Monthly Archives: gennaio 2015
L’importanza della luce quando siamo al buio
“Se questo è un uomo”, già, se questo è un uomo. Come avrebbe commentato la strage di Parigi lo scrittore Primo Levi? Quali considerazioni avrebbe sviluppato sugli uomini che, in nome di Dio, hanno realizzato una strage di esseri umani per vendicare le offese al loro Profeta, realizzate con vignette satiriche? Se questo è un uomo. Come avrebbe descritto Primo Levi la barbarie di quei combattenti che, in nome della grandezza del loro Dio, hanno ripetutamente violato l’innocenza e l’integrità fisica di una bambina collocandole addosso un ordigno esplosivo per poi mandarla tra persone, anche esse innocenti, e farla esplodere come un pacco bomba, usando un telecomando? Che avranno pensato mentre, lontani dalla scena dell’attentato, la osservavano camminare verso i “nemici”? Che cosa le avranno raccontato per convincerla o indurla a recitare fino in fondo il terribile compito che le era stato assegnato? Che sensazioni avranno provato un attimo prima di attivare il comando elettronico che l’avrebbe ridotta in mille pezzi insieme a tante altre persone? E dopo, dopo, che sensazioni avranno provato? Si saranno sentiti eroi appagati per il loro eroico gesto o si saranno sentiti oppressi dal dubbio di aver compiuto una azione vigliacca quanto inutile e crudele? Non lo sapremo mai Primo Levi non c’è più. Nel cielo volano uccelli scuri, avvoltoi rapaci pronti a raccogliere brandelli di corpi innocenti per dare fiato ai loro propositi di guerre contro i diversi, guerre di “religione”, “guerre di civiltà”. Noi, i buoni, contro gli islamici, i cattivi. Niente di buono all’orizzonte. Dice una diciottenne Pakistana, il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, essa stessa vittima di un vile attentato degli estremisti islamici.
“Tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c`e il silenzio. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questo è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. I libri e le matite sono la nostra arma più formidabile, quella che potrà farci vincere la miseria e conquistare la pace”.
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C’E’ UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE
di Joyce Lussu
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C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perchè i piedini dei bambini morti non crescono
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
Oggi domenica 11 gennaio 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà – Oggi Elogio della Canna, di Bachis Bandinu.
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in giro con la lampada di aladin…
– CULTURA E RISPETTO PIÙ FORTI DELL’ODIO
di Ferdinando Camon, su La Nuova Sardegna on line.
- DISEGNO DI SANGUE. Tommaso Di Francesco, su il manifesto.
- “Cosa c’è davanti e dietro l’assalto a Charlie Hebdo. Come finirà”. Franco Cardini, su Intelligo .
- Strage Charlie Hebdo, Pennac: “Solo ora capiamo che per le nostre guerre lontane rischiamo di morire qui a casa”.
Dopo la strage e lo shock, lo scrittore riflette sulle cause dell’assalto: “La Francia ha esportato il conflitto in paesi come Mali e Afghanistan, credendo che gli estremisti non avrebbero colpito. C’è un solo rimedio: combattere sempre violenza e intolleranza”. Intervista a cura di Fabio Gambaro su Repubblica.it.
-Samir Amin: «Un atto odioso, ma la colpa è di Francia e Stati uniti». Giuseppe Acconcia, 8.1.2015 il manifesto
La via del sogno
di Franco Meloni, su SardegnaSoprattutto
Ho sempre letto i fumetti, molto prima di sapere che si potevano chiamare comics. Anzi, li ho guardati, perché il primo Tex veniva letto da mia Zia quando la parola “virgola” mi risultava oscura. Poi Topolino, il Vittorioso, l’Intrepido e via immaginando. Circa mezzo secolo fa, era Dicembre, Ninni mi ha regalato la raccolta di un giornale, Linus, che sembrava interessante. - segue -
con gli occhiali di Piero…
- Su Aladinpensiero un anno fa, il 10 gennaio 2014: Vittorio Emanuele I, duca di Savoia detto Il torturatore – Buffalo Bill e la sua leggenda.
Oggi sabato 10 gennaio 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà
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la lampada di aladin su Università e Università degli studi della Sardegna
- Universitá sarde verso l’estinzione. A meno che… Giuseppe Pulina su SardegnaSoprattutto*
- Per connessione: a proposito dell’Università di Cagliari, un commento del direttore.
Un anno fa, il 9 gennaio 2014, con gli occhiali di Piero su Aladinpensiero,
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FUEDDA SARDU
PISCIS
Giarrettu, cocciula, arengu, sardina, orziara, carina, merluzzu, maccioni, lissa, mumungioni, sarigu, dentixi, scritta, spirritu, grongu, salixi, scevulittu, triglia, tremula, gatt’e mari, pruppu, seppia, calamaru, piscicani, trota, turina, menduledda, pisciurrei, pisci marteddu, mongixedda, arroccaleddu, scropula, palaria, capponi, cocciula cau, patella, bucconi, dattil’e mari, arrizzoni, stell’e mari, stioni, aligusta, cambaredda, filatrotta. comunedda, babaurra, cavaglia, sparedda, cavuru, cocciula niedda, razza, boga, gorbagliu, surellu, capitoni, anguidda, murena,
(Citati nella canzone di Giampaolo Loddo “Su giarretteddu”)
Il conflitto di civiltà è dentro di noi
La strage dei giornalisti e dipendenti di Charlie Hebdo ci interroga tutti e non solo sul supposto conflitto di civiltà tra l’Occidente e l’Islam. Di quella sparatoria non si conoscono ancora le ragioni profonde, forse non basta il colonialismo occidentale, il Medio Oriente è in fiamme dallo sterminio degli armeni del 1915, non basta la radicalizzazione di certo Islam politico e la spinta messianica che lo attraversa.
Non bastano perché, questa volta, come nel 1939 sono in gioco i nostri valori, il desiderio di vedere realizzata una società includente con pari diritti per tutti, libertà politiche e di fede garantite. Non basta perché l’attacco al Charlie è la cifra di una società che da sempre pencola tra oscurantismo e laicità. Tra libertà ed integralismo. I cittadini europei considerano chiuse le guerre di religione con la pace di Vestfalia del 1648, anche se la guerra jugoslava degli anni Novanta ha avuto anche aspetti di scontro tra cattolici e ortodossi, tra cristiani e mussulmani. La nostra laicità è figlia della riforma protestante e della rivoluzione francese.
Una libertà difficile, per dirla con Emanuel Lévinas. Uno scontro mai sopito tra diritti ed obblighi, tra la libertà di critica e di satira e rispetto per le fedi altrui. Basti ricordare il pregiudizio antiebraico, o quello reciproco tra cristiani di diversa confessione. L’illuminismo ha portato con sé la critica feconda sia dell’autorità religiosa che di quella monarchica. La caduta del principio di autorità ha permesso confutazioni prima impensabili. La secolarizzazione ha fatto il resto, nessuno può sottrarsi al diritto di critica e allo sberleffo altrui.
Oggi non è che con l’Islam europeo il panorama sia cambiato. No, si ripropone solo in maniera più virulenta. La modernità e le integrazioni labili favoriscono sensibilità che rivelano debolezze reciproche. Sono deboli gli occidentali impauriti da una diversità che non riconoscono ad altri, lo sono gli altri per i medesimi motivi. Uno scontro che in fin dei conti ha come oggetto quello che siamo, le nostre identità le appartenenze di gruppo e quello che vorremmo essere. Tante sono le domande che ci si pongono.
Si può irridere tutto, senza curarsi che quella parola o quel disegno provochino sofferenze in altri, in ciò che loro credono, del proprio stile di vita? Siamo sufficientemente liberi e nello stesso tempo accorti nell’accettare tutto, o c’è qualcosa che può fare scattare in noi una reazione forte ed inconsulta? La società americana aveva trovato la risposta con il politicamente corretto, una formula che garantisca la libertà di pensiero ma allo stesso tempo sia rispettosa delle diversità culturali e religiose. Non sempre però ci si riesce, il permanere del razzismo negli Usa è misura di come sia difficile contemplare entrambi gli atteggiamenti. In Europa dopo il 7 di gennaio parigino siamo di nuovo in mezzo al guado, dobbiamo trovare nuove modalità di confronto che contemplino la libertà di critica e sberleffo e allo stesso tempo non mortifichino ed offendano le credenze altrui.
È la sfida dei nostri tempi. Diritti, libertà e democrazia non sono acquisiti per sempre, sono conquista quotidiana difficile, ancor di più in tempi di confronti che diventano sempre più militari. Lo sottolinea Sandro Magister nel suo blog riportando un intervento del presidente egiziano Abdel Fattah El Sissi, tenuto il 3 di gennaio nella università di Al Azar, il “Vaticano sunnita”, davanti ai massimi esponenti di quella confessione: «Il mondo musulmano non può più essere percepito come “fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione per il resto dell’umanità”. E le guide religiose dell’islam devono “uscire da loro stesse” e favorire una “rivoluzione religiosa” per sradicare il fanatismo e rimpiazzarlo con una “visione più illuminata del mondo”. Se non lo faranno, si assumeranno “davanti a Dio” la responsabilità per aver portato la comunità musulmana su cammini di rovina»
Noi non possiamo immaginare il nostro rapporto con l’Islam in termini di scontro violento, ma anche loro debbono smettere di desiderare che il resto del mondo si uniformi alle loro credenze. Lo diceva El Sissi nel discorso citato. Una mia amica mi raccontava di un ricercatore afghano che l’anno scorso frequentò un master di dottorato a Sassari. Alla sua domanda su come l’esperienza sassarese avesse influito su di lui, Abdullah rispose: “Non si può attraversare due volte lo stesso fiume, perché sei cambiato nel viaggio e perché l’acqua non è più la stessa”.
In questi anni abbiamo attraversato fiumi, la nostra società europea non è più la stessa dei nostri genitori e padri. Siamo già cambiati, il conflitto dentro di noi è quello antico con modalità nuove. Anche questa volta ce la faremo.
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* Da Sardegnasoprattutto
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La mattanza di Parigi: sacrosanta la condanna, e poi?
Andrea Pubusa **
Di fronte agli assassinii di Parigi viene anzitutto alla mente la viltà dei massacratori: una cosa è un’azione di guerra fra soggetti in guerra, altra la mattanza di persone inermi, colte alla sprovvista nella loro quotidianità. E non ci sono parole per la condanna. Non c’è causa che giustifichi queste azioni. Ma su questo molto si legge sulla stampa di tutte le tendenze, tanto si vede in TV. E poco o niente c’è da aggiungere.
Viene invece alla memoria la campagna scellerata, dopo l’attacco alle Torri gemelle, di George W. Bush e di Dick Cheney, col consenso di tutti i governi occidentali, che ha portato in breve tempo alla invasione dell’Irak. Giuliano Ferrara in un fondo dell’Unione sarda la assume a modello del trattamento ordinario verso gli islamici. Ma oggi chiunque abbia un barlume di ragionevolezza e di onestà intellettuale dovrebbe ammettere che si trattò di un madornale errore, di un’azione ingiustificata e, in fondo, suicida.
Saddam non era certo uno stinco di santo né un campione di democrazia, era tuttavia un laico che aveva, se non creato, ereditato e mantenuto un equilibrio fra le diverse componenti religiose, tant’è che il vice-presidente Tariq Aziz, venuto anche in visita in Italia e in Vaticano, era un cattolico-copto. D’altronde la dimensione non confessionale del partito Baath, di cui Saddam era in qualche modo erede, è sottolineata proprio dalla disomogeneità religiosa dei tre fondatori: alawita al-Arsūzī, cristiano ortodosso ʿAflaq e musulmano sunnita al-Bīṭār così come Akram el-Hurānī che più tardi raggiungerà il gruppo e sarà il promotore dell’aggiunta dell’aggettivo “socialista”. Saddam era, dunque, un esponente di quella generazione di politici del Baath, partito panarabo e con dimensione sovranazionale (Siria, Irak, Giordania), che, nel nome del nazionalismo arabo, hanno creato forse gli unici governi laici possibili a quelle latitudini e in quei contesti. Lo stesso dicasi per Gheddafi in Libia e Mubarak in Egitto. Certamente si tratta di regimi assai lontani dal modello angossassone o da quello europeo continentale d’occidente nato dalla Resistenza al nazifascismo, e sono sistemi distanti anche dalla prospettiva originaria del nazionalismo panarabo, ma è il sistema meno dannoso in quei contesti. Contrariamente a quanto dice Giuliano Ferrara e chi la pensa come lui, il moto pacifista e antiinvasione che si sviluppò allora e che aveva in prima fila Papa Wojtyla e tutto il mondo cattolico non era mosso da una subalternità al mondo arabo, ma, esattamente all’opposto, mirava ad un confronto e ad un rapporto fondato sull’interesse reciproco. E anzitutto quel movimento partiva da una verità evidente fin d’allora, e cioé che Saddam non c’entrava nell’attacco alle Torri e che a tutto pensava fuorché a mettersi in guerra con gli States. Saddam tutto era fuorché ingenuo e ben sapeva che da uno scontro militare con gli USA non poteva uscirne vincitore nè vivo.
L’attacco all’Irak e la destabilizzazione della Libia e del mondo arabo non hanno dato un plus di democrazia, com’era facilmente prevedibile, ma hanno aperto le porte ad un estremismo di cui i fatti di Parigi sono l’espressione più barbara e tragica. In Egitto si è evitato il peggio perché c’è un esercito forte, che ha ripreso in mano la situazione in sostanziale continuità col regime precedente.
Pertanto, la condanna per il massacro di Parigi è ovvia e istintiva, ma occorre la politica. E certo le posizioni estremiste alla Giuliano Ferrara non possono portare a nulla di buono come è insufficiente un approccio semplicemente repressivo. Il bandolo della matassa sta nella soluzione dei temi destabilizzanti del mondo arabo, a partire dalla questione palestinese che eliminerebbe un fattore di instabilità e di scontro permanente. Da lì poi occorrerebbe ripartire per una ricomposizione, puntando sui paesi di quell’area che hanno mantenuto una loro stabilità interna, a prescindere dal loro tasso democratico certo molto vicino allo zero. E’ un’opera immane. Gli equilibri per quanto insoddisfacenti una volta spezzati sono di ardua ricomposizione. L’unica cosa certa in tutto questo è che dalla violenza nasce violenza in una spirale senza fine e senza limite, e che la ricomposizione richiede fermezza, ma anche rispetto. Parigi, dopo la naturale condanna dell’eccidio, richiede sopratutto iniziativa politica e intelligenza, molta intelligenza.
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** da Democraziaoggi
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«Chiunque ha il diritto alla libertà di opinione ed espressione; questo diritto include libertà a sostenere personali opinioni senza interferenze ed a cercare, ricevere, ed insegnare informazioni e idee attraverso qualsiasi mezzo informativo indipendentemente dal fatto che esso attraversi le frontiere» »
( Dichiarazione universale dei diritti umani )
Oggi venerdì 9 gennaio 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà
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Je suis Charlie
Non crocifissi, ma penne e matite. Perché non è una guerra di religione (come Edward W. Said ha dimostrato)
di Vito Biolchini *
Per rispondere al terribile assalto terroristico alla redazione del Charlie Hebdo ieri i francesi hanno esposto in piazza non crocifissi né Bibbie o Vangeli, ma penne e matite. I simboli più profondi e autentici della libertà sono i simboli stessi del comunicare.
Evocare lo spettro di guerre di religione o scontri fra civiltà è quanto di più ignobile ci possa essere, giacché un giornale è il contrario di una religione, di ogni religione. E trasformare il Charlie Hebdo in un presidio dell’“Europa cristiana” ci ricorda quanto anche il nostro fondamentalismo sia idiota e pericoloso.
C’è chi soffia sul fuoco, chi eccita gli animi. Lupi che incitano gli agnelli ad aggredire altri agnelli. Quegli stessi lupi che nel Novecento appena passato assalivano le redazioni, bastonavano i giornalisti, negavano ogni libertà di espressione e di stampa, ora vestono la pelle degli indignati e ci indicano la via sbagliata.
Fascisti gli uni, fascisti gli altri. E non bisogna cadere nella trappola.
Nel suo articolo dal titolo “Alla deriva nella somiglianza” (lo trovate nel libro “La pace possibile”, edito nel 2005 da “il Saggiatore”), l’intellettuale Edward W. Said, a poco più di un mese dalle stragi dell’11 settembre, smontava implacabilmente la teoria dello scontro di civiltà propugnata da Samuel Huntington (teoria a cui il misero epigone Giuliano Ferrara attinge oggi indecorosamente a piene mani).
Per Said, Huntington si ispirava al pensiero di un altro studioso, Bernard Lewis.
“In entrambi i saggi non si esita a procedere alla personificazione di entità gigantesche chiamate “Occidente” e “Islam”, come se questioni straordinariamente complesse come l’identità e la cultura si potessero ridurre a una realtà da cartoni animati, dove Braccio di Ferro e Bruto se le danno di santa ragione e dove vince sempre il pugile buono. Di certo né Huntington né Lewis si preoccupano di considerare le dinamiche interne e il carattere plurale di ogni civiltà, o il fatto che nella maggior parte delle culture moderne ci si scontri soprattutto proprio sulla definizione e sull’interpretazione della cultura cui si appartiene; e tanto meno ammettono la possibilità antipatica che la pretesa di parlare per un’intera religione o civiltà tradisca l’intento demagogico e la pura ignoranza di chi la avanza”.
Perché il nemico non è solo il terrorismo ma la demagogia e ignoranza (la “pura ignoranza”), che corrodono le nostre democrazie dall’interno.
Said continua riferendosi all’11 settembre (ma si capisce che le parole vanno bene anche oggi):
“Il guaio di etichette poco costruttive come “Islam” e “Occidente” è che sviano e confondono la mente nel momento in cui si cerca di spiegarsi una realtà disordinata che non si lascia incasellare e confinare tanto facilmente. (…) Fare dichiarazioni bellicose allo scopo di scatenare passioni collettive è molto più semplice che non riflettere, esaminare, individuare con che cosa abbiamo a che fare in realtà e quindi vedere come un numero incalcolabile di vite sia reciprocamente connesso, le nostre con le loro”.
Conclusione:
“Viviamo un periodo di tensione; tuttavia, piuttosto che vagare senza meta alla ricerca di grandi astrazioni capaci di offrire una soddisfazione momentanea, ma non di contribuire seriamente alla conoscenza di sé e all’analisi critica, è meglio considerare le comunità umane sulla base della loro potenza o impotenza, adottare una visione politica laica che contrapponga la ragione all’ignoranza, valutare la giustizia e l’ingiustizia secondo princìpi universali. La tesi dello “scontro di civiltà” è un espediente in stile “guerra dei mondi”, che serve a rafforzare un orgoglio difensivo più che a promuovere una comprensione critica della sconcertante interdipendenza che caratterizza il nostro tempo”.
Una strage come quella di ieri lascia attoniti, senza parole. Improvvisamente chi fa della libertà di espressione la sua vita e il suo mestiere si sente indifeso e ha voglia di scappare. Di tacere.
Ma la libertà di stampa la si difende soltanto in un modo: esercitandola, sempre e comunque. Per contrastare “la pura ignoranza”, per continuare “a promuovere una comprensione critica della sconcertante interdipendenza che caratterizza il nostro tempo”. Anche davanti alle stragi, anche davanti alla paura di diventare bersaglio. Non c’è altra strada: per fortuna e purtroppo.
* by vitobiolchini
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Satira, letteratura, turbanti, improbabili zucchetti e pulpiti sospetti.
di Antonio Dessì **
Da diversi giorni, prima dell’efferata strage islamista (almeno fino a prova contraria, di quello si tratta; i complottisti, a me, come al solito, prendono alle palle) di Parigi, in Francia si è cominciato a discutere intensamente del romanzo di Michel Houellebecq, “Sottomissione”, il quale ipotizza un Paese ormai arreso a una pervasiva islamizzazione, vittoriosa anche elettoralmente a causa della totale caduta di credibilità dei valori occidentali, in una società sopraffatta, più che dalla tolleranza, dall’accidia. Al romanzo e al suo autore, sia pure affettuosamente, proprio Charlie Hebdo aveva dedicato una irriverente vignetta, manifestando in tal modo non solo di non temere la suscettibilità dei turbanti, ma anche di non trattenersi neppure di fronte alle nostre ormai diffuse paure e paranoie.
Pare che di questo secondo aspetto non si sia neppure reso conto Giuliano Ferrara, la cui intemerata contro il buonismo cedevole della cultura democratica italiana viene in pompa magna pubblicata come editoriale su L’Unione Sarda di oggi. Se io fossi un vignettista, un Ferrara col turbante e il barbone da mullah mi piacerebbe disegnarlo. O più propriamente lo disegnerei con una bella mise cardinalizia, color porpora, con zucchetto, ma non meno rotonda e barbuta, ricordandone la furiosa crociata contro l’ammissibilità dell’aborto di qualche anno fa, recentemente ripresa in un attacco (scomposto, dei suoi) contro la Gabanelli e Report, colpevoli di realizzare servizi sulle oche di Moncler e di non occuparsi dell’aborto “di massa” che insanguinerebbe l’Italia (e, peraltro, in modi analoghi, l’Occidente).
Il buon Giuliano, del resto, con la satira, che oggi tanto difende come valore “occidentale” contro un Islam tetragono e invasivo, ha un rapporto controverso.
Ferrara è stato infatti spesso bersaglio della satira italiana per le sue posizioni in politica estera e in materia giudiziaria, a partire dal settimanale Cuore, fino agli spettacoli di Roberto Benigni, Daniele Luttazzi e Sabina Guzzanti. In tutte le rappresentazioni satiriche, oltre a prendersi gioco della sua mole, lo si è schernito anche per aver cambiato appartenenza politica. Nel suo tour del 1996 Benigni ne prese di mira, in quasi tutte le sue battute, la struttura fisica. A tali battute Ferrara rispose già nel 1997 sul Foglio con una serie di stroncature del film di Benigni “La vita è bella”, proseguite anche con i successivi lavori dell’artista. Durante il 52° Festival di Sanremo, nella cui serata finale era previsto uno sketch di Benigni, Ferrara polemizzò di nuovo contro l’artista, asserendo che nel caso in cui fosse salito sul palco, sarebbe stato in prima fila a «tirargli uova marce». Alla fine Ferrara si limitò a lanciare uova sullo schermo del televisore del proprio salotto, di fronte a una telecamera che lo riprendeva mentre assisteva all’esibizione dell’artista toscano. Quando Benigni si accorse che Ferrara non era in sala, ironizzando ipotizzò che fosse partito per Sanremo, ma che fosse tornato indietro dopo essersi mangiato le uova per strada. L’8 dicembre 2007 Giuliano Ferrara fu menzionato in un monologo di Daniele Luttazzi durante la trasmissione Decameron in onda su LA7. L’episodio causò la sospensione del programma -eravamo ancora memori dell’ “editto bulgaro” di Berlusconi. Nel caso, Ferrara difese la sospensione del programma, pur ribadendo il diritto alla satira (fonte di queste notizie biografiche: Wikipedia; lo ammetto, qualche volta vi attingo anch’io).
L’editoriale di oggi de L’Unione Sarda mi ha ricollegato alla strana sensazione provata alcuni giorni fa durante le vacanze, mentre, percorrendo la strada tra Ottana e Sarule (sono abituato a pensare globalmente anche quando cazzeggio localmente), mi sono reso conto che il segnale delle principali trasmissioni radio nazionali svaniva, lasciando il posto a quello, potentissimo, ma consueto, di Radio Maria e a quello, più potente ancora e almeno per me più insolito, di Radio Padania, dove furoreggiava la corte mediatica di Salvini, con l’annuncio del prossimo sbarco elettorale della Lega nel Sud e in Sardegna e con la cinica denigrazione delle due ragazze prigioniere degli islamisti siriani, condotta dal Salvini medesimo e dal giornale Il Foglio, di cui Ferrara continua pur sempre a essere il direttore.
So che molti miei amici di FB diventano estremamente cauti quando tocco l’Unione Sarda. Non penso che temano di perdere qualche blandizie letteraria e certamente non credo che siano come molti politici che conosco, ai quali viene un autentico spavento al solo pensare di essere oggetto di qualche critica su un giornale locale o peggio ancora di essere ignorati nelle loro importanti ed incisive prese di posizione. Capisco piuttosto che la mitopoiesi dei Giganti, che tanto campeggia sul quotidiano cagliaritano (e a cui l’altro quotidiano, quello ormai oristanese, La Nuova Sardegna, va ogni tanto rispondendo con grottesche mitopoiesi balentesche sui Dimonios della Brigata Sassari), li intrighi, così come qualche occhieggiamento “indipendentista” sembri offrire loro una sponda. Però la destra è destra e il terreno culturale e politico che si sta apprestando nell’Isola quello resta.
Io sono un cittadino normale, con la presunzione tuttavia di non essere fesso e con scarsissima disponibilità a essere preso per i fondelli. Perciò quando mi si chiederà cosa penso di vicende politiche in atto o di esperimenti elettorali in incubazione, non potrò non tener conto di quello che vedo, che leggo, che avverto, o che non vedo, che non leggo, che non avverto.
Pocos, locos, y mal unidos: ma tottus tontos no, grazie. Buon pomeriggio.
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* Tonino Dessì, pagina fb
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LE ISTITUZIONI FERMINO IL TALEBANO SALVINI
di Giovanni Maria Bellu ***
Matteo Salvini, credo con l’obiettivo di estendere i propri consensi tra gli sprovveduti impauriti, continua a sostenere il terrorismo islamico e soprattutto le sue capacità di proselitismo. Lo fa affermando in modo sistematico una connessione tra i fatti di terrorismo e l’immigrazione. A dispetto della tragica realtà dei fatti dalla quale emerge con evidenza che gli attentatori sono cittadini europei e che, dunque, i disperati che sbarcano a Lampedusa non c’entrano nulla. A parte il fatto che il semplice buon senso (assieme ai responsabili dell’intelligence) esclude la possibilità che un commando terrorista decida di infiltrarsi raggiungendo l’Europa a bordo di barconi che non si sa quando, né se, arrivano e nei quali è impossibile nascondere delle armi. Le pubbliche istituzioni dovrebbero invitare questo irresponsabile a calmarsi. Ci mette in pericolo tutti per un obiettivo di partito. Un obiettivo piccolo e squallido.
non possiamo stare fermi
“Allah Akbar” (Allah è grande) – In nome di Allah si massacrano dodici persone a Parigi. Si spara in faccia a una ragazzina che chiede il diritto all’istruzione per le ragazze, si uccidono i volontari che portano aiuti e vaccini per i bambini, giornalisti che tentano di documentare quanto accade. Quale può essere la risposta al fanatismo integralista e all’ignoranza. Una guerra senza esclusione di colpi, una guerra pacifica senza l’impiego di armi e bombe. Una guerra culturale, che spieghi l’incongruenza dell’idea che chi non è mussulmano è un infedele da eliminare, che le donne possono guidare l’auto e scoprire il viso ed il corpo liberamente, svolgere compiti e mansioni di natura politica e sociale senza limitazioni, che i ragazzi e, soprattutto le ragazze hanno diritto all’istruzione. Una guerra lunga e difficile. Cominciamo con l’istruire i mussulmani presenti in occidente per far loro comprendere che la diversità (anche religiosa) è un valore positivo, che il confronto ed il dialogo non sono vietati dal Corano, che studiare e superare i pregiudizi non è una colpa. Una guerra per la quale ha un senso lottare anche sacrificando la propria vita. (v.t.)
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Il mondo musulmano non può più essere percepito come “fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione per il resto dell’umanità”. E le guide religiose dell’islam devono “uscire da loro stesse” e favorire una “rivoluzione religiosa” per sradicare il fanatismo e rimpiazzarlo con una “visione più illuminata del mondo”. Se non lo faranno, si assumeranno “davanti a Dio” la responsabilità per aver portato la comunità musulmana su cammini di rovina. (Abdel Fattah El Sissi, presidente della repubblica egiziana, discorso tenuto tenuto all’inizio del nuovo anno davanti a studiosi e leader religiosi dell’università Al Azhar del Cairo -considerato il principale centro teologico dell’islam sunnita- riuniti insieme ai responsabili del ministero per gli affari religiosi, il 3 gennaio 2015)
(n.M.)
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Replique republicaine. Decine di migliaia di persone, di orientamenti laici e religiosi diversi, musulmani compresi, sono scesi pacificamente in piazza, ieri notte, in Francia, contro il terrorismo islamista e contro la strumentalizzazione fascista e razzista. (a.d.)
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Dopo i giorni del dolore per la strage di Parigi, ci sarà tanto da riflettere.
Come mai immigrati di seconda o terza generazione diventano terroristi all’interno di paesi dove sono nati? Perché il radicalismo violento trova lì terreno fertile? Bisogna interrogarsi a lungo sulle politiche interne di integrazione sociale di molti paesi occidentali, evitando facili semplificazioni di matrice religiosa. Bisognerà rivedere totalmente anche la politica estera ed il rapporto con i paesi islamici, dove l’Europa deve necessariamente avere una posizione univoca ed indipendente: decisa sì, dura dove necessario, evitando assolutamente il muro contro muro fra civiltá, ma lavorando sui paesi moderati, per fare terra bruciata intorno a qualsiasi forma di terrore organizzato.
Infine un’amarissima constatazione: ciò che è accaduto oggi avrà purtroppo delle conseguenze in tutto l’occidente, in termini di autocensura: parlo di satira, di giornalismo, di letteratura. Non vorrei che la 13^ vittima di oggi possa essere la libertà di espressione.
(gianf. fancello)