Internazionale

DISARM EUROPE! Sabato 15 marzo a Roma riuniamoci attorno alla bandiera della pace e del disarmo

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L’invasione russa dell’Ucraina è un crimine. Difendere l’Ucraina è giusto.

Difendere la legalità e il diritto internazionale è un dovere degli Stati. Sempre e ovunque. Senza usare due pesi e due misure. In Ucraina come a Gaza.

Ma continuare la guerra è il modo più sbagliato e inconcludente per farlo.

La guerra e la propaganda di guerra sono vietate dal diritto internazionale dei diritti umani.

L’Europa doveva prevenirla. E non l’ha fatto. Voleva vincerla. E non c’è riuscita. E ora vorrebbe trascinarci in una devastante corsa al riarmo che fatalmente finirà col distruggere anche quel che resta dell’Europa.

Che fare ora?

Non possiamo lasciare che la carneficina continui.

Non possiamo lasciare che l’Europa precipiti in uno stato di guerra permanente.

Non possiamo permetterci una folle e sconclusionata corsa al riarmo che alimenterà la disperazione, i nazionalismi e l’autoritarismo.

Non possiamo permetterci la militarizzazione delle nostre vite, dell’economia e dei nostri paesi.

Non possiamo lasciare che ci tolgano anche la salute, la libertà e la democrazia.

Siamo realisti!

Trump ha riaperto il negoziato con Putin. Non ci piace -per niente- il modo in cui lo sta facendo. Ma dobbiamo fermare la carneficina e le conquiste militari e salvare quel che resta dell’Ucraina.

Questo è il momento di fare quello che non è ancora stato fatto: “lavorare per la pace”. Anche se molti non sanno nemmeno cosa voglia dire.

Nel nome del rispetto della dignità di ogni persona e della vita umana, della legalità e del diritto internazionale; nel superiore interesse dei bambini e delle bambine, per il bene dell’umanità, l’Europa torni ad essere uno “strumento di pace”! Per noi, per tutti i popoli oppressi e per il mondo intero.

La via della pace -lo ripetiamo- è la via della legalità, del diritto internazionale e del multilateralismo. Ridiamo forza alle Nazioni Unite. Organizziamo una nuova Conferenza di Helsinki che, come 50 anni fa, dia nuovo avvio alla costruzione in Europa di un nuovo sistema di sicurezza comune, dall’Atlantico agli Urali, basato sul disarmo, i diritti umani, il diritto all’autodeterminazione dei popoli e i diritti delle minoranze. Costruiamo l’Economia di Francesco, l’economia della pace e della fraternità.

Non basterà dire “Europa, Europa” per evitare l’inferno (vedi il doc. del 3 marzo 2025). L’Europa riscopra la sua ragion d’essere e faccia quello per cui è stata creata: la pace. La bandiera dell’Europa e la bandiera della pace camminano insieme.

Marco Mascia, Presidente Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova

Flavio Lotti, Presidente Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace

10 marzo 2025

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Leggi cosa hanno detto Simone Veil e Alcide De Gasperi.

“Tutti i suoi Stati membri si trovano ora di fronte a tre grandi sfide: la sfida della pace, la sfida della libertà e la sfida della prosperità, e sembra chiaro che esse possano essere affrontate solo nella dimensione europea. Iniziamo con la sfida della pace. Il periodo di pace di cui abbiamo goduto in Europa è stato una fortuna incredibile, ma nessuno di noi dovrebbe sottovalutarne la fragilità. La nostra Assemblea ha una responsabilità fondamentale per mantenere la pace, che probabilmente è la risorsa più importante di tutta l’Europa. La tensione che prevale nel mondo di oggi rende questa responsabilità ancora più grave, e la legittimità conferita a questa Assemblea dall’elezione a suffragio universale, speriamo, ci aiuterà a farcene carico, e a diffondere questa nostra pace nel mondo esterno”. (Dal discorso di Simone Veil, Presidente del primo Parlamento europeo eletto a suffragio universale e diretto, 17 luglio 1979)

“Qualcuno ha detto che la federazione europea è un mito. È vero, è un mito nel senso soreliano. E se volete che un mito ci sia, ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti fra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l’unione? Volete il mito della dittatura, il mito della forza, il mito della propria bandiera, sia pure accompagnato dall’eroismo? Ma noi, allora, creeremmo di nuovo quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io vi dico che questo mito è mito di pace; questa è la pace, questa è la strada che dobbiamo seguire”. (Dal discorso di Alcide De Gasperi al Senato della Repubblica, 15 novembre 1950)

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Dobbiamo ricostruire un’Europa di pace

Non basta dire “Europa, Europa…”
per evitare l’inferno

“Dobbiamo recuperare lo spirito di Ventotene e lo slancio pionieristico dei Padri Fondatori, che seppero mettere da parte le ostilità della guerra, porre fine ai guasti del nazionalismo dandoci un progetto capace di coniugare pace, democrazia, diritti, sviluppo e uguaglianza.” Discorso di insediamento del Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli (Strasburgo, 3 luglio 2019)

Cosa possiamo fare per salvare l’Unione Europea? Per promuovere l’Unione “politica”? Per colmare il gap esistente tra le ambizioni e la realtà?

Partiamo dal presupposto che siamo tutti d’accordo sul fatto che c’è bisogno di più Europa, soprattutto di più Europa “politica”. In molti lo stiamo ripetendo da diversi lustri, quanto meno dalla caduta del Muro di Berlino e dalla fine dell’era bipolare.

Il punto è: quale Europa “politica” vogliamo?

L’Europa che rilancia una folle corsa al riarmo o l’Europa che avvia un negoziato globale per la pace e la giustizia sociale internazionale?

L’Europa sonnambula che cammina verso il precipizio trascinando con se le popolazioni che dovrebbe servire o l’Europa determinata “a salvare le future generazioni dal flagello della guerra e a riaffermare la fede nei diritti fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana”?

L’Europa che lascia impuniti i crimini più atroci, quali i crimini di guerra e contro l’umanità o l’Europa che fa della giustizia penale internazionale una delle sue priorità?

L’Europa dei doppi standards – si alle sanzioni contro la Russia, no alle sanzioni contro Israele, si al mandato d’arresto internazionale contro Putin, no al mandato d’arresto internazionale contro Netanyahu – o l’Europa della legge uguale per tutti?

L’Europa che fa prevalere le criminali politiche neoliberiste sulla giustizia sociale, climatica e di genere o l’Europa che vuole dare piena attuazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030 come previsto dall’Agenda delle Nazioni Unite?

L’Europa che alimenta la tumultuosa crescita dei partiti di estrema destra, cova nel suo seno i nazionalismi e costruisce muri ai suoi confini esterni, o l’Europa dei diritti fondamentali, dello stato sociale, della solidarietà, dell’accoglienza, dell’inclusione? E ancora.

L’Europa intergovernativa dell’unanimità e dei veti o l’Europa sopranazionale della maggioranza qualificata con un ruolo centrale del Parlamento europeo e del Comitato europeo delle Regioni e con un dialogo strutturato con le organizzazioni della società civile?

Quali sono i valori dell’Unione Europea? L’individuazione dei valori è fondamentale perché consente di capire le ragioni profonde che stanno alla radice del processo di integrazione sopranazionale europeo. Il prof. Antonio Papisca scriveva: “Il problema dei valori è il problema del perché dell’UE, della sua identità: l’Europa unita eventualmente si, ma à quoi faire?”

Qual è l’identità dell’Europa? Quella di difendere i rispettivi confini nazionali per evitare che le persone che cercano di fuggire dalle guerre e dalla fame possano arrivare da noi, o quella di spegnere gli incendi lavorando per la pace e il rispetto di tutti i diritti umani per tutti?

L’UE è sempre stata un attore civile (economico, commerciale, culturale). Un attore di soft power, a sostegno del diritto internazionale dei diritti umani, della diplomazia preventiva e del multilateralismo efficace, anche di fronte a minacce globali quali terrorismo, conflitti regionali, proliferazione di armi di distruzione di massa.

Per diventare un attore di hard power ci vogliono unità, visione, strategia, leadership, tutte caratteristiche che mancano all’UE. Ma soprattutto ci vogliono soldi, tanti soldi, che non ci sono o che bisogna togliere alla cura delle persone, della loro dignità e dei loro diritti fondamentali.

Oggi, l’UE è divisa. E’ divisa sulla politica estera, sulla politica di difesa, sullo sviluppo di una politica industriale in materia di armamenti, sulla politica di asilo e immigrazione, sulla politica della cittadinanza, sulla politica fiscale, sul green deal, ….

Ma non può esistere una politica comune di difesa senza una politica estera comune, senza una visione strategica di lungo periodo. Per esempio: quali saranno i rapporti dell’UE con la Russia quando la guerra sarà finita? Saranno rapporti fondati sul dialogo e la cooperazione o sulla deterrenza e il riarmo? La mancanza di una visione e di una volontà unitaria rimane dunque il problema centrale dell’UE.

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Il futuro della pace e della sicurezza dell’Europa non può essere affidato alla follia di governanti che alimentano le guerre e una nuova spaventosa corsa al riarmo. Oggi c’è bisogno di una nuova Conferenza di Helsinki che, come nel 1975, riunisca tutti gli Stati del nostro continente e dia nuovo avvio alla costruzione in Europa di un sistema di sicurezza comune, dall’Atlantico agli Urali, basato sul disarmo, i diritti umani, il diritto all’autodeterminazione dei popoli e i diritti delle minoranze.

L’Europa deve ricominciare a lavorare per la pace, con coraggio, lungimiranza e creatività. Come fecero i Padri fondatori dell’Europa che, sulle macerie di due guerre mondiali, in un tempo di grandi sofferenze e divisioni, “osarono trasformare i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione”. Grazie a questo sforzo straordinario, l’Europa è stata un originale progetto e un grande esperimento di pace. Nessuno può permettersi di cancellare quella che è la prima ragion d’essere dell’Europa.

L’Europa che vogliamo ripudia la guerra, è fondata sulla pace e sui diritti umani, sulla dignità umana e sui diritti che le ineriscono, sui valori indivisibili e universali della libertà, della democrazia, dell’eguaglianza, della giustizia e della solidarietà.

L’Europa che vogliamo è aperta, democratica, solidale e nonviolenta. E’ l’Europa della convivialità e dell’interculturalità; un’Europa che è accoglienza di popoli, di lingue, di culture, di identità e di storie diverse; un’Europa che rifiuta il razzismo e la discriminazione in tutte le sue forme; che riconosce e rispetta i diritti dei migranti e il diritto d’asilo ai profughi e rifugiati in fuga dalla guerra, dalla violenza e dalla fame.

Abbiamo bisogno urgente di un’Europa di pace:

- decisa a riaffermare sé stessa come soggetto politico di pace, democratico e indipendente;
- determinata a costruire un ordine mondiale più giusto, pacifico e democratico centrato sulle Nazioni Unite e sul diritto internazionale dei diritti umani, sulla solidarietà e la cooperazione internazionale;
- decisa a contrastare la corsa al riarmo, a promuovere il disarmo e a combattere la fame, la sete, le malattie e la povertà promuovendo un’economia di pace e giustizia;
- impegnata a ridefinire coerentemente i suoi rapporti di amicizia e cooperazione con tutti i popoli e i paesi, a partire dai suoi vicini, con il mondo arabo e con il resto del mondo.

Abbiamo bisogno di un’Europa che sappia agire non in base alla legge della forza ma con la forza della legge. In questa prospettiva, l’Onu, istituzione multilaterale per antonomasia, è indispensabile per gestire l’ordine mondiale nel rispetto di “tutti i diritti umani per tutti” e per costruire un’economia di giustizia. C’è bisogno di una istituzione mondiale in cui tutti gli stati, grandi e piccoli, siano rappresentati e tutti i popoli, anche i più lontani e diseredati, possano far sentire la loro voce. Se l’UE è sincera nel proclamare oggi la centralità delle Nazioni Unite, occorre senza indugio che persegua il duplice obiettivo del potenziamento e della democratizzazione della massima organizzazione mondiale.

La via giuridica e istituzionale alla pace, con al centro l’architettura multilaterale e il diritto internazionale dei diritti umani generato all’indomani della Seconda guerra mondiale, è la bussola che l’Unione Europea deve seguire se vuole continuare ad esistere.

Marco Mascia, Presidente Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova

Flavio Lotti, Presidente Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace

3 marzo 2025
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Disimparare la guerra
ReArm Europe: un suicidio per l’Europa

10/03/2025 su Costituente Terra
Con l’approvazione del “ReArm Europe”: il Consiglio europeo, cioè i 27 capi di stato e di governo, accettando la proposta sconsiderata della Von Der Leyen, aprono la strada al suicidio dell’Europa.
Mimmo Rizzuti
Scrive Effrey Sachs a conclusione di un suo articolo di giovedì 6 marzo [ripubblicato da Aladinews]:
“È arrivato il momento per una diplomazia che garantisca la sicurezza collettiva in Europa, Ucraina e Russia. L’Europa dovrebbe aprire negoziati diretti con Mosca e spingere Russia e Ucraina a firmare un accordo basato sul comunicato di Istanbul del 29 marzo e sulla bozza di accordo del 15 aprile 2022. La pace in Ucraina deve essere seguita dalla creazione di un nuovo sistema di sicurezza collettiva per tutta l’Europa, da Londra agli urali e oltre.”
E questo può avvenire solo se si imbocca, anche con la mobilitazione e la presenza in tutte le piazze che rivendichino il ritorno ai principi e ai valori fondativi dell’Unione Europea, la strada, non già del riarmo dei singoli stati, che porterebbe a un’Europa fatalmente e tragicamente devastata da guerre – le ultime in ordine di tempo e le prime per distruzione e morte, dopo la prima e la seconda guerra mondiale del secolo scorso – ma quella di un nuovo patto tra popoli e stati, attraverso una costituzione della terra che riformi ONU e gli organismi internazionali e, soprattutto, introduca le garanzie e le istituzioni di garanzia che rendano effettive le enunciazioni di principio sulla pace, i diritti, la dignità e l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, i diritti dei lavoratori, l’accoglienza e l’inclusione dei migranti, la tutela della natura.
Una costituzione sovrannazionale, condivisa e garantita da tutti, in grado di porre limiti e controlli ai poteri selvaggi dei nuovi padroni del mondo, giacché una possibile apocalisse mondiale segnerebbe anche la loro fine. La storia insegna che la deterrenza non ha mai evitato tragedie immani.
“Se vuoi la pace prepara la pace e non la guerra.”
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La comunità internazionale s’incontra a New York per il disarmo

img_2045- Approfondimenti: https://retepacedisarmo.org/disarmo-nucleare/2025/la-comunita-internazionale-si-incontra-a-new-york-per-il-disarmo-nucleare-litalia-ci-sara/

Costituente Terra: domani l’Assemblea (dalle ore 15 alle 19). Progettare il Futuro. Per una alternativa democratica al fascio liberismo e al tecno-feudalesimo dei nuovi padroni del mondo

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Ecco come collegarsi a Youtube: https://www.costituenteterra.it/convocazione-allassemblea-del-26-febbraio/
Carissime e carissimi,
il prossimo 26 febbraio è convocata a Roma, presso la biblioteca Vallicelliana, in Piazza della Chiesa Nuova n.18, dalle ore 15.00 alle ore 19.00, in presenza e in diretta streaming,
l’Assemblea generale 2025 di Costituente Terra, sul seguente tema: Progettare il Futuro. Per una alternativa democratica al fascio liberismo e al tecno-feudalesimo dei nuovi padroni del mondo.

Oggi lunedì 24 febbraio 2025

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Che scemenzaio sulla doverosità delle dimissioni di chi ci governa!
23 Febbraio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Lo scemenzaio politico italiano si arricchisce ininterrottamente di nuove perle. Avete sentito l’ultima? Il Tribunale condanna. Delmastro per aver svelato segreti d’ufficio al suo amico di partito, che, con insuperabile acume, lo svela addirittura alla Camera, e subito che fa il sottosegretario alla giustizia? Dice che la decisione è politica, non è fondata sui […]
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di Giancarlo Infante su PoliticaInsieme.
https://www.politicainsieme.com/la-germania-resta-democratica-e-in-europa-di-giancarlo-infante/
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AL ARD FILM FESTIVAL Shining a light on Palestine and the Arab world since 2002 Cagliari, Sardinia

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https://alardfilmfestival.com/?fbclid=IwY2xjawIhNl9leHRuA2FlbQIxMQABHZ8xBhcQu3YzEtOJi8r5MqQHOso595yfOr05VjS_zFR9XZCm5662NXg91Q_aem_Kw3XdelzEtnkLXVrnSKFdw&sfnsn=scwspwa
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Dal 25 febbraio al 1 marzo 2025 al Teatro Massimo di Cagliari.

Costituente Terra – Convocazione all’assemblea delle socie e dei soci del 26 febbraio 2025

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Carissime e carissimi,
il prossimo 26 febbraio è convocata a Roma, presso la biblioteca Vallicelliana, in Piazza della Chiesa Nuova n.18, dalle ore 15.00 alle ore 19.00, in presenza e in diretta streaming,

l’Assemblea generale 2025 di Costituente Terra, sul seguente tema: Progettare il Futuro. Per una alternativa democratica al fascio liberismo e al tecno-feudalesimo dei nuovi padroni del mondo.

Estote parati!

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L’attacco alla Corte Penale Internazionale in corso è un atto eversivo pari ad un colpo di stato. Un colpo di stato internazionale contro la giustizia, la legalità democratica e il diritto internazionale. E dunque la libertà e la pace.
L’obiettivo dei golpisti è chiaro: distruggere tutte le regole per poter dettare le proprie, distruggere la “Costituzione mondiale” (la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale penale e dei L diritti umani) per imporre la propria, distruggere quel che resta dell’Onu e del sistema di Agenzie specializzate per non dover più rendere conto a nessuno.
Siamo ad un passo dalla cancellazione di tutte le più importanti conquiste democratiche dell’umanità degli ultimi 80 anni. Attenzione! Oggi tocca all’Onu, domani toccherà a noi!
L’adozione di misure sanzionatorie contro la Corte Penale Internazionale (CPI), i suoi funzionari e il suo personale, e contro coloro che cooperano con essa in conformità con lo Statuto di Roma (1998) da parte del Presidente degli Stati Uniti Trump, rappresenta un attentato gravissimo allo stato di diritto internazionale e all’architettura multilaterale con al centro il sistema delle Nazioni Unite, fondamentale per promuovere la pace e la sicurezza globale.
Le stesse autorità russe hanno avviato un processo di delegittimazione della CPI e hanno emesso mandati di arresto contro i giudici e il procuratore della Corte quale ritorsione per il mandato d’arresto contro il presidente Vladimir Putin.
Tali misure mettono gli Stati Uniti, la Russia e i paesi che le difendono, come l’Italia, dalla parte degli eversori e dei criminali.
La Corte Penale Internazionale è uno strumento di giustizia internazionale che trova il suo fondamento giuridico nella Carta delle Nazioni Unite e nelle Convenzioni internazionali sui diritti umani. La sua legittimità e capacità d’azione va difesa, costi quel che costi, insieme al diritto internazionale dei diritti umani: un diritto per la sicurezza umana che ha come soggetto primario la persona e i gruppi umani, non più lo Stato. Un diritto che impone agli Stati il dovere di promuovere e salvaguardare la vita e la pace. Prendersi cura della CPI significa prendersi cura delle vittime e dei sopravvissuti alle violazioni dei diritti umani che hanno il sacrosanto diritto alla giustizia.
Oggi, la responsabilità di indagare e punire i crimini è un obbligo giuridico per gli Stati. Né la ragione politica né la ragion di Stato possono essere invocati per non rispettare questo obbligo. Nessuno può essere al di sopra della legge.
Bene hanno fatto, dunque, i 79 paesi che hanno sottoscritto la “Dichiarazione congiunta a sostegno della Corte Penale Internazionale”. Il governo italiano ha scelto di non firmare compiendo una gravissima scelta di campo contraria agli
articoli 10 e 11 della Costituzione, all’orientamento del Presidente della Repubblica e alla volontà della quasi totalità dei paesi dell’Unione Europea (come l’Italia si sono comportati solo l’Ungheria e la Repubblica Ceca).
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Con coraggio e amore
Dobbiamo reagire!

L’impunità è l’ostacolo più grande alla giustizia e alla riparazione dei torti subiti delle vittime e dai sopravvissuti alle violazioni dei diritti umani e ai crimini di guerra e contro l’umanità. L’impunità mina la fiducia nelle istituzioni politiche e nei principi di
democrazia e stato di diritto a livello nazionale e internazionale.
L’alternativa alla Corte Penale Internazionale, all’Onu e al sistema
multilaterale democratico è la legge del più forte, il dominio dell’illegalità, dell’arbitrio e dell’impunità, la violazione sistematica dei fondamentali diritti umani, delle libertà e della democrazia.
Facciamo appello a tutte le donne, gli uomini, le associazioni e le istituzionindemocratiche che hanno a cuore i principi di libertà, uguaglianza, dignità, diritti umani, giustizia, democrazia e pace. Uniamo le nostre voci e i nostri sforzi per:
1. difendere e potenziare la Corte Penale Internazionale e la lotta contro l’impunità, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (vedi il doc. “Difendi la Corte”, 27 novembre 2024);
2. salvare, democratizzare e rilanciare l’Onu, presidio indispensabile
dell’impegno dell’umanità per la pace, la libertà, la giustizia e la
promozione di tutti i diritti umani per tutti (vedi il doc. “Salviamo l’Onu” 24 ottobre 2024).
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Aderisci anche tu al Comitato nazionale per la difesa della Corte Penale Internazionale e dell’Onu. Continuiamo a lottare per costruire un mondo più giusto e pacifico.
Il Comitato nazionale per la difesa della Corte Penale Internazionale e dell’Onu è aperto al contributo di persone, associazioni, organizzazioni, enti locali, scuole, università e istituzioni. Il Comitato si impegna a sostenere la Campagna per il rafforzamento e la democratizzazione dell’Onu promossa in occasione dell’80° anniversario delle Nazioni Unite (1945-2025) che culminerà con l’Assemblea dell’Onu dei Popoli (6-12 ottobre 2025) e la Marcia PerugiAssisi
della pace e della fraternità “Imagine All The People” del 12 ottobre 2025.

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Marco Mascia, Presidente Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” –
Università di Padova
Flavio Lotti, Presidente Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace
10 febbraio 2025
Per aderire clicca qui https://forms.gle/CMUVj6RohAQYadGc9
Chiedi al tuo Comune di approvare l’Ordine del Giorno per difendere i diritti e il diritto
Per info: Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace, via della viola 1 (06122) Perugia – Tel. 335.1401733 – email adesioni@perlapace.it – www.perlapace.it – www.perugiassisi.org
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Dichiarazione congiunta
Sanzioni alla Corte Penale Internazionale (CPI)
7 febbraio 2025
Noi, gli Stati Parte dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (CPI), ribadiamo il nostro continuo e incrollabile sostegno all’indipendenza, imparzialità e integrità della CPI. La Corte funge da pilastro vitale del sistema di giustizia internazionale garantendo la responsabilità per i crimini internazionali più gravi e giustizia per le vittime.
Oggi la Corte sta affrontando sfide senza precedenti. Sono state adottate misure sanzionatorie contro la Corte, i suoi funzionari e il suo personale, e contro coloro che cooperano con essa in risposta al fatto che la Corte sta svolgendo il suo mandato in conformità con lo Statuto di Roma.
Tali misure aumentano il rischio di impunità per i crimini più gravi e minacciano di erodere lo stato di diritto internazionale, cruciale per promuovere l’ordine e la sicurezza globali. Inoltre, le sanzioni potrebbero compromettere la riservatezza di informazioni sensibili e la sicurezza di coloro che sono coinvolti, compresi vittime, testimoni e funzionari della Corte, molti dei quali sono nostri connazionali.
Le sanzioni minerebbero gravemente tutte le situazioni attualmente oggetto di indagine poiché la Corte potrebbe dover chiudere i suoi uffici sul campo.
Promuovere il lavoro vitale della CPI serve il nostro interesse comune nel promuovere la responsabilità, come dimostrato dal sostegno fornito alla Corte sia dagli Stati Parte che dai non Stati Parte.
In qualità di forti sostenitori della CPI, deploriamo qualsiasi tentativo di minare l’indipendenza, l’integrità e l’imparzialità della Corte. Siamo impegnati a garantire la continuità operativa della CPI in modo che possa continuare ansvolgere le sue funzioni in modo efficace e indipendente.
Mentre ci sforziamo collettivamente di sostenere la giustizia internazionale, sottolineiamo il ruolo indispensabile della CPI nel porre fine all’impunità, promuovere lo stato di diritto e favorire il rispetto duraturo del diritto internazionale e dei diritti umani.

Afghanistan, Albania, Andorra, Antigua and Barbuda, Austria, Bangladesh, Belgium, Belize, Bolivia, Bosnia and Herzegovina, Brazil, Bulgaria, Cabo Verde, Canada, Chile, Colombia, Comoros, Costa Rica, Croatia, Cyprus, Democratic Republic of the Congo, Denmark, Dominican Republic, Estonia, Finland, France, Gabon, Gambia, Germany, Ghana, Greece, Grenada, Guatemala, Honduras, Iceland, Ireland, Jordan, Latvia, Lesotho, Liechtenstein, Lithuania, Luxembourg, Maldives, Malta, Mexico, Mongolia, Montenegro, Namibia, Netherlands,
Nigeria, North Macedonia, Norway, Panama, Peru, Poland, Portugal, Republic of Moldova, Romania, Saint Kitts and Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent and the Grenadines, San Marino, Senegal, Seychelles, Sierra Leone, Slovakia, Slovenia, South Africa, Spain, State of Palestine, Sweden, Switzerland, Timor-Leste, Trinidad and Tobago, Tunisia, Uganda, United Kingdom, Uruguay, Vanuatu.
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CARITAS ROMA INVITA A FIRMARE QUESTA PETIZIONE: La discussione sulla trasparenza nel finanziamento all’export di armi torna al centro del dibattito politico. Dal 6 febbraio, infatti, il Parlamento ha ripreso l’iter di modifica della Legge 185/90, suscitando forti preoccupazioni tra molte organizzazioni della società civile. Le proposte in discussione rischiano di compromettere seriamente i principi di trasparenza e controllo che questa normativa garantisce da oltre trent’anni.

Insieme a Caritas Italiana, aderiamo alla Campagna della Rete Pace Disarmo e sosteniamo la seguente dichiarazione, anche in quanto membri della rete dei Soci di Riferimento di Banca Etica:

“La proposta di modifica della Legge 185/90 mette in discussione un importante risultato della società civile italiana: l’obbligo di trasparenza da parte delle banche rispetto al finanziamento alla produzione ed export di armi. Riteniamo grave questo passo indietro, una rinuncia a un diritto di informazione ottenuto dopo lunghi e importanti confronti e contrattazioni. Chiediamo al Parlamento di aprire un dibattito onesto e aperto. Ricordiamo che il mercato delle armi è uno dei più corrotti al mondo e strumenti di controllo sono necessari per continuare a costruire la pace e non la guerra. Crediamo in una finanza che costruisce e sostiene la pace.”
Per opporsi a questi cambiamenti, è stata lanciata la petizione “Basta favori ai mercanti di armi! Fermiamo lo svuotamento della Legge 185/90”. Se lo ritieni puoi firmare a questo link: https://retepacedisarmo.org/petizione-basta-favori-ai-mercanti-di-armi-fermiamo-lo-svuotamento-della-legge-185-90/
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https://www.cittanuova.it/export-di-armi-attacco-finale-alla-legge-185-del-90/?ms=003&se=020
A proposito di questa petizione… qua trovate un articolo che spiega bene l’evoluzione di questa legge.

Venerdì 14 marzo 2025 Ferrajoli a Cagliari, alla Facoltà Teologica

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Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna – Via Sanjust 13 Cagliari. Venerdì 14 marzo 2025, ore 17.
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L’umanità al bivio: un nuovo modo di abitare la terra?
Saluti del Preside della Facoltà mons. prof. Mario Farci.
Presentazione del relatore a cura del prof. Gianni Loy.
Relazione del prof. Luigi Ferrajoli.
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Dibattito
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Il discorso di insediamento di Trump è andato oltre ogni peggiore aspettativa. Quello che si è profilato davanti agli occhi è stato il fantasma di un cripto-fascismo planetario con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni

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Ai Mittenti e Interlocutori della Lettera agli ebrei e delle Notizie da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Giovedì 23 gennaio 2025

CRIPTOFASCISMO PLANETARIO

Cari Amici,
l’Occidente che non è andato a Washington per l’inaugurazione di Trump ha passato lunedì, 20 gennaio, una giornata di sgomento e di incubo. Il discorso di insediamento di Trump è andato oltre ogni peggiore aspettativa. Quello che si è profilato davanti agli occhi è stato il fantasma di un cripto-fascismo planetario con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni. La democrazia, come sacro valore dell’Occidente, è in crisi, e addirittura, come hanno detto i primi sconsolati commenti seguiti alla festa di Capitol Hill, sarebbe finita. Non però per un destino, bensì per responsabilità e scelta di coloro stessi che oggi la rimpiangono. Quella che è finita è in realtà la democrazia ridotta a puro esercizio elettorale, non a caso disertato dai più, senza tutto quello che ci avevamo messo dentro noi nella nostra Costituzione, ciò per cui l’Italia dovrebbe essere un modello, altro che Salvini.
L’America paga il conto, e lo fa pagare a noi, delle scelte sbagliate che ha fatto dopo la caduta del muro di Berlino e l’attacco alle due Torri di New York. Inseguendo, come del resto fa da sempre, il mito dell’“America first”, – prima l’America – ha creduto che la sua sicurezza e la sua fortuna stessero nel dominio del mondo, nell’avere un’Armata quale non si era mai vista prima sulla Terra, e perfino nel disporsi alla guerra preventiva, perché “la migliore difesa è una buona offesa”. Questo era il diafano Biden, non a caso bersaglio del rigetto elettorale. Dava per ormai finita la Russia, e per questo le ha lanciato contro la povera Ucraina, e proclamava urbi et orbi (nei documenti sulla strategia nazionale americana) la competizione strategica e la sfida finale con la Cina, il solo avversario che avesse “sia l’intento di rimodellare l’ordine internazionale, sia il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo”. Sicché Casa Bianca e Pentagono hanno messo nella spesa militare 800 miliardi di dollari all’anno, mentre la Russia ce ne mette 80, togliendo centinaia di miliardi di dollari all’anno al benessere del popolo americano. Dobbiamo a questo, come ha detto Bernie Sanders, l’eterno candidato alla Presidenza della sinistra americana, se “non c’è una ragione razionale per cui abbiamo una disuguaglianza enorme e crescente di reddito e ricchezza, non c’è una ragione razionale per cui siamo l’unico grande Paese a non garantire l’assistenza sanitaria per tutti, non c’è una ragione razionale per cui 800.000 americani sono senza casa e milioni di altri spendono più della metà del loro reddito per mettere un tetto sopra la testa, non c’è una ragione razionale per cui il 25% degli anziani in America cerca di sopravvivere con 15.000 dollari all’anno o meno, per cui abbiamo il più alto tasso di povertà infantile di quasi tutte le nazioni ricche, per cui i giovani lasciano l’università profondamente indebitati o per cui l’assistenza all’infanzia è inaccessibile per milioni di famiglie”.
Ciò spiega gli eventi di oggi, come si sia passati dall’Occidente “allargato” fino all’Indo-Pacifico, al Giappone e all’Australia di Biden al cripto-fascismo globale di Trump, con tanto di autarchia (i dazi), le sanzioni, gli ordini esecutivi a pioggia, la confusione dei poteri, la giustizia di regime, la pena di morte, l’immunità fiscale dei super-ricchi, e la pretesa di decidere quando cominciare o finire queste “ridicole” ma sempre tragiche guerre.
Tuttavia, il peggio che si è materializzato in America in questo lunedì nero del 20 gennaio, potrebbe non essere tale da contagiare il mondo intero. Potrà fare grandissimi danni, e fare scuola soprattutto nelle maggioranze silenziose, ma potrebbe restare circoscritto a ciò che si è visto tra il Campidoglio e la Capital One Arena, un bagno di folla osannante e soggiogata, chiuso però in una bolla che è l’America e non è il mondo. Non c’è un solo globo terracqueo, il mondo non è pronto per un fascismo planetario, ha altri pensieri, un’altra vocazione. Certo, dipende da noi, ma ora è chiara l’alternativa: o la resa a questa caduta della storia, o la resistenza e la costruzione di una vera comunità internazionale di diritto con un’umanità indivisa.
Del resto non tutto quello che Trump ha annunciato e minacciato col suo sguardo torvo si realizzerà veramente, sembra più un bluff da miles gloriosus che un vero annuncio. Non ci sarà nessun approdo e insediamento su Marte entro la fine di questo mandato presidenziale. La scienza è stata tassativa: a questo punto dell’evoluzione della specie, l’umanità non è in grado, fisicamente e antropologicamente, di affrontare un viaggio in quel pianeta lontano. Non foss’altro che per la durata del viaggio, due anni per l’andata e il ritorno esposti alle radiazioni cosmiche, soggetti all’indebolimento muscolare e scheletrico che il corpo umano subirebbe in una lunga permanenza nello Spazio, con i connessi scompensi del tono muscolare cardiaco. Occorrerebbe costruire enormi astronavi ruotanti, in grado di generare al proprio interno una forza simile alla gravità terrestre, ciò che si potrebbe fare solo direttamente nello Spazio, sfruttando ipotetiche materie prime raccolte anch’esse lassù (da asteroidi o dalla Luna); per non parlare della vita su Marte, fino a 126 gradi sottozero.
Ciò vuol dire che il mito dell’accoppiata Trump-Musk è già caduto, e se l’obiettivo politico più simbolico di tutte le promesse presidenziali si mostra come impossibile e falso, vuol dire che anche il resto non è troppo sicuro, a cominciare dalla deportazione, o espulsione, di milioni di migranti, dati per criminali internazionali e invasori: si dovrebbe fare con l’esercito schierato sul confine meridionale col Messico, lasciando “i nostri guerrieri liberi di sconfiggere i nostri nemici”, come dice Trump; ma con questo finisce il mito della fortezza americana, l’idea che mai nessuno potrà varcare in modo offensivo la frontiera degli Stati Uniti; ecco che secondo Trump questo sarebbe già avvenuto ad opera dei migranti, essendo mancata la difesa dei confini, neanche l’America fosse Lampedusa come è nell’immaginazione ossessiva di Salvini.
E per quanto riguarda il ritorno incondizionato al petrolio, al carbone, così da irradiarlo a suon di dollari in tutto il mondo, in che consiste l’”America first”? Consiste nel fatto che l’America sarà la prima a risentirne, insieme alle isole che saranno sommerse dal mare, e ne avrà cicloni e tornado sempre più devastanti, e bruceranno le città, come ieri l’incendio di Chicago e oggi quello di Los Angeles, dove perfino i ricchi “hanno perso le loro case”.
E che dire di questo presentarsi di Trump come il Messia che Dio stesso avrebbe protetto col suo scudo perché compisse la sua missione in America e nel mondo? Per l’America non si tratta di una novità, c’era il giovane Bush che andando a distruggere l’Iraq diceva di “piangere appoggiato alla spalla di Dio”. E ora Trump tira fuori la religione come sgabello ai suoi piedi, e mette Dio sopra di sé, a garante del suo potere. Solo che il Dio della tradizione ebraico-cristiana a cui si rifà il messianismo giunto in America attraverso la Ginevra di Calvino, non è un Dio che si può chiamare in servizio a fare da scudiero ai potenti, ma è il Dio che rovescia i potenti dai troni ed esalta gli umili, il Dio tutto misericordia e niente vendetta di papa Francesco. E dunque se religione deve essere e si giunge a giurare su due Bibbie al Campidoglio, come se una non bastasse, quella di Lincoln del 1861 e quella donata a Trump dalla madre nel 1955, bisogna ricominciare a chiedersi chi è questo Dio a cui si fa così plateale appello.
Forse, di fronte a queste sfide, bisognerebbe ripensare alla cattiva qualità della secolarizzazione quale l’abbiamo acriticamente fatta in Occidente: anche per questo sarebbe importante che l’identità spirituale e profetica dell’ebraismo tornasse a risplendere, non trascinata negli stermini, non ristretta a una sola etnia, non tradita dalle politiche dello Stato di Israele.
Con i più cordiali saluti,

Lo Scriba per “Prima loro”
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In diffusione:

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I 40 anni della CSS

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Confederazione Sindacale Sarda Css: una lotta sindacale lunga 40 anni

di Francesco Casula*

La Confederazione Sindacale Sarda compie 40 anni: li celebrerà il 19 gennaio prossimo al Caesar’s Hotel di Cagliari. Tra gli ospiti ci saranno rappresentanze dei sindacati europei delle Nazioni senza Stato: Catalani, Baschi, Corsi, Valdostani.
La CSS è nata il 20 Gennaio 1985: è il terzo Sindacato etnico in Italia dopo quello valdostano (fondato nel 1952) e quello Sudtirolese (ASGB) nato nel 1978. L’ideatore della CSS e il primo segretario generale è stato il compianto Eliseo Spiga, scomparso nel 2009. Dopo di lui Francesco Casula e Giacomo Meloni; il segretario attuale.
Il sindacato etnico sardo – o della Nazione sarda, come ama definirsi – nasce per difendere i sardi sia come lavoratori – salario, occupazione, orario e condizioni di lavoro – sia come sardi e dunque nella loro dimensione culturale e linguistica. Di qui la battaglia del Sindacato sardo a favore del Bilinguismo e per l’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado, come materia curriculare la lingua e la storia sarda.
Anche in forte polemica con i Sindacati italiani – CGIL-CISL-UIL in primis – contesta duramente il tipo di sviluppo e di industrializzazione che lo Stato – con la complicità delle classi politiche sarde e degli stessi sindacati – ha imposto alla Sardegna negli ultimi 50 anni, uno sviluppo tutto giocato sulla petrolizzazione dell’Isola e sulle industrie nere e inquinanti, che hanno devastato il territorio senza peraltro creare né occupazione, né prosperità e benessere. La grave crisi in atto ne è la testimonianza più eclatante.
Di contro sostiene, la necessità di costruire una economia nazionale sarda comunitaria, procedendo a una riappropriazione di tutte le risorse dell’Isola, per gestirle e valorizzarle direttamente. A questo punto l’economia sarda potrebbe confrontarsi con le altre economie non più come produttrice di materie prime o come mera sede di intraprese multinazionali, ma come creatrice di prodotti finiti. Per iniziare così a rompere quel meccanismo infernale, che gli economisti chiamano “lo sviluppo ineguale” per cui la Sardegna – e molte zone del Sud – produce ed esporta semilavorati (per es. petrolio raffinato), a basso valore aggiunto, mentre importa prodotti finiti (per esempio medicine, prodotti della chimica farmaceutica), ad alto valore aggiunto): in questo scambio ineguale, la Sardegna continua a impoverirsi e il Nord Italia, dove si fanno le ultime lavorazioni, si arricchisce viepiù. Per convincersi di questo meccanismo basta guardare i recenti dati ISTAT per quanto attiene al PIL ma non solo. Di qui la proposta della CSS perché finalmente si imbocchi una rotta radicalmente diversa per uno sviluppo endogeno, autocentrato ed ecocompatibile, basato sulle risorse locali. La strategia dello sviluppo – scrive Giacomo Meloni l’attuale segretario della CSS – è vincente se ha la capacità di creare coesione, ascoltare la pluralità delle voci del popolo sardo e far assurgere a valori identitari, insieme alla lingua, alla cultura, ai saperi tradizionali anche l’ambiente l’economia e i sapori della nostra terra. Ambientalista e pacifista, fin dalla sua nascita, si batte per uno sviluppo sostenibile contestando l’odioso baratto (e ricatto) fra lavoro e industrie inquinanti e devastanti l’ambiente. Contraria alle industrie delle armi, in Sardegna da anni lotta contro la RVM di Domusnovas, di cui richiede la conversione in industria di pace. Sempre presente nelle iniziative per la Pace e contro la guerra, è vicina e solidale con Palestinesi, barbaramente repressi e sterminati, in un vero e proprio genocidio, da Netanyahu e dal su governo.
All’interno della sua lotta per la Pace, ritiene indispensabile la smilitarizzazione della Sardegna, cui lo Stato italiano, da decenni oramai le ha assegnato l’odioso ruolo di base si servizio per servitù militari e di addestramento di eserciti di mezzo mondo. Non c’è luogo, in Europa, più militarizzato della Sardegna. Il 65% del demanio militare italiano, ovvero delle opere permanenti adibite alla cosiddetta difesa nazionale, è nella nostra Terra. Tra le varie «servitù militari», come si dice in gergo, troviamo i due poligoni più grandi d’Europa: a Teulada, con un’estensione di 134 km quadrati, ovvero più dell’intera città di Cagliari e a Salto di Quirra dove c’è invece un poligono sperimentale che ha visto lanci di missili al torio, notoriamente radioattivi, famigerato luogo, infatti, di sfacelo sanitario: la cosiddetta sindrome di Quirra.
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* Anche su blog libero
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img_0388IMPORTANTE
Mercoledì 8 gennaio 2025 la Direzione Naz.le della CSS ha approvato :
1.Campagna Tesseramento Anno 2025 Confederazione Sindacale Sarda – CSS:
– Tessera annuale Amico
20 euro;
– Tessera sostenitore CSS
50/100;
– Tessera lavoratore con trattenuta in busta paga
1% su stipendio base.
2.FESTA 40 ANNI DELLA CSS – Domenica 19 gennaio 2025 pres. CAESAR’S HOTEL
via Darwin Cagliari
ore 9 organizzatori
ore 9.30 accoglienza ospiti, autorità e partecipanti;
ore 10 inizio lavori.
Aprono il corteo, preceduto dalle launeddas del maestro Franco Melis:
Giacomo Meloni, attuale Segretario Generale Naz.le;
Francesco Casula, secondo Segretario Generale Naz.le;
Marco Mameli, vice Segr. Naz.le e Presidente Assotziu Consumadoris Sardigna;
Efisio Pilleri, Direttore Ufficio Studi G.M. Angioy della CSS;
Giuseppe Pisanu e Claudio Deligios Segr.Naz.li e Segr. Territoriali CSS/SS
Pietro Doneddu Segr.Naz.le e Segretario. Terr. Nuoro
Patrizio Zucca Segr. Oristano;
Enrico Sanna, Responsabile politiche sindacali giovanili CSS, che coordinerà i lavori, dando la parola.
3. Ordine dei Lavori:
- Saluti agli ospiti e partecipanti del Segretario Giacomo Meloni;
- Prof.Francesco Casula.
Ricordo di Eliseo Spiga, Primo Segretario Naz.le e Fondatore della CSS, scomparso il 19/11/2009.
RELAZIONE: “La Sardegna, le sue radici identitarie: la lingua, la cultura,le tradizioni nella Società sarda e nel mondo del lavoro”
* Stacco musicale
RELAZIONE del Segretario Naz.le dr. Giacomo Meloni sul tema: “La Sardegna per un nuovo modello di sviluppo eco-compatibile, contro le servitù militari, industriali e le nuove servitù energetiche,legato alle nuove tecnologie, alla riscoperta dell’agroalimentare dell’allevamento, alla ricerca scientifica, frontiere di vero progresso, benessere e felicità del popolo sardo”.
* Stacco musicale.
RELAZIONE di Marco Mameli sul tema: ‘La Pace, le Guerre, manifestazioni e Movimenti in Sardegna esperienze e aggregazioni”
* Stacco musicale.
Saluto di dr. Efisio Pilleri
Direttore Ufficio Studi Giovanni Maria Angioy.
*Stacco musicale.
Seguono i saluti delle delegazioni dei Sindacati delle Nazioni Senza Stato
- LAB Sindacato basco
- INTERSINDICAL-CSC
Sindacato catalano
- STC sindacato corso
- SAVT Sindacato valdostano
Eventuali saluti di altri ospiti
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La Festa si conclude alle ore 13 con il canto corale di “Procurad’e moderare”, accompagnato dal suono delle launeddas.

Siate puntuali e numerosi
A presto
Giacomo segretario CSS
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IBAN della Confederazione Sindacale Sarda:
IT70V010150480400000001473
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Prima Loro

img_0455img_0450Ai mittenti e interlocutori della Lettera ai nostri contemporanei del popolo ebraico
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Mercoledì 8 gennaio 2025
Cari Amici,
vi giunge questa lettera dall’indirizzo mail “Come loro”, e non più dall’indirizzo “notizie da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” che abbiamo usato provvisoriamente fin qui data l’urgenza di inviare la newsletter contemporaneamente a molti destinatari. Abbiamo istituito questo nuovo indirizzo per le ragioni chiarite più avanti.
Come era prevedibile la “guerra” di Gaza, ora anche con le letali minacce di Trump, sta portando conseguenze devastanti sul dialogo ebraico-cristiano e più in generale sul rapporto del popolo di Israele con gli altri popoli del mondo. L’interlocuzione tra tanti di noi, anche assai autorevoli, e i membri delle comunità ebraiche italiane, che si era avviato dopo l’invio, il 27 novembre scorso, di una lettera ai “nostri contemporanei del popolo ebraico” (era aggiunto “della diaspora” ma era una delimitazione sbagliata), si è interrotto dopo le prime sollecite risposte delle Comunità di Napoli e Bologna, dopo di allora nessuna comunità ci ha dato più riscontro, come se fosse intervenuta una decisione centrale di non accettare lo scambio; inoltre un incontro promosso da Amnesty International all’Ateneo di Venezia sul pericolo di un genocidio, oggetto del monito della Corte penale internazionale, è stato considerato odioso, mentre la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, è giunta a dire che una nuova visita del Papa alla sinagoga di Roma non sarebbe gradita. Si è profilato così il rischio del venir meno di ogni possibilità di correlarsi giustamente degli uni con gli altri.
A questo punto, non trattandosi fra questi soggetti di un rapporto tra nemici, nasce un problema che non è più solo quello del rapporto del popolo ebraico con i suoi amici e nemici, ma è il problema del rapporto di ciascun popolo con ogni altro popolo, di ogni religione con ogni altra religione, di ogni Stato con ogni altro Stato; rapporti che infatti oggi, nella tragica situazione mondiale sono giunti al limite di un possibile suicidio della specie (nel caso particolare, img_0452“Il suicidio di Israele” è il titolo di un libro di Anna Foa). E l’Europa, proprio lei, è la prima a correre verso l’abisso compromettendo la sua stessa unità.
Dunque ci vuole un salto di qualità. Non una piccola riforma interna a una situazione che non muta, ci vuole un rovesciamento. Ma rovesciare che cosa? Occorre un rovesciamento del primato del sé che ciascuno rivendica rispetto a tutti gli altri. Giusto è il tributo reso alla propria identità, ma è distruttiva l’adorazione di se stessi, il ritenersi i primi o gli unici di cui soddisfare i bisogni o adempiere le pretese, il considerarsi superiori o alternativi agli altri, il pensarsi detentori di doni esclusivi, o investiti di compiti o missioni insostituibili, che generano santi, vittime o oppressori. In questa sindrome rientrano le ideologie del “prima noi”, che vuol dire gli altri fungibili: come scriveva Herbert Spencer, nella sua “Military and industrial society”, se gli uomini sono in grado di vivere, è giusto che vivano, se non sono in grado di vivere, che muoiano.
L’ideologia di “prima l’America”, “America first”, non è solo di Trump ma di tutti i governi americani i quali scrivono nei documenti sulla sicurezza degli Stati Uniti che essi non devono avere nessun altra Potenza superiore a sé, ma nemmeno eguale a sé; così è il proclama di Salvini, “prima l’Italia”, prima la Nazione, o la “patria”, e i migranti abbandonati al mare.
Nel caso di Israele, e non solo di Netanyahu, il problema c’è, e forse determinante, quale si manifesta nella versione sionista, e quindi è attuale e moderno; ma non è insolubile perché il sionismo non è l’ebraismo realizzato, nella sua forma politica oggi vigente. Perciò la confessione ebraica è suscettibile di un “aggiornamento”, come con parola riduttiva si disse della Chiesa all’inizio del Concilio Vaticano II. La Scrittura, cioè la Legge e i Profeti, che è la madre della fede ebraica, è sempre capace di essere compresa e attuata in modo più fedele e salvifico nella inesausta interpretazione e lettura che se ne può fare nel tempo, ciò di cui proprio gli Ebrei, con i loro midrashim sono maestri (per non parlare, in campo cristiano, di Gregorio Magno con il suo “Divina eloquia cum legente crescunt”). Così è stato per la Chiesa cattolica che ha rischiato di essere travolta dalla modernità (“Agonia della Chiesa?” nelle parole del cardinale Suhard!) e nella quale il regime costantiniano, la Cristianità, gli Stati pontifici non sono stati il cristianesimo realizzato ma le forme anche ingiuste e spesso persecutorie felicemente licenziate solo nel XX secolo, dopo una guerra mai vista prima, con il Concilio imprevedibilmente convocato da Papa Giovanni e ora con papa Francesco e i suoi Sinodi. Questa è stata la “conversione” della Chiesa che non ha voluto dire disperdersi nella modernità, né voler “convertire” o assorbire altre confessioni e identità religiose, ma resuscitare la sua figura e il suo ruolo nella comunità dei popoli.
Noi comprendiamo la vertigine del popolo ebraico che rivive sempre l’evento tramandato come fondativo, l’evento folgorante del Sinai, dopo l’uscita dall’Egitto, non come evento del passato, ma come se fosse di oggi. C’è nella nostra memoria una parola illuminante del rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, a un incontro ecumenico di Napoli, che disse come gli Ebrei vivano la liberazione dei loro padri dall’Egitto come se fosse la loro liberazione personale e attuale di oggi, e così ovviamente l’evento del mandato divino e la promessa consegnata sul Sinai; ed era un compito da tremare, un fatto unico quello di dare la legge a tutti.
Ora è chiaro che questa esperienza religiosa non può essere trasposta come tale sul piano politico, e usata come legittimazione dell’operato di un governo e di uno Stato, come accade sotto la spinta dei partiti religiosi ed è avanzata dallo stesso Netanyahu nel suo discorso all’Onu, citando Mosè alle porte della terra promessa, ossia della Palestina di oggi. Perché qui c’è il nodo del rapporto tra Israele e le Nazioni, della contrapposizione con i popoli alieni, fino a volerli sottrarre alla vista. Di qui la “solitudine” di Israele, il sentirsi separato ma perciò anche unico fra tutti, l’idea che
ciò che accade al popolo ebraico sia imparagonabile con qualsiasi altro evento, fino al terrorismo e all’olocausto, la condizione di vittima e la convinzione che l’antisemitismo non sia finito, ma la causa di ogni opposizione o critica a Israele. E in risposta la rottura con gli altri, le inimicizie irrevocabili, l’ostracismo nei confronti degli organismi internazionali e dell’ONU, la Carta dell’Onu stracciata di fronte alla comunità delle Nazioni.
Tuttavia l’ebraismo ha tutti i carismi e le potenzialità per la rivisitazione dei tesori della propria tradizione, e per quel rinnovamento che i tempi richiedono.
Ma, dal particolare all’universale, l’atroce sofferenza che gran parte dei nostri simili nel mondo intero sta soffrendo, sotto l’egida dell’individualismo e della competizione, pongono alla coscienza di tutti noi, alle nostre culture e alle nostre fedi l’esigenza di quel rovesciamento che ci può far uscire dalla crisi: passare dal culto di se stessi, dall’autolatria che rompe l’unità umana, alla scelta non solo di essere “come gli altri”, ma di mettere avanti l’altro – il migrante, il povero, lo scartato, il minore, il palestinese: non “prima noi”, ma “prima loro”. Non è facile, occorre resettare la vita e la società.
Con i piu cordiali saluti,

Lo Scriba per “Prima loro”

P.S. A “Prima loro” sarà anche intitolato un sito. Chi, per qualsiasi ragione, non volesse più ricevere queste newsletters, lo segnali a questo indirizzo del mittente. Chiunque egualmente può chiedere di riceverle.
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- Raniero La Valle
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Dossier Caritas 2024. Riflessioni sapienziali. Articolo di Franco Meloni.

img_0098Pace e guerra: invochiamo Dio che ci salvi, ma la responsabilità per conquistare la Pace spetta all’umanità intera, a partire dai potenti della Terra che governano gli Stati. La Speranza ci aiuterà, come invoca il Giubileo. Che fare come cristiani o semplicemente come uomini e donne pensanti, credenti e non credenti?
di Franco Meloni, giornalista, volontario Caritas.

img_9223Prima di svolgere il tema affidatomi: pace e guerra oggi, ho riletto il pregevole articolo di don Luigi Castangia, nel nostro Dossier dello scorso anno, sul medesimo argomento [1]. Non è un tema facile, avverte don Luigi: “La pace non è semplice assenza di conflitti personali e sociali (…) essa non è solo il contrario della guerra, né tanto meno il frutto di quest’ultima”. Ricorre alla Bibbia per trovare una giusta definizione, cita i profeti per affermare che non esiste pace senza la giustizia e precisa: “Non esiste pace senza un radicale cambiamento di sé, che nel linguaggio biblico è detto conversione: processo nel quale l’uomo rimette in discussione la propria vita e il modo di ragionare in virtù di un bene più grande”. Se la pace non è ridotta a ideologia, essa deve includere tutto ciò che è umano e in primo luogo il rispetto dei diritti, attribuendo a ciascuno quanto gli è dovuto. E per delineare il nostro compito di cristiani: “Il coraggio della pace è possibile fino in fondo solo guardando a un’umanità in cui ciò sia compiuto pienamente. Non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi, Cristo ha vinto il mondo amandolo. (…) Cristo è la nostra pace ed è la via, la verità, la vita, perché insegna a guardare il mondo col realismo di chi sa che la ricerca di pace esige il coraggio della verità e della giustizia, mai disgiunta dalla misericordia”. Il cristiano non è un “pacifista ideologico”. È un costruttore di pace che “lavora per l’unità, umanizzando il mondo”.

Oggi 13 novembre 2024 mercoledì

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L’Università contro il genocidio in Palestina
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Lunedì 4 novembre è stato lo Stop genocide day, su iniziativa della Rete Ricerca e Università per la Palestina e Docenti per Gaza, due organizzazioni formate, rispettivamente, da personale dell’Università, degli enti e dei centri di ricerca; e della Scuola.
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Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Stupisce che il governo insista in una posizione giuridicamente insostenibile. La questione è semplice. Anzitutto la UE ha fissato dei criteri per stabilire se un paese è o non sicuro. In concreto saranno i giudici ad applicare tali criteri al caso oggetto del loro giudizio. Il governo italiano invece, sottraendo la competenza ai giudici, ha […]
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Domenica 20 ottobre 2024

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Oggi 18 settembre 2024 mercoledì

img_0681MISSILI A LUNGA GITTATA NO GRAZIE. IN UCRAINA BISOGNA FERMARE LA GIOSTRA DELL’ESCALATION
17 Settembre 2024
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
Qualcosa non funziona nell’orientamento ufficiale degli Usa: non consentire all’Ucraina di usare i missili che hanno fornito a lunga gittata in territorio russo, ma consentire ad altri paesi della Nato di autorizzarlo, a partire dal Regno Unito. Questo sarebbe l’esito dell’incontro tra Biden e Starmer.
Viene sottaciuto che la conoscenza di quanto accade in Russia, […]
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