Monthly Archives: febbraio 2015
Paola Piras presenta il suo Progetto d’Ateneo
L’UNIONE SARDA di venerdì 20 febbraio 2015 / Cronaca di Cagliari (Pagina 14 – Edizione CA)
UNIVERSITÀ. La docente di Diritto amministrativo in corsa per diventare rettore
«DARÒ PASSIONE ALL’ATENEO»
I progetti di Paola Piras: ci rivolgeremo ai nativi digitali
In campo per la corsa al rettorato c’è anche Paola Piras, docente di Diritto amministrativo, ex preside di Scienze politiche ed ex vicesindaco di Cagliari. Si propone con «entusiasmo, passione e voglia di cambiare». – segue –
comunicazioni di servizio
Università della Sardegna. Il dibattito è aperto. I pro e i contro. Le decisioni urgono
Il confronto
Una eventuale fusione degli atenei di Sassari e Cagliari andrebbe evidentemente a tutto svantaggio di quello turritano Se ne occupi la politica
di Antonietta Mazzette
Da alcune settimane si è ricominciato a dibattere sulla cosiddetta Università della Sardegna, discettando su dove collocare il Consiglio di amministrazione: Oristano, Nuoro, chissà! Non è ben chiaro se il cuore della proposta sia quello di una fusione dei due atenei sardi o se, più limitatamente, sia quello di una federazione governata da un unico organo collegiale. Comunque, un unico consiglio di amministrazione significa che, giacché l’università di Sassari è più piccola di quella di Cagliari, si ritroverebbe ad essere, per così dire, “un azionista di minoranza”, con meno peso economico e meno rappresentanza politico-culturale. Considerato che le previsioni sul futuro delle università non inducono ad essere ottimisti, scarsi finanziamenti e costante riduzione dei docenti si potrebbero tradurre in scelte quali, ad esempio, accorpamento dei corsi nel caso in cui ci siano duplicati. Ossia quasi tutti, esclusi quelli di Agraria e Veterinaria e forse Medicina. Le raccomandazioni di andare verso federazioni o fusioni erano contenute nella Legge Gelmini, ma non è un caso che il sistema universitario italiano le abbia largamente ignorate. Non mi risulta che in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna etc. qualcuno si sia appassionato a questo tema, per cui il nostro è un dibattito tutto locale. Ma non sottovaluto le argomentazioni che stanno alla base degli interventi di alcuni studiosi cagliaritani ed entro nel merito. I due atenei sardi si collocano stabilmente nelle graduatorie in una condizione mediana; quello di Sassari si ritrova spesso ai vertici delle graduatorie delle università medie. Con tutta la diffidenza che si deve avere verso dette graduatorie, ciò dimostra che il sistema universitario sardo è sano e forma laureati di media e buona qualità, con alcune eccellenze. Si pensi ai diversi casi di successo di cui scrive Giacomo Mameli. Naturalmente, i problemi delle due università sono destinati a crescere, tanto per il costante assottigliamento dei fondi e l’assenza di turn over, quanto per la debolezza strutturale del sistema economico sardo. Debolezza che incide negativamente su alcuni indicatori e dunque sulla dotazione dei finanziamenti ministeriali, quali tasse non elevate, scarsa occupazione dei laureati, poca attrattività di studenti provenienti dal di là del mare. Se questa sommaria descrizione dello stato delle cose ha un fondamento, la proposta di Università della Sardegna esige almeno due domande: quali vantaggi e quali costi comporta? Tra i primi certamente vanno asseverati risparmio (compreso quello riguardante il capitale umano), efficienza e maggiore razionalizzazione dell’offerta formativa. Per ciò che riguarda i costi, invece, è necessario chiedersi se questa “nuova” università avrà o no un incremento di iscritti, se potrà essere di maggiore qualità, di quale natura saranno gli effetti sul territorio, a partire da Sassari, giacché, probabilmente l’ateneo di Sassari subirebbe i maggiori sacrifici. Ho molti dubbi che ci sarebbero incrementi di iscritti. Com’è noto, i giovani del Nord Sardegna se scelgono di non studiare a Sassari non vanno a Cagliari, bensì fuori dall’Isola (Pisa, Perugia, Pavia, Torino). Mentre i giovani che rischiano di non poter studiare a Sassari andrebbero a infoltire le fila di coloro che non studiano e non lavorano. Sulla qualità non saprei se un’unica struttura universitaria possa essere un migliore laboratorio di idee oppure no. Mentre gli effetti sulla città di Sassari sarebbero devastanti. La sua storica università, dopo l’Azienda sanitaria, è la più grande azienda del Nord Sardegna e una sua riduzione costituirebbe un evidente danno economico per il territorio. A tutto ciò aggiungo che la proposta di Università della Sardegna è un elemento di un puzzle più grande che va in una sola direzione: concentrare peso politico, risorse materiali e culturali verso l’area metropolitana di Cagliari. Si pensi alle politiche più recenti riguardanti gli assetti istituzionali, la mobilità, i porti. Ciò che però stupisce è il fatto che le classi dirigenti della vasta area territoriale del Nord-Sardegna sia silente, come se ciò di cui si sta discutendo fuori dai loro confini siano di scarso interesse.
——————————————-
Universidade de Sardigna Università della Sardegna University of Sardinia
di Franco Meloni
Il treno veloce Cagliari-Sassari e viceversa (auspicabilmente esteso ad altre tratte, Olbia in primis) trainerà anche la realizzazione dell’Università della Sardegna. Unica Università o federazione tra i due Atenei storici? Questo è da decidere. Allo stato risulta si propenda per la loro federazione, “al fine di salvaguardarne maggiormente la storia e la tradizione”, ma pur sempre sotto l’egida comune di Università della Sardegna. Però la federazione deve essere vera, come avverte il competente Ministero, che nel documento di programmazione 2013-2015 del sistema universitario italiano delinea le caratteristiche dei “modelli federativi di università su base regionale o macroregionale… ferme restando l’autonomia scientifica e gestionale dei federati nel quadro delle risorse attribuite”. Precisamente devono prevedersi: “a) unico Consiglio di amministrazione con unico Presidente; b) unificazione e condivisione di servizi amministrativi, informatici, bibliotecari e tecnici di supporto alla didattica e alla ricerca”. Siamo allora ben lontani dal debole patto federativo firmato dai due Atenei alcuni anni fa. Nella pratica non si va ancora in tale direzione; assistiamo invece a un atteggiamento prudente e defatigatorio. E non ne sono prove contrarie l’intensificarsi tra gli Atenei degli accordi di programmazione formativa e di collaborazione per la ricerca scientifica (peraltro sempre esistiti). Tutte cose positive, ma, al contrario, perdura l’incapacità di gestione unitaria di importanti attività, come, ad esempio, i progetti di formazione professionale di grandi dimensioni (lo fu Itaca per il paesaggio), o il consorzio per l’Università telematica della Sardegna o i Centri di competenza tecnologica: iniziative fortemente incentivate dall’Unione Europea, dallo Stato e dalla Regione, sempre più ridotte a operazioni di piccolo cabotaggio. Così non si potrà continuare perché l’unificazione (o la vera federazione) è ormai un fatto ineludibile, che la spending review governativa impone, anche attraverso progressive penalizzazioni nel trasferimento di risorse statali se non si procederà nella direzione indicata, ma come peraltro imporrebbero criteri di razionalità nella gestione complessiva delle risorse – e non solo – nell’interesse della Sardegna. Almeno così pensiamo in molti, in prevalenza fuori dall’accademia, nella quale invece prevalgono la conservazione di antichi privilegi e posizioni di potere, quando anche giustificati da nobili motivazioni. Lo riconosciamo: il discorso è complesso e il percorso per arrivare all’obbiettivo dell’unica Università della Sardegna, in una delle possibili forme, non è facile, ma, appunto per questo, occorre agire da subito vincendo la paralizzante prudenza. Qualche segnale della volontà in tal senso arriva dall’esordiente Rettore dell’Università di Sassari, Massimo Carpinelli, che in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico ha parlato di “un progetto capace di promuovere l’Università della Sardegna, che preservi le specificità dei due Atenei, la loro storia e la loro tradizione”, per questo appellandosi particolarmente alla Regione Sardegna “che deve dialogare con gli Atenei e i centri di ricerca [per] costruire un’unica struttura che possa far crescere la formazione, la scienza e la cultura nella nostra Regione”. E’ già qualcosa, ma occorre andare rapidamente oltre le parole e passare ai fatti, prima che qualcun altro, anche in questa circostanza, decida per la Sardegna. La Regione, chiamata giustamente in causa, deve intervenire per favorire questo processo di unificazione/federazione, smettendo di fare solo la parte di bancomat che trasferisce risorse alle Università sarde. E poi, occorre che il dibattito si allarghi, cogliendo anche l’occasione dell’ormai imminente elezione del Rettore dell’Università di Cagliari, perché, come ripetiamo spesso: l’Università è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei soli professori, come la guerra in quelle dei generali.
——————————————-
Un futuro possibile per la città di Nuoro è diventare la sede dell’Università della Sardegna
di Salvatore Cubeddu
Un giorno dopo l’altro, le notizie si sovrappongono, una più allarmata dell’altra. 4 febbraio: Antonietta Mazzette, sociologa, da Sassari giustamente si preoccupa che … “l’Ateneo di Sassari si sta avvicinando pericolosamente alla soglia dei 10mila iscritti, soglia che comporterebbe il passaggio da media a piccola università. Questo significherebbe automaticamente contrazione dei finanziamenti, dei corsi di laurea e dell’alta formazione”. Noi sappiamo dall’articolo di Franco Meloni di qualche giorno fa che l’ateneo di Sassari è obbligato da disposizioni governative a federarsi/fondersi con l’università di Cagliari.
Due giorni dopo: il 6 febbraio. Sul futuro della zona industriale e della città di Nuoro si autoconvocano i 7 consiglieri regionali della provincia e insistono con l’assessore all’industria Piras che … “Il Nuorese, come il Sulcis, deve essere inserito nel programma nazionale di rilancio delle aree di crisi». Commento del giornalista (La Nuova Sardegna): “È questa la formula magica che, secondo i sette consiglieri regionali del Nuorese, darebbe una nuova opportunità di riscatto alla Sardegna centrale, in ginocchio dopo la fine del sogno industriale)”. Stesso giorno, diverso il giornale (L’Unione Sarda), riporta che “il Sulcis è tra le province sarde quella che ha speso meno risorse dai fondi Por Fesr (cofinanziamento regionale e comunitario) e dal Piano di azione e coesione. Una torta che vale 93 milioni di euro, per 152 progetti presentati da enti locali, istituti scolastici, Regione, imprese. Nella provincia più povera d’Italia però il 63 per cento dei fondi assegnati non è stato ancora speso, il dato peggiore tra le diverse aree della Sardegna. Quasi 35 milioni sono stati già utilizzati, ma ben 58 milioni devono ancora essere spesi …”.
In questo stato di cose resta da dire che le dirigenze delle due università sarde – oltre ad aver traslocato parte dei loro massimi esponenti a governare la Regione sarda – trascurano i dettati della legge di risparmio per le università italiane e vorrebbero dalle casse della Regione (o, tramite essa, dall’UE, che se ne è lamentata) quello che invece devono avere dallo Stato. Intanto fanno finta di non sapere che avrebbero già dovuto fondersi tra loro, Sassari e Cagliari.
Le tre informazioni possono, allora, meglio sintetizzarsi nei termini seguenti: anche le università sarde, come i comuni e le province, vivono una stagione di riforma istituzionale; nel piatto della crisi istituzionale, quindi, insieme ai paesi e ai capoluoghi di provincia, bisogna inserire anche le università delle quattro sedi (Cagliari e Sassari sono decentrate anche ad Oristano e Nuoro); tutte queste istituzioni bussano per i soldi alla Regione, prescindendo (nel caso dell’università) dalle sue competenze. Ma non sempre i soldi sono la soluzione, come nella ex-provincia più povera d’Italia (Sulcis) e, presumibilmente, in quella che viene subito dopo (Nuoro).
Dunque, nel mazzo delle riforme istituzionali bisogna mettere: i comuni, le province e le università. Nel complesso delle loro dimensioni: servizi ai cittadini, occupazione, disponibilità finanziaria. Mancherebbe la Regione, il cui Consiglio è chiamato a decidere. Come? La logica della cieca subordinazione alle indicazioni romane e l’unicità del parametro economico stanno portando inesorabilmente le istituzioni della Sardegna verso un loro generale declassamento. A vantaggio di chi? Neanche dei cagliaritani, nonostante le apparenze, in quanto che, nella loro generalità, questi cittadini non sono consapevoli di quel che sta succedendo; e poi: non saprebbero né potrebbero reggere le proteste e l’aggressività di una Sardegna umiliata da decisioni distruttive degli storici ruoli e compiti degli altri comuni e città.
Prendiamo ora il caso di Nuoro. Sta per perdere la provincia, la camera di commercio ed altri uffici ad essi connessi. Il sogno dell’industria non potrà mai realizzarsi se non tramite imprenditori locali, ma non se ne vedono tanti all’orizzonte. Il suo futuro sembra segnato da quanto già vivono Iglesias e Ozieri, con l’ospedale e il vescovo (fino a quando, in quelle due cittadine?) quali uniche istituzioni di rilievo territoriale.
Nuoro deve il suo ruolo di città al fatto di essere capoluogo di provincia. La provincia di Nuoro fu preferita alla più legittimata, storicamente ed economicamente, sede di Oristano, per permettere al Governo il controllo dell’ordine pubblico in Barbagia. Una preoccupazione che, evidentemente, è venuta meno.
Ma con essa il destino della città è sospesa nel limbo della disponibilità altrui. Difatti, nessuno ne risolverà i problemi se la sua dirigenza non individuerà le soluzioni e si batterà per costruirle.
I Nuoresi si lamentano, si vittimizzano, invocano presso di sé la presenza della Giunta regionale. Fanno in piccolo, verso Cagliari, quello che tutti i sardi spesso fanno nei confronti di Roma. Ma non propongono una vera e convincente idea sul futuro della propria città. Magari un futuro da costruire nei decenni, da confrontare con le altre città della Sardegna che, anch’esse, si domandano cosa sarà di loro dopo la chiusura della provincia. Nuoro, come Sassari, come Oristano o Olbia, non hanno niente da pietire alla Regione. Sono esse stesse componenti chiamate a decidere il futuro delle istituzioni della Sardegna. Ogni comune, iniziando dal più piccolo, non deve sentirsi portato a elemosinare la propria esistenza sulla base dei semplici rapporti di forza. Tutte attendono scelte di cambiamento, persino dolorose, ma che almeno abbiano un senso, siano equamente con – divise, vengano inserite in un’idea generale della Sardegna dei prossimi decenni.
Nuoro dovrebbe organizzarsi per divenire da subito (nella decisione) la sede della Università della Sardegna, chiedendo per sé la costruzione delle nuove case dello studente in progetto a Sassari e Cagliari, iniziando con il potenziamento delle facoltà esistenti e con lo spostamento di nuove facilmente trasferibili. Tutta la nuova urbanistica cittadina dovrebbe relazionarsi alla prevedibile e futura presenza di 20/30 mila studenti universitari (con il corpo docente ed i relativi servizi) distribuiti nei campus che dalla città si distenderanno nel verde dei boschi. Più agili e veloci collegamenti sarebbero inevitabilmente indispensabili con gli aeroporti di Olbia ed Oristano. Evidentemente l’autorità cittadina accompagnerebbe la dirigenza accademica nelle scelte connesse al nuovo ruolo che la Sardegna assegna alla sua città più interna. Nel mondo è continua, e da secoli, sia l’individuazione che la costruzione di campus e di città universitarie. Le positive ricadute culturali ed economiche sono facilmente individuabili. Insieme alla permanenza della grande provincia del Nord–Sardegna, e alla ri-costruzione di Olbia, l’operazione rappresenterebbe per decenni un volano di investimenti pubblici di qualità. Parte di quel new deal attraverso il quale lanciare nel futuro la Sardegna che vogliamo e che suppone una nuova attribuzione di funzioni ai nostri paesi e alle nostre città.
Altrimenti: che cosa vuole essere, Nuoro? E, se non ora, quando?
—————
Salvatore Cubeddu. Cagliari, 15 febbraio 2015 (2. continua: il primo articolo è uscito il 18 gennaio).
——————————————
* Il dibattito su L’Università della Sardegna è ripreso anche da altri siti: FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
——————
- Università della California
——————————————-
- Nell’illustrazione: particolare del dipinto di Filippo Figari “Sardegna universitaria”, aula magna Rettorato Università di Cagliari.
——————————
Logo del Progetto formativo Itaca, ideato e gestito dalle due Università riunite in ATS (Associazione di Scopo), anni 2005-2008
—-
- INFORMAZIONI sul Progetto Itaca nella fase di attuazione (a cura di Uniss)
Immagini dal “Secolo breve”
Immagini dal “Secolo breve”: Scipione (Gino Bonichi) “il Ponte degli Angeli” (1930). Scipione è il pittore che insieme a Mafai, Raphael, Mazzacurati, fondò la Scuola Romana di pittura, detta anche Scuola di via Cavour, dove aveva sede il loro atelier. Nella sua brevissima via (1904-1933), dipinse alcuni capolavori, come questo, caratterizzati da un segno pittorico espressionista e barocco insieme. Notare che c’è un angelo che ha spiccato il volo dal suo piedistallo..
con gli occhiali di Piero…
TRATTATO DELL’AJA
Il 20 febbraio 1720 si firma all’Aja il trattato che chiude la Guerra della Quadruplice Alleanza (Inghilterra, Francia, Austria e Olanda) contro la Spagna.
In forza di esso la Sicilia, già assegnata a Vittorio Emanuele II, è assegnata all’Austria che, a sua volta, cede la Sardegna ai Savoia.
La guerra era iniziata nel 1717 quando la Spagna, che non si rassegnava alle decisione del Trattato di Utrecht (1713) che aveva chiuso la Guerra di successione spagnola, per riprendersi la Sardegna aveva invaso l’isola con 8.000 soldati.
I Sardi passano, nel giro di pochi anni, dall’essere spagnoli ad essere austriaci e poi subito piemontesi (o savoiardi?). Ora siamo italiani, ma forse sardi eravamo e sardi siamo rimasti. O no?
20 febbraio 1945. Pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del Decreto Legislativo luogotenenziale 2-2-1945 n.23
ESTENSIONE ALLE DONNE DEL DIRITTO DI VOTO
———————————
SAMUELE STOCHINO
Muore a Ulassai il 20 febbraio 1928 Samuele Stochino, famoso bandito sardo.
Era nato ad Arzana, in Ogliastra, il 22 maggio 1895. Certamente pastorello nella sua infanzia e adolescenza, sapeva però leggere e scrivere, da cui si suppone che avesse anche frequentato la scuola. Soldato nella prima guerra mondiale, è inviato in Libia, ma si rifiuta di obbedire agli ordini ed è processato e incarcerato a Tripoli dal Tribunale militare di Guerra. Scarcerato nel 1917 è inviato sul Piave, dove da solo conquista una postazione nemica, diventa sergente e ottiene la medaglia d’argento al valor militare.
Tornato a casa, viene sorpreso a rubare dei maiali, arrestato riesce a scappare e da allora vive alla macchia. Commette diversi crimini, altri gli vengano attribuiti anche se non li ha commessi. Malato di broncopolmonite, si rifugia in una grotta in territorio di Ulassai, dove muore in circostanze da chiarire: scontro a fuoco coi carabinieri? ucciso a tradimento dai compagni per la taglia (200 mila lire!)? L’autopsia rivelò questa seconda ipotesi. I carabinieri spararono su Stochino già cadavere per attribuirsi il merito della sua cattura, poi ne trascinarono il cadavere per tutto il paese di Ulassai per esporlo al dileggio dei paesani. L’eroe di guerra ebbe questa fine.
Oggi venerdì 20 febbraio 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Emergency PAROLE e MUSICA per la PACE.
.
———————————————————————————–
Siamo davvero pochi, cerchiamo di essere uniti
Una commissione d’indagine sullo spopolamento dei comuni interni della Sardegna e non solo
Non crediamo vi sia sufficiente diffusa consapevolezza della questione “spopolamento e desertificazione” di grandi parti della Sardegna. Eppure gli studi degli esperti ne segnalano la gravità e le conseguenze disastrose proiettando i dati sui prossimi (non lontani) anni. Nella convegnistica e nei singoli interventi di intellettuali e politici (pochi) sono state avanzate proposte di intervento, assai differenziate, ma comunque serie e meritevoli di discussione e, una volta trovate quelle migliori, di traduzione operativa. Siamo convinti che tra le risposte debba esserci una diversa “politica di accoglienza e integrazione”, soprattutto dei migranti del nord Africa, che non deve essere connotata come “buonista”, ma inserita in un robusto programma economico, che riguardi soprattutto l’agricoltura (in senso lato, quindi anche pastorizia, allevamento, etc). E’ una problematica complessa e delicata, tuttavia particolarmente urgente da affrontare. Una proposta che ci convince è che il Consiglio regionale affronti di petto la questione, anche attraverso un’apposita legge regionale che istituisca una commissione di indagine su detta problematica, fissando finalità, modalità e tempi precisi di svolgimento (tre mesi prorogabili a sei, per es.). Si dovrebbe cominciare, come d’obbligo, con una rilevazione dello “stato dell’arte”, già ricco di studi e proposte, per poi arrivare a concretizzare linee di intervento, sostenibili, condivise dalla maggioranza delle parti sociali e dalle istituzioni territoriali e, ovviamente, finanziabili, anche con l’utilizzo dei fondi europei (diretti e indiretti) della programmazione 2014-2020. Una legge regionale, così come proposta, costringerebbe il Consiglio a un forte coinvolgimento, come è indispensabile sia, ma la cosa più importante è che la maggioranza dei sardi venga attivamente coinvolta. (da Aladinews del 7/2/2015 https://www.aladinpensiero.it/?p=37738)
———————————————————————
- I Comuni attaccano la Finanziaria: “Manca un piano anti-spopolamento”
di Alessandra Carta, su SardiniaPost 19 febbraio 2015
- DOCUMENTAZIONE. La problematica dello spopolamento su Aladinews.
comunicazioni di servizio
Per manutenzione del sito nei giorni dal 20 al 23 febbraio potrebbero verificarsi problemi sull’aggiornamento delle informazioni e delle immagini (Aladinews)
Deficit di democrazia in Italia e in Europa
Sabino Cassese: insigne giurista…tranquillo renziano
di Gonario Francesco Sedda *
Esiste una deriva autoritaria in Italia? Se lo è chiesto anche Sabino Cassese [Il timore (inesistente) del tiranno, Corriere della sera, 12 febbraio 2015], ma con uno sguardo corto, rivolto al confuso polverone delle polemiche sulla rottura (?) del “patto costituente” tra la vecchia volpe M. Renzi e il giovane pregiudicato Silvietto Berlusconi. E già questo sorprende, trattandosi di un «grande professore, giurista amministrativista, allievo di Massimo Severo Giannini, conoscitore dell’amministrazione dello stato, ministro tecnico con Ciampi, accademico di caratura internazionale, emerito della Normale di Pisa», da poco cessato dalla carica di giudice costituzionale.
[L’insigne giurista che sorprende per equilibrio e radicalità, Il foglio, 13 Novembre 2014].
1. Fin dal primo attacco S. Cassese sembra liberarsi con estrema facilità di due argomenti di chi teme per le sorti della “democrazia” in Italia: un presidente del Consiglio in carica che non è parlamentare e un Parlamento che è stato eletto con una legge successivamente dichiarata (parzialmente) illegittima costituzionalmente. «Infatti, la Costituzione non richiede che i ministri e il loro presidente siano parlamentari e Renzi non è il primo presidente che non sia stato eletto nelle file dei deputati o dei senatori. Poi, la Corte costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità di alcune norme della legge Calderoli, ha precisato che la sentenza “non tocca in alcun modo il Parlamento in carica”, perché non ha “nessuna incidenza” su di esso». Stando alla forma e restando in superficie sembra tutto inconfutabile.
Ma la nostra è ancora una Costituzione di una repubblica parlamentare: è il governo che deve muoversi entro l’ampio perimetro del Parlamento e non questo che deve essere ingabbiato dentro il ristretto perimetro del governo. Fino a M. Renzi i presidenti del Consiglio “non parlamentari” hanno rispettato le prerogative del parlamento invece di comprimerle, si sono fatti interni all’istituzione rispettando l’ispirazione della Costituzione vigente. Non si tratta dunque della sola questione formale dell’essere o non essere un parlamentare.
Per quel che riguarda la Corte costituzionale dovrebbe essere chiaro che non era chiamata a decidere dello scioglimento del Parlamento, ma della costituzionalità o meno di alcune parti della legge porcellona. La sentenza ha chiarito cosa non era accettabile “stanti così le cose”, cioè anche con un Parlamento già eletto. Ma non si può assolutamente sostenere che, non avendo la sentenza della Corte nessuna incidenza sul Parlamento in carica, dopo di essa non restava nient’altro da fare che tenerselo. La Corte costituzionale non ha imposto e neppure chiesto lo scioglimento delle Camere, ma non ha imposto e neppure chiesto di tenerci il “Parlamento in carica”. Dopo quella sentenza la decisione sulle sorti del “Parlamento azzoppato” spettava al mondo politico. E al presidente della repubblica G. Napolitano. Ma sappiamo come è andata.
Come può negare Sabino Cassese, dopo il pronunciamento della Corte sulla legge porcellona, la delegittimazione “politica” dell’attuale Parlamento e dell’ultimo Governo in particolare, anche solo per il proseguimento di una “normale” navigazione? E ancor più come può concedere a l’uno e all’altro l’onore di mettere mano alla Carta costituzionale? In nome di quale idea di “alta” politica può concedere ciò? E perché la sua lotta contro un presunto “conservatorismo” riguardo alla possibilità di cambiare/rafforzare la Carta costituzionale ha bisogno di poggiarsi sulla “eredità suina” (discendente dalla legge porcellona) di un “Parlamento azzoppato”?
Ma c’è altro da aggiungere. Non è una novità dell’altro ieri il riformismo retrogrado che punta a spostare le prerogative del Parlamento verso il potere esecutivo, ad aumentare il peso di quest’ultimo nei confronti degli altri poteri costituzionali minacciando la loro autonomia, a diminuire la rappresentatività del Parlamento con leggi truffaldine che si ispirano al fondamentalismo maggioritarista. La “deriva autoritaria”, o meglio, il processo di trasformazione verso una “democrazia” oligarchica è in atto da alcuni decenni e non ha aspettato “un presidente del Consiglio non parlamentare” per prendere il via. Dopo gli anni di incubazione sotto il craxismo, dopo la prima battaglia vinta col referendum contro il sistema di voto proporzionale, il processo è stato avviato invocando e vantando proprio una larga investitura elettorale (i dieci/dodici milioni di voti di S. Berlusconi).
2. Sabino Cassese si chiede se vi sia «qualcosa di più profondo che possa far temere una svolta autoritaria ed evocare il “timore del tiranno”». Ma il pericolo di un tiranno, di un dittatore, di un moderno Mussolini non sembra trovare posto nella previsione di breve/medio periodo. Ciò non esclude che vi possa essere e che vi sia una svolta autoritaria. Se Sabino Cassese dà credito alla evocazione del tiranno è solo per avere un’espediente retorico che gli permetta di rigettare con più facilità le argomentazioni altrui come viziate da eccesso. Per quel che riguarda le “sue” argomentazioni, sembra che solo il tiranno possa essere autoritario e dunque basti dimostrare che il tiranno non esiste per dimostrare assieme che non esiste neppure l’autoritarismo, il dispotismo, l’accentramento dei poteri, la limitazione della libertà, la compressione della democrazia …
Dunque chi non è un tiranno, un dittatore, un Mussolini sarebbe un democratico senza aggettivi. E così, per Sabino Cassese non c’è nessuno che «insidia la democrazia, prepara, politicamente e culturalmente, un governo autoritario»; «c’è, al contrario, un diffuso patriottismo costituzionale, una dichiarata e ampia lealtà alla Costituzione» e «ci sono i contropoteri, gli anticorpi, che potrebbero far fronte a tentazioni autoritarie». Non c’è nessuno che complotti per conquistare il potere, non si vede chi coltivi un tale disegno politico né alcun apparato ideologico e propagandistico che lo sostenga. «Non vi sono centrali, azioni, cospirazioni, che segnalino la presenza» del pericolo dell’instaurazione di un potere autoritario (dittatoriale, totalitario). Insomma, per S. Cassese non è in atto nessuna nuova “marcia su Roma” e i critici del riformismo retrogrado di M. Renzi (tutti associati senza distinzioni) non se ne sarebbero accorti!!
È vero: Sabino Cassese … «non è Stefano Rodotà né Gustavo Zagrebelsky» [Il foglio, citato]. Ma fino a che punto è «uomo mite e borghese senza esperienze di parte o di partito» [Il foglio, citato]? Sarà pure uomo borghese, forse mite, ma dubito che non sia di parte nonostante senza esperienze di partito: un’illustre giurista … un tranquillo renziano…
—————–
* anche su Democraziaoggi
———————————————-
La miseria del renzismo
Vittorio Bona su Democraziaoggi
Il dibattito in corso sulle sorti del debito greco genera in molti un senso di sconforto. Non soltanto in coloro che avvertono nel riflusso di nazionalismi e populismi contrapposti i pericoli di un’estensione del deficit di democrazia presente fin dalle origini nell’impianto di diritto pubblico europeo che sorregge l’Unione.
Il senso di sconforto non risparmia neanche quanti con semplice buonsenso prestano attenzione alle vicende che da anni tormentano il popolo greco, mossi dal solo desiderio di comprendere gli argomenti con cui si vorrebbe ulteriormente prolungarle. Di sicuro è tra costoro che si annoverano i più stupiti dalla sorprendente dichiarazione con cui il nostro Presidente del Consiglio ha manifestato il proprio plauso per la decisione presa dalla BCE di sospendere dall’11 febbraio l’ordinaria provvista di liquidità alle banche greche.
Poiché sulle richieste avanzate dalla Grecia non si è ancora pronunciato l’euro gruppo, che in materia è il vero decisore politico, correttezza avrebbe voluto che la BCE considerasse ancora aperta la trattativa avviata dal governo greco sulla revisione dei termini di pagamento del debito. Quale organo tecnico prudente ed imparziale avrebbe dovuto limitarsi a segnalare l’avvenuto incontro senza aggiungere altro se non rituali espressioni di mera cortesia nei confronti del Primo ministro greco. Si farebbe torto alla lucidità di Draghi se si coprisse sotto la dicitura di una “decisione legittima” un comunicato che sarebbe stato inteso da chiunque come un oggettivo indebolimento della posizione del governo greco.
Ma che dire del Presidente del Consiglio Renzi, che non richiesto da alcuno, né investito da alcun dovere d’ufficio, plaude a questo improvvido comunicato della BCE che ha fatto impennare al 18% gli interessi sui titoli greci? Dopo le strette di mano del giorno prima, finita la festa di un’ostentata amicizia, non ha tutta l’aria di una pugnalata alla schiena inferta alla Grecia?
E’ impossibile sapere cosa abbia indotto il Presidente Renzi a intervenire. Se pensava ai 40 miliardi di euro prestati dall’Italia alla Grecia attraverso il Fondo salva Stati, come qualcuno accorrendo in suo aiuto ha voluto suggerire, o se a spingerlo è stata invece la scaltrezza di chi è solito rassicurare prima di colpire di soppiatto, a muoverlo potrebbe essere stato l’intento di guadagnare la fiducia dei poteri forti che sono i veri arbitri del nostro debito. Quale che sia il motivo, il giudizio deplorevole sulla sua dichiarazione permane; nell’un caso come nell’altro la presa di posizione non ha alcuna giustificazione. Il credito dell’Italia non potrebbe essere riscosso se la Grecia fallisce, né potrebbe essere maggiormente garantito se la Grecia fuoriuscisse dall’Unione. Tra l’altro, l’uscita della Grecia dall’Unione non rimuoverebbe, ma riproporrebbe la propensione già manifestatasi in passato in alcuni ambienti europei a liberare l’eurozona dai cosiddetti anelli deboli (tra i quali rientra l’Italia), perché, si pensa, i legami tra i restanti paesi dell’eurozona ne risulterebbero rafforzati.
Sarebbe stato di gran lunga preferibile se, prima di pronunciarsi su una questione così gravida di possibili conseguenze anche per il nostro paese, il Presidente del Consiglio avesse studiato attentamente il dossier della Grecia, e come posizioni creditizie inesigibili siano transitate dai conti delle banche a quelli dello Stato ampliando così a dismisura la platea dei debitori fino a ricomprendere una nazione intera.
Prima di sgomitare per occupare un posto in prima fila tra le cancellerie europee più intransigenti nel riscuotere i crediti ad ogni costo, anche a rischio di stravolgere il diritto pubblico europeo in un tragico sberleffo alle sacrosante dichiarazioni dei diritti universali dell’uomo e delle genti, sarebbe stato di gran lunga preferibile se il Presidente Renzi avesse invitato il Parlamento a pronunciarsi sulla questione di fondo con cui il caso greco interpella la coscienza civile di noi tutti, persino dei più tiepidi europeisti. Fino a che punto è lecito riversare le colpe, i furti e le malversazioni dei governanti e delle banche compiacenti su un’intera popolazione? Se ruberie e truffe sono passate inosservate non soltanto alle istituzioni europee ma anche all’attenzione degli organismi creditori più direttamente interessati, su quali strumenti di conoscenza più efficaci poteva mai contare il popolo greco, al punto da considerarlo pienamente informato e dunque corresponsabile a pieno titolo degli sperperi compiuti?
Della vicenda greca ciò che più sconsola è l’idea di democrazia rappresentativa che è sottesa nel modo in cui di solito il dibattito è affrontato. Si basa su un antico sofisma che considera responsabili popolo e governo come un tutt’uno nei rapporti esterni in cui intervengono gli Stati. Non sempre però, tale sofisma corrisponde al vero. In tempi assai più drammatici degli attuali la distinzione fu trovata attingendo agli insondabili e mai ben definiti principi informatori del diritto delle genti. L’istituzione di un tribunale speciale servì a dissociare un popolo vinto, prostrato e avvilito, dalle responsabilità proprie del governo nei crimini di guerra perpetrati dai nazisti e nello sterminio di intere popolazioni inermi, i cui membri erano colpevoli soltanto di essere nati ebrei. Sebbene discutibilissima in punta di diritto, non vi è giudizio storico che non veda in quella soluzione un’istituzione propiziatrice di pace e di fattiva riconciliazione tra popoli europei e non solo.
Oggi non serve un nuovo tribunale. Basta il buon senso per capire che alle attuali condizioni la Grecia non è in grado di far fronte al suo debito. Occorre voltare pagina, ritrovando il coraggio necessario a colmare il deficit di democrazia che, assai prima della crisi greca e in misura di gran lunga maggiore del suo debito, impoverisce le istituzioni europee confinandole al ruolo di un “miserabile” esattore.
————————–
con gli occhiali di Piero…
- Un anno fa, il 19 febbraio 2014, su Aladinpensiero. Ricordando Giovanni Lilliu.
———————————
Oggi giovedì 19 febbraio 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Al Circolo Gramsci “L’Europa verso una nuova crociata?” – Alla Fondazione Sardegna organizzato dal Fai: “La buona terra. Fonti energetiche e impatto su suolo e ambiente in Sardegna”.
.
———————————————————————————–
J.W.Turner: “L’ ultimo viaggio della valorosa Téméraire (1838). La gloriosa nave dell’ammiraglio Nelson viene trainata dal rimorchiatore a vapore per essere demolita. Appare già bianca come un fantasma nel rosso del tramonto che è metafora della sua fine.
- Joseph Mallord William Turner (Londra, 23 aprile 1775 – Chelsea, 19 dicembre 1851)
—————————————-
Turner al cinema. Da vedere. Era un tipaccio, ma un genio… e nonostante le apparenze, neanche tanto cattivo. Certamente migliore, come uomo e come artista, di molti suoi colleghi di Accademia.
UNIVERSITA’ DELLA SARDEGNA, UNIVERSIDADE DE SARDIGNA, UNIVERSITY OF SARDINIA
Ci piace molto il modello dell’università pubblica della California. Si tratta di un sistema composto attualmente da 10 atenei, alcuni dei quali annoverati tra le migliori università del mondo. Eccoli elencati:
- University of California, Berkeley
- University of California, Davis
- University of California, Irvine
- University of California, Los Angeles
- University of California, Merced
- University of California, Riverside
- University of California, San Diego
- University of California, San Francisco
- University of California, Santa Barbara
- University of California, Santa Cruz.
Come si vede, tutte le università sono denominate “Università della California” seguite dal nome della singola università (coincidente con la città che la ospita).
La proposta alle università sarde è di copiare questa organizzazione, a cominciare dalla denominazione, quindi: UNIVERSITA’ DELLA SARDEGNA – CAGLIARI, UNIVERSITA’ DELLA SARDEGNA – SASSARI.