Monthly Archives: gennaio 2015
L’Università bastonata. Colpa del Governo e della classe politica? Sì, ma anche del potere accademico!
IL FATTO. Infilato tra le “Misure urgenti per il settore bancario e per gli investimenti“, appena approvate del Consiglio dei Ministri, c’è un comma che assegna all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) la commercializzazione dei prodotti tecnologici e dei brevetti di tutte le università e di tutti gli enti di ricerca. Non appena la cosa diventa di pubblico dominio, i vertici dell’IIT pubblicano un comunicato in cui “all’unisono con il mondo della ricerca”, esprimono la loro perplessità sulla norma. È in atto il tentativo di commissariare il trasferimento tecnologico della ricerca pubblica nazionale, affidandolo in toto all’IIT, e – a dar credito ai vertici dell’IIT – ciò è accaduto “a loro insaputa”. Chi sarà stato allora? Crediamo di sapere già come andrà a finire
- Tutte le informazioni su Roars
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Si tratta della solita “soluzione sbagliata a un problema vero” a cui siamo soliti assistere in Italia. La soluzione sbagliata, quella di affidare all’IIT il trasferimento tecnologico degli Atenei, è ampiamente spiegata nell’articolo di Roars; il problema vero è che l’attuale gestione del trasferimento tecnologico da parte degli Atenei è generalmente disastrosa (salvo eccezioni soprattutto riscontrabili nei Politecnici) e per colpe pesanti in capo ai Rettori e a quanti altri governano gli Atenei italiani. Le ingenti risorse messe a disposizione dall’Unione Europea, ma anche dallo Stato e dalle Regioni, non sono servite a dare al sistema universitario un’efficiente ed efficace organizzazione per la gestione della “terza missione”, spesso la ragione va ricercata nell’approccio dilettantesco a tale complessa funzione da parte dei management accademici. E’ nota la supponenza di molti accademici di piccarsi di intendersi di questioni di cui non hanno competenza alcuna, provocando di conseguenza sprechi e perdendo opportunità (il trasferimento tecnologico è fortemente incentivato dalle politiche comunitarie). Infatti per fare trasferimento tecnologico occorre avere una competenza specifica, cosa diversa da quella dei ricercatori e occorre disporre di adeguata strumentazione organizzativa, certamente non individuabile negli apparati e nelle burocrazie universitari. Non diciamo cose nuove. Al riguardo ci permettiamo ripubblicare una riflessione su “università e terza missione”, datata 23 gennaio 2013, ahimè ancora oggi attualissima! Auspichiamo intanto che il Governo ritiri gli articoli incriminati del decreto in questione e che sulla problematica che li sottende si apra un dibattito che porti a prospettare soluzioni adeguate. Pensiamo ovviamente anche al contesto del dibattito per l’elezione del nuovo Rettore dell’Università di Cagliari.
Università: per non morire di autoreferenzialità*
di Franco Meloni
“Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country.” “Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. E’ questa una delle frasi più famose tra quelle pronunciate da John Fitzgerald Kennedy; esattamente risale al 20 gennaio 1961, giorno del suo insediamento alla Casa Bianca come 35° presidente degli Stati Uniti d’America.
Tagli: prima la lingua, poi la testa
LA QUESTIONE LINGUISTICA, discutiamone serenamente
di Bachisio Bandinu
La lingua batte dove il dente duole e i sardi sono spesso soggetti a mal di denti.
E’ bene dunque proporre contributi per una elaborazione della questione linguistica sotto i più diversi aspetti e nella sua più ricca complessità, evitando polemiche distruttive e rigidi fondamentalismi. Proponiamo un aspetto particolare, nella prospettiva di altri interventi che approfondiscano i molteplici argomenti.
Si è posta la domanda: quale lingua insegnare nelle scuole? Ci sono molte proposte e ciascuna ha una propria validità, si tratta di confrontarle e cercare una soluzione, la più convincente possibile.
Una prima proposta può essere questa. In ogni paese si insegna la lingua della comunità perché è quella più naturale e familiare. Bisogna ricordare che il carattere fondamentale di una lingua non è il significato, ma il significante, cioè l’immagine acustica (impropriamente il suono) che ciascun parlante introietta all’interno della propria famiglia e della comunità. Questa condivisione profonda facilita e promuove l’adesione anche di chi non la parla e persino di chi è diffidente, perché viene avvertita come lingua della scuola impropria, diffusa nell’ambiente e dentro una semiotica generale.
Nello stesso tempo dell’insegnamento e dell’apprendimento della varietà locale, si pone fortemente, in adiacenza, l’insegnamento e l’apprendimento della lingua nazionale sarda, cioè di uno standard che raccolga la maggiore adesione e convinzione possibile: una unificazione grafica per una scrittura comune. L’obiettivo è quello di traghettare, nel tempo e con la crescita di un’identità nazionale sarda, le parlate locali verso un’unica lingua nazionale. L’accostamento simultaneo tra specificità locale e standard deve essere comunicante e unificante. Si crea una familiarità che addomestica le differenze e che promuove il cammino verso un’identità linguistica nazionale: obiettivo fondamentale per il presente e per il futuro della lingua sarda, attraverso cui produrre testi e comunicare con il mondo.
L’affetto vissuto nella parlata locale, trapassa gradualmente (e sempre nella libertà di poterla parlare) nel modello standard, motivato come lingua nazionale dei sardi, capace di unità e coscienza civica. La questione della lingua non è personale o di gruppo, è invece una questione politica che riguarda la nazione sarda.
Un’altra proposta è quella di insegnare direttamente la lingua standard in tutte le scuole sarde, per esempio la LSC, Sa limba sarda comune oppure Sa limba de mesania o ancora uno standard da definire che sia ancor più condiviso. È una tesi difendibile ed anche più economicamente realizzabile, ma nasconde un pericolo purtroppo già ben evidente: la conflittualità, il rifiuto, perché, a ragione o a torto, può essere vista come una lingua fredda, estranea e imposta. In verità questa è stata la strada con cui si sono formate tutte le lingue nazionali, ma oggi non esiste un potere politico-militare-giuridico che possa imporre, garantire e realizzare di fatto tale progetto. Il rischio è quello di una conflittualità sempre più esasperata che blocca o comunque rende impervio il cammino della limba.
Una terza proposta è la consacrazione divisoria delle due varietà principali, campidanese e logudorese. Unificazione grafica di ciascuna e insegnamento nelle scuole di un logudorese nordista e di un campidanese sudista. Si tratta di una proposta che risolve, almeno in parte, una conflittualità atavica e che può trovare consensi, ma elude la questione politica della lingua, come idioma del popolo sardo, come unica lingua nazionale. Inoltre non sarà facile accettare lo standard logudorese o lo standard campidanese da parte di molte comunità. Si può fare un esempio: se nella scuola di Bitti o di Orgosolo, si impone il logudorese standard, verrà accettato con difficoltà perché avvertito come lingua differente e perché non trova nella comunità paesana una dimensione diffusa e condivisa, parlata e ascoltata.
La diversità di opinioni risponde alla complessità della questione linguistica dove intervengono affetti e ragioni personali, di gruppo, di comunità paesane e territoriali, con parlate magari di minime differenze che si sono consolidate in forme identitarie chiuse ed esclusive. In verità la questione della lingua è politica, riguarda la nazione sarda che va ben oltre il campanilismo di paesi e di zone. Purtroppo anche la conflittualità degli esperti non ha aiutato un’elaborazione capace di promuovere proposte unificanti. Così i problemi legati alla lingua hanno dato il pretesto a coloro che sono contrari alla valorizzazione del sardo per riaffermare la loro contrapposizione. E invece la ricchezza di tesi differenti apre il campo ad elaborazioni più valide e illuminanti, da tradurre in precise scelte politiche. Non esiste una proposta di standard che accontenti tutti. Perciò occorre una valutazione serena e ragionata e poi una normativa decisa: certo è importante avere la condivisione di molti, ma soprattutto è necessaria una scelta che sia capace di valorizzare sa limba attribuendole la pari dignità dell’italiano e quindi introducendola nelle scuole e in tutte le sedi deputate.
Che la lingua sia una questione politica non pare un dettato condiviso dalla Proposta di bilancio 2015 che investe ben poco sulla lingua, a cui la Giunta di centro-destra aveva attribuito circa quattro milioni di Euro. Una proposta lodevole è la riforma della Legge 26/97 con le possibili ricadute favorevoli all’insegnamento e apprendimento del sardo nelle scuole, con investimenti finanziari da definire. Una sorpresa davvero incredibile è la cancellazione de Sa Die de sa Sardigna, festa nazionale dei sardi, approvata con legge regionale. Una rimozione che la dice lunga sulla volontà politica di indebolire la coscienza identitaria dei sardi oscurandone i caratteri fondamentali di lingua, cultura e storia.
Non ci sono dubbi che le componenti sovraniste che fanno parte dell’alleanza di governo faranno di lingua e cultura gli obiettivi fondanti e decisivi della loro presenza nella coalizione. O no?
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L’eurocentrismo che genera mostri
Parigi, lo scontro di civiltà e le radici storiche dell’Occidentalismo
di Francesco Casula
La barbara strage jihadista di Parigi ripropone alla nostra attenzione la vecchia e vexata Quaestio sullo scontro (supposto?) di civiltà fra l’Occidente e l’Islam. Condividendoli, rimando l’analisi e le motivazioni dei gravi fatti parigini a due eccellenti articoli: quello di Rossana Rossanda dal titolo significativo: ”L’ambiguità delle piazze francesi”. Secondo la prestigiosa intellettuale comunista infatti “Non si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica”. Il secondo è quello di Massimo Fini (su Il Fatto Quotidiano del 10 gennaio 2015) secondo cui ”è stata l’aggressività dell’Occidente a fomentare il radicalismo islamico contro di noi e ad allargarne le basi”. Da parte mia, in questa mia disamina, cercherò di individuare le radici ideologiche e storiche dell’Occidentalismo e dell’Eurocentrismo che possono illuminare e farci comprendere meglio anche quanto è successo in questi giorni. E non solo a Parigi. Entro subito in medias res, partendo da lontano: da Erodoto, storico greco, secondo il quale l’Europa è una semplice nomenclatura geografica, mentre con Roma diventa la Respublica romana prima e l’impero poi, cui Virgilio assegna il destino di parcere subiectis et debellare superbos. L’impero di Carlo Magno sorge contrapposto all’Oriente e la Respublica Christiana, si muove unita con le Crociate contro gli infedeli, sollecitate e benedette dal papa. E sarà unita nella riconquista della terra santa, nella reconquista in Spagna, nella difesa di Bisanzio contro i Turchi. Alla fine del ‘400 il massacro di interi popoli indios, la distruzione di memorabili civiltà come quelle dei Maya, degli Aztechi o degli Incas, diventano pomposamente “scoperte” e “imprese” dei Colombo e dei Vespucci, dei Magellano e dei Caboto. Naturalmente la “conquiste” sono ispirate e legittimate da nobilissime intenzioni: “gli indigeni sono gente senza fede e senza leggi” (Vespucci) e dunque occorre portare loro le leggi e la religione europea. Sono voci inascoltate quelle di Charles-Andrè Julien – creatore del mito del buon selvaggio- o di Jean de Lery ma soprattutto di Montaigne che sdegnato scrive in un passo di un suo celebre Saggio, Dei Cannibali: ”Provo vergogna nel vedere i nostri uomini inebriati da questo stupido stato d’animo e sbigottiti per le forme contrarie alle loro. Ovunque vadano si attengono alle loro usanze e disprezzano le altre”. E conclude. ”Tante città rase al suolo, tante nazioni sterminate, milioni di persone passate per le armi e la parte più ricca e bella del mondo sconvolta soltanto per il commercio delle perle e del pepe”. L’eurocentrismo non entrerà in crisi neppure con la Rivoluzione Francese che pure con la Costituzione del 1791 proibisce qualsiasi conquista. Sappiamo infatti come andarono le cose: l’espansione rivoluzionaria per la libertà degli altri popoli si tradurrà in un gigantesco sforzo di egemonia e di guerre, soprattutto con Napoleone, per riaffermare il dominio eurocentrico sull’Oriente, l’Asia e l’Africa. Così, una rivoluzione, che pare mettere in crisi l’idea dell’Europa come Comunità superiore, in realtà la rafforza e si pone per eccellenza, come la rivoluzione occidentalista dell’occidentalismo borghese, illuministico, razionalistico, e scientista. Sarà poi l’Europa degli Stati nazionalisti, militaristi e capitalistici a lanciarsi alla conquista del mondo: dal Sud est dell’Asia all’Africa, alla stessa Cina. In Francia si parla dell’idea lanciata da Albert de Mun sui doveri delle razze superiori che “hanno un diritto perché hanno un dovere” – affermerà Jules Ferry il 28 Luglio 1885 parlando alla Camera: Esse hanno il dovere di civilizzare le razze inferiori, in virtù del diritto di una razza civile che ha il diritto ”di occupare i territori lasciati incolti dalle popolazioni barbare”. Questa razza civile è – manco a dirlo – quella europea. Lo storico tedesco Leopold Von Ranke parla di ”Un germe, uno spirito dell’Occidente che ha compiuto dei progressi enormi, che ha conquistato l’America togliendola alle forze brute della natura e alle popolazioni indomabili che l’abitavano e l’ha trasformata completamente. Attraverso strade diverse è penetrata fino al limite della lontana Asia, e cinge l’Africa avendo occupato le sue coste. Irresistibile, ineguagliabile, invincibile, grazie alle sue armi e alla sua scienza è diventata il padrone del mondo”. Su questi presupposti teorici si affermerà il nuovo eurocentrismo militarista e imperialista degli Stati che genererà la prima guerra mondiale con gli otto milioni e mezzo di morti, distruzione e devastazione economica, miseria e carestia e… disordine su cui nascerà il “Nuovo Ordine” fascista e nazista. L’Ordine Nuovo di Hitler infatti è totalmente eurocentrico, per lui infatti l’Europa – “la nuova Europa” – “non è soltanto un’espressione geografica ma un concetto culturale e morale…. per i mille anni a venire”. Il postulato, un vero e proprio dogma agli occhi di Hitler, è quello dell’ineguaglianza delle razze umane. Di tutte le razze, quella più completa, quella che possiede una maggiore intelligenza, una maggiore energia, un maggiore potere creativo, è la razza dei grandi ariani biondi dolicocefali. Essa ha quindi diritto di conquistare lo “spazio vitale”. Si chiede il grande storico francese Jean-Baptiste Duroselle: ”Questa famosa civiltà europea esiste ed è veramente più valida delle altre civiltà”? Ecco la sua risposta: ”Io mi sento culturalmente e intellettualmente più vicino a Leopold Senghor che non al mio miglior amico inglese o olandese, cosa che non pregiudica affatto la nostra amicizia. E quando mi si dice che l’Europa è il paese del Diritto e della dignità umana io penso al razzismo; quando mi si dice che è il paese della ragione io penso a Cartesio che sosteneva che ”il buon senso è la cosa meglio suddivisa nel mondo.” –
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La Sarda Rivoluzione? Sciocchezzuole!
di Nicolò Migheli **
Taglia che ti taglio, la giunta che governa questa isola disgraziata, ha eliminato persino i finanziamenti per Sa Die de sa Sardinia. È la prima volta che capita da quando è stata istituita nel 1993. La finanziaria del 2015 cancella la Giornata del popolo sardo. Chi vuole la festeggi, ma le massime istituzioni dell’Isola saranno assenti. Forse si rimedierà con una riunione straordinaria in Consiglio Regionale, lo si farà per non perdere definitivamente la faccia. Tutti quei programmi che garantivano la memoria dei fatti di fine Settecento nelle scuole e nelle piazze della Sardegna non ci saranno più.
Chi vuole festeggi, chi vuole faccia iniziative, il governo dell’Isola lascia ampia libertà ai privati ed ad altre istituzioni. In fin dei conti chi erano Giovanni Maria Angioy, Michele Obino, morti esuli ed in povertà a Parigi? Chi era Francesco Cillocco impiccato e squartato dalla (in)giustizia savoiarda, colpevole di essersi rivoltato contro l’assolutismo monarchico e di aver sognato una Sardegna libera e indipendente? Chi erano costoro di cui non vi è traccia nei libri di scuola dove studiano i nostri figli? Chi si ricorda della Sarda Rivoluzione che ebbe il pregio di essere l’unica rivolta liberale non istigata dai francesi, autonoma, frutto di questa terra martoriata? Chi si ricorda dell’avvenimento che portò la Sardegna nella modernità?
In molti, ma non i professori che ci governano. La giunta più competente della storia, liquida quell’avvenimento come un sciocchezzuola, una quisquilia buona per romantici neo sardisti e para indipendentisti. Che senso ha ricordare si saranno chiesti, se mai se lo sono chiesti. Qui occorre operare con la lesina che fu di Quintino Sella, tutto il resto non conta. Ci siamo ridotti a questo. Come il Manno neghiamo e nascondiamo la nostra storia. Anzi esaltiamo i Giganti, facciamone pure una operazione mitopoietica ma nascondiamo il nostro passato prossimo. Trasformiamo pure la nostra identità in orpello markettaro, buono per vendere il “prodotto” Sardegna, ma evitiamo qualsiasi legame con una storia diversa; una possibilità di riscatto che vada oltre quella del sogno di essere al pari delle migliori regioni italiane.
Abbiamo ridotto a folklore le nostre tradizioni culturali ed ora è il momento della storia. Questa linea di condotta è coerente con l’economicismo che domina questi tempi, tutto è buono per “vendere” fuori dalla Sardegna, esportare. Siccome Sa Die de sa Sardinia interessa solo i sardi, possiamo persino cancellarla. Così come lo sono stati i finanziamenti per il sardo nelle scuole. Altro orpello inutile secondo certa vulgata che sente l’essere sardi come una diminutio, che si immagina internazionale ed invece si nasconde, finendo con l’esprimere la vergogna di sé.
Ancora una volta viviamo nella negazione di noi stessi. Si sogna lo Stato e si distruggono le fondamenta e gli avvenimenti storici che lo legittimano. Come se la Francia non finanziasse il 14 luglio e i catalani la Diada. Il sospetto però è, che questa che passerà come dimenticanza o distrazione, sia un voler aderire al progetto centralista che anima il governo Renzi, reputandolo il migliore per l’Italia di questo secolo. Si sa lo spirito del sacrificio dei sardi per il bene italiano è sempre dietro l’angolo. Dentro di noi freme il sassarino. In quello sì che ci si riconosce. Accumulare meriti e porte sbattute in faccia. È bene prenderne atto.
Si cancelli il 28 aprile 1794 e si adotti come festa nazionale il 30 di marzo quando i Savoia respinsero le famose “Cinque domande”. Noi il rifiuto dei governanti esterni lo abbiamo interiorizzato. Ci giustifica come eterna vittima e ci deresponsabilizza. Se poi nei recessi di bilancio si dovessero trovare qualche migliaio di euro, si potrebbe costruire davanti al Consiglio Regionale o in viale Trento un monumento, o almeno una targa ricordo, a Efisio Luigi Pintor Sirigu, noto Pintoreddu, prima rivoluzionario e poi capo dei reazionari. Pintor non si limitò a chiedere perdono al Savoia, ma fu artefice della dura repressione dei rivoluzionari.
Facciamola questa opera di chiarimento, dimentichiamo l’inno de su Patriotu sardu. Riconosciamolo fino in fondo, non siamo degni dei nostri sogni.
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** La Sarda Rivoluzione? Sciocchezzuole! [di Nicolò Migheli]
By sardegnasoprattutto/23 gennaio 2015/Culture/
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Nell’illustrazione: Giovanni Battista Lorenzo Bogino
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Tagli: prima la lingua, poi la testa*
* Revisione della spesa pubblica (in inglese spending review, in sardo ti bocciu)
Nel primo riquadro: Salomè con la testa del Battista. E’ un dipinto di Caravaggio realizzato in olio su tela (91×106 cm) tra il 1607 e il 1610. È conservato nella National Gallery di Londra.
con gli occhiali di Piero…
- Un anno fa, il 25 gennaio 2014. su Aladinpensiero.
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WOOLF e MAUGHAM
A pochi anni di distanza tra loro nascono in Inghilterra due campioni della letteratura mondiale: William Somerset Maugham (25 gennaio 1874) e Adeline Virginia Woolf (25 gennaio 1882). Maugham veramente nacque a Parigi, ma nella sede dell’ambasciata britannica, dove il padre lavorava, quindi legalmente considerata suolo inglese. Persi i genitori fu allevato da uno zio. Destinato a diventare medico, lasciò la medicina in seguito al successo del suo primo romanzo. Vita avventurosa, agente segreto, bisessuale, sposato e divorziato, ricco grazie anche ai proventi della trasposizione cinematografica dei suoi romanzi, morì a 91 anni. Pur non essendo uno scrittore raffinato, memorabili sono alcuni suoi romanzi: Schiavo d’amore, La luna e sei soldi, Il filo del rasoio.
Virginia Woolf nasce a Londra e cresce in una casa e un ambiente culturalmente elevato.La perdita della madre quando aveva 13 anni, gli abusi sessuali subiti dai fratellastri (i genitori si erano sposati già vedovi con figli) le crearono gravi problemi nervosi. Bisessuale, ebbe diversi amori femminili, ma anche un felice matrimonio. Morì suicida, riempendo le tasche di sassi e immergendosi nell’acqua di un fiume vicino alla sua casa, lasciando un affettuoso disperato messaggio al marito.
“… sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare.(…) So che ti sto rovinando la vita (…) Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me e incredibilmente buono. (…) Se qualcuno avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me, tranne la certezza della tua bontà.” Era il 28 marzo del 1941, aveva solo 59 anni.
Memorabili i suoi romanzi: La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando, Una stanza tutta per sè. “Una donna deve avere denaro, cibo adeguato e una stanza tutta per sè se vuole scrivere romanzi”.
Oggi domenica 25 gennaio 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Ripartiamo da Atene per l’Europa che vogliamo. Manifestazione a Cagliari e a Sassari aspettando la vittoria greca.
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Aspettando la vittoria di Syryza!
Invito dell’Associazione L’Altra Sardegna
Ciao a tutti,
le elezioni di domenica in Grecia rappresentano un punto di svolta decisivo.
Sono l’occasione storica per un cambiamento radicale, la grande opportunità di un Popolo, e con esso di tutti i popoli vittime del folle accanimento della Troika.
Se, come tutti i sondaggi fanno pensare in Grecia vince Syriza, sarà il primo passo per la sconfitta di una idea fallimentare imposta dai Paesi forti di questa Unione Europea, un’idea che ha portato solo povertà, disuguaglianze, disoccupazione oltre ad un sentimento antieuropeista funzionale soltanto ai movimenti della destra più becera e xenofoba.
Il Popolo Greco ha pagato un prezzo salatissimo la politica del “rigore a tutti i costi”, un “mantra” assurdo, ideato dalla peggiore Europa col solo scopo di impoverire ulteriormente i deboli per arricchire oltremodo i più forti.
La Grecia si è ribellata, ha scelto – e lo dimostrerà domenica con il voto – di opporsi non solo alle politiche della Troika, ma soprattutto ai governanti greci che negli anni hanno accettato di piegarsi ai suoi diktat, governanti, non dimentichiamolo che si sono pure definiti “di sinistra”.
Syryza domani vincerà le elezioni in Grecia, e questo sarà l’inizio di un nuovo percorso per l’Europa intera.
Anche per l’Italia, anche per la Sardegna.
Vediamoci tutti, militanti e simpatizzanti de L’Altra Europa in un bellissimo FLASH-MOB per festeggiare insieme la vittoria di SYRIZA.
Troviamoci domani 25 gennaio alle ore 19,00 in Piazza del Carmine: è il momento giusto anche per noi, non perdiamo questa occasione!
A domani in Piazza del Carmine
Associazione L’Altra Sardegna
Verba volant, scripta manent. La difficile costruzione dell’Università della Sardegna
Verba volant, scripta manent; le parole volano, gli scritti rimangono. Il significato di questo antico proverbio ( qualche riferimento: “trae origine da un discorso di Caio Tito al senato romano”) ha perso d’importanza in relazione all’affermarsi delle nuove tecnologie dell’informazione, che consentono con poca spesa la registrazione audio/video degli eventi. Ce ne siamo ricordati nel caso della relazione tenuta martedì 20 gennaio dal Rettore dell’Università di Sassari, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, per un passaggio che crediamo importante sull’Università della Sardegna. La medesima deve essere costruita come “unica entità”, seppure variamente articolata e rispettosa della storia e delle tradizioni degli attuali due Atenei esistenti. Nella lettura della sua relazione il Rettore si è spinto oltre il testo scritto, poi pubblicato sul sito istituzionale, nell’auspicare un impegno della Regione per la costruzione di “un’unica struttura con gli Atenei con i centri di ricerca”. In queste parole, qualcuna significativamente in più del testo scritto, a noi è sembrato cogliere una novità rispetto a decisioni in tale direzione allo stato fortemente osteggiate da due Atenei. Rammentiamo che rispondendo alle pressioni ministeriali verso l’unificazione, i due Atenei hanno dato vita a una poco impegnativa e debole “Federazione”, rinviando una decisione che si porrà a breve in modo ineludibile. Non vogliamo certo banalizzare i problemi che si pongono al riguardo, ma, appunto per la complessità e difficoltà di un’operazione, che, lo ripetiamo, appare come necessaria, il dibattito deve svilupparsi a tutto tondo, uscendo dalle segrete stanze e coinvolgendo le istituzioni (a partire dalla Regione Sardegna) e l’opinione pubblica (soprattutto della nostra regione). Torneremo presto sull’intera problematica con le opportune correlazioni con la campagna elettorale per l’elezione del nuovo Rettore dell’Università di Cagliari.
Ecco la documentazione di cui parliamo. - segue –
con gli occhiali di Piero…
- Quel che non si può perdonare al PD; nozze “asciutte” del generale Garibaldi; giapponesi che combattono la Guerra a Guerra finita, ovvero le guerre iniziano e finiscono quando ne siamo informati. Un anno fa, il 24 gennaio 2014, su Aladinpensiero.
Oggi sabato 24 gennaio 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU:
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Scienza e Politica: una relazione da ripensare virtuosamente, superando l’attuale stato patologico…
…l’intervento di Elena Cattaneo ci offre una buona impostazione per farlo.
Cerimonia di inaugurazione del 453° Anno Accademico 2014-2015 dell’Ateneo di Sassari, tenutasi martedì 20 gennaio, presso l’Aula Magna.
Prolusione della senatrice, prof.ssa Elena Cattaneo.
Il semplice coraggio di tornare a credere nella scienza, in Italia
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- Ulteriori approfondimenti sul sito web dell’Università di Sassari.
L’eurocentrismo che genera mostri.
Parigi, lo scontro di civiltà e le radici storiche dell’Occidentalismo
di Francesco Casula
La barbara strage jihadista di Parigi ripropone alla nostra attenzione la vecchia e vexata Quaestio sullo scontro (supposto?) di civiltà fra l’Occidente e l’Islam. Condividendoli, rimando l’analisi e le motivazioni dei gravi fatti parigini a due eccellenti articoli: quello di Rossana Rossanda dal titolo significativo: ”L’ambiguità delle piazze francesi”. Secondo la prestigiosa intellettuale comunista infatti “Non si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica”. Il secondo è quello di Massimo Fini (su Il Fatto Quotidiano del 10 gennaio 2015) secondo cui ”è stata l’aggressività dell’Occidente a fomentare il radicalismo islamico contro di noi e ad allargarne le basi”. Da parte mia, in questa mia disamina, cercherò di individuare le radici ideologiche e storiche dell’Occidentalismo e dell’Eurocentrismo che possono illuminare e farci comprendere meglio anche quanto è successo in questi giorni. E non solo a Parigi. Entro subito in medias res, partendo da lontano: da Erodoto, storico greco, secondo il quale l’Europa è una semplice nomenclatura geografica, mentre con Roma diventa la Respublica romana prima e l’impero poi, cui Virgilio assegna il destino di parcere subiectis et debellare superbos. L’impero di Carlo Magno sorge contrapposto all’Oriente e la Respublica Christiana, si muove unita con le Crociate contro gli infedeli, sollecitate e benedette dal papa. E sarà unita nella riconquista della terra santa, nella reconquista in Spagna, nella difesa di Bisanzio contro i Turchi. Alla fine del ‘400 il massacro di interi popoli indios, la distruzione di memorabili civiltà come quelle dei Maya, degli Aztechi o degli Incas, diventano pomposamente “scoperte” e “imprese” dei Colombo e dei Vespucci, dei Magellano e dei Caboto. Naturalmente la “conquiste” sono ispirate e legittimate da nobilissime intenzioni: “gli indigeni sono gente senza fede e senza leggi” (Vespucci) e dunque occorre portare loro le leggi e la religione europea. Sono voci inascoltate quelle di Charles-Andrè Julien – creatore del mito del buon selvaggio- o di Jean de Lery ma soprattutto di Montaigne che sdegnato scrive in un passo di un suo celebre Saggio, Dei Cannibali: ”Provo vergogna nel vedere i nostri uomini inebriati da questo stupido stato d’animo e sbigottiti per le forme contrarie alle loro. Ovunque vadano si attengono alle loro usanze e disprezzano le altre”. E conclude. ”Tante città rase al suolo, tante nazioni sterminate, milioni di persone passate per le armi e la parte più ricca e bella del mondo sconvolta soltanto per il commercio delle perle e del pepe”. L’eurocentrismo non entrerà in crisi neppure con la Rivoluzione Francese che pure con la Costituzione del 1791 proibisce qualsiasi conquista. Sappiamo infatti come andarono le cose: l’espansione rivoluzionaria per la libertà degli altri popoli si tradurrà in un gigantesco sforzo di egemonia e di guerre, soprattutto con Napoleone, per riaffermare il dominio eurocentrico sull’Oriente, l’Asia e l’Africa. Così, una rivoluzione, che pare mettere in crisi l’idea dell’Europa come Comunità superiore, in realtà la rafforza e si pone per eccellenza, come la rivoluzione occidentalista dell’occidentalismo borghese, illuministico, razionalistico, e scientista. Sarà poi l’Europa degli Stati nazionalisti, militaristi e capitalistici a lanciarsi alla conquista del mondo: dal Sud est dell’Asia all’Africa, alla stessa Cina. In Francia si parla dell’idea lanciata da Albert de Mun sui doveri delle razze superiori che “hanno un diritto perché hanno un dovere” – affermerà Jules Ferry il 28 Luglio 1885 parlando alla Camera: Esse hanno il dovere di civilizzare le razze inferiori, in virtù del diritto di una razza civile che ha il diritto ”di occupare i territori lasciati incolti dalle popolazioni barbare”. Questa razza civile è – manco a dirlo – quella europea. Lo storico tedesco Leopold Von Ranke parla di ”Un germe, uno spirito dell’Occidente che ha compiuto dei progressi enormi, che ha conquistato l’America togliendola alle forze brute della natura e alle popolazioni indomabili che l’abitavano e l’ha trasformata completamente. Attraverso strade diverse è penetrata fino al limite della lontana Asia, e cinge l’Africa avendo occupato le sue coste. Irresistibile, ineguagliabile, invincibile, grazie alle sue armi e alla sua scienza è diventata il padrone del mondo”. Su questi presupposti teorici si affermerà il nuovo eurocentrismo militarista e imperialista degli Stati che genererà la prima guerra mondiale con gli otto milioni e mezzo di morti, distruzione e devastazione economica, miseria e carestia e… disordine su cui nascerà il “Nuovo Ordine” fascista e nazista. L’Ordine Nuovo di Hitler infatti è totalmente eurocentrico, per lui infatti l’Europa – “la nuova Europa” – “non è soltanto un’espressione geografica ma un concetto culturale e morale…. per i mille anni a venire”. Il postulato, un vero e proprio dogma agli occhi di Hitler, è quello dell’ineguaglianza delle razze umane. Di tutte le razze, quella più completa, quella che possiede una maggiore intelligenza, una maggiore energia, un maggiore potere creativo, è la razza dei grandi ariani biondi dolicocefali. Essa ha quindi diritto di conquistare lo “spazio vitale”. Si chiede il grande storico francese Jean-Baptiste Duroselle: ”Questa famosa civiltà europea esiste ed è veramente più valida delle altre civiltà”? Ecco la sua risposta: ”Io mi sento culturalmente e intellettualmente più vicino a Leopold Senghor che non al mio miglior amico inglese o olandese, cosa che non pregiudica affatto la nostra amicizia. E quando mi si dice che l’Europa è il paese del Diritto e della dignità umana io penso al razzismo; quando mi si dice che è il paese della ragione io penso a Cartesio che sosteneva che ”il buon senso è la cosa meglio suddivisa nel mondo.” –
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La Sarda Rivoluzione? Sciocchezzuole!
di Nicolò Migheli *
Taglia che ti taglio, la giunta che governa questa isola disgraziata, ha eliminato persino i finanziamenti per Sa Die de sa Sardinia. È la prima volta che capita da quando è stata istituita nel 1993. La finanziaria del 2015 cancella la Giornata del popolo sardo. Chi vuole la festeggi, ma le massime istituzioni dell’Isola saranno assenti. Forse si rimedierà con una riunione straordinaria in Consiglio Regionale, lo si farà per non perdere definitivamente la faccia. Tutti quei programmi che garantivano la memoria dei fatti di fine Settecento nelle scuole e nelle piazze della Sardegna non ci saranno più.
Chi vuole festeggi, chi vuole faccia iniziative, il governo dell’Isola lascia ampia libertà ai privati ed ad altre istituzioni. In fin dei conti chi erano Giovanni Maria Angioy, Michele Obino, morti esuli ed in povertà a Parigi? Chi era Francesco Cillocco impiccato e squartato dalla (in)giustizia savoiarda, colpevole di essersi rivoltato contro l’assolutismo monarchico e di aver sognato una Sardegna libera e indipendente? Chi erano costoro di cui non vi è traccia nei libri di scuola dove studiano i nostri figli? Chi si ricorda della Sarda Rivoluzione che ebbe il pregio di essere l’unica rivolta liberale non istigata dai francesi, autonoma, frutto di questa terra martoriata? Chi si ricorda dell’avvenimento che portò la Sardegna nella modernità?
In molti, ma non i professori che ci governano. La giunta più competente della storia, liquida quell’avvenimento come un sciocchezzuola, una quisquilia buona per romantici neo sardisti e para indipendentisti. Che senso ha ricordare si saranno chiesti, se mai se lo sono chiesti. Qui occorre operare con la lesina che fu di Quintino Sella, tutto il resto non conta. Ci siamo ridotti a questo. Come il Manno neghiamo e nascondiamo la nostra storia. Anzi esaltiamo i Giganti, facciamone pure una operazione mitopoietica ma nascondiamo il nostro passato prossimo. Trasformiamo pure la nostra identità in orpello markettaro, buono per vendere il “prodotto” Sardegna, ma evitiamo qualsiasi legame con una storia diversa; una possibilità di riscatto che vada oltre quella del sogno di essere al pari delle migliori regioni italiane.
Abbiamo ridotto a folklore le nostre tradizioni culturali ed ora è il momento della storia. Questa linea di condotta è coerente con l’economicismo che domina questi tempi, tutto è buono per “vendere” fuori dalla Sardegna, esportare. Siccome Sa Die de sa Sardinia interessa solo i sardi, possiamo persino cancellarla. Così come lo sono stati i finanziamenti per il sardo nelle scuole. Altro orpello inutile secondo certa vulgata che sente l’essere sardi come una diminutio, che si immagina internazionale ed invece si nasconde, finendo con l’esprimere la vergogna di sé.
Ancora una volta viviamo nella negazione di noi stessi. Si sogna lo Stato e si distruggono le fondamenta e gli avvenimenti storici che lo legittimano. Come se la Francia non finanziasse il 14 luglio e i catalani la Diada. Il sospetto però è, che questa che passerà come dimenticanza o distrazione, sia un voler aderire al progetto centralista che anima il governo Renzi, reputandolo il migliore per l’Italia di questo secolo. Si sa lo spirito del sacrificio dei sardi per il bene italiano è sempre dietro l’angolo. Dentro di noi freme il sassarino. In quello sì che ci si riconosce. Accumulare meriti e porte sbattute in faccia. È bene prenderne atto.
Si cancelli il 28 aprile 1794 e si adotti come festa nazionale il 30 di marzo quando i Savoia respinsero le famose “Cinque domande”. Noi il rifiuto dei governanti esterni lo abbiamo interiorizzato. Ci giustifica come eterna vittima e ci deresponsabilizza. Se poi nei recessi di bilancio si dovessero trovare qualche migliaio di euro, si potrebbe costruire davanti al Consiglio Regionale o in viale Trento un monumento, o almeno una targa ricordo, a Efisio Luigi Pintor Sirigu, noto Pintoreddu, prima rivoluzionario e poi capo dei reazionari. Pintor non si limitò a chiedere perdono al Savoia, ma fu artefice della dura repressione dei rivoluzionari.
Facciamola questa opera di chiarimento, dimentichiamo l’inno de su Patriotu sardu. Riconosciamolo fino in fondo, non siamo degni dei nostri sogni.
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* La Sarda Rivoluzione? Sciocchezzuole! [di Nicolò Migheli]
By sardegnasoprattutto/23 gennaio 2015/Culture/
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Nell’illustrazione: Giovanni Battista Lorenzo Bogino
Ma quale Giustizia!… Ci sarà pure un Giudice a Berlino?
di Vanni Tola
Arborea: Una brutta storia di “straordinaria follia” . Operazione militare in grande stile per sfrattare una famiglia di contadini.
La vicenda che ha visto protagonista la famiglia Spanu di Arborea è una di quelle storie che è difficile raccontare, una brutta storia fatta di ingiustizie e di diritti formalmente legittimi, di miseria degli uomini e di disumanità sociale. I protagonisti sono dei contadini , la famiglia di Giovanni Spanu, un agricoltore di 76 anni che vive nel centro agricolo di Arborea. Il motivo scatenante è una cambiale agraria della Banca di Sassari per un importo di 25 milioni di lire sottoscritta dal signor Spanu che non sarebbe stata onorata nei termini stabiliti. Ciò ha determinato la vendita all’asta dell’azienda agricola Spanu per un importo irrisorio rispetto al valore reale del bene e la conseguente ordinanza di sfratto della famiglia dalla loro azienda, promossa dall’acquirente “vincitore” dell’asta pubblica. Il proprietario dell’azienda asserisce di aver saldato il proprio debito, seppure con qualche anno di ritardo, ma questo non è bastato per arrestare le procedure di vendita all’asta attivata dalla Banca di Sassari e l’esecuzione forzosa dello sfratto della famiglia dalla propria azienda realizzata con largo impiego della forza pubblica. Tutto regolare, formalmente regolare. Si è applicata la legge. Ma allora perché ci viene voglia di parlare di storia di “straordinaria follia”? Altri protagonisti di questa brutta storia sono il sig. Mossa, imprenditore serricolo e la sua consorte avv.to Annalisa Concedda, aggiudicatari dell’asta relativa alla proprietà del sig. Spanu. Questi signori non hanno fatto altro che fare un buon affare. Hanno comprato a poco prezzo un’azienda agricola di un contadino di 76 anni e della sua famiglia in un’asta pubblica. Tutto secondo la legge, tutto regolare. E poi “gli affari sono affari”, la coscienza non c’entra, la legge è legge e, si sa, che in Italia la legge la si fa rispettare sempre e comunque, a qualunque costo. Bravi, complimenti a tutti. Ma sarà poi giusta questa legge che, di fronte alla rovina di intere famiglie, non sa fare altro che essere inflessibile? Bisognerebbe pensarci. Potrebbero esserci soluzioni a alternative più dignitose e rispettose dei diritti delle persone? In attesa che ciò accada i Sardi onesti e giusti non possono fare altro che augurare, ai vincitori dell’asta pubblica che hanno rilevato l’azienda della famiglia Spanu, di goderselo come meritano questo grande affare che hanno realizzato. Come pure augurare ogni bene a quei funzionari della Banca di Sassari cosi precisi ed inflessibili nell’applicare le regole del credito agrario. E non può mancare un plauso ai funzionari dell’ordine pubblico per non aver risparmiato nell’impiego di uomini e mezzi pur di fare trionfare la Giustizia. Decine di carabinieri e poliziotti in tenuta antisommossa, altre decine in divisa e in borghese e un numero imprecisato di pattuglie di carabinieri, polizia, vigili urbani di Arborea, Corpo forestale regionale a blindare i sei ettari di terreno coltivati a fragole e carote dalla famiglia Spanu. E perfino un elicottero della Polizia a controllare dall’alto la situazione, più una autobotte dei vigili del fuoco, due ambulanze e una autocolonna di camion per caricare gli animali e i beni degli ex proprietari. Bravi, bravi, davvero bravi!
con gli occhiali di Piero…
- La Giustizia ai tempi di Nicola II; la Giustizia ai tempi di Bush e di Obama (poi vediamo la Giustizia ai tempi di Renzi). Un anno fa, il 23 gennaio 2014, su Aladinpensiero.
Sa Giustizia… Abitazione venduta all’asta, reparto antisommossa schierato a casa Spanu –
OGGI venerdì 23 gennaio 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Iniziativa del Circolo Me-Ti.
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