Monthly Archives: marzo 2015

Emilio Lussu

(Armungia, 4 dicembre 1890 – Roma, 5 marzo 1975)
Federalismo e pacifismo: il messaggio di Lussu a 40 anni dalla sua morte
Emilio Lussu dip Foiso Fois
di Francesco Casula
Oggi 5 marzo ricorre il quarantesimo anniversario della morte di Emilio Lussu. Ebbene in Sardegna, la sua terra, nessuna pubblica istituzione né partito pare che intenda ricordarlo. Gli è che i politici – ma anche le istituzioni culturali, le Università per esempio – sono impegnati in ben altri riti. Lussu rimane ancora un personaggio “scomodo” e disadatto ad ogni incorporazione storica dei vincitori, anche post mortem. Così, anche quando lo si celebra e lo si ricorda, si cerca di sterilizzare il suo pensiero, la sua eredità morale, politica e persino letteraria. E’ successo così negli ultimi decenni, in cui dopo anni di colpevole silenzio, molti, troppi in Sardegna si sono scoperti e riconosciuti “sua figliolanza” (l’espressione è della moglie Joyce). Magari quelli stessi che in vita hanno combattuto Lussu e le sue idee. Ed hanno cercato, tutti, di tirare Lussu per la giacchetta, cercando di “convertirlo”, di purgare le parti più scomode del suo pensiero, per mitizzarlo e imbalsamarlo. Una volta sterilizzato e ridotto a “santino”, innocuo e rassicurante, si può anche “mettere nella nicchia” (anche quest’espressione è di Joyce) per diventare dio protettore dei sardi e della Sardegna.
Si dimenticano costoro chi era Lussu, uomo di parte. Sempre dalla parte del popolo lavoratore sardo, pacifista e federalista, nemico giurato dello Stato burocratico e accentratore, degli ascari e mediatori locali e delle clientele, della politica ridotta a mera gestione del potere. Nel 1945, quando era Ministro del Governo Parri, Vittorio Foa suo compagno di partito, una volta andò a chiedergli di mettere una firma sotto un’autorizzazione per aiutare finanziariamente il suo Partito. Lussu rispose: “puoi chiedermi di montare a cavallo ed andare in via Nazionale a rapinare l’oro della Banca d’Italia e io, per il Partito, lo faccio subito. Ma mettere una firma sotto una cartaccia mai!” Questo era Lussu, sempre e non solo nel 1945. Rientrato nel 1919 dal fronte, viene trattenuto in servizio di punizione alla frontiera iugoslava per aver dimostrato che un generale si era arricchito vendendo cavalli e altri beni dell’esercito. Una bella lezione a molti politici di oggi, immersi nell’affarismo e nella melma della corruzione.
Scomodo è anche il suo lascito ideale, culturale e di pensiero: ad iniziare dalla sua teoria federalista che si coniuga in modo inscindibile con i valori forti della libertà e dei diritti, della democrazia diretta e dell’autogoverno, della partecipazione e del controllo popolare. Scrive in un saggio del 1933, pubblicato nel n. 6 di «Giustizia e Libertà»: ”Frequentemente accade di parlare con uno che riteniamo federalista perché si professa autonomista e scopriamo invece, che è unitario con tendenze al decentramento”.
E precisa: ”Ora la differenza essenziale fra decentramento e federalismo consiste nel fatto che per il primo la sovranità è unica ed è posta negli organi centrali dello Stato ed è delegata quando è esercitata dalla periferia; per l’altro è invece divisa fra Stato federale e Stati particolari e ognuno la esercita di pieno diritto”. Quando Lussu parla di sovranità “divisa” fra Stato federale e Stati particolari – o meglio federati, aggiungo io – di “frazionamento della sovranità”, pensa quindi alla rottura e alla disarticolazione dello stato unitario “nazionale” che deve dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati, in cui “per Stati non si intendono più gli Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno stato più grande, ma parte o territori dello stato grande elevati al rango di stati membri”: l’intera frase virgolettata è tratta da «Federalismo» di Norberto Bobbio, «Introduzione a Silvio Trentin».
In questo modo il potere sovrano originario e non derivato spetta a più Enti, a più Stati e perciò scompare la sovranità di un unico centro, dello stato come veniva concepito nell’Ottocento – che Lussu critica in quanto “unica e assorbente” – di un unico potere e soggetto singolare per fare capo a più soggetti e poteri plurali. Con questa impostazione Lussu supera il concetto di unipolarità con cui si indica la dottrina ottocentesca in cui libertà e diritto fondano la loro legittimità solo in quanto riconducibili alla fonte statale. Quella su Federalismo è un’altra lezione a chi oggi, lungi da imboccare la strada della riforma dello Stato in senso federalista, attacca le Autonomie locali e, delirando, pensa all’abolizione delle Regioni, per ritornare a uno Stato centralista e centralizzatore.
Infine il suo Pacifismo. Interventista convinto e “chiassoso”, parteciperà alla Prima Guerra con entusiasmo, giustificandola “moralmente e politicamente”. Al fronte però sperimenta sulla propria pelle, l’assurdità e l’insensatezza della guerra: con la protervia e stupidità dei generali che mandano al macello sicuro i soldati; con i pidocchi, i miliardi di pidocchi, la polvere e il fumo, i tascapani sventrati, i fucili spezzati, i reticolati rotti, i sacrifici inutili. Ma soprattutto con l’olocausto degli uomini sfracellati e le foreste di crani nei cimiteri militari; con i 13.602 sardi morti su 100 mila pastori, contadini, braccianti chiamati alle armi: i figli dei borghesi, proprio quelli che la guerra la propagandavano come “gesto esemplare” alla D’Annunzio per intenderci o, cinicamente, come “igiene del mondo” alla futurista, alla guerra non ci sono andati..
Scriverà a questo proposito Camillo Bellieni, compagno d’armi prima e di Partito poi, di Lussu:”Chi accennasse a selvagge passioni brulicanti nel nostro sangue nel tragico istante della mischia non avrebbe altra scusa per il suo errore che l’immensa ignoranza delle nostre cose. Giudizi simili possono essere dati solamente da coloro che non hanno visto l’infinita tristezza dei nostri soldati nell’ora precedente all’azione”.
La retorica patriottarda e nazionalista, vieta e bolsa, sulla guerra come avventura e atto eroico, va a pezzi. “Abbasso la guerra”, “Basta con le menzogne” gridavano, ammutinandosi con Lussu, migliaia di soldati della Brigata Sassari il 17 Gennaio 1916 nelle retrovie carsiche, tanto da far scrivere allo stesso Lussu – in «Un anno sull’altopiano»“Il piacere che io sentii in quel momento, lo ricordo come uno dei grandi piaceri della mia vita”. Anche perché, in cambio dei 13.602 sardi morti in guerra, (1386 morti ogni diecimila chiamati alle armi, la percentuale più alta d’Italia, la media nazionale infatti è di 1049 morti) – per non parlare delle migliaia di mutilati e feriti – ci sarà il retoricume delle medaglie, dei ciondoli, delle patacche. Ma la gloria delle trincee – sosterrà lo storico sardo Carta- Raspi – “non sfamava la Sardegna”.
Nascerà dalla sua esperienza sul fronte l’opposizione netta, radicale, decisa di Lussu alla guerra:” Di guerre non ne vogliamo più – scriverà – e vogliamo collaborare e allontanare la guerra vita natural durante nostra e dei nostri figli e a renderla impossibile per sempre, disarmandola”. Chi vuole la guerra, secondo Lussu, è chi non la conosce, parafrasando in qualche modo il seguente apoftegma:”Chi ama la guerra non l’ha mai vista in faccia” (Erasmo da Rotterdam, «Adagia, Sei Saggi politici in forma di proverbi», Einaudi, Torino 1980).
Una lezione pacifista, quanto mai attuale e opportuna, specie in un momento in cui nuove inquietanti fosche e minacciose avvisaglie di guerra sembrano apparire nell’orizzonte.
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Emilio Lussu Ed 5 3 15
Emilio Lussu
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Vittorio Foa
Il mio ricordo di Lussu
Ciao Lussu, poeta in armi

Scritto da Vittorio Foa nel marzo 1975 per il Manifesto

Emilio Lussu ha avuto il singolare destino di convivere con la sua leggenda. E questo non solo per essere morto in età tarda, dopo essersi chiuso per anni in un silenzioso ritiro carico di dignità pari alla dignità che segnò tutta la sua vita. La leggenda di Emilio Lussu è nata nella sua giovinezza, nei suoi anni trenta e lo ha accompagnato fino alla morte: l’organizzatore di pastori, pescatori, minatori e contadini, il politico eminente, lo studioso, lo scrittore di successo, il parlamentare ascoltato, l’uomo pratico e concreto legato alle normali vicende della vita di ogni giorno, appariva contemporaneamente, nella luce della sua leggenda, come un solitario guerriero, come un paladino capace di affrontare e di mettere in fuga torme di infedeli.

E’ forse possibile, sia pure in modo sommario, cercare le origini della leggenda di Lussu e scoprire che essa non contraddice minimamente la figura di Lussu uomo del suo tempo. La prima radice della leggenda sta indubbiamente nello scontro fisico coi fascisti che egli, consapevolmente volle affrontare da solo nella sua casa di Cagliari. Lussu sapeva, per informazioni sicure, che gli squadristi avrebbero assalito la sua casa di notte, con intenzioni omicide. Nella calma più perfetta si preparò. Rifiutò, con una saggezza da vecchio patriarca, lui che aveva solo trentacinque anni, di chiedere aiuto alla polizia che sapeva complice dei fascisti, congedò la vecchia governante, si armò e attese da solo gli aggressori. Quando essi arrivarono e trovando sprangato il portone entrarono dalle finestre con delle scale, Lussu uccise freddamente il primo che si affacciò mettendo in fuga la torma. Si tratta di un singolo episodio, in mezzo a molti altri di indomito coraggio nella lotta contro il fascismo avanzante.

Perché allora esso ha segnato così profondamente la coscienza dei giovani antifascisti militanti? In realtà non si tratta di un dato caratteriologico, di un semplice esempio di coraggio. Si tratta di un dato più profondo che attinge alla sfera ideologica. Lussu ha deciso di affrontare lo scontro fisico, e probabilmente mortale, da solo. Egli negava in un sol colpo tutta la realtà che lo circondava fatta di compromessi e capitolazioni e rinunce, una realtà di ripieghi e pretesti per non battersi, per giustificare prima l’inerzia e poi la subordinazione al nemico. Egli illustrava quella sera, meglio che con un trattato di etica politica, che quando il destino ti mette di fronte al nemico per agguerrito che esso sia non puoi voltare le spalle. Vivere questo imperativo da solo, in una condizione limite, è solo un modo, peraltro molto efficace, di proporla al livello di massa.

La leggenda di Lussu ha anche un’altra radice. Il giovane capitano della brigata Sassari, che torna alla sua isola dopo una sanguinosa esperienza di trincea, raccontata in un libro di sconvolgente bellezza «Un anno sull’altipiano», si fa organizzatore di pastori e pescatori, di contadini poveri e di minatori, si fa assertore di giustizia e di autonomia in una società oppressa dall’ingiustizia e dal centralismo statale. Che importa se la sua dottrina non è il marxismo, ma un radicalismo piccolo borghese? Il marxismo del suo tempo era intriso di determinismo delle forze produttive, per cui solo una classe operaia industriale sviluppata può agire in modo rivoluzionario, e anche di massimalismo pure esso operaistico. Solo Gramsci, pure lui sardo apriva allora un discorso nuovo, Salvemini aveva da tempo rinunciato al socialismo.

Lussu era dunque un socialista «diverso»; per lui la rivoluzione non nasceva solo dalla concentrazione capitalistica e dalle grandi fabbriche, ma anche dalla condizione contadina del mezzogiorno e delle isole. In questo senso Lussu si ricollegava all’epopea dei fasci siciliani, che il partito socialista aveva ripudiato, abbandonandoli alla reazione borghese e scegliendo l’alleanza con la borghesia industriale avanzata. Il fondatore del Partito sardo di azione poté poi, nel lungo corso della sua vita, rivendicare il suo socialismo, pur diverso perché sostanziato di autonomia e di iniziativa contadina. La continuità militare-contadina e la «diversità» della sua organizzazione politica di massa contribuirono certo alla leggenda di Lussu, così come la potente immaginazione di cui caricò sempre il suo linguaggio e la sua azione politica. Proprio perché diverso, perché autonomista e contadino, Lussu era impermeabile a qualsiasi infiltrazione riformistica, assai più dei suoi giovani compagni di sinistra operaisti e industrialisti. Proprio per quello Lussu ruppe col Partito socialista al tempo del centrosinistra, ma nella sinistra socialista come poi nel Psiup mantenne una notevole indipendenza di giudizio. Ancora una volta leggenda e vita normale sono due facce di una unica esperienza.

L’immaginazione di Emilio Lussu! Anche questa non era un semplice dato di carattere. Anche quando il suo discorso sembrava echeggiare toni e ritmi guerrieri e feudali, o persino tribali, comunque sempre legati alla storia e ai costumi precapitalistici della sua terra, l’immaginazione di Emilio Lussu era una forza moderna, era il rifiuto dei canoni banali e sterili delle istituzioni burocratiche della democrazia borghese, era l’invito a non separare la politica come tecnica dalla poesia come ricerca e creazione di nuovi modi di lavoro e di vivere. Dopo il 18 aprile 1948 il poeta Lussu poteva, in un famoso discorso al Senato, raccontare la storia di quella vittoria democristiana come la vittoria della cristianità a Lepanto nel 1571 con De Gasperi nei panni dell’ammiraglio Don Giovanni d’Austria e Togliatti in quelli di Alì Pascià. Non era un semplice scherzo, era il tentativo, pur in veste poetica, di smascherare un imbroglio ideologico.

Vorremmo ricordarne altre, fra le numerose «immagini» politiche create da Lussu per caratterizzare un giudizio oppure una iniziativa. Anche quando erano dure, la carica di ironia contribuiva ad addolcirle, a trasformare la polemica in un insegnamento. Basta qui un solo episodio. Nel settembre 1945, quando Lussu era ministro nel governo Parri, chi scrive andò a chiedergli, per aiutare finanziariamente il partito di cui entrambi facevano parte, di mettere una firma sotto una autorizzazione, cosa consueta nel sottobosco politico del tempo. Lussu rispose: «Compagno, puoi chiedermi di montare a cavallo e andare in via Nazionale a rapinare l’oro della Banca d’Italia e io – per il partito – lo faccio subito. Ma mettere una firma sotto una cartaccia, giammai». Nell’irrealismo dell’immagine il poeta riusciva a cogliere e giudicare la squallida realtà del mondo in cui ci avvolgevamo e ad avanzare, almeno come ipotesi, un mondo diverso.
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Vittorio Foa ed 5 3 15
Vittorio Foa
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[Foto 1. Archivio Corriere della Sera, 2. Archivio Rai, riprese dal blog del Circolo Giustizia e Libertà di Sassari]
Emilio-Lussu-ad-Armungia
- Emilio Lussu su Aladinews
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Mantegna

Andrea Mantegna Madonna con il Bambino che dormeGoodnight!
Andrea Mantegna, Madonna con il Bambino che dorme, 1455 – 1460 c., Berlino, Gemäldegalerie, tempera su tela, 43 x 32 cm
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La malinconica tenerezza di Maria, il sonno tranquillo del Bambino… Andrea Mantegna, sicuramente si è ispirato alle dolcissime Madonne di suo cognato, Giovanni Bellini… ma forse anche alla bellezza di sua moglie Nicolosia, sorella minore di Giovanni, e di qualcuno dei suoi figlioletti. (licialisei)

Università della Sardegna. Quale Architettura in Sardegna? Dalla situazione di Alghero alla questione più ampia

SalviamolAAA-foto-di-Stefano-Ferrando-61
ape-innovativa2Seguiamo la “vertenza” di “AAA Architettura Ad Alghero”, che ci ostiniamo a voler vedere risolversi nella costruzione della “Scuola di Architettura della Sardegna“, sotto l’egida dell’Università della Sardegna (vedasi il nostro editoriale del primo marzo). Diamo conto di ulteriori sviluppi della vicenda, attraverso il servizio odierno de La Nuova Sardegna, accompagnato da un bell’articolo di Giampaolo Cassitta sul perché non deve chiudersi Agricoltura Ad Alghero.
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AAA logo algheroDopo le dimissioni (respinte due volte) del direttore Cecchini, gli universitari vogliono chiarezza sul destino della facoltà
Gli studenti: ora il confronto col rettore

di Gianni Olandi
ALGHERO Per gli studenti della facoltà di Architettura alle prese con una situazione abbastanza complicata, forse in via di soluzione, ma al momento sostenuta soltanto da parole e impegni generici, sono giornate caratterizzate da uno stato di assemblea permanente. Incontri vengono svolti ormai quotidianamente per prendere atto degli ultimi aggiornamenti e individuare azioni da assumere. – segue

Con Syriza e Podemos, la sinistra europea riscopre la patria

fronte euroscettico
Con Syriza e Podemos, la sinistra europea riscopre la patria
[Carta di Laura Canali da Moneta e impero]
Limes rivista itdi Mario Giro
La vittoria di Tsipras (Syriza) in Grecia e l’ascesa del movimento (Podemos) di Iglesias in Spagna devono molto a un processo già osservato in Sudamerica: l’internazionalismo è messo da parte a favore di temi quali la sovranità nazionale e l’interesse del popolo.

Oggi mercoledì 4marzo 2015

aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Narrazioni tra scritture e neuroscienze.
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narrazioni tra scritture e neurosc

Università della Sardegna. Elezione del Rettore dell’Università di Cagliari

studenti-di-bolognaRettori Unica tavolo studentiPROSEGUONO GLI INCONTRI CON I CANDIDATI RETTORE UNICA.
Proseguono gli incontri dei candidati alla carica di Rettore dell’Ateneo di Cagliari in vista del primo turno di votazioni, fissato per lunedì 9 marzo. L’Ufficio stampa dell’Università di Cagliari dà conto nello spazio UnicaNews di alcuni eventi – in particolare di quelli organizzati dalle varie componenti dell’Ateneo – della campagna elettorale.

- Vai alla RASSEGNA STAMPA curata da UnicaNews.

GUARDA IL VIDEO DELL’ASSEMBLEA CON I CANDIDATI (SA DUCHESSA, 26 FEBBRAIO 2015)
L’Ufficio Stampa di Unica si è avvalso della collaborazione di UnitelSardegna per la realizzazione del servizio di videoripresa, post-produzione e messa on line dell’incontro del 26 febbraio, che qui viene riproposto.

Question-People-150x150Sono on line le risposte dei cinque candidati alle 21 domande poste dalla community “UNICA 15-21” costituita da docenti provenienti da tutte le realtà culturali del nostro Ateneo (clicca per leggere).
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Federalismo e pacifismo: il messaggio di Lussu a 40 anni dalla sua morte

Lussu di Foiso Fois
di Francesco Casula
Il 5 marzo prossimo ricorre il quarantesimo anniversario della morte di Emilio Lussu. Ebbene in Sardegna, la sua terra, nessuna pubblica istituzione né partito pare che intenda ricordarlo. Gli è che i politici – ma anche le istituzioni culturali, le Università per esempio – sono impegnati in ben altri riti. Lussu rimane ancora un personaggio “scomodo” e disadatto ad ogni incorporazione storica dei vincitori, anche post mortem. Così, anche quando lo si celebra e lo si ricorda, si cerca di sterilizzare il suo pensiero, la sua eredità morale, politica e persino letteraria. E’ successo così negli ultimi decenni, in cui dopo anni di colpevole silenzio, molti, troppi in Sardegna si sono scoperti e riconosciuti “sua figliolanza” (l’espressione è della moglie Joyce). Magari quelli stessi che in vita hanno combattuto Lussu e le sue idee. Ed hanno cercato, tutti, di tirare Lussu per la giacchetta, cercando di “convertirlo”, di purgare le parti più scomode del suo pensiero, per mitizzarlo e imbalsamarlo. Una volta sterilizzato e ridotto a “santino”, innocuo e rassicurante, si può anche “mettere nella nicchia” (anche quest’espressione è di Joyce) per diventare dio protettore dei sardi e della Sardegna.
Si dimenticano costoro chi era Lussu, uomo di parte. Sempre dalla parte del popolo lavoratore sardo, pacifista e federalista, nemico giurato dello Stato burocratico e accentratore, degli ascari e mediatori locali e delle clientele, della politica ridotta a mera gestione del potere. Nel 1945, quando era Ministro del Governo Parri, Vittorio Foa suo compagno di partito, una volta andò a chiedergli di mettere una firma sotto un’autorizzazione per aiutare finanziariamente il suo Partito. Lussu rispose: “puoi chiedermi di montare a cavallo ed andare in via Nazionale a rapinare l’oro della Banca d’Italia e io, per il Partito, lo faccio subito. Ma mettere una firma sotto una cartaccia mai!” Questo era Lussu, sempre e non solo nel 1945. Rientrato nel 1919 dal fronte, viene trattenuto in servizio di punizione alla frontiera iugoslava per aver dimostrato che un generale si era arricchito vendendo cavalli e altri beni dell’esercito. Una bella lezione a molti politici di oggi, immersi nell’affarismo e nella melma della corruzione.
Scomodo è anche il suo lascito ideale, culturale e di pensiero: ad iniziare dalla sua teoria federalista che si coniuga in modo inscindibile con i valori forti della libertà e dei diritti, della democrazia diretta e dell’autogoverno, della partecipazione e del controllo popolare. Scrive in un saggio del 1933, pubblicato nel n. 6 di «Giustizia e Libertà»: ”Frequentemente accade di parlare con uno che riteniamo federalista perché si professa autonomista e scopriamo invece, che è unitario con tendenze al decentramento”.
E precisa: ”Ora la differenza essenziale fra decentramento e federalismo consiste nel fatto che per il primo la sovranità è unica ed è posta negli organi centrali dello Stato ed è delegata quando è esercitata dalla periferia; per l’altro è invece divisa fra Stato federale e Stati particolari e ognuno la esercita di pieno diritto”. Quando Lussu parla di sovranità “divisa” fra Stato federale e Stati particolari – o meglio federati, aggiungo io – di “frazionamento della sovranità”, pensa quindi alla rottura e alla disarticolazione dello stato unitario “nazionale” che deve dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati, in cui “per Stati non si intendono più gli Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno stato più grande, ma parte o territori dello stato grande elevati al rango di stati membri”: l’intera frase virgolettata è tratta da «Federalismo» di Norberto Bobbio, «Introduzione a Silvio Trentin».
In questo modo il potere sovrano originario e non derivato spetta a più Enti, a più Stati e perciò scompare la sovranità di un unico centro, dello stato come veniva concepito nell’Ottocento – che Lussu critica in quanto “unica e assorbente” – di un unico potere e soggetto singolare per fare capo a più soggetti e poteri plurali. Con questa impostazione Lussu supera il concetto di unipolarità con cui si indica la dottrina ottocentesca in cui libertà e diritto fondano la loro legittimità solo in quanto riconducibili alla fonte statale. Quella su Federalismo è un’altra lezione a chi oggi, lungi da imboccare la strada della riforma dello Stato in senso federalista, attacca le Autonomie locali e, delirando, pensa all’abolizione delle Regioni, per ritornare a uno Stato centralista e centralizzatore.
Infine il suo Pacifismo. Interventista convinto e “chiassoso”, parteciperà alla Prima Guerra con entusiasmo, giustificandola “moralmente e politicamente”. Al fronte però sperimenta sulla propria pelle, l’assurdità e l’insensatezza della guerra: con la protervia e stupidità dei generali che mandano al macello sicuro i soldati; con i pidocchi, i miliardi di pidocchi, la polvere e il fumo, i tascapani sventrati, i fucili spezzati, i reticolati rotti, i sacrifici inutili. Ma soprattutto con l’olocausto degli uomini sfracellati e le foreste di crani nei cimiteri militari; con i 13.602 sardi morti su 100 mila pastori, contadini, braccianti chiamati alle armi: i figli dei borghesi, proprio quelli che la guerra la propagandavano come “gesto esemplare” alla D’Annunzio per intenderci o, cinicamente, come “igiene del mondo” alla futurista, alla guerra non ci sono andati..
Scriverà a questo proposito Camillo Bellieni, compagno d’armi prima e di Partito poi, di Lussu:”Chi accennasse a selvagge passioni brulicanti nel nostro sangue nel tragico istante della mischia non avrebbe altra scusa per il suo errore che l’immensa ignoranza delle nostre cose. Giudizi simili possono essere dati solamente da coloro che non hanno visto l’infinita tristezza dei nostri soldati nell’ora precedente all’azione”.
La retorica patriottarda e nazionalista, vieta e bolsa, sulla guerra come avventura e atto eroico, va a pezzi. “Abbasso la guerra”, “Basta con le menzogne” gridavano, ammutinandosi con Lussu, migliaia di soldati della Brigata Sassari il 17 Gennaio 1916 nelle retrovie carsiche, tanto da far scrivere allo stesso Lussu – in «Un anno sull’altopiano»“Il piacere che io sentii in quel momento, lo ricordo come uno dei grandi piaceri della mia vita”. Anche perché, in cambio dei 13.602 sardi morti in guerra, (1386 morti ogni diecimila chiamati alle armi, la percentuale più alta d’Italia, la media nazionale infatti è di 1049 morti) – per non parlare delle migliaia di mutilati e feriti – ci sarà il retoricume delle medaglie, dei ciondoli, delle patacche. Ma la gloria delle trincee – sosterrà lo storico sardo Carta- Raspi – “non sfamava la Sardegna”.
Nascerà dalla sua esperienza sul fronte l’opposizione netta, radicale, decisa di Lussu alla guerra:” Di guerre non ne vogliamo più – scriverà – e vogliamo collaborare e allontanare la guerra vita natural durante nostra e dei nostri figli e a renderla impossibile per sempre, disarmandola”. Chi vuole la guerra, secondo Lussu, è chi non la conosce, parafrasando in qualche modo il seguente apoftegma:”Chi ama la guerra non l’ha mai vista in faccia” (Erasmo da Rotterdam, «Adagia, Sei Saggi politici in forma di proverbi», Einaudi, Torino 1980).
Una lezione pacifista, quanto mai attuale e opportuna, specie in un momento in cui nuove inquietanti fosche e minacciose avvisaglie di guerra sembrano apparire nell’orizzonte.
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Emilio-Lussu-ad-Armungia
- Emilio Lussu su Aladinews

con gli occhiali di Piero…

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413- Un anno fa su Aladinpensiero, il 3 marzo 2014.
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ACQUEDOTTO a CAGLIARI
Il 3 marzo 1867 si inaugura a Cagliari il nuovo acquedotto.
Dall’acqua che si perde forse è rimasto ancora quello.

Oggi martedì 3 marzo 2015

aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Narrazioni tra scritture e neuroscienze.
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con gli occhiali di Piero…

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413- Un anno fa, il 2 marzo 2014, su Aladinpensiero.
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GM Angioy ingr SS
RIVOLTE ANTIFEUDALI – L’esempio di SORSO.
Il 2 Marzo 1796 tutto il paese di Sorso, nel sassarese, si rivolta contro il feudatario del luogo.
Il palazzo del feudatario viene raso al suolo.
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Chateau_de_VizilleIMPOSTE e RIVOLUZIONE – L’esempio di Grenoble.
Francia, anni ’80 del 1700. Deficit dello Stato, le spese superano le entrate. Il debito pubblico grave sul bilancio dello Stato per oltre 300 milioni. Lo scandalo maggiore riguarda le spese della Corte: mentre il popolo conosce la miseria e la fame, si scialano 30 milioni per feste e pensioni dei cortigiani. I bilanci delle famiglie anche del medio ceto sono gravemente compromessi. A Grenoble la protesta si allarga all’intera popolazione. Arriva l’esercito.
I soldati vengono accolti da una pioggia di tegole: saliti sui tetti i cittadini bombardano cosi’ le truppe.
E’ il 7 giugno 1788, la Giornata delle tegole.
Il 21 luglio a Vizille, vicino a Grenoble, si proclama lo sciopero delle imposte.
Il re, Luigi XVI, e’ costretto a convocare nel Maggio ’89 gli Stati Generali.
Quel che succede poi lo sappiamo tutti.
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disperazioneCASA della FRATERNA SOLIDARIETA’
Sassari. Corso Margherita di Savoia. Stamattina.
Una folla si accalca presso un’insegna: Casa della Fraterna Solidarietà. Conto circa 70 persone. Sul marciapiede di fronte altre persone attente, ma esitano ad unirsi al gruppo.
Spettacolo della miseria. Nei 50 anni che mi capita di venir a Sassari mai ho veduto un simile spettacolo.
Ma l’illustre Presidente e Segretario Democratico dice che le famiglie si stanno arricchendo sotto il suo Governo.
Sarà che queste cose succedono solo in Sardegna?

Oggi lunedì 2 marzo 2015

aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Alla ricerca della storia perduta.
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Architettura Ad Alghero. Hanno ragione gli studenti, ma anche Pigliaru, al quale spetta dare impulso alla costruzione dell’Università della Sardegna

SalviamolAAA-foto-di-Stefano-Ferrando-71di Franco Meloni
La recente vicenda del Dipartimento di “Architettura ad Alghero” (notate la denominazione, su cui tornerò) merita una riflessione che vada oltre la richiesta del contributo regionale aggiuntivo (aggiuntivo rispetto a quanto l’Università di Sassari, a cui afferisce il Dipartimento, trasferisce alle proprie strutture interne). Sgombriamo subito il campo dalla questione contingente, dicendo che il Consiglio regionale ha fatto bene a deliberare eccezionalmente tale elargizione al fine di non danneggiare gli studenti e che bene ha fatto il presidente Pigliaru a pretendere che venisse inserita nella delibera la motivazione del contributo, con preciso riferimento alla “posizione di eccellenza raggiunta dal dipartimento”. Come ha riferito SardiniaPost, Pigliaru si è letteralmente impuntato: “Tutti sappiamo – ha detto – che Alghero sia un’eccellenza, prima in classifica in molti ranking nazionali, come il Censis, di indubbia autorevolezza. Ma quando si danno soldi pubblici, bisogna fissare una regola generale. Se quindi la ragione per la quale si finanzia Architettura è la premialità, allora lo si scriva espressamente. Questo vuol dire tutelare anche tutti quei dipartimenti e facoltà che aspirano a diventare eccellenza. A tutti vanno date pari opportunità”. Chiusa questa vicenda si apre ora quella di grande importanza che comporta un riordino del sistema universitario pubblico della Sardegna. Questione che rientra nella competenza primaria dello Stato, ma che non può vedere la Regione estranea, anche per la sua specificità, minacciata quanto sappiamo, ma tuttavia formalmente esistente di “Regione Autonoma”. Come abbiamo già detto chiaramente, il Governo italiano al riguardo ha espresso la propria determinazione: le due Università sarde devono unificarsi o associarsi in una vera federazione, con un solo consiglio di amministrazione e comuni strutture tecnico amministrative. Di questo ne sono pienamente consapevoli le dirigenze accademiche che dovrebbero concertare una linea comune con la Regione per costruire l’Università della Sardegna, con una struttura rispondente da una parte alle impostazioni del sistema universitario italiano, dall’altra alle esigenze della Sardegna. Occasione SalviamolAAA-foto-di-Stefano-Ferrando-121quantunque obbligata che può essere affrontata con spirito positivo e innovativo e nella ricerca di un coinvolgimento quanto mai diffuso e attivo dei territori. Cosa molto diversa da quanto si sta facendo, laddove il dibattito è sequestrato nelle segrete stanze dei Palazzi. Si crea allora una situazione che ha del paradossale: da una parte si chiede che tutto resti com’è e che si salvaguardino gli antichi privilegi, più o meno legittimi, dall’altra si tenta di costruire un discorso nuovo, che affronti la nuova situazione, ma lo si fa in modo paludato, senza parlare chiaro, se non per quanto si è costretti a giustificare per dare conto dei compromessi. Così Bibo Cecchini, che pur è un innovatore, ma che in questo caso si limita a chiedere di salvare il salvabile, sbotta annunciando le dimissioni da direttore: “tutti sanno che nel giro di pochi anni ci sarà una sostanziale unificazione dei due atenei sardi. È un lucido, insensato disegno che alcuni ambienti politico-culturali perseguono da tempo: Sassari conserverà verosimilmente soltanto Medicina, Agraria e Veterinaria, il resto sarà concentrato nel capoluogo regionale. Peccato che in questa logica di spartizione che va bene a tante persone ci sia una realtà come la nostra considerata inaffidabile perché fuori da tutti i giochi, da tutte le famiglie, da tutte le appartenenze” . Ma perché le cose devono andare come prevede Cecchini che rimarca solo le derive negative sorvolando sugli aspetti positivamente innovativi che dovrebbero poter consentire la costruzione di un buon sistema universitario della Sardegna, che ci piace riassumere nell’Università della Sardegna? Eppure lo stesso Cecchini per la vicenda di Architettura auspica una “Grande Scuola di Architettura della Sardegna nel Mediterraneo, aperta la mondo”. Tale prospettiva, che già nel presente si traduce in concrete collaborazioni tra i Dipartimenti di Architettura di Alghero e di Cagliari, risulta ben delineata nell’ottimo servizio sulla vicenda di Alghero, fatto dalla rivista on line Sardarch, che, tra l’altro, riporta due interviste a Alessandra Casu, ricercatrice del Dipartimento, la quale specifica con chiarezza il progetto di attuazione di detta Scuola e fa presente le difficoltà che insorgono rispetto all’effettiva integrazione tra le strutture dei due Atenei sardi, prevalentemente legate all’inefficiente sistema dei trasporti nella nostra Isola.
SalviamolAAA-foto-di-Stefano-Ferrando-61E, allora? Concludendo (per ora). Francesco Pigliaru, il presidente non il professore universitario, prenda in mano la situazione e alla luce del soìe, non appena sia stato eletto in nuovo rettore dell’università di Cagliari, avvii il processo di ristrutturazione del sistema universitario pubblico della Sardegna, che stante le interlocuzioni in corso, dovrebbe caratterizzarsi come vera federazione tra i due Atenei storici, che preveda la diffusione in tutto il territorio sardo delle sedi universitarie, pertanto, oltre che a Cagliari e a Sassari, anche nelle sedi di Alghero, Oristano, Nuoro, Olbia, Iglesias, (ne manca qualcuna?), senza duplicazioni non giustificate dalle esigenze degli studenti e dal perseguimento dell’efficienza ed efficacia dei servizi della didattica, della ricerca scientifica e dell’amministrazione. In questo quadro è probabile che la sede di Architettura permanga proprio ad Alghero. Ma sotto l’egida dell’Università della Sardegna. D’altronde, per tornare all’incipit del presente articolo, i fondatori della Facoltà (ex Facoltà, oggi solo Dipartimento, per effetto della cosiddetta riforma Gelmini) di Architettura di Alghero (che esordì come progetto di Facoltà di Architettura del Mediterraneo) hanno situato il loro progetto all’interno dell’Università di Sassari solo perché non era possibile fare cosa diversa, ma hanno cercato in tutti i modi di segnare una distinzione, quando non anche una separazione netta da quell’Ateneo, presentandosi come “AAA Architettura Ad Alghero“, evidenziando tale impostazione nel logo che la rappresenta. Non è un caso che la trattativa per il riconoscimento del contributo aggiuntivo sia stata portata avanti in prima persona dal direttore Arnaldo Bibo Cecchini e non, come sarebbe stato naturale, dal rettore dell’Università di Sassari, che forse per tali ragioni ha ben volentieri delegato!
In finale una proposta apparentemente riduttiva: la Regione e i due Atenei scelgano subito un logo che rappresenti il sistema universitario pubblico sardo, l’Università della Sardegna, magari affidandone la realizzazione alle due Architetture di Alghero e di Cagliari, anticipatamente unite nella Scuola di Architettura dell’Università della Sardegna. E si vada ovviamente avanti, con determinazione, con quanto c’è da fare verso l’Università della Sardegna! Seguiamo con attenzione e partecipazione.

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- Le foto sono tratte dal servizio giornalistico della rivista on line Sardarch

AAA logo alghero
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in giro con la lampada di aladin…

carta spopolamento Sardegnalampada aladin micromicro- Lo spopolamento della Sardegna. Gianfranca Fois sul manifesto sardo.

- Un documento dei Vescovi sardi sulle emergenze sociali, con specifico richiamo alla questione dello spopolamento.

- Approfondimenti su spopolamento e accoglienza su Aladin.

con gli occhiali di Piero…

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413- Battaglia di Adua e di Abba Garrima. Il patetico imperialismo Italiano perde la faccia in Etiopia. Un anno fa, il 1° marzo 2014.su Aladinpensiero.

Oggi domenica 1 marzo 2015

aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Alla ricerca della storia perduta.
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