Monthly Archives: febbraio 2013
La Cittadella dei Musei intitolata a Giovanni Lilliu
A un anno dalla scomparsa di Giovanni Lilliu gli verrà intitolata la Cittadella dei Musei. Nell’occasione verrà scoperta una scultura di Pinuccio Sciola dedicata a Giovanni Lilliu, Sardus Pater.
La cerimonia è in programma martedì 19 febbraio, in occasione del primo anniversario dalla morte dello studioso, con inizio alle ore 11 nell’Aula rossa della Cittadella in piazza Arsenale 1.
Parteciperanno insieme ai familiari di Giovanni Lilliu, il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda e quello di Barumini, Emanuele Lilliu, nonchè i componenti degli organi accademici dell’università di Cagliari e i colleghi e allievi del professore, tra questi, Attilio Mastino, rettore dell’università di Sassari.
GLI OCCHIALI di PIERO MARCIALIS
CONSIDERAZIONI ELETTORALI
Speranze, promesse, giuramenti. Spero promitto e iuro vogliono l’infinito futuro. Il futuro però non lo sa nessuno. Un po’ il passato.
Nel passato pare che in Italia si sia votato più per odio che per amore. Vince la Repubblica in odio alla Monarchia. Vince la Dc in odio (paura?) del Comunismo. Vince la Destra in odio alla Sinistra.
Prevale la Sinistra in schifo della Destra. Se gli odi si bilanciano si va in parità (quasi). Ora si tratta di sapere quanto sono incazzati gli italiani e contro chi. Contro chi ha governato? Molte teste cadono.
Del doman non v’è certezza. Qua dicono “vittoria sicura”, là dicono “la rimonta è completa”, qua e là dicono “è più utile votare per noi” (certo, è utile…), “odiate quelli, votate noi”, e si spera, si promette, si giura, tanto… Chi vuole esser lieto sia, questa è la democrazia.
Sardità
GLI OCCHIALI di PIERO MARCIALIS
Giordano Bruno. Il 17 febbraio 1600 un frate domenicano, filosofo, fu portato a Campo dei Fiori a Roma, con un chiodo sulla lingua perchè non potesse parlare, legato ad un palo e fatto bruciare vivo.
In quel periodo a Roma comandava il papa Clemente VIII.
Il cardinale inquisitore era Roberto Bellarmino, che la Chiesa Cattolica ha proclamato santo.
Il 18 febbraio 2000 Giovanni Paolo II ha espresso “rammarico per la morte atroce di Giordano Bruno”.
Il piano inclinato
Non sembra vero. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro si fonda sulla base del principio secondo il quale “il lavoro non è una merce”. Sta scritto nel preambolo della sua Carta istitutiva. E la Oit non è mica una succursale della Internazionale socialista, è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite dell’Onu, a base tripartita, composto da rappresentanti dei governi, dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Un’idea condivisa, dunque, un’idea nobile. Scaturita dalle esperienze di secoli, dalle lotte di chi ha rivendicato, per noi tutti, il diritto ad una vita dignitosa di chi ha sfidato i cannoni della repressione (come racconta Bertold Brecht nel suo “i giorni della Comune”) proclamando che “da bestie vivere, peggio che morire è!”
Non è solo filosofia. L’Europa ha saputo costruire una società dove davvero si è incominciato a dar valore alla dignità del lavoro. Anche lo Stato italiano ha fatto la sua parte, sia con le leggi che rendono dignitoso il lavoro, sia con le politiche che si ripromettevano di dare lavoro a tutti. Non soltanto per la pura sopravvivenza materiale. Perché chi non lavora non ha, ma soprattutto non è.
La caratteristica di una merce, in economia, è quella di poter essere oggetto di transazioni, Il prezzo di una merce viene fissato dal mercato, attraverso il meccanismo dell’incontro della domanda e dell’offerta.
Se il lavoro non è merce, se non fosse merce, dovrebbe essere esentato da questa legge crudele. Perché è una legge che non tiene conto delle condizioni dei contraenti. E perché il cosiddetto prezzo di mercato, in realtà è solo un’astrazione, il prezzo, quello vero, è quello che viene stabilito volta per volta da parte di contraenti in carne ed ossa. Ed è giusto, quel prezzo, anche quando il bisognoso vende per quattro soldi i tesori di famiglia magari perché è rimasto senza lavoro ed ha urgente necessità di qualche spicciolo per arrivare al giorno seguente.
Per tempo, il liberismo, si è pasciuto dell’accattivante principio secondo cui “qui dit contractuel dit juste» : ciò che viene liberamene contrattato è naturalmente giusto. Consentendo agli Stati di limitarsi a garantire la libertà contrattuale, fingendo di non accorgersi che la diversa forza dei due contranti fa si che l’apparente uguaglianza formale serva solo al predominio del più forte ed all’assoggettamento del debole, cioè proprio alla ineguaglianza.
Ed è per questo che il Diritto del lavoro, si è affranco da questo “diritto comune dei contratti”, che, in definitiva, consentiva lo sfruttamento dei lavoratori, apparentemente contraenti, ma in realtà costretti a prendere o lasciare, per diventare una disciplina speciale, un diritto speciale ispirato al principio per cui i due contraenti non sono affatto uguali.
Persino il fascismo si ispirava a questo principio, considerando il lavoratore un contraente debole e, quindi, meritevole di una particolare protezione, anche legislativa, tale da compensare il suo svantaggio.
La Costituzione italiana è andata molto oltre. Perché i padri costituenti, pur prendendo atto di quella situazione di svantaggio, hanno dettato un programma di superamento di quella condizione di debolezza, hanno affidato alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitando “di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana….”
Di questo stavamo ragionando, ci eravamo incamminati su questa strada.
Ora “tutto questo non c’è più” direbbe Lucio Battisti, ma non per l’avvento di migliori condizioni, ma per un pauroso ritorno al passato.
Serve ricordarlo per meglio comprendere la cronaca di questi giorni, e darsi conto che non siamo più in presenza di emergenze transitorie, di eccezioni al principio, ma di un ormai completo ribaltamento del sistema che ci riporta proprio al cosiddetto diritto dei contratti, cioè all’esaltazione della libertà di contrattare. E’ un ragionamento presente anche in pezzo del partito democratico, purtroppo solo in parte transitato nel partito di Monti, secondo cui il lavoratore, al giorno d’oggi, non è più l’operaio debole e privo di strumenti, anche culturali, per cui lo Stato deve impedirgli di vendere, a prezzo iniquo, la propri forza lavoro. Ora il lavoratore sarebbe maturo e cosciente, quindi non più bisognoso di tutela. Questo è il ritirarsi dello Stato sociale ed il ritorno alla “libertà” del mercato.
Eppure, è evidente che è vero proprio il contrario. In presenza di una crisi che produce una dilagante disoccupazione crescono, lo riconoscono tutti, le diseguaglianze. E con il crescere delle diseguaglianze cresce, fatalmente, l’iniquità dello scambio contrattuale che, in apparenza, formalmente, è libero.
Ma libero non è. Perché uno dei due contraenti si trova in condizioni di difficoltà e, conseguentemente, è spesso costretto ad accettare clausole inique. Per dirla con un rozzo linguaggio marxiano, a vendersi sottocosto.
Un recente esempio.
La Nissan ha scelto gli stabilimenti di Barcellona per la costruzione di un nuovo modello: 1000 nuovi posti di lavoro, “diretti” ed un indotto stimato in 3000 unità.
C’è da esserne contenti. Magari fosse toccato a noi! Direbbe qualcuno.
Ma se andiamo dentro la notizia scopriamo una lunga e difficile trattativa, spesso sul punto di spezzarsi, anche perché, di fronte alla difficoltà di quella trattativa, altre fabbriche, come la francese Renault, si erano offerte. Poi l’ha spuntata Barcellona. Nella sostanza perché ha accettato, mediante un libero contratto, di ridurre del 20 per cento il salario dei dipendenti che andranno a lavorare nella nuova linea.
Detto in altri termini: il contraente forte ha messo in concorrenza, al ribasso, i possibili partner ed ha stipulato il contratto con il migliore offerente (al ribasso), con soddisfazione comune del governo catalano, dei sindacati, delle associazioni datoriali.
Barcellona si è aggiudicata l’affare.
Dobbiamo festeggiare per 1000 posti di lavoro in più, o interrogarci sul costo sociale e umano, che viene pagato, per quella operazione, da lavoratori, uomini e donne, famiglie, che vedono retrocedere la propria condizione economia e sociale, rispetto alle conquiste che la civiltà occidentale era stata capace di raggiungere negli anni passati?
Non si tratta di un caso esemplare. Né di un caso spagnolo. Forse che il lavoro precario o quello nero e sfruttato di molti dei nostri giovani non risponde alla stessa logica? Al medesimo sistema “ricattatorio”? E cosa significano quegli operai di Marchionne che si sono recati al referendum annunciano il loro si, di fronte ad una ipotesi di contrato aziendale che non condividevano affatto?
Hanno fatto una scelta libera, cioè di mercato. La libertà contrattuale, individuale o collettiva che sia, ha trionfato.
E dove andremo a finire se, in tempi di crisi, con la disoccupazione dilagante, i posti di lavoro verranno messi all’asta, sulla base di questi principi, al miglior offerente? Cioè a chi è disposto ad accettare un salario inferiore?
Il sindacato spagnolo, giustamente, si è fatto garantire che l’organico della fabbrica non subirà riduzioni, cioè che gli altri lavoratori, gli “anziani”, non saranno licenziati per essere sostituiti dalle più economiche “new entry”, che non subiranno una riduzione di salario. Quindi esasperazione del dualismo, anche all’interno alla stessa fabbrica.
Altro che “il lavoro non è merce”! Altro che immaginare contingenze! Siamo semplicemente tornati indietro, molto indietro. Si sta consumando una mutazione Il piano è ancora inclinato. E le prossime elezioni non c’entrano nulla … quasi nulla.
—
* articolo pubblicato anche su il manifesto sardo
Nel riquadro dipinto di Fernand Léger
GLI OCCHIALI di PIERO MARCIALIS
17 febbraio 1943, mercoledì “Bombardieri americani hanno lanciato bombe dirompenti e incendiarie su Cagliari, Quartu S.Elena e Gonnosfanadiga causando gravi danni ad abitazioni civili e vittime tra la popolazione.” Bollettino di guerra del 18 febbraio 1943.
I morti furono 96 a Cagliari, 8 a Quartu, 83 a Gonnosfanadiga. Su fb
IMPORTANTE Pierpaolo Piludu e Cristina Maccioni, oggi su Rai3 alle 12,55, presentano un loro documentario per i 70 anni dei bombardamenti su Cagliari.
IL CALAMAIO e LA TAVOLOZZA di LICIA LISEI
Viviamo tempi apocalittici
di Nicolò Migheli, da Sardegnademocratica
“Ci fu un grande terremoto, di cui non si era mai visto l’uguale da quando gli uomini vivono sopra la terra. La grande città si squarciò in tre parti e crollarono le città e le nazioni: Dio si ricordò di Babilonia la grande, per darle da bere la coppa del vino del furore della sua ira. E tutte le isole fuggirono, e i monti non si trovarono più.” (Ap. 14, 8-10) Il passo dell’Apocalisse di Giovanni è citato in Mysterium iniquitatis, un testo di raro pessimismo sulle sorti del cristianesimo, scritto da Sergio Quinzio, pensatore dimenticato in questi anni confusi.
Versetti che debbono essere tornati alla mente di personaggi conservatori della Curia romana. L’abdicazione di Benedetto XVI è una apocalisse, una rivelazione-constatazione del degrado del governo della Chiesa e, nello stesso tempo, del limite. Il discorso pronunciato dal Papa il Mercoledì delle Ceneri esprime in altre parole lo stesso concetto. Tanto che alcuni hanno reagito con: “ Non si scende dalla croce,” “Un padre non si dimette se i figli non ubbidiscono.” La rivolta di un uomo mite, hanno scritto in molti, dando ragione a Papa Ratzinger.
Carlo Maria Martini, in una sua ultima intervista ebbe a dire che la Chiesa Cattolica era in ritardo di duecento anni. Il percorso di due secoli di modernità non compreso e rifiutato. Un essere contro il mondo visto solo come degrado. Una non accettazione di un ruolo che la storia e il pensiero laico ponevano tra gli interlocutori e non più come unico punto di riferimento. La reazione identitaria alla modernità trasformata nel dogma della infallibilità papale da Pio IX nel Concilio Vaticano I del 1870, confermata nell’enciclica “Pascendi dominis gregis” dove il modernismo viene descritto come “sintesi di tutte le eresie” da Pio X nel 1907. Corrente di pensiero che ha rifiutato il Concilio Vaticano II sia prima di essere indetto che dopo nella sua attuazione. L’ha fatto cancellando la Teologia della Liberazione, la Chiesa di Base, marginalizzando tutti quei “cattolici maturi” come ebbe a dire Romano Prodi, dando invece lustro e potere a confraternite come l’Opus Dei, Comunione e Liberazione e ai torbidi Legionari di Cristo. Un costante innamoramento dei poteri più reazionari da Francisco Franco a Pinochet, da Videla a Berlusconi. Prima con la giustificazione della lotta al comunismo e poi con la difesa dei “valori non negoziabili.”
Una Chiesa che aldilà delle magnificenze trionfalistiche si ritrova con le chiese vuote. Sempre più incapace di parlare all’anima dei contemporanei. Per fortuna restano tanti vescovi e sacerdoti che vanno oltre, che in silenzio riescono a venire incontro alla fatica di vivere dei contemporanei. Per trent’anni Ratzinger è stato il custode dell’ortodossia conservatrice, l’acerrimo avversario di cardinali come Martini, il pilota insieme a Ruini, delle vicende politiche italiane, sponsorizzando qualsiasi governo che fosse ligio all’agenda vaticana. In tarda età osa l’inosabile. Il gran rifiuto.
Impressiona il gesto, molto di più la data dell’annuncio: l’11 febbraio 2013, ottantaquattro anni da quel 1929 dei Patti Lateranensi che ristabilì il potere temporale del papato. Per un potere bimillenario attento ai simboli e alle date non è stato certo un caso. La scelta di quel giorno è forse l’atto di accusa più pesante per la Curia Romana. Rivelando una impossibilità di governo di una realtà conflittuale ed oscura che ha la sua giustificazione nell’essere Stato e quindi come ogni stato, può toccare con mano il lato inumano del governo del mondo. “Non sei né freddo né caldo! Ma siccome sei tiepido, né caldo né freddo, sto per vomitarti dalla bocca” (Ap. 3, 15-16).
E’ ancora il Libro che ci soccorre e ci fa capire. Resta la domanda, l’uomo occidentale sempre più sommerso da più offerte spirituali in concorrenza tra loro, è ancora attratto da una forma religiosa dove il contatto con il dio è mediato? Dove al fedele è negata ogni possibilità di coscienza personale, ma solamente l’attuazione pratica di quanto deciso dalle gerarchie? L’abdicazione di Benedetto XVI è di sicuro un atto che influirà molto su come i cattolici penseranno al proprio futuro e ruolo nel mondo. Forse non subito. Il prossimo conclave, vista la composizione del concistoro, è probabile che esprima un altro papa conservatore. La storia della Chiesa Cattolica ci ha abituati, però, che nei momenti più critici può esprimere il rinnovatore. Lo Spirito soffia dove vuole. Così si dice nelle Scritture.
———
Nicolò Migheli, da Sardegnademocratica
———
Sul medesimo argomento: F.Meloni, La scelta rivoluzionario del papa conservatore
—-
Nelll’illustrazione Papa Celestino V
GLI OCCHIALI di PIERO MARCIALIS
Legge 221/2012 Startup, precisazione del Mise: le società già costituite possono iscriversi alla “Sezione speciale del Registro Imprese” anche dopo 17 febbraio
Il ministero dello Sviluppo economico (MISE) ha fornito una risposta articolata al quesito posto da Infocamere (Unioncamere), relativo all’iscrizione delle società già costituite alla “Sezione speciale” del Registro delle Imprese entro il termine del 17 febbraio.
La scadenza indicata in norma primaria è da interpretare come non perentoria, pertanto, le società già costituite alla data dell’approvazione della Legge 221/2012, potranno iscriversi alla “Sezione speciale”, dedicata alle Startup del Registro delle imprese, anche dopo il 17 febbraio.
Contestualmente, il Ministero ha precisato che il termine per il possesso dei requisiti (data di entrata in vigore della legge di conversione), così come il termine di durata massima della startup innovativa (decorrente dalla medesima data) sono invece inderogabili.
Comunicato stampa del MISE
IS OLLIERAS de PIERO MARCIALIS
Il finanziamento pubblico ai partiti non va riformato, va abolito. E’ la cosa più seria e non secondo me, ma per il 90% del popolo.
Su finanziamentu pubblicu ais partidus non andat riformau, andat aboliu. Est sa cosa prus seria e non a parrer miu, ma po su 90% de su populu.
In custa campagna elettorali si funt iscarescius de chistionai de s’aqua e de s’energia. In duus referendum su populu at fueddau craru: aqua pubblica e energia limpia. Est intendia?
L’8 per mille non va meglio distribuito, va abolito.
S’8 po milli non andat mellus sparziu, andat aboliu.
I giovani ci credono e danno vita a nuova impresa
Sono ormai numerosi i giovani sotto i 35 anni che hanno dato vita a nuove imprese. In Sardegna a fine anno se ne contavano 18.670, distribuite nei diversi settori economici. Per chi si diverte a muoversi tra i numeri consigliamo la lettura dei dati del “cruscotto di indicatori statistici” che ogni Camera di commercio pubblica a cadenza trimestrale sul proprio sito istituzionale (per Cagliari vedi http://images.ca.camcom.gov.it/f/studiestatistica/cr/crusco_3trim2012.pdf) . Tali dati mostrano un significativo attivismo, forse mosso da disperazione, da mancanza di alternative, dovute per esempio, al venir meno delle occasioni di lavoro subordinato. Comunque sia il fenomeno va letto con attenzione e con una buona dose di ottimismo, nel senso che dalla creazione d’impresa, sopratutto dalla giovane impresa, può nascere lavoro e benessere. Spetta ora al potere pubblico assecondare questo fenomeno, fornendo un contesto virtuoso che può aiutarlo a svilupparsi. Si tratta da una parte di proseguire e rafforzare le politiche di incentivazione, così chiaramente tracciate dall’Unione Europea (vedi al riguardo il documento emanato il 9 gennaio u.s.dalla Commissione Europea), dall’altra di fornire un quadro normativo favorevole alla giovane impresa. Si tratta anche di abolire tutte le inique tassazioni, di esentare il lavoro da eccessivo peso fiscale, di favorire i processi di innovazione e di internazionalizzazione. La prima misura da assumere da parte di un Governo favorevole al lavoro e all’impresa è quella di creare o rafforzare i servizi reali all’impresa, a partire da attività consulenziale, nonchè opportunità formative di qualità. I fondi per sostenere queste iniziative ci sono e sono in prevalenza di provenienza comunitaria, non sappiamo se in misura sufficiente, ma senza dubbio in misura importante. Evidentemente non sono ammessi sprechi, quanto piuttosto atteggiamenti di collaborazione e integrazioni tra le diverse istituzioni che hanno competenze in materia: Regioni, Enti Locali, Camere di Commercio, Scuole e Università, Associazioni di categoria, Sindacati… devono coordinarsi, istituire tavoli di lavoro, dare vita a politiche coerenti che si concretizzino in azioni congiunte. Ecco un programma su cui impegnare seriamente le forze politiche, a partire dalla competizione elettorale in corso