Monthly Archives: aprile 2015
Oggi, sabato, sabudu, 18 aprile 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Convegno a Cagliari su riforme e regioni
———————————————————————————————-
———————————————————————————————————
18 APRILE: GIORNATA DI MOBILITAZIONE GLOBALE CONTRO IL TTIP
E GLI ALTRI TRATTATI DI LIBERO SCAMBIO
CENTINAIA DI INIZIATIVE NEL MONDO E IN ITALIA PER FERMARE IL TRATTATO TRANSATLANTICO.
- Approfondimenti su Aladinews.
Agostino oggi 85 anni
Auguri a padre Agostino Pirri, frate francescano del convento di Santa Rosalia (chiesa di San Salvatore da Horta) a Cagliari, che oggi ha compiuto 85 anni ed è stato festeggiato da numerosi suoi allievi/discepoli/confratelli/amici.
Ad multos annos! Augurios cun saludi e trigu!
Prigionieri delle ceneri
Tentando di dare altro significato alle parole di papa Francesco, alla fine la Saras ha detto una grande verità. È vero, siamo “adoratori di ceneri”, prigionieri di un modello di sviluppo ormai morto, senza aver il coraggio e la forza di intraprendere nuove strade. Una contraddizione che la società industriale si porta almeno dal 1970, quando il Club di Roma di Aurelio Peccei pubblicò “I limiti dello sviluppo”.
Un rapporto contestato anche dalla sinistra, perché in esso vedeva due pericoli. Il primo, quello di negare alle classi popolari l’accesso al benessere e ai diritti civili che il ridimensionamento dello sviluppo avrebbe portato con sé. Il secondo tutto di carattere ideologico. L’ecologismo era stato fino ad allora figlio delle culture di destra, della kultur legata alle tradizioni, al volk e al suo rapporto con la terra luogo della identità. In esso la sinistra del tempo leggeva il permanere di forme cripto naziste ed elitarie.
Letture che già allora venivano contestate da gruppi minoritari dei movimenti ecologisti che facevano riferimento al progressismo, così come da alcuni sindacati operai preoccupati delle condizioni di lavoro in fabbrica al grido di: “La salute non si monetizza” stante l’abitudine delle imprese del tempo di concedere indennizzi per i rischi degli ambienti di fabbrica. Non solo i luoghi di lavoro, ma il territorio e la salute delle popolazioni divennero la preoccupazione dell’ecologismo di sinistra. Per la Saras il tempo non passa, la sua polemica con su “connotu” dei sardi riprende le argomentazioni classiche delle dicotomie reazione- progresso, sviluppo scientifico- oscurantismo.
Non conta che l’Agenzia Europea dell’Ambiente collochi l’industria petrolifera di Sarroch tra le cento più inquinanti d’Europa, che la ricerca pubblicata da Mutagenesis, rivista dell’università di Oxford, riveli che i bambini di Sarroch “presentano incrementi significativi di danni e di alterazioni del Dna rispetto al campione di confronto estratto dalle aree di campagna”. Che tutto ciò abbia poco valore agli occhi della Saras è nell’ordine delle cose.
Quella impresa ha come obiettivo la massimizzazione del profitto, lo ha ancor di più ora che – si dice- la maggioranza delle azioni sta per passare dal gruppo Moratti alla Rosneft, gruppo russo la cui attenzione all’ambiente è tutta da dimostrare. Le polemiche seguite alla delibera con cui la giunta regionale autorizza la valutazione di impatto ambientale per il nuovo inceneritore di Macomer, dimostrano ancora una volta la contraddizione in cui viviamo. Da una parte si propugna un nuovo modello di sviluppo che abbia nel rispetto dell’ambiente il suo punto centrale, dall’altro si insiste con pratiche in totale contraddizione.
Acrobazie linguistiche per nobilitarle. Si sa, le parole sono tutto: sono definitorie e costruiscono il reale. I nuovi impianti di smaltimento vengono denominati termovalorizzatori- nella parola composta, “valore” restituisce positività- peccato che quel termine non esista. La legge parla chiaro, quegli impianti erano e restano inceneritori. Aziende insalubre di classe I, secondo il Decreto Ministeriale del 05/09/1994, di cui all’art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie, emanato dal Ministro della Sanità e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Suppl. Ordin. n° 220 del 20/09/1994.
Ora anche l’inquinamento della centrale di E.On di Fiume Santo. Altra impresa inserita dall’Agenzia Europea dell’Ambiente tra le più pericolose d’Europa. Tutto questo mentre le pagine pubblicitarie della Regione vendono l’Isola vantandone la qualità della vita. Ad Expo lo slogan della Sardegna avrà il punto di forza nei centenari. Tutto vero, ma la qualità della vita nei siti industriali non è delle migliori. I casi di cancro aumentano ma non esiste un registro tumori che possa offrire basi oggettive all’incidenza delle neoplasie in rapporto all’avvelenamento di terra, aria ed acqua. Così come appare evidente che i centenari sono diventati tali perché hanno vissuto in ambienti puliti. Quanti tra i trentenni e i quarantenni di oggi lo diventeranno?
Tutto ciò è frutto di scelte che la politica ha voluto che fossero “tecniche” dando loro oggettività, quasi che non fosse possibile alcuna alternativa. Abbiamo vissuto una modernizzazione imposta, si è alimentata la sfiducia verso soluzioni che partissero da noi. Si è negata la via sarda alla modernità ed oggi ne paghiamo il prezzo. Peggio ancora c’è chi insiste, chi crede che quelle scelte siano state le migliori e che lo siano anche per il futuro. Sulle reti sociali è pure capitato di leggere che è meglio morire di cancro che non avere un lavoro. Come se il “lavoro” sia solo essere dipendenti delle industrie inquinanti e che la salute propria e dei figli sia ben pagata da uno stipendio.
Si può capire la paura di perdere l’impiego, ma cosa sarebbero certe èlite sarde senza la Saras, l’Eni, gli inceneritori? Cosa sarebbe la Confindustria, visto che l’impresa petrolifera di Sarroch è la maggior contribuente? O i sindacati? È evidente che i blocchi non sono solo economici. Siamo culturalmente dipendenti dalle ceneri in cui è stata ridotta la Sardegna. Non vediamo o facciamo finta di non vedere i grandi rischi che corriamo. Siamo disposti però a qualsiasi lotta pur di avere i maialetti precotti nell’Expo.
Anno di grazia 2015, centro sinistra regnante.
—————————–
By sardegnasoprattutto/ 17 aprile 2015/ Culture
———————————————————
Se la politica vuol avere un senso, per favore batta un colpo, magari due
di Franco Mannoni, su fb
La questione della qualità della vita e dello sviluppo ormai si ripropone da noi in termini resi drammatici dall’esplodere di inchieste giudiziarie (E.On) e dalla pubblicazione di dati epidemiologici riguardanti patologie gravi diffuse nelle aree di maggior inquinamento di origine industriale.
Gli allarmi ,quali che siano e quando siano corroborati da qualche fondamento, esigono interventi seri di chi porta la responsabilità delle scelte, delle autorizzazioni, delle deroghe e delle proroghe.
Assistiamo a tremebondi balbettii preoccupati , più che del bene comune, di non scontentare attese. Non va bene! Chi non ha il coraggio della responsabilità lasci il passo.
Fra i diritti di cittadinanza vi è quello alla informazione.
A valle c’è tutto il tema dei provvedimenti da adottare e del ruolo di governo, regionale e nazionale.
Come ha avuto modo di affermare con forza Pietrino Soddu, uno della prima repubblica e della prima regione, il tema è quello di capire dove si vuole andare in prospettiva, di capire sé stessi e la strada che si intende percorrere.
In soldoni: qualsiasi cosa si pensi di fare, nel tempo oggi esplorabile in avanti, i ritmi di crescita conosciuti nel passato e gli output occupativi collegati non saranno riproducibili. Il modello hard é insabbiato e i suoi cascami, per difendere margini di profitto premono sul lavoro e sull’ambiente .
Allora? O ci apprestiamo a una fase di cambiamento in cui la programmazione ha al centro più che il Pil la qualità della vita e dell’ambiente e il lavoro condiviso,
oppure continuiamo con la programmazione finanziaria e procedurale e attendiamo una, dieci etc E.On, Sarroch e via.
Ho semplificato troppo, non ho parlato di bottom up né di criticità , ma qui bisogna esprimerci in sintesi.
Se la politica vuol avere un senso, per favore batta un colpo, magari due.
———————————————–-
Sa die de sa Sardigna 2015
Dipinto di Filippo Figari, Sardegna Industre, 1925, olio su tela, aula magna dell’Università di Cagliari (Università della Sardegna).
Sardegna Industre simboleggia “il benessere che reca lo studio delle scienze in pro dell’agricoltura e dell’industria della Sardegna. In primo piano, a sinistra un gruppo di donne in costume che significano la prosperità della terra e proteggono la nuova generazione; a destra, lavoratori della terra, del mare, delle officine; al centro la Sardegna Universitaria che regge la bandiera sarda dei quattro mori, ed ha a sinistra l’abbondanza e a destra l’Industria che frena i cavalli” (R. Carta Raspi, 1929).
—————————————–
* L’articolo di Nicolò Migheli viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto, nonchè su L’Unione Sarda del 19 aprile 2015.
a Mohamed
IL CALDO VENTO
(a Mohamed)
Il caldo vento del Marocco
porta profumi d’Africa,
ricordi di paesaggi sconfinati
e di grandi dune di sabbia.
Sabbia rossa e sottile che attraversa il mare
e ci lega indissolubilmente agli uomini che vivono sull’altra sponda.
Il caldo vento del Marocco
porta sogni e speranze,
semi di piante e giovani vite che cercano territori
nei quali piantare radici.
Il caldo vento del Marocco
piange quando i sogni e le speranze
ritornano a casa, per sempre.
Quando i semi delle piante e le giovani vite
non volano più nel vento,
con i fenicotteri e gli aironi,
per rincorrere la vita.
(V.T.)
25.02.2009
——————————————————-
Mohamed, alunno del Marocco arrivato a Florinas, frequentava la scuola media. E’ deceduto all’improvviso per una grave malattia. Mi sono tornate in mente queste poche frasi vedendo le drammatiche immagini degli sbarchi di migranti nella nostra penisola e sentendo le dichiarazioni infami di alcuni politici che non meritano neppure di essere menzionati.
Cessi il silenzio complice di Caino
Papa Francesco, commemorando il centenario del Mmetz Yeghern (Il Grande Male), lo sterminio di oltre un milione e mezzo di armeni compiuto nel 1915 dai turchi, ha detto: “Purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi, decapitati, crocifissi, bruciati vivi, oppure costretti ad abbandonare la loro terra”. Il governo turco in risposta ha convocato il nunzio apostolico ad Ankara, monsignor Antonio Lucibello, per esprimere il proprio disappunto. Non sono piaciute le parole del Pontefice che ha definito quello degli armeni “Il primo genocidio del XX secolo“.
Ancora oggi in Turchia chi parla di genocidio armeno rischia il carcere in base all’art. 301 del Codice penale (Offesa alla dignità nazionale turca). La versione che si vuole far passare è quella del danno collaterale del conflitto, la risposta all’insurrezione degli armeni e la necessità di difendere le frontiere turche. Risposta che avrebbe causato l’uccisione di “solo” 300.000 armeni. E’ respinta l’ipotesi di un programma di annientamento di un popolo attuato con determinazione.
Nella rivista “SardegnaSoprattutto” è stato precedentemente richiamato il caso emblematico di Doğu Perinçek, presidente del Partito dei Lavoratori, il partito comunista più grande della Turchia, che in una manifestazione della comunità turca in Svizzera parlava del genocidio armeno come di “Una bugia internazionale, diffusa dalle potenze imperialiste che avevano invaso il nostro paese dopo il 1918″. Condannato da due corti svizzere (in Svizzera la negazione del genocidio armeno costituisce reato) è stato assolto dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che ha invece condannato la Svizzera per violazione dell’art.10 della Convenzione, che attiene alla libertà di espressione. Doğu Perinçek aveva affermato a sua difesa: “Considero l’accusa di razzismo un insulto alla mia persona, io sono comunista e lotto per la fratellanza dei popoli.”
Stridono le parole del “comunista” Perinçek con quelle del Papa: “Ancora oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino”. Per il Pontefice il primo genocidio del XX secolo ha colpito gli Armeni con lo sterminio di religiosi, donne, uomini, anziani e bambini. Prima di lui lo disse, nel 2001, Giovanni Paolo II. Ad oggi sono 23 i paesi che lo hanno riconosciuto. Fra quelli europei ci sono Francia, Italia, Germania.
Sono moltissimi quelli che non usano la parola genocidio, fra questi Stati Uniti e Israele, che ritengono più opportuno non deteriorare i rapporti con la Turchia. E’ confermata così la riflessione del Pontefice che richiama quella di Pietro Kuciukian, Console Onorario della Repubblica di Armenia in Italia: “La negazione della Turchia fino ad oggi non è altro che la continuazione del genocidio, e quindi noi armeni siamo stati continuamente genocidati negli ultimi cento anni”.
Non occorre essere cristiani, musulmani, atei o credenti per concordare col Papa che non è certo col “silenzio complice di Caino” che si può evitare il ripetersi delle tragedie che ha vissuto l’umanità. Impossibile non riconoscere che “Fare memoria di quanto accaduto è doveroso non solo per il popolo armeno e per la Chiesa universale, ma per l’intera famiglia umana”.
- Raffaele Deidda By sardegnasoprattutto/13 aprile 2015/Culture
——————————————————————–
Tra sensi di colpa e realpolitik nel tempo del pensiero semplice
di Nicolò Migheli
Il grido di papa Francesco sullo sterminio dei cristiani in Asia e Africa sembra destinato a rimanere inascoltato. Un’altra drammatica coincidenza con il 1915. Giusto nell’aprile di cent’anni fa cominciò nell’Impero Ottomano l’olocausto degli armeni. Centinaia di migliaia di persone crocefisse, uccise per mano dei turchi, le chiese rase al suolo, i cimiteri cancellati. Con loro i cristiani greci, siriaci, assiri, caldei, nestoriani e i più indifesi tra tutti: gli yazidi accusati di essere adoratori di Satana. Il ripetersi di quelle tragedie non sembra coinvolgere gli occidentali. La stessa sinistra e i movimenti pacifisti, muti e distratti.
Queste stragi non appartengono al paradigma dominante, non sono opera né dei sionisti né degli imperialisti anglo-americani-francesi, di conseguenza non esistono. Interessano solo alle destre che anelano al conflitto di civiltà. Dove è però la sinistra, quel pensiero politico che della difesa degli ultimi, dello schierarsi con ogni lotta di liberazione, aveva fatto la cifra del proprio impegno? Stare dalla parte di quei cristiani evidentemente non giova. Le ragioni sono molte. In questo tempo di pensiero semplice si tende ad equiparare il cristianesimo con il Vaticano e con il ruolo che le gerarchie cattoliche hanno nel favorire politiche conservatrici, specie sui diritti umani, in Italia ed in Europa. Posizione che dimentica o non sa, che molti dei cristiani uccisi e scacciati dalle loro terre non sono solo cattolici, molti appartengono a chiese autocefale molto antiche, nate dalle predicazioni apostoliche e che nulla hanno a che fare con Roma.
Nella memoria della sinistra terzomondista è presente il ricordo del cristianesimo come punta ideologica della penetrazione colonialista in America, Asia ed Africa; oppure il ruolo ambiguo giocato dalle gerarchie cattoliche nelle dittature sud americane. Posizioni che oggi sono poco utili nella interpretazione di quel che accade. Ad esempio in India i cristiani vengono discriminati perché predicano l’abolizione delle caste; i convertiti vengono dai dalit, gli intoccabili, gli ultimi degli ultimi.
Una religione di liberazione, secondo i dettati evangelici. Tutto ciò o non è conosciuto o è sovrastato del senso di colpa per quel che gli occidentali hanno fatto nel mondo. Nel caos mediorientale, le spiegazioni assumono altre chiavi di interpretazione. Ancora una volta i primi imputati sono i paesi occidentali e il loro ruolo nella destabilizzazione di Iraq e Siria, cosa vera peraltro. C’è questo ma non è tutto, come se fosse possibile che migliaia di combattenti, come quelli dell’Isis e delle centinaia di formazioni jihaidiste che riconoscono l’autorità del Califfo, siano agli ordini degli occidentali.
Ancora una volta una spiegazione semplice ad un fenomeno complesso. È evidente che il demone una volta uscito dalla giara agisce di vita propria. Benché oramai siano – lo saranno veramente?- ripudiati dai sauditi, essi sono l’emanazione della setta dei wahabiti che hanno permesso alla tribù dei Saud di conquistare la penisola araba e di diventare i custodi dei luoghi santi dell’Islam. La potenza finanziaria dei principi arabi viene usata per espandere il wahabitismo edificando moschee e formando imam radicali. La predicazione di questi imam tende a dividere il mondo tra musulmani e non. I cristiani vengono considerati i primi nemici insieme agli ebrei, definiti come crociati e da estirpare dalle terre in loro possesso.
Una visione così radicale non impedisce loro di avere rapporti con gli Usa e ai Sauditi di esserne fedeli alleati. Non sono soli però, agiscono in competizione con l’altra ala jihaidista, quella salafita dei Fratelli Musulmani che fanno riferimento al Qatar e alla Turchia. Questi usano il movimento fondato da al-Hasan al-Bannâ nel 1925 in Egitto e fuori legge in gran parte dei paesi islamici, per accrescere il proprio dominio. Un conflitto per il controllo della Umma sunnita. I cristiani orientali impauriti da queste interpretazioni messianiche, hanno preferito appoggiare governi dispotici come quelli del Baat iracheno-siriano, perché garantivano la libertà religiosa essendo laici.
Questo agli occhi dei fondamentalisti è una ulteriore colpa grave. I governi occidentali ricattati dalla finanza e dal petrolio saudita, impauriti dai teorici dello scontro di civiltà, ignorano il dramma. Lo considerano un affare interno, uno dei tanti eccidi che si compiono in quelle regioni. Realpolitik che sembra aver conquistato anche la sinistra. Nei giorni di Pasqua, nella periferia di Damasco, un campo di profughi palestinesi è stato conquistato dall’Isis al prezzo di centinaia di morti tra la popolazione civile e la decapitazione di alcuni combattenti. Anche quelle vittime non rispondono al paradigma dominante. Yarmouk non è Gaza.
———————————————
——————————————–
Pietro Kuciukian: i giusti tra gli ottomani
di Simone Zoppellaro (1)
Nel centenario del genocidio armeno, il fondatore della Foresta dei Giusti invita a riflettere sul legame tra mondo ebraico e mondo armeno e sul ruolo dei giusti ottomani, come strada per una riconciliazione possibile. Nostra intervista.
Pietro Kuciukian è Console Onorario della Repubblica di Armenia in Italia e fondatore, insieme a Gabriele Nissim, di Gariwo, la foresta dei Giusti, organizzazione che promuove a livello internazionale la conoscenza e l’interesse verso le figure dei giusti di tutti i genocidi. Figlio egli stesso di un sopravvissuto al genocidio armeno, salvato da un turco, Kuciukian è un raccoglitore e divulgatore instancabile di storie che hanno per protagonisti uomini capaci di sfidare il proprio interesse e la propria epoca in nome del bene.
Console Kuciukian, so che è appena tornato da un viaggio in Israele effettuato insieme all’organizzazione Gariwo. Come è andata?
Insieme a Gabriele Nissim siamo andati in Israele invitati dalla Open University of Israel di Ra’anana e da Yair Auron, che è uno storico che si interessa di genocidi, specialmente del genocidio armeno. Nissim ha parlato dei giardini dei giusti, che stiamo promuovendo ormai in tutto il mondo e che ricordano i giusti di tutti i genocidi, e io invece ho parlato dei giusti ottomani, ma anche dei giusti armeni che hanno salvato gli ebrei, e dei giusti ebrei che hanno salvato gli armeni. Dopo siamo andati a Neve Shalom dove abbiamo inaugurato un nuovo giardino, un giardino dei giusti per tutti i genocidi. Neve Shalom è una cittadina che è abitata sia da ebrei che da palestinesi.
A questo proposito, volevo chiederle del legame storico e culturale che c’è fra mondo ebraico e mondo armeno, anche alla luce della recente pubblicazione del volume Pro Armenia: voci ebraiche sul genocidio armeno a cura di Fluvio Cortese e Francesco Berti. Quale importanza ha questo legame e quale ruolo può avere nel vincere i negazionismi che esistono ancora oggi?
Sia gli ebrei che gli armeni sono da sempre minoranze con una vulnerabilità strutturale, e quindi sono sempre stati più o meno emarginati. Questo punto può avvicinare questi due popoli nei millenni della loro storia. All’epoca del genocidio, come si è visto nel libro Pro Armenia che ha ricordato, ci sono stati molti ebrei che hanno aiutato gli armeni. Io ne ho trovati altri, oltre a quelli del libro. I tre maggiori sono Lewis Einstein, André Mandelstam e Henry Morgenthau. Da parte mia, ho trovato il gruppo NILI, formato dalla famiglia Aaronsohn di Zichron Ya’akov, che è proprio il luogo dove questo gruppo di spie ha operato in favore degli inglesi. Da questa località loro hanno avuto la grande intuizione – siamo nella Palestina di fine ottocento – di allearsi da subito con gli arabi. Quindi loro auspicavano una nazione e uno stato di ebrei, arabi e armeni. Hanno scritto molto sulla questione del genocidio armeno perché lo hanno visto di persona. Sarah Aaronsohn è stata un’eroina: lei è andata da Zichron Ya’akov – questo villaggio che io ho visitato – fino a Costantinopoli, nel 1915, e ha visto quello che succedeva agli armeni. Che erano arrotati sotto i treni, buttati, uccisi e massacrati. Ne è rimasta così impressionata che ogni volta che suo fratello Aaron nominava gli armeni lei aveva una crisi nervosa. Questo gruppo mandava notizie agli inglesi ad Alessandria, aiutandoli a sconfiggere gli ottomani; erano quindi alleati con Lawrence d’Arabia e con gli arabi. Non tutti erano d’accordo, e cresceva la paura della persecuzione degli ebrei. E in effetti poi hanno cominciato a perseguitare gli ebrei, a deportarli da Giaffa e da Gerusalemme. Fortunatamente, la famiglia Aaronsohn è riuscita ad avere molto oro dagli inglesi con il quale è riuscita a pagare e a corrompere i locali, e quindi la deportazione si è arenata. Io ho tradotto un libro molto interessante di Anita Engle su questa famiglia: Spie all’ombra della mezzaluna, edito da Baldini Castoldi Dalai. Sarah è stata presa, torturata e ha avuto la possibilità, sfuggendo un attimo, di procurarsi un revolver e uccidersi. Si è suicidata per non parlare. La funzione di questo gruppo NILI è stata importante perché riusciva a dare notizie di quello che succedeva agli ebrei e al mondo intero. Se gli armeni avessero avuto un gruppo così, che avesse dato all’epoca notizie di quello che succedeva agli armeni, forse si sarebbe evitato il genocidio. Poi ne ho trovati altri. Raphael Lemkin, che è colui che ha inventato il termine “genocidio”, che era un ebreo anche lui e aveva assistito a un processo: il processo Tehlirian. Soghomon Tehlirian aveva ucciso Talaat Pascià, l’ex ministro degli Interni ottomano, a Berlino, nel ’21, ed era poi stato assolto nel successivo processo svoltosi in Germania. Lemkin è rimasto molto impressionato da questo fatto e ha cominciato a studiare questo “crimine di lesa umanità” – come si chiamava allora il genocidio degli armeni – fino ad arrivare nel 1944 a coniare il termine “genocidio” che nel 1948 è stato adottato dalle Nazioni Unite. Poi c’è stato David Sasson, che era un ebreo della Alliance Israélite Universelle di Mosul, dove vedeva arrivare queste carovane, questi uomini cenciosi e queste donne nude che morivano per strada. Ha raccolto dei soldi assieme a degli amici ebrei e ha cercato di aiutarli. C’è stato poi Franz Wefel, che è l’autore de I quaranta giorni del Mussa Dagh, un’epopea che ha per protagonisti i pochi armeni che si sono salvati su Mussa Dagh; questo libro è stato il più letto durante la resistenza nel Ghetto di Varsavia. Trovavano ispirazione in questo libro: ecco questa vicinanza fra armeni ed ebrei. Inoltre, durante la Seconda guerra mondiale, quando gli ebrei avevano paura dell’attacco nazista, si erano rifugiati sul monte Carmelo e avevano nominato il piano di salvataggio “piano Mussa Dagh”: e quindi è anche interessante questo connubio fra armeni e ebrei all’epoca del genocidio degli ebrei.
Sempre nell’epoca della Shoah, abbiamo ben ventiquattromila persone che hanno salvato ebrei, negli anni ’40, di varie nazioni: ucraini, francesi, ungheresi, austriaci, ma anche armeni. Sono personaggi che, ovviamente con grande difficoltà, sono riusciti a salvare molte vite. Per esempio a Lione nel ’42 c’era un ebreo, Tancmans, all’epoca in cui la polizia francese iniziava a fare razzia degli ebrei. Lui scappava e si è rifugiato in una panetteria. In questa panetteria c’era una giovane, una certa Berthe Hougassian di 16 anni, che lo ha protetto. L’ha protetto, poi l’ha detto anche ai genitori, che erano a loro volta scampati al genocidio degli armeni nel ’15, e quindi capivano la situazione. Questa famiglia tutta insieme lo ha protetto fino alla fine della guerra. Di casi così ce ne sono molti altri: non faccio un elenco perché sarebbe molto lungo. Comunque c’è questa vicinanza, direi, una vicinanza di perseguitati.
Il 24 aprile a Yerevan, a Istanbul e in tante altre città del mondo verrà ricordato il centenario del Genocidio armeno. Volevo chiederle la sua opinione sul significato storico di questo evento. Che cosa rappresenta questo centenario per gli armeni di oggi?
Prima di tutto direi che è una cosa molto strana. Perché se a distanza di cento anni ancora tutto il mondo – perché è in tutto il mondo che gli armeni si stanno organizzando – ricorda ancora, vuol dire che è stata una cosa molto forte nella comunità e nell’animo di tutti gli armeni. Ormai non sono più gli scampati, ma i figli degli scampati, i nipoti e i pronipoti. E questo perché? Perché la negazione della Turchia fino ad oggi non è altro che la continuazione del genocidio, e quindi noi armeni siamo stati continuamente genocidati negli ultimi cento anni. Purtroppo, molti eredi del governo dei Giovani turchi che ha fatto il Genocidio sono entrati nelle Turchia repubblicana di Kemal Atatürk. Non potevano negare se stessi; quattro sono diventati addirittura ministri all’epoca di Kemal. Però il kemalismo in questo momento sta un po’ tramontando: Erdoğan l’anno scorso ha fatto un tentativo per la prima volta di condoglianze verso gli armeni. E questo, secondo me, è già un segno positivo.
Cosa si può fare per vincere il negazionismo che grava ancora oggi sul Metz Yeghern?
Proprio ora sto ultimando un libro sui giusti ottomani, cioè le persone che all’epoca del genocidio hanno salvato gli armeni. E ne ho trovati molti, di questi salvatori. Perché, mi dirà, questo lavoro? I Giovani turchi e i loro eredi sono orgogliosi di quanto hanno fatto, perché attraverso l’eliminazione degli armeni e l’espulsione dei greci hanno costruito uno stato nazionale turco. Così, sono orgogliosi anche di quelle persone che hanno eliminato gli armeni, tant’è che Talaat Pascià e Enver hanno non so quante piazze e monumenti in Turchia dedicate a loro. Ora, facendo vedere ai turchi e al mondo intero che ci sono stati dei turchi che hanno salvato gli armeni, vorrei che questo orgoglio nazionale non fosse più riversato sui malvagi e i responsabili, ma su quelli che hanno salvato gli armeni nel genocidio. Inoltre i turchi, scoprendo quello che hanno fatto questi salvatori, vengono a conoscenza anche del genocidio. Il genocidio è conosciuto oggi dal 77% dei giovani in tutto il mondo e in Turchia dal 10%, che è già una cifra interessante per noi armeni. Perciò serve questa ricerca sui giusti ottomani; e serve anche agli armeni, perché gli armeni non devono pensare che tutti i turchi siano nemici. Queste due cose messe a confronto possono aprire una via per la riconciliazione.
(1) Osservatorio Balcani e Caucaso del 7 aprile 2015
——————–
* By sardegnasoprattutto/ 7 aprile 2015 / Società & Politica
** By sardegnasoprattutto/ 9 aprile 2015/ Culture
——————
- Genocidio Armeni
La crisi dell’Università e l’Università che servirebbe al paese
ARGOMENTI / RICERCA E SVILUPPO
La crisi (pianificata) dell’università si vede meglio da sud
di Francesco Sinopoli
L’università italiana è tra le ultime in Europa per finanziamenti e per numero di iscritti e laureati, ricercatori e dottori di ricerca. Il quadro, già fosco, si incupisce quando ci si concentra sulla situazione delle università del Sud, sempre più penalizzate da criteri per la distribuzione delle risorse ideati per premiare le realtà con le performance migliori. Quale sviluppo possiamo immaginare per il paese e per il Mezzogiorno senza puntare sull’istruzione superiore e la ricerca?
67sima Fiera della Sardegna, Cagliari 25 aprile – 3 maggio 2015
Punt’e billetu
- Le riflessioni (e i suggerimenti) su Aladinews In particolare: i consigli non richiesti. – Inaugurazione sabato 25 aprile alle ore 11 -
—————————
- Il sito web della Fiera di Cagliari.
POVERA SCUOLA
POVERA SCUOLA! …..sebbene ancora VIVA, per ESCLUSIVO impegno e merito dei DOCENTI.
.
.
.
.
.
Ho iniziato a frequentarla 65 anni orsono,…. ma è stata sempre una Cenerentola.
Sono stato alunno, docente e genitore,…. senza che mai comparisse all’orizzonte una scuola nuova,…. Ho imparato ad insegnare, affrontando la classe con il buon senso, senza mai aver fatto scuola di didattica. E’ molto difficile il mestiere di insegnante (il più duro e delicato che io conosca,…. conosco bene anche il lavoro fisico, che ho praticato da bambino). Ho conosciuto insegnanti intelligentissimi, che hanno superato brillantemente tutti i concorsi, ma non riuscivano a ottenere attenzione dalla classe, e si esaurivano,……
Per questo è difficile esprimere una VALUTAZIONE del DOCENTE,….. se non nell’impegno complessivo del CONSIGLIO di CLASSE, attraverso la valutazione del profitto della classe.
Nessun docente può permettersi di essere valutato negativamente, perché la scuola non è una fabbrica di pezzi meccanici che se vengono male potranno rifarsi. A scuola si valorizzano o si distruggono personalità, creando squilibri individuali e incalcolabili danni sociali.
Per questo l’affidamento della valutazione della premialità del docente, ai Presidi, è un errore così madornale quanto incredibile in una così detta “ BUONA SCUOLA”, ma che non prospetta niente di alternativo, tutta incentrata a fare economia nella misurazione del compenso dei docenti e nella contrazione e soppressione delle classi,….. attraverso l’aumento del numero degli alunni per classe.
La paura e il fine della scuola, è stato quello dell’indottrinamento,…… per decenni il Ministro della Pubblica Istruzione è stato di provenienza politica del partito cattolico della “Democrazia Cristiana”.
Le componenti laiche della società civile non hanno mai potuto incidere per farne una scuola di formazione libera,…
La componente cattolica ha sempre prevalso e sebbene dominasse, non straripando, ha affiancato alla scuola pubblica, la scuola privata e confessionale, per i ceti dominanti; rivendicando peraltro i finanziamenti statali fino ad ottenerli da un ministro comunista ( Luigi Berlinguer). - segue -
Oggi, giovedì, giobia, 16 aprile 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Giornata della memoria del genocidio armeno.
———————————————————————————————-
———————————————————————————————————
E. On. The end. Fuck off.
Caravaggio. La tavolozza e la spada: il Caravaggio di Milo Manara.
- Il Caravaggio di Manara. Milo Manara: “Ecco il mio Caravaggio”.
—————————
RepTv News, Milo Manara: “Ecco il mio Caravaggio, ha la faccia di Andrea Pazienza”
Dopo anni di studio e lavoro arriva il primo volume della vita di Caravaggio disegnata da Milo Manara (Caravaggio – La tavolozza e la spada, Panini Comics). Non mancano naturalmente l’erotismo e una grande attenzione alle architetture di una Roma maestosa: “Quando passeggiavo a Massenzio o Caracalla con il mio amico Fellini, – ricorda Manara – Federico mi diceva: non ti sembrano dinosauri che dormono? Caravaggio deve aver provato lo stesso stupore”. L’artista lombardo ritratto da Manara ha una forte somiglianza fisica con Andrea Pazienza: “Tutti e due si sono buttati nella loro vita senza fare calcoli. Erano come una fiaccola che arde da entrambe le estremità: dura meno, ma fa molta più luce…”
LA GIORNATA DELLA MEMORIA DEL GENOCIDIO ARMENO
HUŞER ՀՈՒՇԵՐ
Giornata della memoria del genocidio armeno
Giovedì 16 aprile, ore 16, Auditorium B
Ex Clinica Medica “Mario Aresu”, Via S. Giorgio 12 – CAGLIARI
Presiede
GIOVANNA CALTAGIRONE, Dipartimento di filologia, letteratura, linguistica
Relazioni
· NICOLA MELIS, Dipartimento di scienze sociali e delle istituzioni
La questione armena in prospettiva storica. Dall’Impero ottomano alla Repubblica di Turchia
· GIOVANNA CALTAGIRONE, Dipartimento di filologia, letteratura, linguistica
Aspetti della letteratura armena in lingua italiana
· ALESSANDRO ARAMU, Direttore della rivista di geopolitica SpondaSud
Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio
· KARINÉ MAKINYAN, Università di Cagliari
Racconti degli armeni sugli armeni
Reading a cura dell’attrice RITA ATZERI
Informazioni caltagir@unica.it
———————————————————————————————
Cessi il silenzio complice di Caino
di Raffaele Deidda
Papa Francesco, commemorando il centenario del Mmetz Yeghern (Il Grande Male), lo sterminio di oltre un milione e mezzo di armeni compiuto nel 1915 dai turchi, ha detto: “Purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi, decapitati, crocifissi, bruciati vivi, oppure costretti ad abbandonare la loro terra”. Il governo turco in risposta ha convocato il nunzio apostolico ad Ankara, monsignor Antonio Lucibello, per esprimere il proprio disappunto. Non sono piaciute le parole del Pontefice che ha definito quello degli armeni “Il primo genocidio del XX secolo“.
Ancora oggi in Turchia chi parla di genocidio armeno rischia il carcere in base all’art. 301 del Codice penale (Offesa alla dignità nazionale turca). La versione che si vuole far passare è quella del danno collaterale del conflitto, la risposta all’insurrezione degli armeni e la necessità di difendere le frontiere turche. Risposta che avrebbe causato l’uccisione di “solo” 300.000 armeni. E’ respinta l’ipotesi di un programma di annientamento di un popolo attuato con determinazione.
Nella rivista “SardegnaSoprattutto” è stato precedentemente richiamato il caso emblematico di Doğu Perinçek, presidente del Partito dei Lavoratori, il partito comunista più grande della Turchia, che in una manifestazione della comunità turca in Svizzera parlava del genocidio armeno come di “Una bugia internazionale, diffusa dalle potenze imperialiste che avevano invaso il nostro paese dopo il 1918″. Condannato da due corti svizzere (in Svizzera la negazione del genocidio armeno costituisce reato) è stato assolto dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che ha invece condannato la Svizzera per violazione dell’art.10 della Convenzione, che attiene alla libertà di espressione. Doğu Perinçek aveva affermato a sua difesa: “Considero l’accusa di razzismo un insulto alla mia persona, io sono comunista e lotto per la fratellanza dei popoli.”
Stridono le parole del “comunista” Perinçek con quelle del Papa: “Ancora oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino”. Per il Pontefice il primo genocidio del XX secolo ha colpito gli Armeni con lo sterminio di religiosi, donne, uomini, anziani e bambini. Prima di lui lo disse, nel 2001, Giovanni Paolo II. Ad oggi sono 23 i paesi che lo hanno riconosciuto. Fra quelli europei ci sono Francia, Italia, Germania.
Sono moltissimi quelli che non usano la parola genocidio, fra questi Stati Uniti e Israele, che ritengono più opportuno non deteriorare i rapporti con la Turchia. E’ confermata così la riflessione del Pontefice che richiama quella di Pietro Kuciukian, Console Onorario della Repubblica di Armenia in Italia: “La negazione della Turchia fino ad oggi non è altro che la continuazione del genocidio, e quindi noi armeni siamo stati continuamente genocidati negli ultimi cento anni”.
Non occorre essere cristiani, musulmani, atei o credenti per concordare col Papa che non è certo col “silenzio complice di Caino” che si può evitare il ripetersi delle tragedie che ha vissuto l’umanità. Impossibile non riconoscere che “Fare memoria di quanto accaduto è doveroso non solo per il popolo armeno e per la Chiesa universale, ma per l’intera famiglia umana”.
- Raffaele Deidda By sardegnasoprattutto/13 aprile 2015/Culture
——————————————————————–
Tra sensi di colpa e realpolitik nel tempo del pensiero semplice
di Nicolò Migheli
Il grido di papa Francesco sullo sterminio dei cristiani in Asia e Africa sembra destinato a rimanere inascoltato. Un’altra drammatica coincidenza con il 1915. Giusto nell’aprile di cent’anni fa cominciò nell’Impero Ottomano l’olocausto degli armeni. Centinaia di migliaia di persone crocefisse, uccise per mano dei turchi, le chiese rase al suolo, i cimiteri cancellati. Con loro i cristiani greci, siriaci, assiri, caldei, nestoriani e i più indifesi tra tutti: gli yazidi accusati di essere adoratori di Satana. Il ripetersi di quelle tragedie non sembra coinvolgere gli occidentali. La stessa sinistra e i movimenti pacifisti, muti e distratti.
Queste stragi non appartengono al paradigma dominante, non sono opera né dei sionisti né degli imperialisti anglo-americani-francesi, di conseguenza non esistono. Interessano solo alle destre che anelano al conflitto di civiltà. Dove è però la sinistra, quel pensiero politico che della difesa degli ultimi, dello schierarsi con ogni lotta di liberazione, aveva fatto la cifra del proprio impegno? Stare dalla parte di quei cristiani evidentemente non giova. Le ragioni sono molte. In questo tempo di pensiero semplice si tende ad equiparare il cristianesimo con il Vaticano e con il ruolo che le gerarchie cattoliche hanno nel favorire politiche conservatrici, specie sui diritti umani, in Italia ed in Europa. Posizione che dimentica o non sa, che molti dei cristiani uccisi e scacciati dalle loro terre non sono solo cattolici, molti appartengono a chiese autocefale molto antiche, nate dalle predicazioni apostoliche e che nulla hanno a che fare con Roma.
Nella memoria della sinistra terzomondista è presente il ricordo del cristianesimo come punta ideologica della penetrazione colonialista in America, Asia ed Africa; oppure il ruolo ambiguo giocato dalle gerarchie cattoliche nelle dittature sud americane. Posizioni che oggi sono poco utili nella interpretazione di quel che accade. Ad esempio in India i cristiani vengono discriminati perché predicano l’abolizione delle caste; i convertiti vengono dai dalit, gli intoccabili, gli ultimi degli ultimi.
Una religione di liberazione, secondo i dettati evangelici. Tutto ciò o non è conosciuto o è sovrastato del senso di colpa per quel che gli occidentali hanno fatto nel mondo. Nel caos mediorientale, le spiegazioni assumono altre chiavi di interpretazione. Ancora una volta i primi imputati sono i paesi occidentali e il loro ruolo nella destabilizzazione di Iraq e Siria, cosa vera peraltro. C’è questo ma non è tutto, come se fosse possibile che migliaia di combattenti, come quelli dell’Isis e delle centinaia di formazioni jihaidiste che riconoscono l’autorità del Califfo, siano agli ordini degli occidentali.
Ancora una volta una spiegazione semplice ad un fenomeno complesso. È evidente che il demone una volta uscito dalla giara agisce di vita propria. Benché oramai siano – lo saranno veramente?- ripudiati dai sauditi, essi sono l’emanazione della setta dei wahabiti che hanno permesso alla tribù dei Saud di conquistare la penisola araba e di diventare i custodi dei luoghi santi dell’Islam. La potenza finanziaria dei principi arabi viene usata per espandere il wahabitismo edificando moschee e formando imam radicali. La predicazione di questi imam tende a dividere il mondo tra musulmani e non. I cristiani vengono considerati i primi nemici insieme agli ebrei, definiti come crociati e da estirpare dalle terre in loro possesso.
Una visione così radicale non impedisce loro di avere rapporti con gli Usa e ai Sauditi di esserne fedeli alleati. Non sono soli però, agiscono in competizione con l’altra ala jihaidista, quella salafita dei Fratelli Musulmani che fanno riferimento al Qatar e alla Turchia. Questi usano il movimento fondato da al-Hasan al-Bannâ nel 1925 in Egitto e fuori legge in gran parte dei paesi islamici, per accrescere il proprio dominio. Un conflitto per il controllo della Umma sunnita. I cristiani orientali impauriti da queste interpretazioni messianiche, hanno preferito appoggiare governi dispotici come quelli del Baat iracheno-siriano, perché garantivano la libertà religiosa essendo laici.
Questo agli occhi dei fondamentalisti è una ulteriore colpa grave. I governi occidentali ricattati dalla finanza e dal petrolio saudita, impauriti dai teorici dello scontro di civiltà, ignorano il dramma. Lo considerano un affare interno, uno dei tanti eccidi che si compiono in quelle regioni. Realpolitik che sembra aver conquistato anche la sinistra. Nei giorni di Pasqua, nella periferia di Damasco, un campo di profughi palestinesi è stato conquistato dall’Isis al prezzo di centinaia di morti tra la popolazione civile e la decapitazione di alcuni combattenti. Anche quelle vittime non rispondono al paradigma dominante. Yarmouk non è Gaza.
———————————————
——————————————–
Pietro Kuciukian: i giusti tra gli ottomani
di Simone Zoppellaro (1)
Nel centenario del genocidio armeno, il fondatore della Foresta dei Giusti invita a riflettere sul legame tra mondo ebraico e mondo armeno e sul ruolo dei giusti ottomani, come strada per una riconciliazione possibile. Nostra intervista.
Pietro Kuciukian è Console Onorario della Repubblica di Armenia in Italia e fondatore, insieme a Gabriele Nissim, di Gariwo, la foresta dei Giusti, organizzazione che promuove a livello internazionale la conoscenza e l’interesse verso le figure dei giusti di tutti i genocidi. Figlio egli stesso di un sopravvissuto al genocidio armeno, salvato da un turco, Kuciukian è un raccoglitore e divulgatore instancabile di storie che hanno per protagonisti uomini capaci di sfidare il proprio interesse e la propria epoca in nome del bene.
Console Kuciukian, so che è appena tornato da un viaggio in Israele effettuato insieme all’organizzazione Gariwo. Come è andata?
Insieme a Gabriele Nissim siamo andati in Israele invitati dalla Open University of Israel di Ra’anana e da Yair Auron, che è uno storico che si interessa di genocidi, specialmente del genocidio armeno. Nissim ha parlato dei giardini dei giusti, che stiamo promuovendo ormai in tutto il mondo e che ricordano i giusti di tutti i genocidi, e io invece ho parlato dei giusti ottomani, ma anche dei giusti armeni che hanno salvato gli ebrei, e dei giusti ebrei che hanno salvato gli armeni. Dopo siamo andati a Neve Shalom dove abbiamo inaugurato un nuovo giardino, un giardino dei giusti per tutti i genocidi. Neve Shalom è una cittadina che è abitata sia da ebrei che da palestinesi.
A questo proposito, volevo chiederle del legame storico e culturale che c’è fra mondo ebraico e mondo armeno, anche alla luce della recente pubblicazione del volume Pro Armenia: voci ebraiche sul genocidio armeno a cura di Fluvio Cortese e Francesco Berti. Quale importanza ha questo legame e quale ruolo può avere nel vincere i negazionismi che esistono ancora oggi?
Sia gli ebrei che gli armeni sono da sempre minoranze con una vulnerabilità strutturale, e quindi sono sempre stati più o meno emarginati. Questo punto può avvicinare questi due popoli nei millenni della loro storia. All’epoca del genocidio, come si è visto nel libro Pro Armenia che ha ricordato, ci sono stati molti ebrei che hanno aiutato gli armeni. Io ne ho trovati altri, oltre a quelli del libro. I tre maggiori sono Lewis Einstein, André Mandelstam e Henry Morgenthau. Da parte mia, ho trovato il gruppo NILI, formato dalla famiglia Aaronsohn di Zichron Ya’akov, che è proprio il luogo dove questo gruppo di spie ha operato in favore degli inglesi. Da questa località loro hanno avuto la grande intuizione – siamo nella Palestina di fine ottocento – di allearsi da subito con gli arabi. Quindi loro auspicavano una nazione e uno stato di ebrei, arabi e armeni. Hanno scritto molto sulla questione del genocidio armeno perché lo hanno visto di persona. Sarah Aaronsohn è stata un’eroina: lei è andata da Zichron Ya’akov – questo villaggio che io ho visitato – fino a Costantinopoli, nel 1915, e ha visto quello che succedeva agli armeni. Che erano arrotati sotto i treni, buttati, uccisi e massacrati. Ne è rimasta così impressionata che ogni volta che suo fratello Aaron nominava gli armeni lei aveva una crisi nervosa. Questo gruppo mandava notizie agli inglesi ad Alessandria, aiutandoli a sconfiggere gli ottomani; erano quindi alleati con Lawrence d’Arabia e con gli arabi. Non tutti erano d’accordo, e cresceva la paura della persecuzione degli ebrei. E in effetti poi hanno cominciato a perseguitare gli ebrei, a deportarli da Giaffa e da Gerusalemme. Fortunatamente, la famiglia Aaronsohn è riuscita ad avere molto oro dagli inglesi con il quale è riuscita a pagare e a corrompere i locali, e quindi la deportazione si è arenata. Io ho tradotto un libro molto interessante di Anita Engle su questa famiglia: Spie all’ombra della mezzaluna, edito da Baldini Castoldi Dalai. Sarah è stata presa, torturata e ha avuto la possibilità, sfuggendo un attimo, di procurarsi un revolver e uccidersi. Si è suicidata per non parlare. La funzione di questo gruppo NILI è stata importante perché riusciva a dare notizie di quello che succedeva agli ebrei e al mondo intero. Se gli armeni avessero avuto un gruppo così, che avesse dato all’epoca notizie di quello che succedeva agli armeni, forse si sarebbe evitato il genocidio. Poi ne ho trovati altri. Raphael Lemkin, che è colui che ha inventato il termine “genocidio”, che era un ebreo anche lui e aveva assistito a un processo: il processo Tehlirian. Soghomon Tehlirian aveva ucciso Talaat Pascià, l’ex ministro degli Interni ottomano, a Berlino, nel ’21, ed era poi stato assolto nel successivo processo svoltosi in Germania. Lemkin è rimasto molto impressionato da questo fatto e ha cominciato a studiare questo “crimine di lesa umanità” – come si chiamava allora il genocidio degli armeni – fino ad arrivare nel 1944 a coniare il termine “genocidio” che nel 1948 è stato adottato dalle Nazioni Unite. Poi c’è stato David Sasson, che era un ebreo della Alliance Israélite Universelle di Mosul, dove vedeva arrivare queste carovane, questi uomini cenciosi e queste donne nude che morivano per strada. Ha raccolto dei soldi assieme a degli amici ebrei e ha cercato di aiutarli. C’è stato poi Franz Wefel, che è l’autore de I quaranta giorni del Mussa Dagh, un’epopea che ha per protagonisti i pochi armeni che si sono salvati su Mussa Dagh; questo libro è stato il più letto durante la resistenza nel Ghetto di Varsavia. Trovavano ispirazione in questo libro: ecco questa vicinanza fra armeni ed ebrei. Inoltre, durante la Seconda guerra mondiale, quando gli ebrei avevano paura dell’attacco nazista, si erano rifugiati sul monte Carmelo e avevano nominato il piano di salvataggio “piano Mussa Dagh”: e quindi è anche interessante questo connubio fra armeni e ebrei all’epoca del genocidio degli ebrei.
Sempre nell’epoca della Shoah, abbiamo ben ventiquattromila persone che hanno salvato ebrei, negli anni ’40, di varie nazioni: ucraini, francesi, ungheresi, austriaci, ma anche armeni. Sono personaggi che, ovviamente con grande difficoltà, sono riusciti a salvare molte vite. Per esempio a Lione nel ’42 c’era un ebreo, Tancmans, all’epoca in cui la polizia francese iniziava a fare razzia degli ebrei. Lui scappava e si è rifugiato in una panetteria. In questa panetteria c’era una giovane, una certa Berthe Hougassian di 16 anni, che lo ha protetto. L’ha protetto, poi l’ha detto anche ai genitori, che erano a loro volta scampati al genocidio degli armeni nel ’15, e quindi capivano la situazione. Questa famiglia tutta insieme lo ha protetto fino alla fine della guerra. Di casi così ce ne sono molti altri: non faccio un elenco perché sarebbe molto lungo. Comunque c’è questa vicinanza, direi, una vicinanza di perseguitati.
Il 24 aprile a Yerevan, a Istanbul e in tante altre città del mondo verrà ricordato il centenario del Genocidio armeno. Volevo chiederle la sua opinione sul significato storico di questo evento. Che cosa rappresenta questo centenario per gli armeni di oggi?
Prima di tutto direi che è una cosa molto strana. Perché se a distanza di cento anni ancora tutto il mondo – perché è in tutto il mondo che gli armeni si stanno organizzando – ricorda ancora, vuol dire che è stata una cosa molto forte nella comunità e nell’animo di tutti gli armeni. Ormai non sono più gli scampati, ma i figli degli scampati, i nipoti e i pronipoti. E questo perché? Perché la negazione della Turchia fino ad oggi non è altro che la continuazione del genocidio, e quindi noi armeni siamo stati continuamente genocidati negli ultimi cento anni. Purtroppo, molti eredi del governo dei Giovani turchi che ha fatto il Genocidio sono entrati nelle Turchia repubblicana di Kemal Atatürk. Non potevano negare se stessi; quattro sono diventati addirittura ministri all’epoca di Kemal. Però il kemalismo in questo momento sta un po’ tramontando: Erdoğan l’anno scorso ha fatto un tentativo per la prima volta di condoglianze verso gli armeni. E questo, secondo me, è già un segno positivo.
Cosa si può fare per vincere il negazionismo che grava ancora oggi sul Metz Yeghern?
Proprio ora sto ultimando un libro sui giusti ottomani, cioè le persone che all’epoca del genocidio hanno salvato gli armeni. E ne ho trovati molti, di questi salvatori. Perché, mi dirà, questo lavoro? I Giovani turchi e i loro eredi sono orgogliosi di quanto hanno fatto, perché attraverso l’eliminazione degli armeni e l’espulsione dei greci hanno costruito uno stato nazionale turco. Così, sono orgogliosi anche di quelle persone che hanno eliminato gli armeni, tant’è che Talaat Pascià e Enver hanno non so quante piazze e monumenti in Turchia dedicate a loro. Ora, facendo vedere ai turchi e al mondo intero che ci sono stati dei turchi che hanno salvato gli armeni, vorrei che questo orgoglio nazionale non fosse più riversato sui malvagi e i responsabili, ma su quelli che hanno salvato gli armeni nel genocidio. Inoltre i turchi, scoprendo quello che hanno fatto questi salvatori, vengono a conoscenza anche del genocidio. Il genocidio è conosciuto oggi dal 77% dei giovani in tutto il mondo e in Turchia dal 10%, che è già una cifra interessante per noi armeni. Perciò serve questa ricerca sui giusti ottomani; e serve anche agli armeni, perché gli armeni non devono pensare che tutti i turchi siano nemici. Queste due cose messe a confronto possono aprire una via per la riconciliazione.
(1) Osservatorio Balcani e Caucaso del 7 aprile 2015
——————–
* By sardegnasoprattutto/ 7 aprile 2015 / Società & Politica
** By sardegnasoprattutto/ 9 aprile 2015/ Culture
——————
- Genocidio Armeni
SEGNALAZIONI. Iniziative del Circolo Gramsci nell’ambito di Monumenti aperti 2015
Nell’ambito di “Monumenti Aperti” Cagliari 2015 domenica 10 maggio dalle ore 17 alle ore 19, di seguito il programma.
Alla scoperta di Is Mirrionis.
Luoghi, storia e storie del quartiere, nei racconti di Sergio Atzeni e nei ricordi dei protagonisti.
Una passeggiata di circa un’ora alla scoperta di Is Mirrionis, quartiere di edilizia popolare sorto dopo la seconda guerra mondiale per ospitare il ritorno degli sfollati e di quanti avevano perso la casa nei bombardamenti (inizialmente sistemati in grotte e nelle casermette militari). Con l’espansione di Cagliari, Is Mirrionis si è trovato pienamente inserito nel perimetro urbano, ma fino al secondo dopoguerra, prima della costruzione delle case INA, era una zona di aperta campagna, in cui si stagliavano le caserme militari, poi sede dell’Ospedale SS Trinità. - segue -
Arte & Vino – Iniziative da valorizzare (ed imitare)
Per i seguaci di Dioniso. “Arte & Vino” in 170 capolavori dell’ arte. Due “eccellenze” italiane da riscoprire e/o coltivare.
——————————————
ARTE & VINO A VERONA – Cinque secoli d’arte per celebrare il vino, i suoi miti e le leggende, in un intreccio tra sacro e profano attraverso 170 capolavori di Lorenzo Lotto, Tiziano, Guido Reni, Rubens, Tiepolo, ma anche De Pisis, Depero, Morandi, Guttuso, Picasso riuniti eccezionalmente fino al 16/8 alla Gran Guardia di Verona. “Arte e vino. Due eccellenze in una mostra unica”.