rappresentate scene di vita e dei miracoli del santo. Proveniente dalla chiesa di S. Francesco di Stampace, venne realizzato nel 1455 dai maestri catalani Rafael Thomas e Joan Figuera che per l’occasione si trasferirono a Cagliari, città prospera e animata da grande fervore culturale. Nell’opera, dove si ipotizza anche il contributo di un apprendista locale rimasto anonimo, risultano evidenti le differenze qualitative e stilistiche tra le diverse mani. Particolare cura è riservata alla descrizione minuziosa delle storie di Bernardino e di alcuni elementi come stoffe e fondi, la cui ricchezza decorativa valorizza con forte impatto visivo la rappresentazione iconografica.

Joan Figuera, Rafael Thomas, Retablo di San Bernardino, 1455
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ElsPintors_d0-210x300Nell’occasione è doveroso ricordare il bel film-documentario di Marco Antonio Pani (Els pintors catalans a Sardenya), già oggetto di attenzione sulle pagine di Aladinews.

con gli occhiali di Piero…

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413IL PIEDE IN DUE STAFFE
Non si fanno mancare niente. Non è tanto un caso di schizofrenia, quanto la propensione a viaggiare sempre sul carro del vincitore. Da un lato si dicono entusiasti di entrare nel prossimo costruendo partito della sinistra (quello con Civati, Vendola e Ferrero), dall’altro stanno lavorando per portare voti al partito di Renzi.
Sono amministrative, dicono, non hanno valore politico. Raffinati…
Contano le persone, dicono, non i partiti. Sagaci…
E’ vero, contano le persone, ma contano anche I partiti che le persone scelgono.
Chissà che cosa diranno agli elettori: “Turatevi il naso”?
E che cosa diranno ai nuovi compagni ex-Pd: “ci siamo alleati con Renzi perchè siamo per il voto utile”? Sì, utile a Renzi…
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Mannu-monumento a OzieriFRANCESCO IGNAZIO MANNU, l’autore dell’Inno sardo rivoluzionario, nasce a Ozieri il 18 Maggio 1758, laureato a Sassari, avvocato a Cagliari, è presente nei moti del 28 aprile 1794, seguace di Giovanni Maria Angioy nella lotta contro I feudatari. Fu giudice della Reale Udienza. Morì a Cagliari il 19 agosto 1839, lasciò tutti I suoi beni all’Ospedale di Cagliari.
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- Su patriota sardu a sos feudatarios di Francesco Ignazio Mannu.
- ASCOLTA

Ordine dei giornalisti della Sardegna, Francesco Birocchi Presidente. Eletti anche il Consiglio e le altre cariche sociali

Birocchi Francesco 18.05.2015 – Francesco Birocchi è il nuovo presidente dell’Ordine dei giornalisti della Sardegna. L’ha nominato il Consiglio, nella riunione d’insediamento dopo le elezioni del 9 maggio scorso, svoltasi stamani nella sede dell’Ordine a Cagliari. Il Consiglio ha eletto vice presidente il pubblicista Gian Mario Sias, segretario il professionista Luigi Almiento, tesoriere il professionista Paolo Mastino. Del Consiglio dell’Ordine fanno parte anche Celestino Moro, Priamo Tolu, Luca Fiori, Mario Girau e Vanna Lisa Manca. Il collegio dei Revisori dei conti ha eletto presidente Franco Olivieri. Ne fanno parte anche Franco Fiori e Giorgio Greco. (ODG Sardegna)
- Dal direttore e dalla redazione di Aladinews CONRATULAZIONI e AUGURI di BUON LAVORO a TUTTI i NEO ELETTI!

Parole simboli narrazioni tra scritture e neuroscienze. Questo il tema di domani: “Il sosia, diventare un altro”

neuroscienze“Parole simboli narrazioni tra scritture e neuroscienze” è il titolo dell’iniziativa promossa dalla Biblioteca provinciale nell’ambito della promozione alla lettura con particolare attenzione, in questo caso, ai rapporti tra letterature e scienze, e supportata, come partner, dalle associazioni “Scienza-società-scienza”, “Il teatro del segno” e “Appariscienza”. Martedì 19 maggio alle ore 18 nella sala Polifunzionale interna al parco di Monte Claro (situata di fronte al laghetto, ingresso da via Cadello) si svolgerà l’ultimo dei dieci incontri previsti in “Parole simboli narrazioni tra scritture e neuroscienze”. Il neuroscienziato Gian Luigi Gessa e lo scrittore Alessandro De Roma affronteranno il tema “Il sosia, diventare un altro”, – segue –

Il SUPERPORCELLUM, I PRECEDENTI STORICI E LA RESTAURAZIONE RENZIANA

porcellum2di Francesco Casula

Il sistema elettorale è la cartina di tornasole della qualità e quantità di democrazia di un Pese. Storicamente. Ad iniziare dal sistema maggioritario e uninominale, dell’Italia postunitaria prefascista. Era uno dei principali strumenti di potere del Partito liberale di allora, dato che i suoi esponenti, in genere appartenenti alle élites locali, riuscivano a raccogliere senza troppe difficoltà – grazie anche a rapporti personali, di amicizia e di clientele – l’appoggio di un esiguo manipolo di elettori:qualche centinaia. Ricordo che nel 1861 il diritto di voto era riservato all’1,9% della popolazione:esclusivamente ai maschi di 25 anni con determinati redditi e titoli di studio. In Sardegna gli aventi diritto al voto erano 10 mila che salirono a 21.700 con la riforma elettorale del 1882, la cui percentuale salì in Italia al 6.9%.
I grandi partiti democratici di massa: il Partito popolare e soprattutto il Partito socialista si batterono allora per il suffragio universale perché, – canterà il nostro Peppino Mereu – “senza distinziones curiales/devimus esser, fizos de un’insigna/liberos, rispettados, uguales/ Si s’avverat cuddu terremotu/su chi Giacu Siotto est preighende/puru sa poveres’ hat haer votu/happ’a bider dolentes esclamende/ sos viles prinzipales/palattos e terrinos dividende”.
Con l’introduzione del suffragio universale (maschile) nel 1913 e del sistema elettorale proporzionale nel 1919, il vecchio sistema politico finì gambe all’aria e si affermarono proprio il Partito Socialista e quello Popolare, che si erano battuti contro il Partito dei notabili, delle clientele, della corruzione e della malavita e dunque, contro il sistema uninominale e maggioritario che lo favoriva.
Fu il Fascismo – non a caso – da meno di un anno al potere, ad abolire il sistema proporzionale e a reintrodurre un particolare maggioritario. Il Governo di Mussolini infatti, fra il luglio e il novembre del 1923, fece approvare alla Camera e al Senato una nuova legge elettorale – detta Legge Acerbo, dal nome del proponente ed estensore, un sottosegretario – che introdusse un premio di maggioranza: avrebbe ottenuto i 2/3 dei seggi 356 (alla Camera) la lista che avesse ottenuto il maggior numero dei voti e il restante terzo, da ripartire su base proporzionale, alle liste rimaste soccombenti. Il disegno era chiaro: eliminare di fatto ogni ipotesi di opposizione parlamentare, assicurarsi una maggioranza assoluta, accrescere l’indipendenza del potere esecutivo, preparare un regime a partito unico. Esattamente ciò che tragicamente si avvererà e si realizzerà.
Caduto il Fascismo e ritornata la democrazia, ancora una volta, non a caso, si opterà di nuovo per il sistema proporzionale. Cercò di attentare a questo sistema nel 1953 De Gasperi, che per garantire alla DC e ai suoi alleati una maggioranza in grado di mantenere la stabilità governativa su una linea centrista, fece approvare in Parlamento una legge che assegnava il 65% dei seggi alla Camera, al partito o al gruppo di partiti che avessero raggiunto il 50% più uno dei voti. Sandro Pertini dopo l’approvazione della legge si recò dal Presidente della Repubblica Einaudi chiedendogli di non firmarla. La firmò ma i risultati elettorali impedirono lo scatto di quella legge (i quattro partiti di centro, apparentati, ottennero solo il 49,85% dei voti) ma i partiti di sinistra la battezzarono ugualmente legge-truffa.
Il 9 Giugno del 1991 fu svolto il Referendum voluto da Segni: più del 90% degli italiani – ma al Sud votarono solo il 55,3% degli elettori e al Nord il 68,3 – si espressero a favore di un sistema maggioritario corretto (il 25% dei seggi veniva assegnato ancora su base proporzionale) e uninominale. Il nuovo sistema elettorale fu incarnato nel Mattarellum del 1993. Segnatamente su tre punti si scatenò allora la propaganda e la demagogia dei referendari: la lotta alla partitocrazia, il rapporto diretto fra eletto ed elettore, e la“governabilità”. Ma nessuno di questi obiettivi fu raggiunto.
Il Mattarellum fu sostituito dal Porcellum – nomen omen! – utilizzato nelle elezioni del 2008 e contenente tre elementi fortemente antidemocratici. Primo: non ha permesso all’elettore di scegliere i propri rappresentanti. Questi, di fatto, sono “nominati” dagli oligarchi dei Partiti: il cittadino, mancando il voto di preferenza, deve solo stabilire le quote spettanti ai partiti stessi. Secondo: grazie allo sbarramento (4%) vengono estromesse dal Parlamento forze politiche storiche importanti. Terzo: assegna uno smisurato premio di maggioranza alla coalizione che ha preso più voti. A prescindere dalla percentuale.
Come ognuno può avvedersi si tratta di una legge che lede acutamente il principio di rappresentanza, tanto che molti costituzionalisti ritennero già da allora che contenesse elementi di anticostituzionalità. Come puntualmente la Corte costituzionale stabilirà, sia pure in grave ritardo nel 2014.
Arriviamo così oggi all’Italicum, fotocopia del Porcellum, da cui eredita tutte le nefandezze. Un vero e proprio Superporcellum, per di più approvato da una maggioranza parlamentare ristrettissima, alla faccia del principio secondo il quale “le Regole” si decidono insieme e con la più ampia maggioranza possibile.
Una legge che avvia e segna un processo autoritario e un presidenzialismo de facto, impastata com’è della cultura del capo. Parte integrante di tale progetto è il neocentralismo statuale con l’attacco forsennato alla Autonomie locali e la delirante proposta di abolizione delle Regioni o comunque di un loro ridimensionamento e depotenziamento.
Il Pd è il paladino di questo ciarpame di incultura e di perversione della rappresentanza, della democrazia, della libertà e dell’Autonomia , di cui storicamente ne è stata titolare e depositaria la Destra.
Combattere e liquidare tale paccottiglia restauratrice renziana è urgente: non risolveremo certo la crisi della politica ma sicuramente potremmo mettere una diga perché essa non si inabissi definitivamente nella melma.
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congresso di Vienna restaurazione

RESTAURAZIONE
di Luigi Pintor
Neanche dopo la caduta di Napoleone fu possibile una piena restaurazione del vecchio regime. Così c’è scritto in un vocabolario ragionato della lingua italiana a proposito del concetto storico-politico di restaurazione. Un concetto dunque impreciso e relativo che non so se si possa correttamente applicare al clima politico italiano degli ultimi mesi. Anche perché una restaurazione presuppone una rivoluzione che in Italia non c’è stata, se non per via giudiziaria o ingegneristica.
Però non trovo termine migliore (regressione? reazione? basso impero?). Considerando il gioco politico in senso stretto, il teatro di palazzo, sembrerebbe di essere tornati al CAF, se non fosse che Craxi è molto malato e Forlani è affidato ai servizi sociali. Ma l’assoluzione giudiziaria e la riabilitazione politico-morale di Andreotti, elevato a maestro di vita e a simbolo di innocenza di tutti i malfattori della repubblica, nonché la restituzione a Cossiga del ruolo di arbitro della legislatura e di interlocutore privilegiato della sinistra di governo, ci riportano indietro nel tempo come nei film di fantascienza a puntate. Con un pizzico in più di gerontocrazia che non guasta e che ci ricorda (sebbene non c’entri niente) la muffa del socialismo reale.
Una restaurazione della Dc e del suo regime cinquantennale non è pensabile (neanche dopo la caduta di D’Alema, che non è Napoleone). La Dc degasperiana e il suo regime sono stati una cosa corposa, fondata su un patto di ferro con la borghesia post-fascista e con i poteri forti (il “quarto partito” confindustriale, oltre che l’America), e su un consenso di massa clerico-popolare che era parte integrante della cultura nazionale. Aveva anche più anime, tutte anticomuniste ma non tutte volgari, non estranee alla stagione antifascista e ancor meno a quella Costituente (nonostante l’agnosticismo sulla questione monarchica). Un giorno che in televisione mi capitò di definire la Dc il partito politico più corrotto d’Europa, il viso perennemente disgustato dell’on. Moro si incupì e rispose che no, che il suo partito era una grande forza popolare, né tutta corrotta né tutta reazionaria.
Oggi quelle anime sono spezzoni o schegge (asinelli, trifogli, buttiglioni e mastelli) e il Ppi esiste solo perché ha ereditato un nome e perché ha un bravo ministro della sanità. Andreotti e Cossiga sono soltanto gli esponenti sopravvissuti dell’anima nera democristiana (che sbagliammo a identificare in Amintore Fanfani). Diversi tra loro, si contendono a pari merito il primato dell’intrigo politico nella storia della prima Repubblica ma, nonostante la reverenza cortigiana di cui sono di nuovo circondati, restano dei sopravvissuti. Si direbbe che D’Alema non conosca, tra le altre cose, neppure la storia recente del suo partito d’origine, se no dovrebbe ricordare che Andreotti e Cossiga (con l’unità nazionale e con i comportamenti successivi, prima e dopo la morte di Moro) intrappolarono Berlinguer che ne fu sdegnato e ruppe ogni rapporto, accusando se stesso di imperdonabile ingenuità. Perché D’Alema abbia riabilitato il picconatore come interlocutore privilegiato è un mistero italiano (così com’è un mistero, o forse una scoperta, o forse una prova della verità, la larga intesa tra il picconatore e Armando Cossutta).
Anche ipotizzando (ipotesi di terzo grado) che i personaggi e le schegge della vecchia Dc si accorpino, non perciò avrebbero qualche probabilità di riconquistare una centralità e di calamitare l’elettorato moderato o popolare. Il posto di prima classe, lo scompartimento riservato, se non l’intero treno compresa la locomotiva, sono già prenotati e occupati dal Polo e dalla persona di Silvio Berlusconi, e anche molta gente dell’attuale maggioranza preme per salire nei vagoni merce. La definizione è scientificamente imprecisa, ma la “democristianità” del 2000 ha il nome e l’impronta di Arcore. Dal 1948 al 2000 è trascorso mezzo secolo, con un mutamento epocale del mondo globalizzato, la società italiana non è quella fideista del dopoguerra ma quella carnale che si quota in Borsa, e il berlusconismo come fenomeno di massa ha radici e connotati modernisti ovviamente sconosciuti alla tradizione democristiana. Ma aderisce allo spirito del tempo e ne è espressione, come una gigantografia del craxismo.
Questo fenomeno, in verità, non è mai stato indagato a fondo e viene catalogato come transizione a una seconda Repubblica, sebbene non abbia nulla di una res publica e tutto di una res privata. Ciò che viene restaurato del passato è essenzialmente l’immoralità politica, peraltro mai debellata, e con essa i suoi esponenti storici. Sotto l’usbergo del “giusto processo”, in sé nobile, si decreta quell’amnistia, quel colpo di spugna, quella sanatoria, che non sarebbe stato decente proclamare apertamente. E quel che si rivaluta non è il passato remoto della Dc e del Psi come partiti di massa ma il loro passato prossimo. Una rilegittimazione che il partito di Veltroni concede agli altri negandola a se stesso, fino a giudicare Lenin un mongoloide liberticida.
Questo tipo di restaurazione non è antitetica e neppure concorrenziale all’ascesa berlusconiana, vistosissima nelle elezioni europee e amministrative di giugno e prevedibile nelle elezioni presidenzialiste regionali. Dovendo scegliere tra un tizio e un sempronio indistinguibili, quote crescenti dell’elettorato volteranno le spalle, in un clima a-democratico e a-sociale che è il riflesso istituzionale della flessibilià del lavoro, degli squilibri territoriali, della disoccupazione giovanile (con o senza casco), delle privatizzazioni generalizzate, delle distanze africane di status e di reddito, ossia del liberismo selvaggio (dove l’aggettivo è superfluo, il liberismo essendo selvaggio per natura). Viviamo in un paese dove le pensioni sociali di settecentomila persone vengono aumentate di un bicchiere di latte al giorno (18mila lire al mese), per un costo complessivo annuo che equivale al salario di quattro Schumacher. Le lotterie giganti, il gioco d’azzardo soft, assicurano allo Stato e alla sinistra etica che ci governa il prelievo fiscale corrispondente. Non fa meraviglia che Berlusconi sia il leader naturale di questo paese.
Quando la sinistra di governo perderà, meritatamente, il suo primato elettorale artificioso e il bastone di comando così malamente agitato, è improbabile che dia vita a un’opposizione. Ha bruciato troppi vascelli alle proprie spalle, ha praticato il trasformismo con troppo gusto, non potrà avversare dall’opposizione le politiche di un regime di centro-destra con cui si è immedesimata governando il paese. D’Alema e Veltroni non proverebbero nessun piacere riverniciando le Botteghe Oscure e potando l’Ulivo, dopo l’estasi provata in questi anni nell’imbiancare palazzo Chigi e nell’isterilire la quercia.
Questa nuova sconfitta che ci aspetta potrà essere salutare se la sinistra critica, oggi ancora disorientata e atomizzata, supererà il senso di inadeguatezza e di impotenza che la attanaglia e arriverà all’appuntamento riaggregata, visibile e operante. Il famoso “fatto nuovo” (che già mi è capitato di auspicare e forse oggi comincia ad apparire meno velleitario di ieri). È superfluo elencare le forze disponibili, l’area della sinistra critica va intesa al di là di una sommatoria di sigle, e per definirla mi bastano le discriminanti indicate da Bertinotti: contro la guerra e contro il liberismo.
Resisto alla tentazione di aggiungerne altre, salvo una: contro la corruzione, o meglio il corrompimento materiale e ideale di cui si nutre il sovversivismo delle classi dirigenti e che si direbbe una costante della storia nazionale. La questione morale come questione politica non fu solo una ossessione di Berlinguer, prima di lui fu quel noto liberticida di Gramsci a prospettare dal buio di un carcere una riforma intellettuale e morale.
- See more at: http://fondazionepintor.net/editoriali/rivistadue/restaurazione/#sthash.0NkVrTP8.dpuf

manifesto rivista 1999 numero 1 dicembre 1999
Editoriale

Oggi lunedì 18 maggio, lunis 18 maju, 2015

aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Il sosia, diventare un altro.
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ape-innovativaLogo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413
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cavalcatasarda home
- Cavalcata sarda, Sassari, 20-24 maggio 2015 Sito dedicato del Comune di Sassari -

L’Università scenda dall’Olimpo

-Raffaello,_concilio_degli_dei_02ape-innovativa2Sull’esigenza che le ricerche dell’Università (e non solo) vengano messe a disposizione della società, anche attraverso l’organizzazione della sua “comunicazione pubblica” ripubblichiamo un intervento del 5 gennaio 2013, che mantiene sostanzialmente inalterata la sua validità e la forza del richiamo all’accademia.

Sprechi e esigenze sociali: nessuno si senta escluso, a cominciare dai professori (accademici)!
di Franco Meloni, su Aladinews il 5 gennaio 2013

Imago Dantis

Dante di Botticelli LLDante secondo Sandro Botticelli. (Sandro fu il primo artista, su committenza di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, a illustrare organicamente la Commedia. Purtroppo, il suo lavoro rimase incompiuto).
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Dante secondo Luca Signorelli LL (Sotto) Dante secondo Luca Signorelli, (1445-1523) Orvieto, Duomo, affreschi della Cappella di San Brizio. Dante legge confrontando diversi codici: il suo è un atteggiamento tipicamente “umanistico”. Il poeta è laureato e indossa il caratteristico indumento rosso dei Priori di Firenze

- Per correlazione su Aladinews

la lampada di aladin su… Emergenza Educazione

lampada aladin micromicroocchialini biolchiniDon Cannavera, la lettera delle dimissioni: “Nel carcere di Quartucciu ragazzi trattati come pacchi”
. Vito Biolchini su vitobiolchiniblog.
Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità la Collina, ha reso note alla stampa le sue dimissioni dall’incarico di cappellano del carcere minorile di Quartucciu. Lo scorso 7 maggio Cannavera aveva inviato la lettera che qui pubblichiamo (“Riflessioni sull’impostazione pedagogica dell’Istituto penale minorile di Quartucciu”) al ministro della Giustizia Andrea Orlando, al direttore del Dipartimento Giustizia Minorile Annamaria Palma Guarnier, e per conoscenza al magistrato di sorveglianza del Tribunale per i minorenni di Cagliari Maria Giovanna Pisanu, alla presidente della Camera Laura Boldrini, ai senatori Luigi Manconi e Roberto Cotti, ai deputati Michele Piras e Pierpaolo Vargiu, e al direttore del Centro Giustizia Minorile per la Sardegna Isabella Mastropasqua
democraziaoggi loghetto- A Orune come a Milano?. Andrea Pubusa su Democraziaoggi. (…) E la mancanza di democrazia c’entra? C’è stata una stagione in cui tutti i paesi erano innervati da una rete di centri di organizzazione, dove si discuteva dei problemi locali e nazionali, le sezioni dei partiti, luoghi di confronto, di socializzazione e di elaborazione, e i consigli comunali erano piccole agorà, dove si decidevano le cose locali, ma sopratutto si formavano i cittadini, abituandoli alla pratica democratica. C’è stata la stagione dei circoli culturali ad Orgosolo e dintorni, e quanta dirigenza politica, quanta analisi della situazione è venuta fuori di lì. Molti di noi si sono formati in quella esaltante fucina di idee, di contatti, di discussioni, dove l’analisi prima che dai libri veniva trasmessa reciprocamente a voce dai Giovanni Moro, dai Gonario Sedda, dai Tonino Dessì e dalle Teta Mazzette. Oggi, c’è il sindaco-semi podestà, nelle province il podestà, nella Regione il governatore che sgoverna col 19% del consenso dei sardi, grazie ad una legge elettorale-truffa, e il presidente che si avvia sulla stessa strada con l’Italicum. Fra poco ci saranno anche i presidi-podestà e così via podestando. Qualcosa ha sostituito questi luoghi d’incontro, di analisi, di formazione? Questo deserto democratico incide nel malessere giovanile e non solo, in Barbagia come altrove? (…)

con gli occhiali di Piero…

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501419- 17 maggio su Aladinpensiero. 2013, 2014.

Da “Sa die de Sa Sardigna” un Progetto di Sardegna Libera dove Libertà significa innanzitutto Diritto al Lavoro

pablo e amicheI Sardi e la libertà, sa die del 2015.
Pubblichiamo la lectio magistralis, proposta da NEREIDE RUDAS, presidente del Comitato di ‘sa die de sa Sardigna’ , nel salone di Palazzo Regio, la mattina del 28 aprile 2015.
SA DIE (28 aprile 2015)

di Nereide Rudas

E’ passato un anno dall’ultima celebrazione di SA DIE e dopo un anno, nonostante sfavorevoli condizioni economiche e ritardi burocratici, di nuovo siamo – qui – insieme.

Essere – qui – insieme non è ovviamente, casuale, né circostanziale, né, tanto meno, privo di significato.

Innanzitutto il qui: il dove ci troviamo insieme.

Questo luogo prestigioso non è muto, ma ci parla.

Esso non è solo uno spazio fisico, geometrico, oggettivo con scanni, muri, volte, finestre che possiamo osservare e persino misurare.

La grande e magnifica sala che oggi ci accoglie è anche e, soprattutto, uno spazio “vissuto”, intessuto di ricordi, memorie, speranze.

E’ un’aula regale, carica di significati e di storia.

Noi siamo – qui – insieme nel luogo simbolo del potere regio un tempo dominante, contro il quale combatterono e morirono i nostri avi, i nostri maggiori, troppo spesso dimenticati.

SA DIE celebra appunto un momento alto del nostro lungo e tormentato percorso verso la libertà.

Da liberi (relativamente liberi) siamo – qui – insieme nel dove del nostro passato di il-libertà.

E’ questo – a me pare – è già un risultato che tutti, indistintamente tutti i sardi, in quanto tali, dovrebbero capire. O meglio dovrebbero com-prendere, nel senso fenomenologico di ‘prendere con sé’, fare proprio, interiorizzare come sentimento d’appartenenza e d’orgoglio, come diagramma d’una emozione partecipata e condivisa.

SA DIE è una festa della libertà.

In questi giorni abbiamo sentito spesso risuonare questa parola nelle celebrazioni del 70° anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo, a cui i grandi mezzi di comunicazione di massa hanno dato giusto e importante rilievo.

Ma anche SA DIE è una festa della libertà e per la libertà.

E questa parola, sia che riguardi un’intera nazione, sia che riguardi una “Piccola Patria”, rimane sempre un’immensa parola d’uguale e inestimabile forza e valore.

La libertà s’impone ancora nell’oggi, nonostante la sconfitta dei regimi totalizzanti, la caduta dei muri, i processi di decolonizzazione …

Le numerose guerre, aperte e nascose, le nuove e virulente forme di terrorismo, le diseguaglianze crescenti tra varie aree del mondo, minacciano la pace.

La libertà permane anche se alla cultura del sospetto non si è ancora sostituita la cultura del rispetto. Al di là delle mode, delle enfasi e delle possibili manipolazioni, la libertà rimane un concetto essenziale di valore, di obbiettivo e di speranza.

La sua storia è lunga e tormentata e la Sardegna ne è un esempio significativo. Nella nostra Isola la libertà è stata spesso negata e tradita. Se il suo cammino è stato tortuoso, anche l’origine della parola rimane oscura.

Il suo nome compare per la prima volta nella storia umana scritta in una tavoletta cuneiforme sumerica (III° millennio a. C.). Il testo narra di una rivolta vittoriosa contro un monarca tirannico, particolarmente oppressivo. La parola originaria è AMARGI, che letteralmente significa “ritorno alla madre”. Il punto di partenza della libertà sarebbe dunque matricentrico.

Essa apparterrebbe alla ipotizzata e discussa fase matriarcale, cara agli antropologi ottocenteschi e ai moderni ‘ecologisti sociali’. Essa sarebbe iscritta in quella fase di sviluppo dell’umanità, chiamata anche ‘società organica’, basata sull’usufrutto, a base ugualitaria e compartecipata. In essa la figura femminile è centrale: la donna è l’Archè della comunità e del suo immanente potenziale solidaristico.

Come donna, come donna della Sardegna, nella cui cultura si avverte un profumo matricentrico, amo anch’io pensare che all’origine della libertà ci sia stata una dimensione femminile-materna.

Qualunque opinione si abbia di questa lontanissima origine, sappiamo che l’antica Amargi si trasforma nella più consapevole Eleutheria: la libertà greca. La primigenia libertà irriflessiva si trasforma nella matura libertà ateniese, ove già si connota la contrapposizione di libero a schiavo, di libertà dall’esterno (dominio) a libertà dall’interno (tirannide) e si delineano i primi rapporti di autonomia, uguaglianza e democrazia.

Dobbiamo al fondamento greco anche la focalizzazione del primo rapporto tra libertà e norma.

Esso non diventerà però così stretto e obbligante come nella successiva Libertas romana, quale è significativamente espresso nell’affermazione: Libertas in legibus (consistit).

Il primato del concetto di libertà, come raro equilibrio fra benessere collettivo ed esigenza del singolo, rimane, nel mondo classico, palma degli ateniesi e trova una delle più elevate espressioni nella orazione funebre di Pericle. Le parole di Tucidide, d’ineguagliabile pregnanza di significato, si declinano in termini universali. Noi deriviamo il concetto di libertà orientata socialmente e politicamente da tale base.

Tuttavia l’idea che “l’individuo come tale ha valore infinito, … (che) l’uomo è in sé destinato alla somma libertà era estranea – avverte Hegel – all’antichità ed è venuta al mondo ad opera del Cristianesimo” e del Nuovo Testamento. Presupposto evangelico della libertà è l’idea antico-testamentaria ebraica che Dio agisce liberamente nella storia ed esige dal suo popolo fedeltà, obbedienza e conversione.

Il Cristo “plenipotenziario” d’una libertà sovrana, mediante la sua azione salvifica, rende reale la libertà.

Nella tarda scolastica la dottrina della libertà assume quella forma contro cui la Riforma sviluppa la sua tesi di “libertà non libera”.

Per Lutero la nuova concezione della libertà passa per la fede in Cristo. Solo nell’unione mediante la fede, con il Cristo, promessa di grazia e libertà, l’uomo può acquisire la sua salvezza. Per i Riformatori la libertà cristiana è una realtà spirituale. Ma la concezione riformata di libertà, vincolata solo alla parola di Dio e sottratta ad ogni autorità secolare ed ecclesiastica, determina una forte ricaduta, ben al di là della sfera religiosa. Essa trascende l’ordinamento della società medioevale, preparando una nuova fase.

Avanza con l’Illuminismo, altro nodo storico della libertà, il concetto che la libertà è lo stesso telos della storia. Da allora la storia poté cessare di essere un coacervo di accadimenti senza ordine e scopo per divenire una serie ordinata di eventi orientati verso il fine della libertà (N. Bobbio, 1979).

Le elaborazioni del concetto di libertà, sviluppate filosoficamente, erano ormai matura per essere mediate politicamente.

Questa tendenza si concretizzò nella Rivoluzione Francese, che mobilitò le masse al grido di “libertè, egalitè, fraternitè”. La costituzione francese (1791), nata dalla Rivoluzione e madre delle successive costituzioni dei Paesi Europei, afferma quale diritto inalienabile dell’uomo il diritto alla libertà.

In queste Carte Costituzionali e nello stesso Statuto della Regione Autonoma Sarda il diritto alla libertà, da dottrina filosofica, si tramuta in norma costituzionale.

In Sardegna la storia della libertà, che ho voluto brevemente richiamare, è stata particolarmente tormentata. Essa ha proceduto di pari passo con il suo simmetrico: il-libertà.

Ciò ci induce a pensare che non ci fu all’inizio un regno totale della libertà (come la parola Amargi ci aveva fatto sperare) né ci fu una prima e consapevole libertà forse nella nostra stessa straordinaria preistoria nuragica.

Ma non ci sarà neanche un libertà “perduta per sempre”: la storia è un drammatico intreccio di libertà e di oppressione.

Dobbiamo meglio abituarci a considerare la libertà non come uno stato, ma come un processo, un iter che, in un certo senso, anche noi percorriamo.

Noi sardi abbiamo, dopo molte lotte e gravosi sacrifici, acquistato una migliore condizione di libertà con la conquista di Regione Autonoma a Statuto Speciale.

La nostra libertà è nell’oggi più ampia rispetto al passato, ma è ancora ben lontana dall’essere soddisfacente.

Abbiamo, all’inizio del discorso, affermato che siamo “relativamente liberi”. L’elenco delle nostre attuali il-libertà sarebbe lungo. Tra i tanti campi possibili, ho scelto un esempio significativo: la il-libertà da deprivazione del lavoro, a cui ho dedicato specifiche ricerche.

La crisi economica, che ha interessato l’Europa e l’Italia, si è mostrata particolarmente pesante in Sardegna, una delle regioni più colpite dalla carenza di lavoro.

Se si esamina il fenomeno sulla deprivazione lavorativa rispetto ai due paradigmi della “libertà positiva” e della “libertà negativa” (N. Bobbio) si evidenzia un quadro preoccupante. Infatti, se per “libertà negativa” s’intende la situazione in cui il soggetto può agire senza essere impedito (libertas a coactione), colui che ha perso il lavoro è limitato nella sua azione: non può lavorare, è impedito in un’attività essenziale per la sua esistenza. Se, invece, per “libertà positiva” s’intende la libertà di volere, di autorealizzarsi e rendersi autonomo, colui che ha perso il lavoro non può orientare liberamente il proprio volere verso uno scopo (lavorare). Non è più in grado di autodeterminarsi, autorealizzarsi. Ma poiché il lavoro implica il rapporto del singolo con la società di cui è parte, si può affermare che il disoccupato appartiene a una società, a una Regione e a uno Stato a scarso gradiente di libertà. La Regione in cui vivo, infatti, non è in grado di garantirmi, come cittadino, una delle libertà fondamentali (la libertà di lavorare).

Chi non lavora è inoltre limitato nella possibilità di scelta.

Se dunque sembra affermarsi non un concetto di libertà assoluta ed immutabile, ma un concetto di libertà “situata”, “inquadrata” nel reale, che si declina nella libertà di scelta, noi sardi pretendiamo una più ampia possibilità di scelta e di progetto.

Vogliamo essere sardi più liberi, in un’Italia e in un’Europa libera.

Ma per ottenere questo occorre impegnarsi in un grande sforzo collettivo, in un profondo e rigoroso progetto culturale.

SA DIE è stimolo a questo.

Non è e non vuole essere un rituale ripetitivo, ma un impegno di mobilitazione dei sardi, di tutti i sardi, per una libertà più simmetrica e prospettica.
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Figari in Fiera cagliari

Oggi domenica, dominigu, 17 maggio, maju 2015

aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Festival della Filosofia. – La brochure.
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