Monthly Archives: dicembre 2012
Dimmi che destino avrò
Un Natale d’amore fuori dagli schemi: su Repubblica.it il film-sorpresa delle feste
Dal 20 dicembre 2012 al 9 gennaio 2013 sul sito de La Repubblica e su Trovacinema, in esclusiva e in streaming gratuito, la visione integrale di “Dimmi che destino avrò”, appena passato al Festival di Torino: l’incontro tra un poliziotto e una donna di origine rom. Il distributore Gianluca Arcopinto: “Il nostro dono per tutte le famiglie”
http://trovacinema.repubblica.it/speciali/dimmi-che-destino-avro?ref=HRESS-23
IN GU la legge che definisce giuridicamente le start up innovative: è la 17 dicembre 2012, n. 221
Legge 17 dicembre 2012, n. 221
“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”
Testo del D-L 18 ottobre 2012, n. 179, con aggiornamenti
Materia: PIANI DI SVILUPPO, ECONOMIA NAZIONALE, ASSISTENZA E INCENTIVAZIONE ECONOMICA, INNOVAZIONE TECNOLOGICA, PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO, GESTIONE E ORGANIZZAZIONE DI IMPRESE
Pubblicazione: G.U. n. 294 del 18 dicembre 2012 (suppl.ord.)
Testo coordinato: G.U. n. 294 del 18 dicembre 2012 (suppl.ord.)
L’11 gennaio 2013 in Gazzetta il testo con le note
Appunti per i candidati parlamentari
di Franco Meloni
Nella complicata vicenda dell’istituzione delle società a responsabilità semplificata uno dei pochissimi politici che si è interessato e ha richiesto al governo Monti di adempiere agli obblighi della legge è stato Amalia Schirru, deputata del Pd. Lo vogliamo ricordare in questi giorni perchè Amalia concorre alle primarie del Pd per la conferma, in posizione utile all’elezione, nella lista dei candidati alla Camera dei deputati. Aladinews, saldamente e autonomamente collocata nell’area progressista e di sinistra, non fa campagne elettorali per nessuno, ma quel che è giusto è giusto: dobbiamo ad Amalia il riconoscimento per la sua collaborazione in una causa che ci ha fortemente impegnato a favore dei giovani e della giovane impresa. Se questo può contare anche minimamente per la sua rielezione ne siamo contenti.
di Matteo Arisci *
Nessuno in Sardegna parla più di lavoro. Non i politici, non il mondo dell’informazione, non il mondo accademico. E’ un tema troppo spinoso da trattare. Certo si parla dei lavoratori della Carbosulcis e dell’Alcoa. Gli si mostra simpatia umana. Gli si danno pacche sulle spalle. Fa sempre comodo stare dalla parte dei lavoratori. Salvo poi non sapere cosa fare per loro.
Nessuno in Sardegna parla più di lavoro perché non lo si sa creare. Non lo abbiamo mai saputo creare. E’ il denaro pubblico a generare occupazione qui da noi. La maggior parte dei lavoratori sono dipendenti pubblici. Chiudere il rubinetto delle casse dello Stato equivale ad aprire una canna del gas per l’economia.
Nessuno in Sardegna parla più di lavoro soprattutto tra sindaci e amministratori locali. Non è competenza dei sindaci, dicono loro, non hanno un assessorato al lavoro. Non è nemmeno competenza delle province. Tanto vale lavarsene le mani a piè pari. Salvo poi dimenarsi nella distribuzione di poltrone e poltroncine.
Nessuno in Sardegna parla più di lavoro perché oggi c’è una scusa fenomenale, la scusa che ogni politicante desidera. C’è la crisi. Si, è colpa della crisi, del patto di stabilità, di Bruxelles, del governo Monti, dei tagli… Non ci sono più fondi spendibili per facilitare investimenti e ripresa. Come se in passato, quando quei denari erano a disposizione, li avessero spesi con lungimiranza.
Un vecchio refrain capitalista insegna che la politica non crea lavoro, il mercato crea lavoro. Vero. Ma a chi amministra spetta l’onere di immaginare e disegnare forme che creino ambienti accoglienti per il lavoro. Servono, in poche parole, visione e competenza. Purtroppo la nostra classe politica è impreparata e inadeguata. Ricurva su se stessa e improntata a vivere alla giornata. Senza grandi respiri o progetti.
Burocrazie da tagliare, balzelli da eliminare, regolamenti da semplificare, pratiche e uffici da efficientare. I nostri comuni sono spesso ostacoli, non facilitatori. Non riescono a gestire i pochi contributi che danno a disposizione, dimostrano incapacità nel curare bandi e concorsi che potrebbero essere dei piccoli volani per la ripresa. Chi amministra, molto spesso, conosce male il proprio tessuto economico ma conosce molto bene potentati e famiglie a cui rendere conto.
Fossi un amministratore locale, oggi, mi farei diverse domande guardandomi attorno. Come mai Amazon sceglie di investire proprio in Sardegna e non in Lombardia? Cosa ha convinto quella multinazionale? E come mai esistono diverse start-up proprio qui in Sardegna? Come posso facilitare ulteriormente questo circolo virtuoso?
O ancora mi chiederei che attività ho nel mio territorio? Come le posso aiutare? Che intralci sto creando alla loro crescita? Che attività hanno funzionato in passato e quali invece chiudono? Quali sono le forme imprenditoriali più resilienti?
Ma soprattutto che tipo di sviluppo voglio provare ad imprimere? Come mi impegno a realizzarlo?
C’è una celebre frase del premio nobel Solow, teorico della crescita economica. Conosciamo gli ingredienti per la crescita ma non conosciamo la ricetta. Il sospetto e che i politici sardi non conoscano nemmeno gli ingredienti.
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Intervento pubblicato su Sardegnademocratica
Occhio a questa nuova idea: il Contamination Lab (Clab)
Il Contamination Lab: Si è tanto parlato della nascita delle idee non nei garage, bensì tra i corridoi e alle caffetterie delle Università. Adesso le idee nasceranno nel “contamination lab”. Questo nasce allo scopo di promuovere l’incontro tra giovani laureandi o neolaureati per la creazione di percorsi imprenditoriali attraverso uno spazio dedicato, risorse digitali, accesso a banche dati, networking con professionisti, startupper ed investitori, anche attraverso una piattaforma dedicata (dal progetto Restart, Italia!)
… ne hanno parlato recentemente Alessandro Fusacchia (Mise) e Paolo Fadda (Unica)
Cosa bolle in pentola? Lo scopriremo a breve.
Buona settimana con Bomeluzo e il lupo
Buona settimana di vigilia di Natale con Bomeluzo
Al di là del bando l’impegno per costruire territori intelligenti
Nonostante la conversione in legge del decreto Crescita 2.0, stante la crisi del governo Monti, il ministro Passera non ritiene opportuno dare seguito all’emanazione del bando per i “territori intelligenti” (lo aveva promesso entro novembre). Questa circostanza costituisce da una parte una delusione, dall’altra deve spingerci ad usare il maggior tempo a disposizione per preparare al meglio il nostro territorio (Cagliari e la sua area vasta) al fine di competere adeguatamente al bando nel momento in cui sarà emanato dal prossimo governo (crediamo non prima degli ultimi mesi del 2013). Tale bando, se vinto, porterà notevoli opportunità al territorio medesimo, in termini di incentivazioni all’innovazione, possibilità di sperimentazioni, alleggerimenti burocratici, etc. Non c’è dunque tempo da perdere. Occorre lavorare con una logica di marketing territoriale, che veda la costruzione di robuste alleanze tra le istituzioni (enti locali, camera di commercio, università), le imprese e i professionisti. In ogni caso non sarà tempo sprecato, considerato quanto si potrà comunque migliorare attraverso la preparazione alla competizione, così come capita in situazioni analoghe (città europee della cultura, sedi di meeting internazionali, etc.). Con tutta evidenza da subito si potranno utilizzare altri strumenti per incentivare la creazione di start up innovative, incubatori d’impresa, contamination lab e quant’altro, anche sul versante dell’innovazione sul tradizionale. Rammentiamo, come esempi, le opportunità di utilizzazione delle risorse europee del progetto Innova.re (che allo stato è gestito dalle due Università sarde e da Sardegna Ricerche, e che dovrebbe coinvolgere anche le Camere di Commercio sarde), ma anche le risorse legate alla possibile istituzione delle “zone franche urbane”.
Aladin, attraverso il suo network (Aladinews, blog aladinpensiero, blog Valorest, blog oivcamcomca, blog aladinews) e non solo, si impegnerà in questa avvincente impresa, che in primo luogo può (deve) creare lavoro soprattutto a vantaggio dei giovani.
Per stare in tema, di seguito riportiamo il video di un’intervista sulle problematiche dell’innovazione fatta da Michela Loi a Chiara Di Guardo, nell’ambito del Progetto Orest della Camera di Commercio di Cagliari. Chiara Di Guardo è docente di Economia dell’innovazione presso l’Università di Cagliari.
Per contrastare il declino dell’università italiana
di Franco Meloni
Una serie di circostanze concomitanti autorizzano a parlare di declino delle università pubbliche italiane, almeno di una parte di esse, precisamente quelle che non riescono ad adeguarsi alle esigenze dei tempi, a sopravvivere e superare la crisi economica che sconvolge l’Italia e l’Europa (in controtendenza, tra gli esempi positivi citiamo i Politecnici). Indichiamo alcune di queste circostanze: 1) la crescente carenze di risorse, che vedono progressivamente diminuire i trasferimenti statali, compensati molto parzialmente dall’autofinanziamento e dai finanziamenti regionali e dei progetti europei; 2) la perdita generalizzata (salvo eccezioni) di consenso della proposta formativa degli atenei italiani, che subiscono la concorrenza delle università straniere, a cui si aggiunge un calo delle immatricolazioni dovuto a un numero crescente di giovani che non vedono credibili sbocchi lavorativi dei corsi; 3) il fallimento delle diverse riforme (ultima e peggiore quella intestata all’ex ministro Gelmini), le quali non hanno migliorato la situazione ma, al contrario, hanno distratto le università rispetto alle fondamentali missioni dell’insegnamento e della ricerca e reso via via sempre più difficoltosa la pratica di nuove iniziative a favore dei territori (trasferimento tecnologico, long lifelearning); il tutto all’insegna di una crescente e opprimente burocratizzazione delle attività universitarie, che fa il paio con quella delle altre pubbliche amministrazioni. Per queste e altre ragioni l’università italiana vive dunque uno dei momenti di maggiore difficoltà degli ultimi decenni. Le crisi, come quella che stiamo vivendo, sono devastanti, ma certamente superabili, attraverso veri e profondi processi di cambiamento in meglio. Le strade da percorrere per salvarsi sono diverse: una, molto importante è senz’altro quella dell’impegno delle università per la «terza missione», come ben ha argomentato Pietro Greco in numerosi interventi, tra i quali ci piace citare quello pubblicato su l’Unità del 12 marzo 2007, che sotto riportiamo, anche come contributo attualissimo al dibattito in corso in diverse sedi. Per quanto ci riguarda la «terza missione» è una prospettiva di cui siamo convinti da tempo e che abbiamo anche praticato con convinzione nel recente passato nell’esercizio di incarichi universitari, peraltro in perfetta linea con le indicazioni dell’Unione Europea.
L’università italiana si salva solo con la «terza missione». L‘università si proponga coma una «nuova agorà»
di Pietro Greco
Gli inglesi da un paio di decenni la chiamano Third Mission, terza missione, o, Third Stream, terzo flusso. Si riferiscono all’università e alla necessità che essa si dia un terzo compito – una terza missione, appunto – insieme ai due canonici della formazione e della ricerca. Questa terza missione è (deve essere) la diffusione fuori dalle sue mura delle conoscenze prodotte. La necessità nasce dal fatto che viviamo, ormai, nella «società della conoscenza» e che lo sviluppo culturale ed economico di ogni comunità a livello locale, nazionale e globale ha bisogno di essere alimentato con continuità da nuove conoscenze. Se non c’è questa immissione continua lo sviluppo dell’intera società ne è frenato, se non bloccato. La domanda sociale è rivolta ai luoghi dove la nuova conoscenza viene prodotta. E poiché le università sono i luoghi primari di formazione e di produzione delle nuove conoscenze, è a loro in primo luogo che «la società della conoscenza» chiede di essere alimentata. La richiesta è che l’università cambi. E dal modello chiuso e statico cui ha aderito nell’Ottocento, per soddisfare i bisogni di formazione di tecnici e di classe dirigente per la società industriale fondata sulla produzione di beni materiali, aderisca a un modello aperto ed evolutivo, per soddisfare i bisogni della società fondata sulla conoscenza e la produzione di beni immateriali. Per un certo tempo questa domanda sociale è stata interpretata in termini molto riduttivi, di semplice «trasferimento delle conoscenze» dalle università alle imprese. In Gran Bretagna, per esempio, il governo favorisce da tempo la Terza Missione delle sue università proprio attraverso una serie di iniziative di «trasferimento delle conoscenze» che includono lo Higher Education Innovation Fund, la Higher Education Reachout to Business and the Community Initiative, lo University Challenge, lo Science Enterprise Challenge. Negli Stati Uniti da almeno un quarto di secolo esistono leggi, come il Bayh-Dole Act, che stimolano l’università non solo a trasferire conoscenze alle imprese, ma – attraverso la valorizzazione e protezione della proprietà intellettuale – a diventare essa stessa impresa: a interpretare se stessa come entrepreneurial university, come università imprenditrice. In Italia non esiste l’università imprenditrice, ma dal novembre 2002 esiste un «Network per la valorizzazione della ricerca universitaria» che coordina decine di atenei di tutto il paese nel tentativo di trasferire conoscenza alle nostre imprese, così poco vocate alla ricerca e così poco consapevoli dell’era in cui siamo entrati. Ebbene, questa attività da sola non basta per entrare nella «società della conoscenza». È troppo riduttiva. È troppo economicista. Lo sostiene il Russell Group, un centro che coordina i due terzi delle università del Regno Unito, sulla base di una documentata indagine. Se il rapporto tra università e società non viene interpretato in una prospettiva molto più ampia e olistica, non solo l’ingresso nell’«era della conoscenza» si allontana, ma persino il trasferimento strumentale di conoscenze alle imprese ne viene minato e perde efficacia. Insomma, sostiene il Russell Group, per entrare nella «società della conoscenza» occorre un dialogo fitto e a tutto campo che promuova uno sviluppo complessivo – culturale ed economico – dell’intera società. In cosa deve consistere, questo dialogo? Dovessimo riassumerlo in una frase, potremmo dire: nella costruzione della cittadinanza scientifica. Che significa maggiore consapevolezza dei cittadini intorno ai temi della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico e maggiore partecipazione alle scelte tecniche e scientifiche, ivi incluse quelle ambientali e quelle «eticamente sensibili». Ma significa anche maggiore democrazia economica. Se i saperi sono ormai la leva principale per la crescita economica, costruire la cittadinanza scientifica significa (anche) fare in modo che la conoscenza non diventi un fattore di nuova esclusione sociale, ma un fattore attivo di inclusione sociale. In pratica significa che nell’aprirsi l’università si proponga coma una «nuova agorà», una delle piazze della democrazia partecipativa (dove i cittadini si riuniscono per documentarsi, discutere e decidere) e della democrazia economica (dove non solo le grandi imprese attingono conoscenza per l’innovazione, ma i cittadini tutti acquisiscono i saperi necessari per il loro benessere, per la loro integrazione sociale, persino per una imprenditorialità dal basso). Questo dialogo fitto e a tutto campo tra università e società non è un’aspirazione astratta. E neppure futuribile. Sta andando avanti, sia pure per prova ed errore. E ha assunto aspetti concreti non solo in Gran Bretagna o negli Usa. In Danimarca la Terza Missione dell’università è stata stabilita per legge. In Francia ci sono importanti iniziative sulla comunicazione pubblica della scienza. E anche nei paesi scientificamente emergenti come Cina, India e, di recente, Sud Africa molto impegno e molte risorse sono dedicate alla diffusione delle conoscenze e al rapporto tra «scienza e società». Un po’ ovunque il tentativo consiste nel fatto che le università cercando di aprirsi alla società – senza rinunciare al compito canonico dell’alta formazione e della ricerca scientifica – superando l’ambito, riduttivo, del trasferimento di conoscenze per l’innovazione tecnologica e costituendo «reti sociali» con associazioni, centri culturali, enti locali, cittadini, lavoratori, imprese (piccole, medie e grandi). Nel fare tutto questo da un lato promuovono la nascita di un’intera costellazione di nuovi attori culturali, che si interfacciano con la società, e dall’altra sviluppano nuova conoscenza intorno ai rapporti scienza e società, con appositi centri interdisciplinari di ricerca. In Italia c’è una domanda sociale ridotta di conoscenza. Ma c’è anche un’offerta insufficiente. Le università non sono ancora attrezzate per la Terza Missione. Occorre farlo. Perché l’università aperta è uno dei passaggi obbligati per entrare nella società della conoscenza. E per costruire una piena cittadinanza scientifica.
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Documentazione pertinente: report della Crui dell’aprile 2012
Il decreto Sviluppo 2.0 è legge
(13 dicembre ore 13) ROMA - Via libera definitivo della Camera al decreto legge con le ulteriori misure per la crescita del paese. Il provvedimento, su cui ieri è stata votata la fiducia, è stato approvato con voti 261 favorevoli, 55 contrari e 131 astenuti.
Leggi precedenti sul sito, anche sul blog Aladinews
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Cando si pesat su bentu est prezisu bentulare
Vota pro Facebook in sardu!
Agiuda·si a lòmpere a 50.000 votos pro fàghere Facebook in Sardu.
Appunti per l’anno che verrà
Berlusconi: non l’uomo, ma la regressione che suscita in tutti. Il quotidiano francese Libération ha titolato “Il ritorno della mummia.” Tale è, non solo per il suo aspetto fisico, ma per quel che rappresenta. Replica costante degli anni ’80 e delle sue illusioni. Un passato che non passa. La sua televisione vecchia non riesce più a raccontare la contemporaneità. Si ripresenta alle elezioni che non vincerà, speriamo… In realtà è l’ultimo tentativo prima di essere relegato definitivamente ai libri di storia.
Anziani: vissuti come peso e limite di questa società, rappresentano una fonte di competenze ed abilità che risulteranno importanti negli anni a venire. Agricoltura: sempre più centrale in un mondo che conosce l’esplosione demografica e l’aumento della domanda di cibo. I giovani ci ritornano, non solo perché non hanno lavoro, lo fanno per passione, riscoprono la bellezza delle coltivazioni e degli allevamenti, di una vita scandita da ritmi che seguono la natura. Civile: aggettivo che negli ultimi decenni si è accostato a società in contrapposizione a politica. La novità è che ormai la si avvicina ad economia. Un nuovo modo di pensare alla produzione di beni, che superi l’individualismo capitalista. Reciprocità: il termine che definisce meglio l’economia civile. Tornano valori antichi come lo scambio di lavoro e di beni, l’aiuto nelle difficoltà come “sa paradura” per i pastori che perdevano il gregge. Scambi in cui il denaro non è più il valore più importante. Cohousing: forma innovativa per vincere le solitudini cittadine e risparmiare. Case con ampi spazi comuni, dove giovani ed anziani ricostruiscono rapporti di solidarietà ed aiuto; come insegnare agli anziani l’informatica e questi ricambiano tenendo i bambini mentre i giovani lavorano.
Comunità: più la crisi si fa pesante maggiore è il bisogno di “cerchio caldo,” un modo per vincere non solo le solitudini e le paure, ma per riscoprire senso e appartenenza. Comunità non solo fisiche ma anche community professionali, culturali, di genere. Reti: fisiche ed informatiche allargano contatti e percezioni, costruiscono capitale sociale ed aiutano le riflessioni condivise. Filiere corte: si diffondono sempre di più, acquistare locale è aiutare concretamente il produttore vicino di casa, avere tracciabilità certa dei prodotti. Mangiare meglio ed sostenere una economia di reciprocità diventando coproduttori. Lingua sarda: i detrattori sono molti, anche quelli che si vergognano, ma il sardo conosce una nuova primavera. Grazie alle reti e ai social network è in atto una grande scuola popolare, in molti la scrivono, alcuni per la prima volta. Le regole ortografiche lentamente si diffondono creando standard condivisi. Neoliberismo: l’ultima ideologia sopravissuta ma anche essa vecchia di duecento anni, responsabile dei tempi che stiamo vivendo, incapace di mantenere la promessa se non per un sempre più ristretto gruppo di privilegiati. Sta maturando una nuova consapevolezza, soprattutto nei più giovani, vedi economia civile. Indipendentismi: gli osservatori distratti o interessati li liquidano come fuga dalla realtà. Altri dicono che in un mondo interdipendente sono un assurdo. Rappresentano invece il desiderio profondo di poter essere soggetti e non oggetto degli interessi altrui. I tempi non sembrano favorevoli, eppure gli anni a venire saranno sempre più delle piccole patrie e non degli stati nazione.
Giovani: mitizzati da una società senescente sono migliori di quel che li si dipinge, sono loro i più importanti artefici delle nuove iniziative economiche, nella costruzione di reti, nell’economia sociale e civile. Diritti civili: nonostante l’ostracismo che dimostrano le autorità politiche e quelle religiose, il concetto di libertà nelle scelte affettive è ormai patrimonio assodato non solo nei giovani, ma anche in fasce di popolazione adulte e anziane. La politic souivrà. Partiti: in tempi di antipolitica la parola non sarebbe pronunciabile. Invece in questo scorcio di anno si è assistito ad una grande novità. Il centrosinistra ha celebrato primarie vere, combattute, migliaia di persone che probabilmente ora non voteranno centrosinistra, vi sono andate. Lo hanno fatto perché quei partiti hanno dato l’occasione di esprimere partecipazione, cosa che le altre offerte politiche non hanno mai fatto. Benché le primarie siano figlie di un sistema presidenziale, hanno svolto un’ottima funzione come mobilitazione. Se si vuole che i cittadini partecipino, loro lo fanno. Paesaggio: nonostante i furibondi attacchi della minoranza al governo regionale, il nostro paesaggio continua ad essere uno dei meglio conservati del Mediterraneo. La consapevolezza, che oltre ad essere un bene ecologico, il paesaggio sia identità e appartenenza conquista sempre più i Sardi. Lo dimostrano i dati sulla raccolta differenziata che cresce di anno in anno.
Sardegna: non una parola di più, tutto quello che è scritto qui, sta avvenendo da noi e non su Marte. Mancano molte parole, ad esempio cultura che andrebbe declinata come culture. Lo spazio è poco ma i lettori, se vogliono, possono farlo. Il 2013 sarà un anno difficile, ma non ucciderà le nostre speranze. Auguri a tutte/i di buone feste.
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Articolo pubblicato anche su Sardegnademocratica
Nel primo riquadro ritratto dalla copertina del libro Hidalgos di Nicolò Migheli
Nel secondo riquadro disegno natalizio di Bomeluzo