Monthly Archives: marzo 2014

Due schiaffi sonori

DUE SCHIAFFI
La Sardegna oggi ha preso due schiaffi dall’Italia.
Uno al Senato della Repubblica, l’altro alla Camera dei Deputati.
Grazie, onorevoli deputati e onorevoli senatori dell’Italia Unita.
Avete chiarito il concetto: siamo uniti come chi sta sotto con chi sta sopra.
Gli schiaffi, comunque, possono anche svegliare chi dormiva.
E se il popolo si desta…GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413
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Bollo di Nicola MNicolòGiorno buono per i sardi per sentirsi italiani.
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Semplici regole perché i sardi diventino extracomunitari ufficiali.
1) Organizzare un po’ di casini sotto la sede della regione
2) Far arrivare l’esercito svizzero in abiti borghesi con voli charter e barche
3) Far occupare loro porti ed aeroporti. I militari debbono indossare uniformi svedesi senza contrassegni di nazionalità
4) Far votare dal parlamento svizzero una legge che permetta l’annessione di territori che ne facciano richiesta
5) Chiedere l’aiuto fraterno della Svizzera
6) Indire un referendum in due giorni in cui si proclami l’indipendenza
7) Dopo la vittoria correre a Berna per firmare il trattato di adesione rinunciando all’indipendenza.
Così otterremmo di non romperci gli zebedei ogni cinque anni per il collegio elettorale europeo negato. La gente non poterebbe più i soldi in Svizzera perché la Svizzera è già qui. Saremmo Cantone Marittimo. Ce ne fregheremmo delle direttive comunitarie, mantenendo la libera circolazione dei beni e delle persone. Saremmo extracomunitari di classe A, meglio degli americani e canadesi. (nm pagina fb)

19 marzo

Bomeluzo 19 marzo by Bomeluzo

gli occhiali di Piero

SanGiuseppe Michelangelo_Caravaggio_026-245x300GIUSEPPE PADRE ARTIGIANO
Oggi si celebra San Giuseppe, lavoratore e padre esemplare, nobile e modesta figura di santo, ne ho parlato un anno fa (vedi Giuseppe, in Aladin pensiero, 19 marzo 2013).
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By Bomeluzo san Giuseppe Bomeluzo

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I AMNESTY
Leggo sulla rivista IAMNESTY di Amnesty International:
“Lavoreremo a una nuova grande campagna internazionale per porre fine al controllo e alla criminalizzazione delle scelte delle donne in materia sessuale e riproduttiva. Vogliamo che venga garantita alle donne nepalesi di scegliere se e quando sposarsi (e se e quanti figli avere) (…)
Vogliamo che sia fermata la violenza endemica contro le donne di El Salvador, dove l’aborto è sempre reato, anche per le vittime di stupro e per le donne la cui vita è a rischio.
Vogliamo che siano abrogate le leggi marocchine che obbligano donne e ragazze a sposare i loro stupratori, a cui viene garantita l’immunità se sposano la vittima, e quelle che portano a processare per ati indecenti una ragazza di 14 anni per un bacio dato in pubblico. (…)
Allo stesso tempo continueremo a lavorare per i diritti delle donne in Italia. Per fermare la piaga del femminicidio, è banale dirlo, la ratifica della Convenzione di Istanbul non basta, se gli impegni assunti sul piano internazionale non sono presi sul serio e onorati. A tal fine servono misure interne che non siano limitate alla repressione e alla tutela delle vittime della violenza già avvenuta. Servono misure preventive e risorse adeguate, passi avanti concreti al di là delle belle parole”.

GOGOL
Ho già parlato di Nikolaj Vasilievic Gogol (vedi Aladin Pensiero, 20 marzo 2013), un autore che amo molto. Voglio aggiungere alcune cose.
Nacque il 19 marzo 1809 a Sorocinsky, distretto di Mirgorod, in Ucraina, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri, ai tempi dello zar Nicola I.
Era dotato di uno spirito umoristico superiore (indimenticabili tanti passaggi dell’opera maggiore Le anime morte, certi ritratti, quali ad esempio quello del piccolo impiegato burocrate, una fotografia che dura immutata ancora ai nostri giorni), pensate a L’ispettore generale, al Diario di un pazzo, risate ad lacrimas, ma anche di una sensibilità straordinaria, emozionante, basta pensare a Il cappotto o a Piccolo mondo antico.
Tra le varie ossessioni di Gogol c’era quella della tafofobia, la paura di essere sepolto vivo. Morì giovane, 43 anni neppure compiuti, il 21 febbraio 1852, estenuato dai digiuni cui si era sottoposto e portato a morte da medici imbecilli che, per curarlo, gli applicarono le sanguisughe… ma anche più terribile fu, quando venne riaperta la sua tomba, trovare il suo cadavere rivoltato a faccia in giù.

la tavolozza (e non solo) di Licia

Pothos trasformato in Apollo citaredoMusei Capitolini: Pothos trasformato in Apollo citaredo… (non si sa quando…)
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Sotto Caspar David Friedrich ( Greifswald 1774Dresda 1840) Reef Roccioso
Caspar David Friedrich (Greifswald 1774-Dresda 1840)- Reef Roccioso vicino alla riva del mare… Friedrich fu il più importante pittore del Romanticismo tedesco. Il suo tema prediletto è il paesaggio naturale che egli rappresenta, tramite la potenza espressiva del colore e della luce, come immagine dello “spirito della natura”… al chiaro di luna…

I Vescovi sardi: il lavoro prima emergenza

lettera-pastorale-società-lavoro-CES-271x300 UN CAMMINO DI SPERANZA PER LA SARDEGNA
Lettera pastorale dei Vescovi sui più urgenti problemi sociali e del lavoro – segue –

L’economia deve avere al centro la persona. Un convegno di Banca Etica

BANCA ETICA 15 anni banxa eticaOggi si tiene un convegno/dibattito in occasione dei 15 anni di Banca Etica, con inizio alle 17.30 alla sala Search in Largo Carlo Felice.
Sull’iniziativa e oltre una riflessione di Roberto Sedda, coordinatore del dibattito odierno.

Quando Banca Etica è nata fra gli impulsi alla sua costituzione c’era una forte motivazione a permettere al risparmiatore responsabile di evitare di collaborare a determinate pratiche: una banca che non contribuisse al commercio di armi, all’inquinamento, allo sfruttamento del lavoro eccetera. Si tratta di permettere cioè scelte di risparmio che permettono al cittadino di “chiamarsi fuori” da certe pratiche, sebbene queste, dal punto di vista del sistema, proseguano: non è che il commercio d’armi si ferma perché c’è Banca Etica, diciamo. La Banca Etica non è mai stata *solo* questo, naturalmente, ma la dimensione di sostegno a quello che nel tempo si è chiamato “voto col portafoglio” o “sostegno ai pionieri etici” è sempre stata importante. – segue –

Si raccolgono le firme per la presentazione della Lista l’altra Europa con Tsipras

Lista-Tsipras-Firma-Cagliari

logoufficiale_laltraeuropa400Nata la lista l’Altra Europa con Tsipras, per le elezioni europee del 25 maggio. Ora si raccolgono le firme per la presentazione.Nel collegio delle isole, saranno presenti otto candidati, due rappresentano la Sardegna: si tratta della cantante Elena Ledda, già assessore comunale alla Cultura a Quartu Sant’Elena e della militante di Rifondazione comunista Simona Lobina, insegnante precaria di lingue e attiva in associazioni come Anpi e Amicizia Sardegna-Palestina. Le due esponenti sarde correranno per il movimento di Alexis Tsipras, leader del partito greco Syriza e candidato alla presidenza della Commissione europea. Gli altri candidati del collegio Sicilia-Sardegna sono: Alfio Foti, cofondatore insieme a Rita Borsellino del progetto politico Un’altra Storia, di cui attualmente è coordinatore nazionale; la giornalista Barbara Spinelli; l’ex sindaco di Castelbuono (Palermo) Mario Cicero; la coordinatrice in Sicilia del Forum per l’acqua pubblica Antonietta Leto; il giornalista Antonio Mazzeo e l’attivista siciliana di origine greca Olga Nassis.

elena leddasimona lobina2spinelli barbara

Consigli di Vanni Tola per quanti in Sardegna scelgono di votare la lista Tsipras. E’ possibile accordare tre preferenze. La mia proposta è quella di preferire le due candidate sarde Elena Ledda e Simona Lobina e Barbara Spinelli del Comitato Nazionale per la lista.

- Il sito centrale della Lista l’Altra Europa con Tsipras
– Il sito del comitato di Cagliari
- Il sito del comitato di Sassari

PD, il primato dell’economia sulla politica; di Gian Nicola Marras, su Il Manifesto sardo

gli occhiali di Piero

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413SALVATORE DA HORTA
S-ROSALIA-CA-150x150Oggi si ricorda il santo frate Salvatore da Horta, morto a Cagliari il 18 marzo 1567 (vedi nota su Aladin Pensiero, 18 marzo 2013).
In suo onore il Coro di Sancta Rosalia terrà un concerto sabato 22 marzo alle ore 20 nella chiesa di Santa Rosalia, dove è conservato il suo corpo.

la tavolozza di Licia

Bartolome Estaban Murillo (Siviglia 1618Cadice 1682) La toiletteBartolome Estaban Murillo (Siviglia 1618- Cadice 1682) – “La toilette”: La nonna toglie i pidocchi al nipotino che non rinuncia a mangiare la sua pagnotta durante l’ operazione ! Il fedele cagnolino guarda e partecipa con affetto. Sulla destra una cornamusa…(credo). Esponente di primo piano della pittura barocca spagnola, predilesse i temi popolari e della vita quotidiana ai quali si accostò con simpatia e delicato realismo. Morì cadendo da una impalcatura mentre dipingeva…

in giro con la lampada di aladin…

lampadadialadmicromicroEssere prof. non basta per fare buona politica
di Gonario Francesco Sedda, su Democraziaoggi
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AGENDA
- Oggi. Alla Mediateca di Cagliari, alle 15,30 Il tempo non aspetta tempo. Una presentazione di Silvano Tagliagambe, su SardegnaSoprattutto.
- Domani. CONFERENZA STAMPA di presentazione della Lettera pastorale dei Vescovi sardi sui più urgenti problemi sociali e del lavoro, dal titolo “Un cammino di speranza per la Sardegna” – Martedì 18 marzo p.v., alle ore 10.30, presso la sala convegni dell’Associazione della Stampa Sarda (Cagliari, via Barone Rossi 29).

la tavolozza di Licia

Caravaggio, 1573-1610) La flagellazione di GesùMichelangelo Merisi (Il Caravaggio, 1573-1610) – La flagellazione di Gesù, 1606, circa, Napoli, Museo di Capodimonte. Fu dipinto a Napoli quando l’artista era già in fuga da Roma, accusato di omicidio. Cristo è al centro della composizione, legato alla colonna, in piena luce. Uno degli aguzzini, dalla faccia patibolare, gli tira violentemente i capelli, un altro lo lega con un gesto rapido e violento, mentre un terzo, a terra, raccoglie il flagello. La luce appare quasi accecante e rende ben evidenti il venir meno delle forze del Cristo le cui ginocchia paiono cedere e i gesti concitati e brutali dei suoi torturatori.
Caravaggio 1573-1610) Cristo alla colonnaMichelangelo Merisi (Il Caravaggio, 1573-1610) – Cristo alla colonna, o Flagellazione 1506 (Rouen). Esistono altre due versioni di questo capolavoro, però si ritiene che l’originale sia questo di Rouen.
Gesù viene legato alla colonna da un rozzo aguzzino dall’espressione un po’ ottusa, mentre l’altro, un individuo sinistro dall’ espressione torva e feroce, solleva il braccio con lo scudiscio. La figura di Gesù è insolitamente decentrata ma illuminata da un fascio di luce che ne mette in evidenza il corpo bellissimo. Il viso sofferente e patetico è in penombra.
Più esatto dire che il capo e il collo sono in penombra perché il viso è ben illuminato per rivelarne in pieno la sofferenza e la bellezza…

Il declino (inarrestabile?) dell’Università italiana

universita_cultura_e_sapereSabino Cassese: «Stiamo vivendo l’equivalente di una guerra»
sabinocassese-310x199Al termine della prima sessione del II Convegno dell’associazione Roars, tenuto a Roma il 21 febbraio 2014, Sabino Cassese, illustre giurista, giudice della Corte Costituzionale e docente della Scuola Normale Superiore, con riferimento alla situazione dell’università italiana ha dichiarato: «Stiamo vivendo l’equivalente di una guerra». E’ andato giù pesante il professore, spaziando a 360 gradi sulle vicende dell’Università italiana, vittima di improbabili riforme che ne hanno aggravato le condizioni. Trovate tutta la documentazione (scritti, foto e video) negli atti del convegno, pubblicati sul sito del Roars, di cui raccomandiamo la lettura, la visione e l’ascolto. Mettiamo anche in evidenza un passaggio a conclusione del suo intervento, con il quale Cassese invita l’accademia a fare autocritica partendo dalla dimostrata sua incapacità di utilizzare virtuosamente gli spazi di autonomia. Ecco allora riportate integrali le frasi che hanno chiuso l’intervento di Cassese “E’ una guerra quindi che dobbiamo combattere. Bisogna cercare di resistere. Io mi auguro che non si resista con il tono di tipo sindacale-rivendicativo. Non basta dire quello che il paese può fare per l’Università, dobbiamo anche dire quello che l’Università può fare per il paese. Quindi sarebbe un errore cominciare col dire “Dateci più soldi”. No. Dobbiamo anche dire quali sono le nostre responsabilità. Che cosa abbiamo fatto per evitare tutti gli abbandoni? Perchè l’Italia è riuscita in 50 anni a portare tutti i ragazzi alle scuole elementari e non riusciamo dopo 150 anni a portare alla laurea tutti gli iscritti all’Università? Queste sono nostre responsabilità. E quindi non poniamo il problema esclusivamente in termini rivendicativi. C’è qualcosa che il paese deve fare per l’Università (e, ovviamente, per la ricerca), ma c’è anche qualcosa che l’Università può fare per il paese”. In queste battute conclusive abbiamo riscontrato assonanza con un editoriale di Aladin del 23 gennaio 2013, centrato in prevalenza sulla “terza missione dell’università”*, che riproponiamo, in quanto rimane sostanzialmente immutata la validità delle argomentazioni. Lo facciamo anche per contribuire ad animare e sollecitare un dibattito sull’Università, questione fondamentale per il paese e per i cittadini, che pertanto non può essere delegata agli accademici. La fase attuale della situazione politica italiana e sarda rende questo dibattito particolarmente necessario ed urgente (aladin).
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Università, per non morire di autoreferenzialità
di Franco Meloni

“Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country.” “Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. E’ questa una delle frasi più famose tra quelle pronunciate da John Fitzgerald Kennedy; esattamente risale al 20 gennaio 1961, giorno del suo insediamento alla Casa Bianca come 35° presidente degli Stati Uniti d’America.

E’ una frase che mi piace e che a partire da ciascuno di noi deve riguardare tutti per orientare comportamenti virtuosi verso il bene pubblico. Ritengo che si possa riferire in modo pertinente soprattutto a quanti gestiscono la “cosa pubblica”.
Non è allora fuori luogo il fatto che mi sia venuta in mente pensando allo stato attuale delle università nel nostro paese. Cercherò di spiegarlo nel proseguo.
L’università pubblica che per definizione è al servizio del paese e dei cittadini, nonostante la sua funzione essenziale per qualsiasi traguardo di sviluppo sociale ed economico, è sottoposta da molti anni a questa parte a politiche vessatorie, fatte soprattutto di progressive restrizioni delle risorse statali, di aumento smisurato di adempimenti burocratici, di sfiancanti processi di riforma, in gran parte inefficaci.
A perderci in questa situazione non è certo, se non in minima parte, l’accademia, consolidata nei propri privilegi, quanto piuttosto gli studenti e, in conclusione, il paese intero. L’università pubblica, nel suo complesso, sembra destinata ad un inesorabile declino per mano assassina della politica (del governo come del parlamento) e, si badi per inciso, in presenza di un governo mai stato così tanto partecipato da professori, da assomigliare a un “senato accademico”
Ma perchè non si riesce a fermare questo precipitare verso il peggio? Forse i consapevoli quanto responsabili (colpevoli) di quanto accade pensano che le Università virtuose possano risuscitare dalle ceneri delle attuali. Sarebbe follia, ma sembra appunto questa la strada intrapresa. Non avanziamo qui ulteriori considerazioni, rinviando ad autorevoli approfondimenti, come quelli in grande parte condivisibili di Gianfranco Rebora (http://gianfrancorebora.org/category/universita/).
Invece vogliamo soffermarci su un aspetto: quello del modo in cui è percepita l’Università da parte della gran parte delle persone, dei cittadini e dalle altre organizzazioni. Fondamentalmente come un luogo di privilegiati che si occupano sì di scienza, cultura, insegnamento… ma quando e come vogliono, dall’alto delle loro sicurezze e con atteggiamenti di supponenza e separatezza, senza aver alcun obbligo di “resa del conto”, innanzitutto a chi finanzia l’università (in primis le famiglie, poi lo Stato, le Regioni, l’Unione Europea, etc). Sì, non è vero che sia tutto così deprecabile. Sappiamo, per esempio, quanti professori svolgono con scrupolo e impegno il loro prezioso lavoro e ancor di più quanti giovani nelle università lavorino sodo, i più senza adeguati riconoscimenti monetari e di carriera… Anche qui non mi soffermo, perchè il problema che voglio affrontare è un altro, precisamente questo: perchè nessuno, tranne i diretti interessati, difende l’Università? La risposta, a mio parere, si può ancora una volta trovare sul “peccato di autoreferenzialità” che marchia l’Università e che la rende largamente estranea al resto della società. Non voglio parlare di “parentopoli” o cose di questa natura, che rappresentano comunque perduranti patologie, ma piuttosto del modo normale di atteggiarsi delle università, soprattutto in relazione al modo in cui esse sono rappresentate dai rettori e dai diversi gruppi dirigenti. Del “peccato di autoreferenzialità” si ha certo da tempo consapevolezza, tanto è che perfino negli ambienti accademici si ricercano modalità per superarlo. Le stesse numerose leggi e altri miriadi di provvedimenti cosiddetti di riforma hanno a parole combattuto l’autoreferenzialità, ma possiamo azzardare che sia invece aumentata, tanto da far considerare la stessa come una delle cause più rilevanti del cattivo rapporto università-territorio.
Richiestomi da un’amica ricercatrice universitaria che indaga sull’apertura delle università al territorio così come appare dalla riformulazione degli statuti, in applicazione di quanto previsto dalla legge 30 dicembre 2010 n. 240, ho letto tutti o quasi gli statuti, pubblicati nei siti degli Atenei, tanto da ritenermi legittimato ad esprimere qualche giudizio. La mia lettura ha riguardato fondamentalmente gli aspetti dell’apertura dell’ateneo al territorio, in certa parte rappresentata dalla valorizzazione dei saperi nel loro trasferimento sul territorio e l’apertura al medesimo territorio attraverso la partecipazione alla governance universitaria dei soggetti del territorio. Per il primo aspetto (apertura) devo dire che in tutti gli statuti esaminati emerge l’attenzione verso il territorio di riferimento di ciascun Ateneo. L’impegno particolare verso la regione (istituzione e territorio) risulta in tutti, ma in modo marcato per le università che operano nelle regioni a statuto speciale (tra questi statuti segnalo quello dell’Università di Sassari per i riferimenti alle specificità delle problematiche regionali come la lingua, l’identità la cultura, etc). Maliziosamente potremmo darci ragione di tale enfasi rammentando come i rapporti Università-Regione comportino importanti trasferimenti di risorse dalle casse regionali a quelle universitarie, generalmente regolati da appositi protocolli d’intesa/convenzioni. Tuttavia – e qui parliamo del secondo aspetto (partecipazione alla governance) – il rapporto con il territorio rispetto all’ambito di diretto riferimento o considerato quello di più vaste dimensioni (nazionale, europeo, internazionale) non prevede negli statuti esaminati particolari forme di integrazione a livello gestionale, salvo alcuni statuti, ad esempio delle università dell’Emilia e Romagna e  dell’Università di Bari che hano istituiti appositi organismi (come la “consulta dei sostenitori” per le università emiliano-romagnole e la “conferenza d’ateneo” per l’università di Bari), con prerogative abbastanza significative per quanto riguarda il controllo “esterno” sulla (e il coinvolgimento nella) programmazione delle attività dell’Università. Si osserva come dal punto di vista dell’integrazione tra Università e  Istituzioni dell’ambito territoriale risultino, anche per effetto della legge di riforma e degli statuti, significativamente affievoliti i legami che storicamente si erano precedentemente  consolidati. Parliamo soprattutto del legame con le città. Gli statuti riformati sulla base della legge citata prevedono la presenza nei consigli di amministrazione e nei nuclei di valutazione di esperti non appartenenti al mondo accademico, ma hanno abolito qualsiasi rappresentanza delle Isituzioni (Comune capoluogo in primis). Da questo versante possiamo pertanto dire che i nuovi statuti ci hanno consegnato università rafforzate nell’autoferenzialità. Si può osservare come la legge di riforma non impediva la costituzione di organismi di collegamento e di partecipazione alla programmazione, e gli statuti citati (sia pure nella debolezza della  ”consulta dei sostenitori” o consimili) ne è prova, ma l’errore di non aver previsto l’obbligatorietà di tali organismi (così come previsto, ad esempio, nell’ordinamento delle università spagnole) ha portato di fatto a non contemplarli e pertanto ad una ulteriore chiusura autoreferenziale delle università. Ne emerge la riproposizione “in peius” di modelli tradizionali, meno partecipati dalle Istituzioni e dal mondo delle Imprese, nei quali anche la famosa “terza missione” viene sì prevista ma con carattere subordinato rispetto alle tradizionali funzioni universitarie (ricerca e insegnamento). Certo bisogna riconoscere la positività della previsione dell’impegno per il trasferimento tecnologico per la quasi totalità delle Università che lo hanno citato nei principi fondamentali degli statuti, cosa che dovrebbe indurre a un maggiore impegno dell’Ateneo per questa missione, ma il tutto appare davvero insufficiente. Nello specifico, probabilmente bisogna prendere atto che l’attività di diffusione del sapere/trasferimento tecnologico può essere efficacemente attuata solo con una strumentazione diversa da quella propriamente accademica e pertanto attraverso strumenti come Fondazioni e Consorzi. Infatti è difficile pensare che una gestione efficace ed efficiente di tali attività possa essere svolta dagli attuali organi di governo dell’Ateneo (Rettore, Senato accademico, Consiglio di amministrazione…). Al tutto dobbiamo aggiungere, in negativo, una maledetta spirale burocratica che avvolge gli Atenei pubblici fino a volerli ridurre a una sorta di licei rigidamente controllati dal Ministero dell’economia. In analogia per quanto detto in fatto di partecipazione delle Istituzioni (e delle Imprese) alla governance degli Atenei sarebbe auspicabile che una legge prevedesse l’obbligatorietà per ogni università di dare vita a una propria fondazione per le attività propriamente riconducibili alla “terza missione”.
E infine, torniamo all’incipit del presente contributo, riscrivendo a nostro uso la famosa frase di Kennedy: cara Università “non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”, mettendo concretamente da parte la tua autoreferenzialità.
Forse troverai più gente e più organizzazioni convintamente al tuo fianco per salvarti insieme al paese!

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Università-liaison-office-31-150x150
*Sulla terza missione dell’Università si segnala l’editoriale di Michela Loi su Aladinews del 6 ottobre 2013.
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Altri interventi in argomento su Aladinews

Senatores boni viri, senatus mala bestia

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gli occhiali di Piero

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413PIERO IS BACK
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TRISTI ANNIVERSARI
my-laiRicorrono il 16 marzo i tristi anniversari della strage di My Lai in Vietnam (16 marzo 1968), e del rapimento di Aldo Moro (16 marzo 1978).
aldo-moroVedi le mie note su Aladin pensiero, 12 novembre 2013 e 16 marzo 2013.
Aggiunge Raffaele Ibba su fb. È anche l’anniversario dell’assassinio di Rachel Corrie (http://comune-info.net/2014/03/rachel-2/) assassinata dall’esercito israeliano perché si opponeva alla distruzione della casa di una famiglia palestinese. ciao r

Il declino (arrestabile?) dell’Università italiana

Return On Academic ReSearch«STIAMO VIVENDO L’EQUIVALENTE DI UNA GUERRA», L’INTERVENTO DI SABINO CASSESE SULLO STATO DELL’UNIVERSITA’ ITALIANA AL II CONVEGNO ROARS
«Stiamo vivendo l’equivalente di una guerra» dice Sabino Cassese con riferimento alla situazione dell’università italiana. Al termine della prima sessione del II Convegno Roars
sabinocassese-310x199 Ecco il passaggio conclusivo, totalmente condivisibile: (…) E’ una guerra quindi che dobbiamo combattere. Bisogna cercare di resistere. Io mi auguro che non si resista con il tono di tipo sindacale-rivendicativo. Non basta dire quello che il paese può fare per l’Università, dobbiamo anche dire quello che l’Università può fare per il paese. Quindi sarebbe un errore cominciare col dire “Dateci più soldi”. No. Dobbiamo anche dire quali sono le nostre responsabilità. Che cosa abbiamo fatto per evitare tutti gli abbandoni? Perchè l’Italia è riuscita in 50 anni a portare tutti i ragazzi alle scuole elementari e non riusciamo dopo 150 anni a portare alla laurea tutti gli iscritti all’Università? Queste sono nostre responsabilità. E quindi non poniamo il problema esclusivamente in termini rivendicativi. C’è qualcosa che il paese deve fare per l’Università (e, ovviamente, per la ricerca), ma c’è anche qualcosa che l’Università può fare per il paese.
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Università-liaison-office-31-150x150Per correlazione. Università, per non morire di autoreferenzialità. Franco Meloni su Aladinews.
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