Editoriali

PNRR. Le buone intenzioni dell’inferno di Draghi

gov-draghidi Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri.

La pandemia di Covid-19 ha colpito l’economia italiana più di altri Paesi europei. Nel 2020, il prodotto interno lordo si è ridotto dell’8,9 per cento, a fronte di un calo nell’Unione europea del 6,2. L’Italia è stata colpita prima e più duramente dalla crisi sanitaria. Le prime chiusure locali sono state disposte a febbraio 2020, e a marzo l’Italia è stata il primo paese dell’Ue a dover imporre un lockdown generalizzato. Ad oggi risultano registrati oltre 110.000 decessi dovuti al Covid-19, che rendono l’Italia il Paese che ha subito la maggior perdita di vite nell’Ue.

La crisi in Italia e il problema giovani-lavoro
La crisi si è abbattuta su un paese già fragile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. Tra il 1999 e il 2019, il pil in Italia è cresciuto in totale del 7,9 per cento. Nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e 43,6 per cento. Tra il 2005 e il 2019, il numero di persone sotto la soglia di povertà è salita dal 3,3 per cento al 7,7 per cento della popolazione – prima di aumentare ulteriormente nel 2020 fino al 9,4 per cento. A essere particolarmente colpiti sono stati donne e giovani: l’Italia è il paese dell’Ue con il più alto tasso di giovani tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione (Neet), e il tasso di partecipazione delle donne al lavoro è solo il 53,1 per cento, molto al di sotto del 67,4 per cento della media europea. Questi problemi sono ancora più accentuati nel Mezzogiorno, dove il processo di convergenza con le aree più ricche del paese è ormai fermo.

Cambiamenti climatici ed erosione del territorio
L’Italia è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e, in particolare, all’incremento delle ondate di calore e delle siccità. Le zone costiere, i delta e le pianure alluvionali risentono degli effetti legati all’incremento del livello del mare e delle precipitazioni intense. Secondo le stime dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale (Ispra), nel 2017 il 12,6 per cento della popolazione viveva in aree classificate ad elevata pericolosità di frana o soggette ad alluvioni, con un complessivo peggioramento rispetto al 2015. Dopo una forte discesa tra il 2008 e il 2014, le emissioni pro capite di gas clima-alteranti in Italia, espresse in tonnellate equivalenti, sono rimaste sostanzialmente inalterate nel 2019.

Germania e Francia corrono di più
Dietro l’incapacità dell’economia italiana di tenere il passo con gli altri paesi avanzati europei e di correggere i suoi squilibri sociali ed ambientali, c’è l’andamento della produttività, molto più lento in Italia che nel resto d’Europa. Negli ultimi vent’anni, dal 1999 al 2019, il pil per ora lavorata in Italia è cresciuto del 4,2 per cento, mentre in Francia e Germania è aumentato rispettivamente del 21,2 e del 21,3 per cento. La produttività totale dei fattori, un indicatore che misura il grado di efficienza complessivo di un’economia, è diminuita del 5,8 per cento tra il 2001 e il 2019, a fronte di un generale aumento a livello europeo.

P.a. e digitalizzazione, un problema da affrontare
Tra le cause del deludente andamento della produttività c’è l’incapacità di cogliere le molte opportunità legate alla rivoluzione digitale. Questo ritardo è dovuto sia alla mancanza di infrastrutture adeguate, sia alla struttura del tessuto produttivo italiano, caratterizzato da una prevalenza di piccole e medie imprese, che sono state spesso lente nel muoversi verso produzioni di più alto valore aggiunto. La scarsa familiarità con le nuove tecnologie digitali caratterizza d’altronde anche il settore pubblico. Prima dello scoppio della pandemia, il 98,8 per cento dei dipendenti dell’amministrazione pubblica in Italia non aveva mai utilizzato il lavoro agile. Anche durante la pandemia, a fronte di un potenziale di tale modalità di lavoro nei servizi pubblici pari a circa il 36 per cento, l’utilizzo effettivo è stato del 33 per cento, con livelli più bassi, di circa 10 punti percentuali, nel Mezzogiorno.

Il ritardo degli investimenti
Questi ritardi sono in parte legati al calo degli investimenti pubblici e privati, che ha rallentato i necessari processi di modernizzazione della pubblica amministrazione, delle infrastrutture e delle filiere produttive. Nel ventennio 1999-2019 gli investimenti totali in Italia sono cresciuti del 66 per cento a fronte del 118 per cento nella zona euro. In particolare, mentre la quota di investimenti privati è aumentata, quella degli investimenti pubblici è diminuita, passando dal 14,5 per cento degli investimenti totali nel 1999 al 12,7 per cento fino al 2019.

Le riforme fanno crescere il Pil
Le riforme strutturali sono essenziali per migliorare la qualità della spesa da parte delle amministrazioni pubbliche e incoraggiare i capitali privati verso investimenti e innovazione. Secondo un recente studio della Banca d’Italia, le riforme introdotte nell’ultimo decennio in materia di giustizia civile, liberalizzazione dei servizi e incentivi all’innovazione hanno contribuito ad accrescere il pil nel 2019 di una percentuale tra il 3 per cento e il 6 per cento, con ulteriori effetti previsti nel decennio successivo. E’ un impatto significativo, che può essere ulteriormente rafforzato con una nuova agenda di semplificazioni.

Un nuovo miracolo italiano
Questi problemi rischiano di condannare l’Italia a un futuro di bassa crescita da cui sarà sempre più difficile uscire. La storia economica recente dimostra, tuttavia, che l’Italia non è necessariamente destinata al declino. Nel secondo Dopoguerra, durante il miracolo economico, il nostro paese ha registrato tassi di crescita del pil e della produttività tra i più alti d’Europa. Tra il 1950 e il 1973, il pil per abitante è cresciuto in media del 5,3 per cento l’anno, la produzione industriale dell’8,2 per cento e la produttività del lavoro del 6,2 per cento. In poco meno di un quarto di secolo l’Italia ha portato avanti uno straordinario processo di convergenza verso i paesi più avanzati e il reddito medio degli italiani è passato dal 38 al 64 per cento di quello degli Stati Uniti e dal 50 all’88 per cento di quello del Regno Unito.

Tassi di crescita così eccezionali sono legati ad aspetti peculiari di quel periodo, in primo luogo la ricostruzione postbellica e l’industrializzazione di un paese ancora in larga parte agricolo, ma mostrano anche il ruolo trasformativo che investimenti, innovazione e apertura internazionale possono avere sull’economia di un paese.

Ngeu è un’opportunità imperdibile
Il Programma Next Generation Eu
L’Unione europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next Generation Eu (Ngeu). E’un programma di portata e ambizione inedite, che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale. Per l’Italia il Ngeu rappresenta un’opportunità imperdibile di sviluppo, investimenti e riforme. L’Italia deve modernizzare la sua pubblica amministrazione, rafforzare il suo sistema produttivo e intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all’esclusione sociale e alle disuguaglianze. Il Ngeu può essere l’occasione per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni.

L’Italia è la prima beneficiaria, in valore assoluto, dei due principali strumenti del Ngeu, il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (Rrf) e il Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori di Europa (React-Eu). Il solo Rrf garantisce risorse per 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021-2026, delle quali 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto. L’Italia intende inoltre utilizzare appieno la propria capacità di finanziamento tramite i prestiti della Rrf, che per il nostro paese è stimata in 122,6 miliardi.

Sei missioni da compiere
Il dispositivo Rrf richiede agli stati membri di presentare un pacchetto di investimenti e riforme – il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Questo piano, che si articola in 6 Missioni e 16 Componenti, beneficia della stretta interlocuzione avvenuta in questi mesi con il Parlamento e con la Commissione europea, sulla base del Regolamento Rrf. Le sei Missioni del Piano sono: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute. Il Piano è in piena coerenza con i sei pilastri del Ngeu e soddisfa i parametri fissati dai regolamenti europei, con una quota di progetti ‘verdi’ pari al 38 per cento del totale e di progetti digitali del 25 per cento.

Al Mezzogiorno quasi metà degli investimenti
Il 40 per cento circa delle risorse del Piano sono destinate al Mezzogiorno, a testimonianza dell’attenzione al tema del riequilibrio territoriale. Il Piano è fortemente orientato all’inclusione di genere e al sostegno all’istruzione, alla formazione e all’occupazione dei giovani e contribuisce a ciascuno dei sette progetti di punta (European flagships) della Strategia annuale sulla crescita sostenibile dell’Ue. Gli impatti ambientali indiretti sono stati valutati e la loro entità minimizzata in linea col principio del “non arrecare danni significativi” all’ambiente (“do no significant harm” – Dnsh) che ispira il Ngeu.

Le quattro riforme epocali sul tavolo
Il Piano comprende un ambizioso progetto di riforme. Il governo intende attuare quattro importanti riforme di contesto – Pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza. Inoltre, sono previste iniziative di modernizzazione del mercato del lavoro e di rafforzamento della concorrenza nel mercato dei prodotti e dei servizi. E’ prevista infine una riforma fiscale, che affronti anche il tema delle imposte e dei sussidi ambientali.

Pubblica amministrazione

La riforma della Pubblica amministrazione migliora la capacità amministrativa sia a livello centrale che locale; rafforza i processi di selezione, formazione e promozione dei dipendenti pubblici; e incentiva la semplificazione e la digitalizzazione delle procedure amministrative. Si basa su una forte espansione dei servizi digitali, negli ambiti dell’identità, dell’autenticazione, della sanità e della giustizia. L’obiettivo è una marcata sburocratizzazione per ridurre i costi e i tempi che attualmente gravano su imprese e cittadini.

Riforma della Giustizia
La riforma della giustizia ha l’obiettivo di affrontare i nodi strutturali del processo civile e penale e rivedere l’organizzazione degli uffici giudiziari. Nel campo della giustizia civile si semplifica il rito processuale, in primo grado e in appello, e si implementa definitivamente il processo telematico. Il Piano predispone inoltre interventi volti a riformare i meccanismi di riscossione e a ridurre il contenzioso tributario e i tempi della sua definizione. In materia penale, il governo intende riformare la fase delle indagini e dell’udienza preliminare; ampliare il ricorso a riti alternativi; rendere più selettivo l’esercizio dell’azione penale e l’accesso al dibattimento; definire termini di durata dei processi.

Semplificazione e sburocratizzazione
La riforma finalizzata alla razionalizzazione e semplificazione della legislazione abroga o modifica leggi e regolamenti che ostacolano eccessivamente la vita quotidiana dei cittadini, le imprese e la Pubblica amministrazione. La riforma interviene sulle leggi in materia di pubbliche amministrazioni e di contratti pubblici, sulle norme che sono di ostacolo alla concorrenza, sulle regole che hanno facilitato frodi o episodi corruttivi. E’ potenziato il Dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio e presso la Presidenza viene costituito un apposito Ufficio per la razionalizzazione e semplificazione delle leggi e dei regolamenti, per permettere una continuità di proposte e di interventi nel processo di semplificazione normativa.

Tutela della concorrenza
Un fattore essenziale per la crescita economica e l’equità è la promozione e la tutela della concorrenza. La concorrenza non risponde solo alla logica del mercato, ma può anche contribuire ad una maggiore giustizia sociale. La Commissione europea e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella loro indipendenza istituzionale, svolgono un ruolo efficace nell’accertare e nel sanzionare cartelli tra imprese, abusi di posizione dominante e fusioni o acquisizioni di controllo che ostacolano sensibilmente il gioco competitivo. Il governo s’impegna a presentare in Parlamento il disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, o comunque a approvare norme che possano agevolare l’attività d’impresa in settori strategici, come le reti digitali, l’energia e i porti. Alcune di queste norme sono già individuate nel Piano, ad esempio il completamento degli obblighi di gara per i regimi concessori oppure la semplificazione delle autorizzazioni per la realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti. Il governo si impegna inoltre a mitigare gli effetti negativi prodotti da queste misure e a rafforzare i meccanismi di regolamentazione.

Al Ministero dell’Economia il controllo dei fondi
Quanto più si incoraggia la concorrenza, tanto più occorre rafforzare la protezione sociale. Il governo ha predisposto uno schema di governance del Piano che prevede una struttura di coordinamento centrale presso il ministero dell’Economia. Questa struttura supervisiona l’attuazione del piano ed è responsabile dell’invio delle richieste di pagamento alla Commissione europea, invio che è subordinato al raggiungimento degli obiettivi previsti. Accanto a questa struttura di coordinamento, agiscono una struttura di valutazione e una struttura di controllo. Le amministrazioni sono invece responsabili dei singoli investimenti e delle singole riforme e inviano i loro rendiconti alla struttura di coordinamento centrale.

Le task force regionali del governo
Il governo costituirà anche delle task force locali che possano aiutare le amministrazioni territoriali a migliorare la loro capacità di investimento e a semplificare le procedure. La supervisione politica del piano è affidata a un comitato istituito presso la Presidenza del Consiglio a cui partecipano i ministri competenti.

Il governo stima che gli investimenti previsti nel piano avranno un impatto significativo sulle principali variabili macroeconomiche e sugli indicatori di inclusione, equità e sviluppo sostenible (Sdgs). Nel 2026, l’anno di conclusione del Piano, il prodotto interno lordo sarà del 3,6 per cento più alto rispetto all’andamento tendenziale e l’occupazione di quasi 3 punti percentuali. Gli investimenti previsti nel Piano porteranno inoltre a miglioramenti marcati negli indicatori che misurano la povertà, le diseguaglianze di reddito e l’inclusione di genere, e un marcato calo del tasso di disoccupazione giovanile. Il programma di riforme potrà ulteriormente accrescere questi impatti.

L’Italia del futuro
Il Pnrr è parte di una più ampia e ambiziosa strategia per l’ammodernamento del paese. Il governo intende aggiornare e perfezionare le strategie nazionali in tema di sviluppo e mobilità sostenibile; ambiente e clima; idrogeno; automotive; filiera della salute. L’Italia deve combinare immaginazione e creatività a capacità progettuale e concretezza. Il governo vuole vincere questa sfida e consegnare alle prossime generazioni un paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale.
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DOCUMENTAZIONE su Aladinpensiero

- IL PIANO.
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QUADRO ECONOMICO COMPLESSIVO
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EDITORIALI PRECEDENTI [segue]

Punta de billete. Lompendi su 28 de abrile: sa Die de sa Sardigna

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28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
SA FESTA NATZIONALE DE SOS SARDOS IN TEMPOS DE PANDEMIA
de Frantziscu Casula

Serraos in domo, pro su 28 de abrile, sa Die de sa Sardigna, est a narrer sa Festa nazionale de su populu sardu, non podimus fagher bell’e nudda. Nessi peroe la podimus amentare.
“Firmaisì! E arrazza de brigungia! Arrazza ‘e onori! Sardus, genti de onori! E it’ant a nai de nosus, de totus ! Chi nc’eus bogau s’istrangiu po amori ‘e libertadi ? Nossi, po amori de s’arroba! Lassai stai totu! Non toccheis nudda! Non ddi faeus nudda de sa merda de is istrangius! Chi ddi sa pappint a Torinu cun saludi! A nosus interessat a essi meris in domu nostra! Libertadi, traballu, autonomia!”.
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In sa fintzione literària e teatrale ispassiosa e brillante, in “Sa dì de s’acciappa” s’iscritore Piero Marcialis faghet nàrrere gai a Frantziscu Leccis, – masellaju, protagonista de sa rebellìa Casteddàrgia contra a sos Piemontesos – furriende •si a sos de su pòpulu chi, abenenados, cheriant assaltare sos carros, prenos de cada gràtzia de Deus, nche cheriant leare a sos dominadores chi si nche fiant furende “s’arroba” chi si nche cheriant giùghere a Torino.
E est custu – a pàrrere meu – su significadu profundu, istòricu e simbòlicu, de su de nch’àere bogadu a foras sos Piemontesos dae Casteddu su 28 de abrile de su 1794: sos Sardos, a pustis de sèculos de rassignatzione, de abitùdine a pinnigare s’ischina, de ubidièntzia, de asservimentu e de inèrtzia, pro tropu tempus abesos a abassare sa conca, sufrende cada casta de prepotèntzias, umiliatziones, isfrutamentu e leadas in giru, cun unu motu de orgògliu natzionale e unu corfu de renes, de dignidade e de fieresa, si ribellant e àrtziant sa conca, adderetant s’ischina e narant: bastat! In nùmene de s’autonomia e duncas, pro “essi meris in domu nostra”.
E nche bogant a foras sos Piemontesos e savojardos, non pro resones ètnicas, ma ca rapresentant s’arroddu, sa prepotèntzia e su podere.
Ant naradu e iscritu chi s’est tratadu de “cosa de pagu contu”: petzi una congiura ordimingiada dae unu grustu de burghesos giacobinos, illunminados e illuministas, pro nche bogare pagas chentinas de Piemontesos. Non so de acordu.
A custa tesi, de su restu at rispostu, cun richesa de datos, documentos e argumentos, Girolamo Sotgiu (*).
S’istòricu sardu, connoschidore mannu e istudiosu de sa Sardigna sabauda, polemizat cun grabu ma cun detzisione pròpiu cun s’interpretatzione chi ant dadu istòricos filosavoia comente a Manno o a Angius, a su 28 de Abrile, cunsideradu comente chi esseret, apuntu, una congiura. “Simile interpretazione offusca – a pàrrere de Sotgiu – le componenti politiche e sociali e, bisogna aggiungere senza temere di usare questa parola «nazionali».
Insistere sulla congiura –so mentovende semper s’istòricu sardu– potrebbe alimentare l’opinione sbagliata che l’insurrezione sia stato il risultato di un intrigo ordito da un gruppo di ambiziosi, i quali stimolati dagli errori del governo e dalle sollecitazioni che venivano dalla Francia, cercò di trascinare il popolo su un terreno che non era suo naturale, di fedeltà al re e alle istituzioni”.
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A pàrrere de Sotgiu custa manera de cunsiderare un’eventu cumplessu e prenu de sugestiones, non cunsentit di cumprèndere s’isvilupu reale de s’iscontru sotziale e polìticu nen de cumprèndere sa gàrriga rivolutzionària chi animaiat grustos mannos de sa populatzione de Casteddu e de s’Isula in su mamentu chi si bortaiat contra a sos chi aiant dominadu dae prus de 70 annos.
No est istadu, duncas, congiura o ribellismu improvisu: a lu nàrrere est finas Tommaso Napoli, padre iscolòpiu, iscritore ispavillu e popularescu ma finas testimòngiu atentu e atendìbile, chi at vìvidu cussos eventos in prima pessone..
A pàrrere de Napoli “l’avversione della «Nazione Sarda» – li narat pròpiu gai – contro i Piemontesi, cominciò da più di mezzo secolo, allorché cominciarono a riservare a sé tutti gli impieghi lucrosi, a violare i privilegi antichissimi concessi ai Sardi dai re d’Aragona, a promuovere alle migliori mitre soggetti di loro nazione lasciando ai nazionali solo i vescovadi di Ales, Bosa e Castelsardo, ossia Ampurias.
L’arroganza e lo sprezzo
– sighit – con cui i Piemontesi trattavano i Sardi chiamandoli pezzenti, lordi, vigliacchi e altri simili irritanti epiteti e soprattutto l’usuale intercalare di Sardi molenti, vale a dire asinacci inaspriva giornalmente gli animi e a poco a poco li alienava da questa nazione”.
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(*) Girolamo Sotgiu, L’insurrezione a Cagliari del 28 aprile 1794, AM&D, Cagliari, 2000.
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Ricordare Sa die de sa Sardigna
[Francesco Casula]

Chiusi in casa, per il 28 aprile, la Giornata della Sardegna, ovvero la Festa nazionale del popolo sardo, non possiamo fare quasi niente. Possiamo però almeno ricordarla.

“Fermatevi” Che vergogna! Che onore! Sardi gente di onore? E che diranno di noi, di tutti! Che abbiamo cacciato lo straniero per amore della libertà? No, per amore della roba! Lasciate stare tutto! Non toccate nulla! Non ce ne facciamo niente di quella merda degli stranieri! Che se la mangino a Torino con salute! A noi interessa di essere padroni in casa nostra! Libertà, lavoro, autonomia!

Nella finzione letteraria e teatrale divertente e brillante, in “Sa dì de s’acciappa”, lo scrittore Piero Marcialis fa dire così a Francesco Leccis – macellaio, protagonista della ribellione dei cagliaritani contro i piemontesi – rivolgendosi ai popolani che arrabbiati volevano assaltare i carri zeppi di ogni grazia di Dio, per sottrarre ai dominatori la “roba” che stavano rubando e che volevano portare a Torino.

Ed è questo – a mio parere – il significato profondo, storico e simbolico, della cacciata dei Piemontesi da Cagliari il 28 aprile del 1784: i Sardi, dopo secoli di rassegnazione, di abitudine a piegare la schiena, di obbedienza, di asservimento e di inerzia, per troppo tempo abituati a abbassare la testa, sopportando ogni tipo di prepotenza, umiliazione, sfruttamento e prese in giro, con un moto di orgoglio nazionale e un colpo di reni, di dignità e di orgoglio, si ribellano e alzano la testa, raddrizzano la schiena e dicono basta!

In nome dell’autonomia e dunque per “essere padroni in casa nostra”! E cacciano i Piemontesi e i savoiardi, non per ragioni etniche ma perché rappresentano l’arroganza, la prepotenza e il potere.

Si è detto e scritto che si è trattato di “robetta”: di una semplice congiura ordita da un manipolo di borghesi giacobini, illuminati e illuministi, per cacciare qualche centinaio di piemontesi. Non sono d’accordo.

A questa tesi, del resto ha risposto, con dovizia di dati, documenti e argomentazioni, Girolamo Sotgiu. Il prestigioso storico sardo, gran conoscitore e studioso della Sardegna sabauda polemizza garbatamente ma decisamente proprio con l’interpretazione data da storici filosabaudi come Giuseppe Manno o Vittorio Angius che avevano considerato la cacciata dei Piemontesi alla stregua, appunto, di una congiura.

“Simile interpretazione offusca – a parere di Sotgiu – le componenti politiche e sociali e, bisogna aggiungere senza temere di usare questa parola «nazionali».
Insistere sulla congiura – ricordo sempre lo storico sardo – potrebbe alimentare l’opinione sbagliata che l’insurrezione sia stato il risultato di un intrigo ordito da un gruppo di ambiziosi, i quali stimolati dagli errori del governo e dalle sollecitazioni che venivano dalla Francia, cercò di trascinare il popolo su un terreno che non era suo naturale, di fedeltà al re e alle istituzioni”.

A parere di Sotgiu questo modo di concepire una vicenda complessa e ricca di suggestioni, non consente di cogliere il reale sviluppo dello scontro sociale e politico né di comprendere la carica rivoluzionaria che animava larghi strati della popolazione di Cagliari e dell’Isola nel momento in cui insorge contro coloro che avevano dominato da oltre 70 anni.

Non fu quindi congiura o improvviso ribellismo: ad annotarlo è anche Tommaso Napoli, padre scolopio, vivace e popolaresco scrittore ma anche attento e attendibile testimone, che visse quelli avvenimenti in prima persona.

Secondo il Napoli “l’avversione della «Nazione Sarda» – la chiama proprio così – contro i Piemontesi, cominciò da più di mezzo secolo, allorché cominciarono a riservare a sé tutti gli impieghi lucrosi, a violare i privilegi antichissimi concessi ai Sardi dai re d’Aragona, a promuovere alle migliori mitre soggetti di loro nazione lasciando ai nazionali solo i vescovadi di Ales, Bosa e Castelsardo, ossia Ampurias. L’arroganza e lo sprezzo – continua – con cui i Piemontesi trattavano i Sardi chiamandoli pezzenti, lordi, vigliacchi e altri simili irritanti epiteti e soprattutto l’usuale intercalare di Sardi molenti, vale a dire asinacci inaspriva giornalmente gli animi e a poco a poco li alienava da questa nazione”.

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no-profit-per-vaccino-pandemia Comitato Italiano petizione ICE
Right2cure – No profit on pandemic- Diritto alla Cura -
VACCINI, APPELLO A DRAGHI: SOSPENDERE I BREVETTI PER SALVARCI TUTTI!
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VACCINI, APPELLO A DRAGHI: SOSPENDERE I BREVETTI PER SALVARCI TUTTI!

no-profit-per-vaccino-pandemia Comitato Italiano petizione ICE
Right2cure – No profit on pandemic
Diritto alla Cura
Milano, 20 aprile 2021
VACCINI, APPELLO A DRAGHI: SOSPENDERE I BREVETTI PER SALVARCI TUTTI!

WTO, 22-30 aprile e 5 maggio ultima spiaggia? Appello del Comitato Italiano Diritto alla Cura, forte dell’adesione di ben 103 organizzazioni: ”Draghi sostenga la sospensione dei brevetti proposta da India e Sudafrica, in gioco la vita di tutti!”
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Vaccini, ultima chiamata: al Presidente del Consiglio Mario Draghi si chiede di schierare l’Italia a sostegno della proposta di India e Sud Africa per una moratoria temporanea dei brevetti sui vaccini e sui farmaci anti COVID-19 e di esercitare tutta la sua influenza anche nei confronti
della Commissione Europea, affinché si pronunci in tal senso. L’occasione imminente è la riunione del Consiglio TRIPs, previsto per il 22 e il 30 aprile, seguito il 5 maggio, dal Consiglio Generale del WTO: è questo l’oggetto di una lettera inviata a Mario Draghi, a nome del Comitato Italiano Diritto alla Cura da Vittorio Agnoletto, portavoce della Campagna Europea – Right2Cure #NoprofitOnPandemic, www.noprofitonpandemic.eu/it.
Fortissime le preoccupazioni espresse nella lettera: la girandola affannosa dei dati sulle dosi realmente disponibili dimostra che sarà impossibile vaccinare il 70% della popolazione mondiale entro il 2021, per mettere in sicurezza la salute di tutti, anche perché 9 persone su 10 nei Paesi poveri non avranno accesso ai vaccini entro la fine dell’anno. Il virus continuerà a circolare e a mutare, vanificando gli sforzi economici e i sacrifici fatti dalle popolazioni, da quando è cominciata la pandemia. Ma soprattutto significherà milioni di morti, una catastrofe umanitaria. Quindi, solo liberalizzando i brevetti, almeno temporaneamente, sarà possibile assicurare la produzione di vaccini in quantitativi sufficienti a coprire il fabbisogno mondiale: in gioco c’è la vita di tutti e non solo dei popoli del fortunato occidente economico. Per questo è necessario che il Governo italiano si batta, senza tentennamenti, per la sospensione temporanea dei brevetti, evitando di diventare corresponsabile di tale, immenso, ma evitabile disastro.
Al Comitato Italiano hanno aderito ad oggi 103 realtà associative, tra cui le maggiori organizzazioni sindacali, tantissime associazioni nazionali e varie forze politiche, che hanno accolto l’appello di personalità prestigiose del mondo scientifico, del sociale, della cultura e dello spettacolo: memorabile il click day del 7 aprile scorso, in occasione della Giornata Internazionale della Salute, a cui hanno partecipato decine di artisti, personalità di spicco della scienza, della cultura e dello spettacolo.
E’ una richiamo potente e ineludibile che giunge dalla società civile, fortemente preoccupata per la evidente difficoltà delle aziende farmaceutiche, proprietarie dei brevetti, a garantire l’approvvigionamento dei vaccini nei quantitativi necessari e in tempi utili a contenere la pandemia.
Non è in discussione la proprietà intellettuale dei brevetti, ma la sospensione è certamente un passo cruciale e necessario per porre fine alla pandemia, come sostengono in una lettera al Presidente americano Joe Biden 170 personalità, fra cui numerosi premi Nobel ed eminenti personalità della politica e delle istituzioni a livello internazionale. La stessa cosa chiedono oltre 100 Paesi, che hanno accolto o sostenuto la proposta di India e Sud Africa, unitamente ad organizzazioni internazionali come l’OMS, UNAIDS, UNITAID e la “Commissione Africana per i Diritti Umani”. A questi si sono aggiunte 243 ONG di tutto il mondo, che hanno inviato una lettera aperta alla direttrice del WTO Ngozi Okonjo, chiedendole di accettare la proposta di moratoria sui brevetti avanzata da India e Sudafrica.
Si sta sviluppando un movimento articolato e multiforme di valenza mondiale, sottolinea il Comitato, che pone l’urgenza di una sospensione temporanea dei brevetti e l’Italia deve saper fare la sua parte, perchè non può e non deve ripetersi quanto accaduto l’11 marzo scorso, quando il blocco Usa-Ue-Uk-Giappone-Brasile-Canada-Svizzera-Australia e Singapore, ha impedito che venisse approvata la proposta di India e Sud Africa.
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22 aprile Giornata mondiale della Terra 2021

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Giornata Mondiale della Terra 2021
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Pierluigi Stefanini: l’educazione allo Sviluppo Sostenibile cominci dalla Costituzione

Come rispondere all’appello di Papa Francesco per un Patto Educativo Globale: un debito verso le nuove generazioni. Il Presidente ASviS alla maratona di Rai Play per lo Earth Day Italia. Per festeggiare la Giornata anche la canzone “Vivo nel mondo” di Pamela D’Amico

Roma 21 Aprile. “L’inserimento dello Sviluppo Sostenibile nella Costituzione sarà la migliore risposta che l’Italia potrà dare alla sfida di realizzare un Patto Educativo Globale, come auspicato da Papa Francesco, per imprimere una svolta alla storia dell’umanità verso orizzonti di fratellanza”. Lo ha affermato il Presidente dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo sostenibile (ASviS) Pierluigi Stefanini, intervenendo nel dibattito sul Patto Educativo Globale in occasione della maratona multimediale dal titolo “One People One Planet” organizzato da Rai Play e Earth Day Italia per la Giornata mondiale della Terra, che in onda giovedì 22 aprile a partire dalle ore 19,10 sul sito e sull’app di Ray Play oltre che su onepeopleoneplanet.it.

“E’ una proposta dell’ASviS, fatta propria anche dal Governo Draghi” ha proseguito Stefanini, “che vuole garantire dignità costituzionale al principio di giustizia intergenerazionale e intragenerazionale, un obiettivo ambizioso affinché in ogni luogo e nel più breve tempo possibile ogni bambino possa crescere lontano da violenza e sfruttamento e in cui ogni donna possa godere di una totale uguaglianza di genere. Insomma un passo importante verso un mondo giusto, equo, tollerante, aperto e socialmente inclusivo che soddisfi anche i bisogni dei più vulnerabili”.

L’educazione allo Sviluppo Sostenibile è del resto uno dei principali obiettivi dell’Alleanza. Per tale scopo è in vigore dal 2016 un Protocollo di intesa col Ministero dell’Istruzione in virtù del quale è attivo un Comitato paritetico, ASviS-Ministero, che fra l’altro ha reso disponibile un corso e-learning sull’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per tutti gli 800mila docenti in servizio. L’ASviS inoltre collabora con la Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile (RUS) nella diffusione di un corso di e-learning sullo Sviluppo Sostenibile in tutti i corsi di laurea e nella formazione dei docenti.
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Ma la Giornata Mondiale della Terra è anche occasione di festa. Ed è proprio in questo spirito che ASviS ha partecipato ad un progetto dedicato ai giovani e la transizione ecologica. “Vivo nel mondo” è un brano della cantante italo-brasiliana Pamela D’Amico, da due anni autrice e co-conduttrice del programma ”Radio2 Brasil”, realizzato in collaborazione con l’Alleanza, con la regia per il video- clip di Daniele Barberio. “Questa canzone” spiega la cantante, “è nata da una mia esigenza di comunicare ai giovani attraverso la musica l’importanza di impegnarsi per un mondo migliore. Avverto il desiderio di diventare utile e poter essere, attraverso la mia voce, uno strumento di trasformazione”. Nella clip è presente anche un coro di ragazzi che, spiegano gli autori, “sono il futuro del nostro mondo e non dovranno ripetere i nostri errori”. La canzone, che sta già avendo grande successo sul web e sulle radio è disponibile anche sul sito asvis.it e sul canale YouTube dell’ASviS.
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Da giovedì 22 è inoltre disponibile anche un video realizzato dalla Web TV ASviS dedicato alla Giornata Mondiale della Terra. Infine si segnala che l’Alleanza ha dato il patrocinio alla Living Chapel, un’ originale e coinvolgente installazione all’interno dell’Orto Botanico di Roma.
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- Approfondimenti.
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Newsletter n.35 del 19 aprile 2021
LA LEZIONE DELLA PANDEMIA
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Mario Melis, ricordando un grande sardo a 100 anni dalla sua nascita.
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La lezione della pandemia

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Newsletter n.35 del 19 aprile 2021

LA LEZIONE DELLA PANDEMIA

Carissimi,

Prima che sia troppo tardi l’umanità deve raccogliere la lezione della pandemia e decidere come provvedere a far continuare la vita sulla Terra.
È questo l’ulteriore e decisivo movente che anima l’iniziativa di una Costituzione della Terra, che è il fine per cui tutti insieme abbiamo dato vita all’Associazione “Costituente Terra”. Il blocco delle attività ha impedito finora lo svolgimento delle iniziative in presenza che erano state previste, a cominciare da quelle della Scuola, ma non ha impedito né l’attività dei siti www.costituenteterra.it e http://labibliotecadialessandria.costituenteterra.it/, né il varo della collana “Materiali per una Costituzione della Terra” (Giappichelli Editore) di cui è uscito il primo titolo “Perché una Costituzione della Terra?” di Luigi Ferrajoli.
libro-ferrajoliNello stesso tempo è stato predisposto un progetto di Costituzione della Terra, che a cura dello stesso Ferrajoli sarà presentato nell’Assemblea di “Costituente Terra” convocata, come già annunziato, per sabato 8 maggio pv alle ore 11 (in seconda convocazione).
La pandemia, concentrando su di sé tutta la cura del mondo, ha distolto l’attenzione da altre urgenze già presenti prima di essa e da questa aggravate. Basta pensare all’innalzamento delle acque atteso in conseguenza della crisi climatica quando, come dice un documento “People and Oceans” delle Nazioni Unite, circa 145 milioni di persone vivono entro un metro sopra l’attuale livello del mare e quasi due terzi delle città del mondo, con una popolazione di oltre 5 milioni di abitanti, si trovano in aree soggette al rischio di innalzamento di tale livello, mentre quasi il 40% della popolazione mondiale vive entro 100 km da una costa. E basta pensare al solo problema dello smaltimento delle acque contaminate dalle centrali nucleari sinistrate, come quella di Fukushima, (per non parlare delle bombe atomiche), che diventeranno inoffensive solo fra 24.000 o addirittura milioni di anni, per comprendere la portata delle questioni da affrontare ormai tutti insieme.
Intanto in piena pandemia mentre lasciava attoniti lo spettacolo di un gran numero di vittime ogni giorno inumate in forme collettive nel sud del Brasile come nel nord dell’Italia, si dava lo scandalo, come lo definiva il papa nel suo messaggio pasquale, del rincrudirsi delle guerre e diffondersi delle armi nel confermato esercizio della lotta di tutti contro tutti; e mentre la ragione suggeriva l’immediata mondializzazione dei vaccini, enormi profitti derivanti dai loro brevetti e dall’esplodere delle tecnologie informatiche venivano spartiti nell’indiscussa obbedienza alla sovranità dei mercati.
La lezione sta nel fatto che senza una rivoluzione del sistema di governo e una conversione della maggioranza dei cuori tali sfide letali alla sopravvivenza del mondo e alla continuità della storia non possono essere affrontate.
Questa è la posta in gioco della Costituzione della Terra che sarà presentata nella prossima Assemblea e aperta ai commenti e alle proposte di modifica da parte di tutti, secondo le modalità che in quella sede saranno convenute. Quanti intendono partecipare o assistere all’Assemblea e non l’abbiano ancora fatto ne possono chiedere il link rispondendo a questa newsletter. Chi non ha ancora rinnovato l’adesione all’Associazione e i nuovi soci che vogliano aggiungersi possono farlo usando per il relativo contributo l’IBAN IT94X0100503206000000002788 (dall’estero BIC BNLIITRR) intestato a “Costituente Terra”. Per la quota richiesta rimandiamo a quanto enunciato nell’appello fondativo “Perché la storia continui”, che ne motivava la misura significativa di 100 euro, lasciando però a ciascuno piena libertà di versare una somma diversa.
Il lavoro per giungere alla promulgazione di una Carta della Terra da parte dell’ONU impegnerà i prossimi mesi o anche anni. È evidente che si tratterà di una Costituzione ben altra rispetto a quelle conosciute, che finora non hanno dovuto né istituire un demanio planetario, né una fiscalità mondiale, né mettere fuori commercio beni illeciti, né abolire eserciti e armi.
Però tutti siamo invitati a farcene costituenti.
Come anticipazione ai lavori dell’Assemblea trascriviamo qui l’INCIPIT e i primi articoli del relativo progetto:

INCIPIT

Noi, popoli della Terra, che nel corso delle ultime generazioni abbiamo accumulato armi micidiali in grado di distruggere più volte l’umanità, abbiamo devastato l’ambiente naturale e messo in pericolo, con le nostre attività produttive, l’abitabilità del nostro pianeta, consapevoli della catastrofe ecologica che incombe sulla Terra, del nesso che lega la sopravvivenza dell’umanità e la salvaguardia del pianeta e del rischio che, a causa delle nostre aggressioni alla natura, il genere umano, per la prima volta nella storia, possa avviarsi all’estinzione; decisi a salvare la Terra e le generazioni future dai flagelli dello sviluppo insostenibile, delle guerre, dei dispotismi, della crescita della povertà e della fame, che hanno già provocato devastazioni irreversibili al nostro ambiente naturale, milioni di morti ogni anno, lesioni gravissime della dignità delle persone e un’infinità di indicibili privazioni e sofferenze; decisi a vivere insieme, nessuno escluso, in pace, senza armi d’offesa, senza fame omicida né sete né essere separati da muri ostili; decisi a garantire un futuro alla specie umana e alle altre specie viventi, a realizzare l’uguaglianza nei diritti fondamentali e la solidarietà tra tutti gli esseri umani e ad assicurare loro le garanzie della vita, della dignità, delle libertà, della salute, dell’istruzione e dei minimi vitali, promuoviamo un processo costituente della Federazione della Terra, aperto all’adesione di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e finalizzato alla stipulazione di questo patto di convivenza pacifica e di mutuo aiuto:
Titolo primo: Principi supremi.

Art. 1 – La Terra è un pianeta vivente, una perla dell’universo, casa comune degli esseri umani, delle piante e di una grande quantità di animali, sede di storia e di lavoro, del diritto e della scienza, di amori e di illimitate speranze. Essa appartiene a tutti gli esseri viventi: agli esseri umani, agli animali e alle piante. Appartiene anche alle generazioni future, alle quali la generazione presente ha il dovere di garantire la continuità della storia quale condizione della loro stessa messa al mondo e sopravvivenza.
L’umanità fa parte della natura. La vita e la salute del genere umano dipendono dalla vitalità e dalla salute del mondo naturale e degli altri esseri viventi, animali e vegetali, che insieme agli esseri umani formano una famiglia accomunata da una stessa origine e da una globale interdipendenza.

Art. 2 – I fini della Federazione della Terra sono:
- garantire la vita presente e futura sul nostro pianeta in tutte le sue forme e, a questo fine, porre termine alle emissioni di gas serra e al conseguente riscaldamento climatico, alle deforestazioni, alle desertificazioni e agli inquinamenti dell’aria, dell’acqua e del suolo;
- mantenere la pace e la sicurezza internazionale e, a questo fine, mettere al bando tutte le armi, nucleari e convenzionali, sopprimere gli eserciti nazionali e realizzare, in capo alla Federazione della Terra, il monopolio della forza, limitato alle sole armi necessarie alle funzioni di polizia;
- promuovere fra i popoli rapporti amichevoli di solidarietà e di cooperazione nella soluzione dei problemi globali di carattere ecologico, politico, economico, sociale e culturale e, a questo fine, garantire l’uguale dignità di tutte le persone e la conservazione e la tutela di tutti i beni vitali;
- realizzare l’uguaglianza di tutti gli esseri umani nei diritti fondamentali e, a questo fine, introdurre, in capo ad adeguate istituzioni globali di garanzia, idonee funzioni consistenti negli obblighi di prestazione e nei divieti di lesione che a tali diritti corrispondono quali loro garanzie.

Art. 3 – La dignità della persona umana è inviolabile. E’ dovere di tutti rispettarla e tutelarla. Nella ricchezza delle loro differenze, che questa Costituzione ha il compito di tutelare, gli esseri umani costituiscono un’indivisibile famiglia umana, quali soggetti uguali in dignità e diritti, titolari di beni comuni e responsabili in solido della vita sulla Terra e del dovere di conservarla, promuoverla e trasmetterla da una generazione all’altra.

Art. 4 – Tutti gli esseri umani sono uguali in dignità. La loro pari dignità impone il diritto di ciascuno al rispetto e all’esplicazione di tutte le proprie differenze personali – di sesso, di nascita, di nazionalità, di lingua, di religione, di convinzioni, di opinioni politiche e di ogni altro elemento della propria identità – e alla massima riduzione delle loro disuguaglianze economiche e sociali.

Art. 5 -Tutti gli esseri umani sono cittadini della Terra. Tutti sono dotati, dal momento della nascita, di personalità e di capacità giuridica. Nessuno può essere privato della personalità, della capacità giuridica o del nome.
Tutti acquistano la capacità d’agire con la maggiore età, stabilita al compimento del diciottesimo anno.

Art. 6 – La fraternità è la forma primaria dei rapporti tra i membri della famiglia umana. Tutti gli esseri umani e tutte le pubbliche istituzioni sono tenuti ai doveri di solidarietà economica, sociale e politica.

Seguono altri 94 articoli.

Con i più cordiali saluti

www.costituenteterra.it
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- Approfondimenti.
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Precedente editoriale.
Mario Melis, ricordando un grande sardo a 100 anni dalla sua nascita.
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Un grande sardo. Ricordando Mario Melis nella prossima ricorrenza dei 100 anni dalla sua nascita

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Il 17 u.s. si è celebrato il centenario della Fondazione del Partito Sardo d’Azione. Il 10 giugno di questo anno celebreremo la ricorrenza dei 100 anni dalla nascita di Mario Melis, un grande militante e dirigente di quel Partito, grande sardo, ricordato particolarmente per essere stato uno dei più prestigiosi presidenti della Regione Autonoma della Sardegna.
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In questi giorni è uscito un libro che ne ricorda la personalità, scritto dal giornalista Anthony Muroni. Il libro viene in questi giorni presentato in diverse occasioni via webinar. Tra queste quella che si terrà venerdì 23 c.m., promossa dalla Scuola di cultura politica Francesco Cocco. Aladinpensiero ha dedicato spesso spazio a ricordo di Mario Melis. Vogliamo continuare a dare rilievo alla sua attività politica al servizio dei sardi e della Sardegna, soprattutto per l’utilità che ha sicuramente oggi nel confronto delle sue idee e della sua pratica di coerente sardista con l’attuale deriva politica del suo Partito, che ci auguriamo trovi nel tempo che viene una decisa inversione per tornare nell’alveo della sua migliore tradizione democratica
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Per ricordare Mario Melis , ripubblichiamo ancora una volta un editoriale di Aladinews dell’8 maggio 2016, che crediamo dia conto, seppur in modo semplice, della statura del grande uomo politico sardo.
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Quale classe dirigente per la Sardegna che vorremo
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Giovanni Maria Angioy Memoriale 2«Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l’abbondanza della sua produzione.»
In un recente convegno sulle tematiche dello sviluppo della Sardegna, un relatore, al termine del suo intervento, ha proiettato una slide con la frase sopra riportata, chiedendo al pubblico (oltre duecento persone, età media intorno ai 40/50 anni, appartenente al modo delle professioni e dell’economia urbana) chi ne fosse l’autore, svelandone solo la qualificazione: “Si tratta di un personaggio politico”. Silenzio dei presenti, rotto solo da una voce: “Mario Melis?”. No, risponde il relatore. Ulteriore silenzio. Poi un’altra voce, forse della sola persona tra i presenti in grado di rispondere con esattezza: “Giovanni Maria Angioy”. Ebbene sì, proprio lui, il patriota sardo vissuto tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, (morto esule e in miseria a Parigi, precisamente il 22 febbraio 1808), nella fase della sua vita in cui inutilmente chiese alla Francia di occupare militarmente la Sardegna, che, secondo i suoi auspici, avrebbe dovuto godere dell’indipendenza, sia pur sotto il protettorato francese (1).
Mario Melis 1E’ significativo che l’unico uomo politico contemporaneo individuato come possibile autore di una così bella frase, decisamente critica nei confronti della classe dirigente dell’Isola (e quindi autocritica) e tuttavia colma di sviluppi positivi nella misura in cui si potesse superare tale pesante criticità, sia stato Mario Melis,, leader politico sardista di lungo corso, il quale fu anche presidente della Regione a capo di una compagine di centro-sinistra nel 1982 e di nuovo dal 1984 al 1989. Evidentemente la sua figura di statista resiste positivamente nel ricordo di molti sardi. E questo è bene perché Mario Melis tuttora rappresenta un buon esempio per le caratteristiche che deve possedere un personaggio politico nei posti guida della nostra Regione: onestà, competenza (soprattutto politica più che tecnica), senso delle Istituzioni, passione e impegno per i diritti del popolo sardo. Caratteristiche che deve possedere non solo il vertice politico, ma ciascuno dei rappresentanti del popolo nelle Istituzioni. Aggiungerei che tali caratteristiche dovrebbero essere comuni a tutti gli esponenti della classe dirigente nella sua accezione più ampia, che insieme con la classe politica comprende quella del mondo del lavoro e dell’impresa, così come della società civile e religiosa.
Oggi al riguardo non siamo messi proprio bene. Dobbiamo provvedere. Come? Procedendo al rinnovo dell’attuale classe dirigente in tutti i settori della vita sociale, dando spazio appunto all’onestà, alla capacità tecnica e politica, al senso delle organizzazioni che si rappresentano, alla passione e all’impegno rispetto alle missioni da compiere.
Compito arduo ma imprescindibile.
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(1) Sappiamo come andò a finire la storia: i francesi si guardarono bene dall’intervenire, perlomeno in Sardegna – contrariamente a quanto fecero in Piemonte – per la quale tennero fede all’Armistizio di Cherasco (28 aprile 1796) e al successivo Trattato di Parigi (15 maggio 1796) che, sia pure con termini pesantissimi per i sabaudi, consentì loro di mantenere costantemente e definitivamente il potere sull’Isola.
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[Mario Melis, su wikipedia] Sulle orme del fratello Giovanni Battista (detto Titino), militò fin da giovanissimo nel Partito Sardo d’Azione (P.S.d’AZ). Quando Mario era ancora un bambino, il fratello fu arrestato a Milano insieme a Lelio Basso, Ugo La Malfa ed altri antifascisti nelle retate disposte dopo l’attentato del 12 aprile 1928 in zona Fiera[1].
È stato sindaco di Oliena (NU), e successivamente consigliere e assessore provinciale di Nuoro. Eletto consigliere regionale nella VI, VIII e IX legislatura, è stato assessore regionale degli enti locali, personale e affari generali (gennaio-novembre 1973) e della difesa dell’ambiente (1980-1982), e successivamente presidente della Regione Sardegna nel 1982 e di nuovo dal 1984 al 1989. Ha ottenuto due voti alle elezione del Presidente della Repubblica del 1985 e del 1992.
Senatore nella VII legislatura e deputato nella IX, è divenuto eurodeputato dal 1989 al 1994.
Fece attività politica fino agli ultimi anni, difendendo in particolare il posizionamento del sardismo nell’area di sinistra durante le elezioni regionali del 1999, in cui tanto il candidato presidente di centro-sinistra quanto il candidato presidente di centro-destra furono sostenuti da esponenti sardisti.
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Una lettera datata 6 dicembre 2018, che mantiene intatta validità.
Quando a guidare il Psd’az c’era Mario Melis, un grande sardo. Laura Melis, figlia di Mario, a Solinas: “grave non avere memoria della propria storia”.

“Mi chiamo Laura Melis, figlia di Mario, esponente del Partito Sardo d’Azione, nelle cui liste è stato più volte eletto, avendo iniziato a fare politica da ragazzo. In questi ultimi anni e, precisamente, dopo che l’allora segretario del Partito Trincas compì il “bel gesto” di consegnare la bandiera dei quattro mori nelle mani di Silvio Berlusconi, mi sono sentita ripetere più e più volte le stesse frasi: «Tuo padre si starà rivoltando nella tomba», «Chissà cosa direbbe/farebbe tuo padre vedendo dove sta andando il Partito Sardo d’Azione».
Credo che, viste le ultime decisioni che il Partito ha preso, sia giunto il momento di dire una cosa: mio padre quello che pensava l’ha detto chiaramente più volte in vita. Non ci possono essere fraintendimenti a riguardo. È arrivato a organizzare un convegno sul Federalismo nei primi anni ’90, invitandovi l’onorevole Umberto Bossi, per chiarire e marcare le differenze di concezione e di finalità che fra le due forze, pur entrambe federaliste, vi erano. È ovvio che non sarebbe stato d’accordo riguardo a quest’ultima alleanza con la Lega.
Ho troppo rispetto per il pensiero che mio padre ha espresso per permettermi di supporre altri scenari e altri messaggi da parte sua. Ciò che doveva e voleva dire l’ha detto in vita e di conseguenza ha agito, con coerenza estrema. Infine, vorrei fare un’ultima considerazione in merito all’intervista all’onorevole Solinas pubblicata su La Nuova Sardegna del 2 dicembre.
È stupefacente per me (ma sono di parte!) la rapidità con cui l’onorevole liquida le alleanze avvenute nel passato tra il Partito Sardo e le forze di sinistra, relegandole a scelte sbagliate, direi suicide. C’è da chiedersi se consideri un errore l’elezione del ’76 al Senato in alleanza con il Partito Comunista che portò alla presentazione della proposta di legge sulla zona franca. O se considera fallimentare l’elezione del ’79 che portò Mario Melis a rivestire il ruolo di assessore Regionale all’Ambiente. O infine, se considera fallimentare l’elezione di 12 consiglieri regionali nell’84 che portò all’elezione del primo Presidente della Giunta sardista.
La mancanza di generosità intellettuale è un limite grave. Come è grave non avere memoria della propria storia perché porta, ahimè, alla perdita della propria identità. È sempre bene ricordare dove sono piantate le proprie radici”.

- L’illustrazione in testa è tratta dal sito ufficiale di Mario Melis, gestito dalla sua famiglia: http://www.mariomelis.eu
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IL PRECEDENTE EDITORIALE
legge-eletttorale-sarda-la-peggiore2021-04-16-alle-22-11-16
Più partecipazione? Subito cambiare la legge elettorale sarda! Tre anni passano in fretta…

Più partecipazione? Subito cambiare la legge elettorale sarda! Tre anni passano in fretta…

legge-eletttorale-sarda-la-peggiore2021-04-16-alle-22-11-16
locandina_conferenza_stampa lampadadialadmicromicro13Come preannunciato nel precedente editoriale, riprendiamo la proposta di profonda modifica della legge elettorale sarda, verso un’impostazione marcatamente proporzionale. Obbiettivo: favorire la partecipazione popolare, arrestando l’astensionismo che si verifica in misura crescente nelle competizioni elettorali. Mancano tre anni al rinnovo del Consiglio regionale della Sardegna: occorre arrivare a tale scadenza con un rinnovamento di programmi e di persone che li possano rappresentare, con un sistema elettorale che svolga un’adeguata funzione selezionatrice. Due anni fa, precisamente il 24 giugno 2019 a Cagliari nella sala conferenze dell’associazione della stampa sarda, si svolgeva la conferenza stampa organizzata dal “Coordinamento dei Comitati sardi per la democrazia costituzionale” e dal “Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria” di presentazione del ricorso contro la legge elettorale sarda. Durante la conferenza stampa intervennero a spiegare le ragioni del ricorso Andrea Pubusa, Gabriella Lanero e Marco Ligas.
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Riproponiamo le ragioni del ricorso, che, come è noto fu respinto dal Tribunale Amministrativo regionale, perché appaiono tuttora validissime nel merito, tanto da supportare l’indispensabilità della modifica radicale dell’attuale legge elettorale sarda, che tutte le forze politiche hanno dichiarato di voler modificare, ma senza che alle buone intenzioni sia finora seguito uno straccio di proposta operativa! Riprendiamo allora il discorso, a sostegno della ripresa dell’iniziativa da parte dei nominati Comitati e di tutte le organizzazioni favorevoli al cambiamento.
Ecco quanto riportava il documento di presentazione del ricorso (che riproduciamo integralmente).
Un gruppo di elettori ed elettrici democratici della Sardegna hanno presentato al Tar Sardegna un ricorso col quale impugnano l’atto di proclamazione degli eletti effettuato il 23 marzo scorso dalla Corte d’appello di Cagliari. Nell’intendimento dei proponenti, il ricorso dovrebbe portare la legge elettorale all’esame della Corte Costituzionale e alla correzione dell’atto di proclamazione degli eletti con una conseguente nuova composizione del Consiglio regionale. Quali censure muovono questi cittadini e cosa chiedono al Giudice amministrativo? La insufficienza della disciplina sulla parità dei genere, l’eccessivo premio di maggioranza, le alte soglie di sbarramento, il voto disgiunto, la mancata elezione del terzo candidato alla Presidenza a differenza del secondo, l’adesione fittizia di consiglieri uscenti a liste per evitare la raccolta delle firme. Più precisamente l’insufficienza della disciplina sulla parità uomo-donna, che consente il voto solo per un genere, escludendo l’altro, col risultato della elezione di solo otto donne. [Se la Corte costituzionale avesse accolto questo rilievo, il Tar avrebbe annullato le elezioni del 24 febbraio e si sarebbe dovuto andare a nuove elezioni].
Premio di maggioranza. La seconda censura riguarda il premio di maggioranza. E’ eccessivo e privo di ragionevolezza assegnare al candidato presidente più votato, che ha il 40% dei voti il 60% dei seggi. Questo premio di maggioranza viola il carattere uguale del voto in uscita, ossia nel momento dell’assegnazione dei seggi.
Impugnazione delle soglie di sbarramento. E’ illegittimo poi lo sbarramento al 10% e al 5% o quantomeno il primo. Questa soglia è volta ad assicurare ai partiti maggiori il monopolio del governo e dell’opposizione. Una conventio ad excludendum per legge nei riguardi delle liste minori non allineate e coperte, che viola il carattere democratico dell’ordinamento.
Rappresentanza territoriale. Viene portata all’attenzione del giudice amministrativo e della Corte costituzionale anche la violazione della rappresentanza dei territori, che è anch’esso un vulnus del principio di uguaglianza del voto. Il Medio-Campidano, l’Ogliastra e il Sulcis-Iglesiente hanno avuto meno seggi di quanti la stessa legge elettorale sarda (art. 3) ne prevede in ragione del numero degli elettori delle diverse circoscrizioni.
No alle adesioni fittizie a liste per escludere la raccolta delle firme. Infine, bando alle furbate che consentono di esentare dalla raccolta delle firme le liste che non hanno mai eletto consiglieri regionali. Alcuni consiglieri regionali uscenti, pur rimanendo nelle proprie liste d’origine, hanno fittiziamente aderito ad altre liste per consentir loro la partecipazione alle elezioni senza raccogliere firme. Ciò è stato possibile grazie all’art. 21 della legge-truffa, che viola il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).
La mancata elezione del candidato presidente del M5S. Desogus, terzo classificato, a differenza del secondo e primo perdente Massimo Zedda, non è stato eletto presidente.
Il voto disgiunto, per violazione del principio di chiarezza del voto. (…)

Per i Comitati promotori
Andrea Pubusa, Marco Ligas, Franco Meloni, Roberto Loddo.
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Un nostro commento alla sentenza del Tar che respingeva il ricorso dei Comitati contro la legge elettorale sarda, che riteniamo mantenga validità.
Franco Meloni, 8 Luglio 2019 – 19:48
Le leggi elettorali costituiscono uno dei terreni decisivi per la stessa sopravvivenza della democrazia nel nostro come negli altri Paesi. Un terreno di duro scontro che ci vede contrapposti (noi dei movimenti democratici di base) alla quasi totalità della classe politica (senza grandi distinzioni tra quella di governo e quella di opposizione). La classe politica non arretra rispetto ai privilegi che si è costruita in odio al popolo. La vicenda della pessima legge elettorale sarda è emblematica: due tornate elettorali che hanno dato prova della inadeguatezza della legge e nessun segno di volerla cambiare, nonostante le molte parole e i solenni giuramenti espressi al riguardo. Anche i cattolici democratici hanno preso consapevolezza di tutto ciò, come attesta un recente resoconto dell’iniziativa tenutasi il 3 luglio u.s. a Roma promossa dalla rivista online “Politica Insieme”, di cui riporto uno stralcio: occorre “una indicazione precisa per un sistema elettorale a forte impronta proporzionale che consenta effettivamente alla pluralità di presenze sociali di indirizzi culturali attivi nel Paese di sentirsi inclusi, attraverso una trasparente rappresentanza parlamentare [discorso analogo per le Regioni e gli Enti locali] nelle dinamiche della nostra convivenza civile e democratica”. La battaglia è dunque dura, considerato il consistente fronte nemico contro di cui dobbiamo combattere per disporre di leggi elettorali democratiche, che favoriscano la partecipazione popolare, in linea con la nostra Costituzione.
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Elezioni regionali 2019
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Dall’Archivio di Aladinpensiero online (19 novembre 2017).
Legge elettorale sarda. Pubusa: guardiamo alla Sicilia. Quasi come Lussu per lo statuto sardo
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ape-innovativaRicordate la vicenda della formazione dello statuto sardo quando Emilio Lussu e Mario Berlinguer, preoccupati dei ritardi della Consulta sarda nella redazione del testo statutario, proposero al governo di estendere alla Sardegna lo statuto che era stato ottenuto dalla Sicilia? Ma, nonostante la disponibilità governativa di accedere a tale richiesta, i consultori sardi rifiutarono sdegnosamente l’idea di uno statuto “concesso dall’alto”. Pertanto non se ne fece nulla. Sapete come andò a finire: il 31 gennaio 1948 – in articulo mortis, cioè allo scadere definitivo del suo mandato – l’Assemblea Costituente approvò lo Statuto proposto dalla Consulta sarda, dotato di minori competenze rispetto a quelle riconosciute alla regione Sicilia.

Tale vicenda mi è tornata in mente rispetto alla pressante richiesta del Comitato d’Iniziativa costituzionale e statutaria di dotare la Sardegna di una nuova legge elettorale, che sostituisca quella indecente attualmente vigente. Stiamo parlando evidentemente di due questioni diverse, ma con analogie nel metodo proposto e nelle conclusioni, che così sintetizziamo: Cari consiglieri regionali sardi, se non ce la fate a proporre una legge elettorale che garantisca la rappresentatività democratica dei sardi, adottate la legge siciliana, con alcune importanti correzioni che la facciano corrispondere sostanzialmente a tale scopo. Infatti la legge elettorale siciliana, con alcune importanti modifiche, può corrispondere nella sostanza alle indicazioni contenute nell’apposito documento di principi formulato dal Comitato d’Iniziativa costituzionale e statutaria, a cui rimando.

Per spiegare in dettaglio questa proposta di seguito riporto gli interventi di Andrea Pubusa e di Gianni Pisanu, rispettivamente coordinatore e componente del CoStat.
(segue)
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Legge elettorale regionale: in Sardegna (…). Quali spunti dalla Sicilia per una vera riforma?
(…) Occorre una riflessione e un impegno a tutto tondo per fare una nuova legge elettorale, in sintonia con la Costituzione e lo Statuto. E’ quanto sta facendo il Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria (già Comitato per il NO), che mercoledì prossimo illustrerà al Presidente del Consiglio Ganau le linee guida per una vera riforma elettorale: sistema proporzionale, scelta diretta del presidente, meccanismi per una reale parità di genere, eliminazione dello sbarramento di coalizione, riequilibrio territoriale.
In proposito alcuni spunti vengono dalle recenti elezioni sicule. L’Assemblea regionale siciliana, infatti, è stata eletta nei giorni scorsi con una nuova legge elettorale. Di essa abbiamo già detto, ma è bene riparlarne ora, per valutarla alla prova dei fatti.
Quali le novità? Grazie a questa recente legge il plenum è passato da 90 a 70 deputati, tra di loro anche il presidente della Regione eletto direttamente dai votanti. Dei 70 parlamentari regionali, 62 (finora erano 80) sono stati eletti con il sistema proporzionale, mentre nel cosiddetto “listino del presidente” sono sette gli eletti, presidente compreso. L’ultimo seggio viene assegnato di diritto al candidato presidente secondo classificato. Per quanto riguarda l’attribuzione dei seggi, essa – come detto – avviene su base provinciale. E qui vengono le dolenti note perché le circoscrizioni sono molto disomogenee: Palermo eleggerà 16 deputati (finora erano 20), Catania ne avrà 13 (al posto degli attuali 17), a Messina 8 (erano 11), ad Agrigento 6 (prima erano 7), a Siracusa e a Trapani 5 (Trapani ne aveva 7 mentre Siracusa ne aveva 6), a Ragusa spettano 4 seggi (ne aveva 5), a Caltanissetta 3 seggi (ne aveva 4) e a Enna 2 seggi (ne aveva 3). I seggi sono assegnati con il metodo proporzionale e l’attribuzione dei più alti resti (con recupero sempre a livello provinciale) alle liste che abbiano superato lo sbarramento del 5% a livello regionale.
Questa, in sintesi, la disciplina contenuta nella nuova legge elettorale siciliana. E’ un modello utile per la riflessione e il dibattito in corso da noi, in Sardegna. L’elemento che colpisce è che il sistema siciliano è proporzionale con scelta diretta del presidente da parte degli elettori. In Sardegna molti proporzionalisti ritengono le due cose incompatibili e sbagliano. Sono compatibili, il problema è la c.d. governabilità perché il presidente eletto deve poi trovare in consiglio la sua maggioranza. Ma questo vale anche per chi opti per il sistema proporzionale senza scelta diretta del presidente. In questo caso in Consiglio si deve formare la maggioranza e trovare anche il presidente.
Vediamo i punti a prima vista discutibili.
Anzitutto. lo sbarramento del 5% su base regionale per partito/coalizione con sistema proporzionale per l’elezione dei consiglieri su base provinciale. Il 5% è troppo alto? Può bastare il 3%? O soltanto l’avere un quoziente pieno almeno in un collegio? Secondariamente, è molto penalizzante l’elezione dei consiglieri su base provinciale. La lista Fava, ad esempio, ha avuto un solo seggio con circa 100 mila voti, mentre il PD ne ha avuto 11 con circa 250 mila voti. C’è sproporzione, il principio di rappresentatività è palesemente violato. In un sistema correttamente rappresentativo Fava avrebbe dovuto avere almeno 3 seggi, se non 4. Quali i rimedi? Raccogliere i resti su base regionale? O disegnare circoscrizioni provinciali più omogenee per popolazione e seggi?
Infine, non c’è premio ufficiale, ma ce n’è uno camuffato. Il listino del presidente, molto ampio (7 consiglieri). Con maggioranza a 36 (50%+1) la quota del listino rappresenta circa 1/5 della maggioranza teorica. E’ troppo alta? Va ridotta? O completamente abolita?
Insomma, la nuova legge siciliana è più equilibrata di quella truffaldina vigente in Sardegna (che rimarrà tale anche con più donne), ma presenta alcune evidenti e gravi criticità, sopratutto in relazione al principio di rappresentatività. Comunque offre interessanti spunti di riflessione per il movimento isolano che si batte per una nuova legge elettorale regionale, anche perché coniuga l’elezione diretta del presidente a ad un sistema proporzionale corretto nella distribuzione dei seggi, che – da noi – molti ritengono incompatibili. Con qualche miglioramento il testo siciliano può costituire una base utile per la Sardegna.
(Su Democraziaoggi del 10 novembre 2017)

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Legge elettorale siciliana: spunti per la Sardegna?
18 Novembre 2017

Gianni Pisanu del Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria, su Democraziaoggi.
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(Il Comitato illustra al Presidente Ganau le proposte per una vera riforma elettorale)

Possiamo ragionare sulla legge elettorale siciliana in chiave sarda? Intanto la prima novità. E’ una legge proporzionale – presidenziale, secondo alcuni un ossimoro e invece compatibile, almeno fino a prova contraria al vaglio della pratica. Ha un premio dell’8,5 % alla coalizione del Presidente, più modesto degli iperpremi della legge sarda: 55% dei seggi alla coalizione che supera i 25% e non il 40%, 60% dei seggi a chi supera questa soglia.
L’Assemblea è composta da 70 membri, di cui 62 ( 88,5 %) eletti con sistema proporzionale; 7 seggi, di cui 1 al presidente eletto assegnati ai partititi o liste coalizzate col listino del presidente ; 1 seggio al candidato presidente primo dei non eletti. Lo sbarramento per le liste è del 5% in ambito regionale, senza distinzione fra liste singole o coalizzate. In casa nostra sbarramento al 5% per le singole liste e al 10% per le coalizioni, con l’effetto assurdo di impedire alla Murgia di essere in Consiglio con 75 mila voti.
Il territorio siculo è stato diviso in 9 circoscrizioni corrispondenti alle provincie storiche. Così la coalizione di Destra con il 42, 041 % dei voti di lista ottiene 36 seggi – ( 29 + 6 + 1 ), la lista M5S con il 26,674 % 20 seggi – (19 + 1 ), la coalizione guidata dal PD con il 25,405 % 13 seggi. la lista di sinistra con il 5,266 % 1 seggio.
Questo quadro sintetico consente di individuare i punti critici.
La notevole differenza di dimensioni fra le 9 circoscrizioni: Palermo 16 seggi- Catania 13 – Messina 8 – Agrigento 6 – Trapani 5 – Siracusa 5 – Ragusa 4 – Caltanissetta 3 – Enna 2 – tot. seggi 62, determina in molti casi, tranne Palermo e in parte Catania, l’attribuzione di seggi solo alle formazioni maggiori, e l’esclusione di tutte le altre anche di una certa consistenza. E’ certo che nelle circoscrizioni medio piccole i seggi saranno appannaggio esclusivo delle formazioni maggiori a prescindere dalla validità o meno dei candidati. Questo effetto determina un deficit di rappresentanza in termini politici (Fava ha un solo seggio con 100 mila voti; il PD 11 con 250 mila) e sul piano territoriale.
C’è un rimedio? Ridisegnando le circoscrizioni, riducendole di numero, es. 4 circoscrizioni o massimo 5 da 12 a 18 seggi ciascuna e rendendole più omogenee, il bacino elettorale darebbe maggiori possibilità di scelta all’elettorato e si avrebbe un maggior equilibrio politico e territoriale.
E lo sbarramento? Attualmente è al 5%. Col 3 si avrebbe una maggiore rappresentatività. Quindi, guardando alla nostra Isola, si potrebbe eliminare lo sbarramento, pretendendo solo un quoziente pieno in almeno una circoscrizione o lo sbarramento al 3%, che, in pratica è più o meno la stessa cosa.
Vediamo altri dati significativi.
Il PD con 250.633 voti ha ottenuto 11 seggi, la lista 100 passi con 100.583 ne ha ottenuto 1 (uno), la lista Fd’I – Lega con 108.713 ne ha ottenuto 3, la lista Sicilia futura con 115.751 voti 2, la lista ” Diventerà bellissima” con 114.708 voti 4. I seggi sopra riportati si intendono al netto del premio per la lista del Presidente eletto, che senza il seggio presidenziale compensato dal seggio al candidato presidente dell’opposizione consistono in 6 seggi pari – come si è già detto – all’ 8,57% dell’assemblea e 1/6 della maggioranza.
Come si vede, ci sono evidenti disparità nella distribuzione dei seggi. Giocando sulla dimensione delle circoscrizioni e riducendo o eliminando lo sbarramento si avrebbe un risultato più vicino alla forza reale delle singole liste. Comunque la legge siciliana offre spunti di riflessione per cambiare la legge sarda. Con qualche ritocco potrebbe essere adattata alla nostra regione. Ma nei palazzi del potere non è alle viste l’intendimento di lavorare ad una vera riforma. Tutte le sigle presenti in Consiglio, grandi e piccole, si tengono stretta la vigente legge truffa, con buona pace dei sardi.

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La differenza tra gatto e leone*
La Nuova Sardegna, 10 ottobre 2004

La storia dello Statuto sardo comincia lo stesso giorno in cui finisce la guerra in Italia. 29 aprile 1945: mentre a Piazza Loreto la macabra esposizione dei cadaveri di Mussolini e degli altri fucilati di Dongo chiude nell’orrore il ventennio fascista, si riunisce a Cagliari la Consulta regionale. Cerimonia solenne, aperta da un lungo messaggio di Ivanoe Bonomi che indica nella preparazione della carta autonomistica della Sardegna il compito principale del nuovo organismo.
Finisce la dittatura, nasce la democrazia: qualcuno dice «rinasce», perché anche l’Italia prefascista lo era. Ma la Consulta nazionale, qualche mese dopo, sarà inaugurata da una dura polemica fra Ferruccio Parri, uno dei capi della guerra di Liberazione, e Benedetto Croce, il patriarca dell’Italia liberale, proprio su questo punto: per Parri quella che c’era prima del fascismo non era una vera democrazia, ma un regime di oligarchie borghesi. Il «Vento del Nord» dovrebbe portare aria nuova.
Quell’aria nuova si dovrebbe sentire anche in Sardegna, una delle pochissime regioni d’Italia (quasi l’unica) che sia stata risparmiata dalla guerra guerreggiata, dallo scontro e dal passaggio degli eserciti contrapposti. Emilio Lussu, che è in questo momento (nonostante i mugugni di qualche vecchio notabile del suo partito) l’unico vero leader dell’isola che abbia avuto esperienze europee, nel giugno 1943, pochi giorni prima di tornare dall’esilio francese, ha scritto un librino intitolato «La Ricostruzione dello Stato». Lo Stato cui pensa è uno stato federale e socialista. Quando è tornato in Sardegna, nel luglio del ’44, subito dopo la liberazione di Roma, ha chiamato «compagni» gli amici sardisti d’un tempo, con grande loro sconcerto. La cultura che circola nel mondo politico sardo è una cultura libresca, che gli intellettuali di provincia contrari al fascismo hanno messo insieme leggendo i testi che riuscivano a penetrare nella cortina (a maglie larghe, bisogna dire) della censura del regime. Sono soprattutto avvocati, delle città piccole e grandi, che hanno testimoniato le loro idee politiche spesso coraggiosamente: Gonario Pinna, a Nuoro, è stato proposto più volte per il confino, Michele Saba, a Sassari, è stato arrestato due volte, e una tenuto a lungo a Regina Coeli. C’è stato anche un antifascismo operaio e proletario, molta gente è finita nelle isole (in «villeggiatura», come diceva il titolo d’un film di Marco Leto) o davanti al Tribunale speciale. Ma la loro voce, di cui pure si fanno eco i partiti di sinistra, è molto meno ascoltata dell’altra.
Il discorso l’ha aperto una volta Guido Melis, a proposito della debolezza sostanziale dello Statuto sardo: quello Statuto era cosi debole perché era debole, non aggiornata, la cultura degli uomini che lo scrissero? È un fatto che di questa debolezza si cominciò a vedere i segni da subito, mentre lo Statuto era ancora nel ventre della Consulta. Che, intanto, di progetti di statuto ne approntò soltanto due, uno firmato Dc e l’altro firmato Psd’A (le sinistre non volevano immischiarsi, arroccate com’erano, allora, su posizioni antiregionaliste), e presentati per di più a poco meno di un anno dall’entrata in funzione della Consulta. Intanto la Sicilia aveva avuto il suo Statuto: Mario Berlinguer e Emilio Lussu capirono i danni che poteva fare tutto quel ritardo e proposero al governo di estendere alla Sardegna lo statuto «forte» che era stato dato ai siciliani. I consultori cagliaritani rifiutarono con sdegno l’idea di uno statuto «octroyé», come si diceva, cioè graziosamente concesso dall’alto invece che duramente conquistato dai diretti interessati – che tanto duri, in realtà, non erano. Ancora a luglio del 1947 Lussu implorava il governo, alla Costituente, perché si sbrigasse a dare all’isola lo strumento autonomistico. «Faciamus experimentum», lasciateci fare questo esperimento, aveva già chiesto cinquant’anni prima l’economista Giuseppe Todde. Ma in quel luglio del ’47 troppe cose erano cambiate. A primavera De Gasperi aveva estromesso comunisti e socialisti dal governo di unità antifascista, la Dc si stava spostando sempre più velocemente a destra mentre le sinistre si erano (tardivamente) convertite al regionalismo.
Lo Statuto che arrivò alla Costituente aveva già subito tutti gli indebolimenti di cui gli schieramenti politici isolani di maggioranza si erano fatti carico. La commissione della Costituente incaricata di esaminare il progetto ci mise altro del suo. C’è un dato irrefutabile: l’Assemblea aveva concluso la sua esistenza il 31 dicembre 1947, appena varata la Costituzione. Durava in carica sino alla fine di gennaio soltanto per assolvere a due compiti, come dire?, complementari: approvare gli statuti delle cinque Regioni a statuto speciale e fissare le norme per l’elezione del Senato. Allo Statuto sardo furono dedicati due giorni, il 28 e il 29. C’era aria di liquidazione, come quando una famiglia si prepara a traslocare. E c’era anche l’opposizione dei liberali: quella di Einaudi (vicepresidente del Consiglio e ministro del Bilancio) agli articoli sull’autonomia finanziaria della Regione fu cosi forte che si dovette sospendere la seduta, il vecchio guru Francesco «Ciccio» Nitti gridò che quello statuto minava le basi stesse dello Stato.
Lo Statuto fu votato il 31 gennaio, verso le dieci di sera. Mancavano due ore alla fine della Costituente. Su 362 votanti, ebbe 280 voti a favore, 81 contrari. Lussu era scontento. «Al momento del voto dissi a Pietro Mastino – avrebbe ricordato – che votavo a favore solamente per evitare che per un solo voto lo Statuto non venisse approvato neppure cosi ridotto». Ricordando quel momento, Lussu ci ha lasciato una delle sue indimenticabili battute: «Lo Statuto che ci diedero somigliava a quello che i sardi avevano sognato per anni come un gatto somiglia a un leone: l’unica cosa che hanno in comune è che tutt’e due appartengono alla famiglia dei felini».
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* La Nuova Sardegna, 10 ottobre 2004

In direzione ostinatamente contraria alle indicazioni autoreferenziali della classe politica, in Italia e in Sardegna.

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lampadadialadmicromicroPubblico questo articolo di Tomaso Montanari, riprendendolo da Volerelaluna, per anticipare un correlato prossimo mio intervento sulla legge elettorale sarda, della quale da tempo, insieme ad alcune organizzazioni, CoStat e Comitati sardi per la Democrazia Costituzionale in primis, chiediamo la radicale revisione. E’ questione di democrazia! (fm)
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IN PRIMO PIANO
Sistema proporzionale e democrazia
Su Volerelaluna – 14-04-2021 – di: Tomaso Montanari.
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Com’è possibile che una democrazia anteponga gli interessi di pochissimi a quello di (quasi) tutti? Domanda ingenua, ma necessaria: capace di guardare alla politica con quello inesorabile sguardo infantile che costringe ad andare alla sostanza ultima delle cose, denunciando la nudità del re.

Ebbene, perché in un’Italia in cui, dopo un anno di pandemia, aumentano contemporaneamente, ed esponenzialmente, sia le file davanti alle mense dei poveri sia gli ordini ai cantieri dei superyacht, non si riesce a varare una legge patrimoniale, una tassazione severa delle grandi proprietà immobiliari, una vera tassa di successione per i grandi ricchi? La risposta è brutale: perché, in verità, siamo un’oligarchia.

Una realtà plasticamente rappresentata dal governo paternalista Draghi-Mattarella, ma vera ormai da tempo. La maggioranza degli italiani non è rappresentata dal sistema istituzionale: sono fantasmi politici non solo quelli che non votano più (avendo comprensibilmente perso ogni speranza di giustizia), ma anche quelli che votano, e vengono traditi da leggi di ispirazione maggioritaria che truccano i numeri del Parlamento in nome di una governabilità comunque mai davvero raggiunta, come ognuno vede.

Il risultato finale di questa lunga stagione maggioritaria non è nemmeno il primato degli esecutivi sui parlamenti (che è comunque un dato di fatto, dai Comuni alle Regioni allo Stato), ma quello dei blocchi di capitale e privilegio sull’interesse generale. Semplicemente, l’interesse collettivo non trova nessuno spazio politico: e se la patrimoniale è l’esempio principe, mille altri si potrebbero citare, dalla progressività fiscale tradita, al sistema sanitario, e a quello dell’istruzione, demoliti.

È da questa ineludibile constatazione che prende il via il famoso sentimento anti-politico, inteso come un senso di rigetto verso un sistema in cui la Lega e il Pd vogliono lo stesso sistema elettorale. Salvini da una parte, Prodi e Veltroni dall’altra: tutti invocano il maggioritario, il bipolarismo. E le prime parole di Enrico Letta vanno nella stessa direzione: il Pd sembra tornare ai fantasmi letali della “vocazione maggioritaria” (che in realtà si è tradotta in una vocazione al governismo senza mai vincere le elezioni). Un tradimento grave, dopo i solenni impegni presi da Zingaretti al momento del suo sofferto “sì” al referendum sul taglio dei parlamentari. Proprio questa riforma offre un’ulteriore ragione, urgente e drammatica, per tornare subito a un proporzionale vero (cioè senza soglie di sbarramento e con circoscrizione unica nazionale): con il combinato disposto tra riduzione dei parlamentari e Rosatellum (o Mattarellum), una maggioranza parlamentare (ma minoranza nel Paese) può prendersi tutti gli organi di garanzia democratica, e addirittura cambiare la Costituzione senza passare dal referendum (i meccanismi di tutela della Carta, a partire dall’articolo 138, funzionano solo col proporzionale). In questo momento (stando a credibili sondaggi) quella maggioranza toccherà alla Destra estrema (scenario da brividi), ma sarebbe inaccettabile anche se i numeri premiassero una (al momento inesistente) Sinistra. Perché il punto è la tenuta dello stesso sistema democratico.

Può sembrare perfino bizzarro parlare di legge elettorale mentre siamo tutti a seguire con il fiato sospeso l’andamento delle vaccinazioni che potrebbero liberarci dalla pandemia: ma proprio la pandemia ha strappato l’ultimo velo a una bancarotta della politica che impedirà di fatto qualsiasi ricostruzione che non sia il semplice ripristino dello stato delle cose.

E allora, se almeno una parte del Movimento 5 Stelle e del Pd avvertono il disagio di governare con Salvini nel governo delle banche e delle mimetiche, la via maestra per costruire una via di fuga da questo permanente game over della politica è proprio un accordo per una legge elettorale proporzionale. Piero Calamandrei diceva che nella Costituzione è racchiusa una «rivoluzione promessa»: se vogliamo darci una possibilità di mantenere quella promessa, l’unica strada realistica è riportare i cittadini nella politica. Cioè tornare a votare un Parlamento che rappresenti l’interesse generale: un Parlamento proporzionale.

Una versione più ridotta è stata pubblicata su Il FattoQuotidiano
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* Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva). Collabora con numerosi quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)
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Il precedente Editoriale.
La luna oltre il dito. La Salute e tanto altro oltre Sardara.
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RIMBALZI
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Servizio Rapporto Going for Growth
L’Ocse all’Italia: riforma della Pa necessaria per sfruttare il Recovery Fund
Rapporto Going for Growth: le fragilità dei sistemi sanitari e di assistenza sociale hanno aumentato i costi globali della pandemia
di Gianluca Di Donfrancesco e Gianni Trovati su Il Sole24ore.
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La luna oltre il dito. La Sanità e tanto altro oltre Sardara

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di Benedetto Sechi, su fb.
Sarà pur grave il pranzo a Sardara, ma ho come l’impressione che ci vogliano far guardare il dito anziché la luna che questo indica. Solinas che parla di dimissioni dei soggetti coinvolti, l’opposizione che occupa l’aula, su questa vicenda che può finire nella classica bolla di sapone, con annessa multa da 400 €. Non vorrei essere tacciato di “benaltrismo”, ma qui non sta funzionando la campagna vaccinale, i contagi crescono e le morti pure, la sanità sarda, manomessa da questa e dalle precedenti giunte allo sfascio. Forse ci si doveva indignare di più e da tempo, occupando le aule regionali e comunali, magari protestando in piazza, per questi ben più gravi motivi.
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ECCO LA LUNA
di Franco Meloni
Sono d’accordo con Benedetto. Il pranzo di Sardara si configura come una violazione delle norme ed è giusto che i colpevoli chiedano scusa e paghino le sanzioni (al riguardo rinvio al post di Nicolò Migheli, che sotto ripubblico). Ci sta pure bene la “messa alla berlina” dei commensali, esercitata da molti con spassosissima creatività. Fa bene ridere di queste “disavventure” in cui incappa colpevolmente gente in generale privilegiata… Ma i problemi veri sono altri. E Benedetto elenca quelli prioritari, che vedono una classe politica inadeguata ad affrontarli. Pur nella diversa gradazione di responsabilità il discorso vale per chi governa e chi si oppone. E’ su questo fronte che noi, società civile e comunque impegnati nel sociale, anche (o sopratutto) per la nostra appartenenza alla Sinistra, dobbiamo concentrare le nostre energie.
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PS. Dalla pagina fb di Nicolò Migheli.
La premier norvegese Erna Solberg aveva festeggiato in un resort il suo compleanno indifferente alle regole di distanziamento interpersonale. Il capo della polizia ha annunciato che la signora Solberg è stata multata per 20.000 corone pari a quasi 2.000 euro. Lei si è scusata con i norvegesi.
Gran Bretagna. Nel maggio del 2020, Neil Ferguson, un virologo dell’Imperial College che aveva costretto Boris Johnson a cambiare strategia nella lotta al virus, si dimise dalla commissione di lotta alla pandemia perché aveva infranto le misure di confinamento per incontrare la sua amante. #Sardarawindow
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Altri commenti su Sardaara e dintorni: https://www.aladinpensiero.it/?p=121323
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FUOR DI METAFORA: ECCO I VERI PROBLEMI (un esempio).
di Vanni Tola su fb
Piano vaccinale – Provo a spiegare all’assessore alla sanità Nieddu cosa non va nel suo piano di vaccinazione. Si dovrebbe vaccinare per età e con precedenza per i pazienti fragili (con patologie che renderebbero molto più rischioso un eventuale contagio). Ho l’età giusta per essere vaccinato e, purtroppo, a causa di diverse patologie, anche per essere classificato come paziente fragile. Provo a prenotarmi col sistema ATS e scopro che accetta soltanto la prenotazione per la mia fascia di età a patto che non si abbiano esenzioni sanitarie e quindi patologie. In pratica un paziente della mia stessa età viene quindi vaccinato prima di te nonostante io abbia anche altre patologie in atto. Dovrò che mi convochi la ATS (come, dove, quando nessuno lo sa). Mando una mail all’ATS regionale e a quella locale (al telefono non risponde nessuno). Mi rispondono entrambe, Ats di Cagliari con mail, quella di Sassari, a mezzo telefono e successiva mail. In breve mi comunicano che sono molto dispiaciuti per le mie difficoltà nel prenotare il vaccino. Ats di Cagliari suggerisce di rivolgermi al medico di medicina di base affinché segnali il mio caso alla ATS che poi mi convocherà. L’ATS di Sassari risponde testualmente con una mail: “Gentile utente, dobbiamo chiederle di avere un po’ di pazienza perché l’ATS sta predisponendo le vaccinazioni per le persone con patologie. Appena possibile le daremo informazioni in merito”. Non credo di essere riuscito a far comprendere la situazione del piano vaccinale all’assessore Nieddu, queste sono cose troppo complesse. Forse la ATS sta cominciando a porsi il problema e a cercare una soluzione, e io pazienza ne ho abbastanza per attendere ancora qualche giorno. Mi domando però se gli addetti al piano vaccinale si rendano conto realmente della condizione di chi vive sapendo che può essere contagiato dal virus, come tutti gli altri, con in più la certezza che se ciò dovesse accadere, per il paziente fragile, potrebbe significare finire nell’inferno delle terapie intensive se non addirittura rischiare di morire? Con che coraggio quindi mi scrivono di avere ancora un po’ di pazienza? Io gli scongiuri li ho fatti tutti ma dubito che possano bastare, mi sa che comincio a incazzarmi.
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STA ANDANDO TUTTO BENE
Antonio Fadda, sindaco di Orani, su fb
Il numero dei contagi continua ad aumentare, oggi + 502 in Sardegna dei quali 116 solo nel Nuorese.
- A Orani siamo arrivati a 40 positivi e tante persone sono in attesa di tampone e di essere prese in carico.
- I vaccini scarseggiano e non abbiamo date certe sull’arrivo delle nuove dosi e sulle date delle vaccinazioni per gli anziani.
- I pazienti fragili non sanno ancora quando saranno vaccinati.
- I reparti covid sono pieni, i pronto soccorso sono nuovamente in emergenza e la carenza di medici ospedalieri si fa sentire. Oggi è il turno dell’Hospice domani sarà un altro reparto.
- Il telefono squilla senza sosta, come centro informazioni, proteste e lamentele dell’Ats.
Siamo in zona rossa, quindi stavolta nessuno può dare colpe a bar e ristoranti.
Nel frattempo a Cagliari si fanno spuntini o si perde tempo a cercare chi scappa dagli spuntini.
Sta andando tutto bene e il sistema sanitario funziona alla grande.
*Il periodo è brutto e delicato, stiamo attenti e non sottovalutiamo la situazione.
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Da La Nuova Sardegna 14 aprile 2021.
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Senza una buona Pubblica Amministrazione il Paese non si riprende.

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Come uscire dalla crisi? Assumere nella pubblica amministrazione
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Volerelaluna – Aladinpensiero online
Il totale turn-over nella pubblica amministrazione, assumendo un giovane per ogni dipendente che va in pensione è senz’altro necessario, ma è lungi dall’essere sufficiente. Se si vuole attuare una seria riforma della Pubblica Amministrazione è necessario che l’organico aumenti, e di molto. I nostri studi suggeriscono che un aumento di circa un milione di unità è ragionevole e può essere finanziato agevolmente. Non c’è qui lo spazio per riportare tutti i dati, gli argomenti e le elaborazioni che suffragano questa proposta (già in parte illustrata sulle pagine di Volerelaluna: https://volerelaluna.it/economie/2018/03/15/una-proposta-per-affrontare-la-crisi-assumere-un-milione-di-addetti-nella-pubblica-amministrazione/); il lettore interessato potrà scaricare un documento più ampio dal sito www.centrostudiargo.it.

Un piano straordinario di assunzioni è necessario in quanto gli occupati nel settore pubblico in Italia sono eccezionalmente pochi se confrontati ai paesi coi quali amiamo confrontarci, come la Francia, la Germania e il Regno Unito; in effetti sono assai più vicini al dato di paesi con cui non amiamo confrontarci, come la Grecia. Consideriamo gli addetti totali, pubblici e privati, nell’insieme dei settori tipicamente pubblici, in cui cioè è prevalente l’occupazione pubblica: la pubblica amministrazione stessa, la sanità, l’istruzione, l’assistenza sociale e la fornitura di gas, acqua ed elettricità. Questi dati sono più significativi di quelli relativi al settore pubblico in senso stretto (che comunque compaiono nel documento citato e danno le stesse indicazioni) in quanto non sono influenzati dai diversi livelli di esternalizzazione. Nel Regno Unito ci sono 155 addetti ogni 1.000 abitanti, in Germania 147, in Francia 134, in Grecia 90 e in Italia 84. Questi dati possono essere letti in modo più drammatico osservando che i tassi di disoccupazione di Francia, Regno Unito e Germania sarebbero molto più alti di quello italiano (che oggi – o meglio, ieri, prima del Covid – è del 10,3%, il più alto fra i quattro) se il rapporto fra numero di abitanti e numero di addetti ai settori tipicamente pubblici fosse lo stesso dell’Italia: il tasso di disoccupazione della Francia passerebbe dall’8,7% al 20,4%, quello del Regno Unito dal 4,8% al 19,1% e quello della Germania dal 3,3% al 15,8%. Il discorso non cambia se si fa riferimento agli addetti amministrativi in senso stretto, quelli troppo spesso ritenuti “travet” poco produttivi. In Germania ce ne sono 35 ogni 1.000 abitanti, in Francia 37 e nel Regno Unito 32; in Italia 20. Appare chiaro allora che il problema della bassa produttività della Pubblica Amministrazione (cioè quanto ciascun addetto “produce”) non è separabile da quello della bassa produzione (cioè quanto la Pubblica Amministrazione nel suo complesso produce).

Che il numero di addetti alla Pubblica Amministrazione sia anormalmente basso è dimostrato anche da altri due dati, molto noti: rispetto alla media dei paesi sviluppati in Italia ci sono pochissimi laureati, ma la percentuale di laureati disoccupati è altissima. Questo paradosso viene di solito disinvoltamente spiegato con l’ipotesi che gli italiani “si laureano nelle materie sbagliate”. Come risulta dai dati, ciò spiega ben poco: il motivo più importante è proprio il sottodimensionamento della Pubblica Amministrazione, che per sua natura in un paese sviluppato occupa un alto numero di laureati, dal momento che è competente per la salute, l’istruzione, l’assistenza sociale e, ovviamente, per l’amministrazione stessa.

Quanto costerebbe assumere un milione di nuovi addetti? Secondo le nostre stime, circa 26,5 miliardi all’anno. Questi possono essere reperiti in vari modi; qui indichiamo quello che a nostro avviso è il più semplice, ed è quello che ha più effetti positivi e meno effetti negativi. Sono comunque plausibili anche altre modalità. La nostra proposta è che si ricorra ad una imposta di solidarietà sulla ricchezza finanziaria (quindi non sugli immobili). Tale ricchezza è molto elevata (4.445 miliardi, quasi tre volte il PIL di un anno) e molto concentrata, quindi 26,5 miliardi possono essere ottenuti con aliquote molto basse. È importante notare che la trasformazione di 26,5 miliardi di ricchezza (che non fa parte del PIL)in reddito farebbe crescere automaticamente il PIL di circa l’1,7%, e che gli effetti moltiplicativi consentirebbero l’abolizione dell’imposta straordinaria entro pochi anni, probabilmente quattro. Né va dimenticato che l’esborso per i contribuenti sarebbe inferiore al rendimento normale della ricchezza finanziaria, e quindi che lo stock iniziale di capitale non verrebbe ridotto. Infine, questa modalità è anche, a nostro avviso, quella più etica: in un’emergenza è giusto che chi ha di più aiuti chi ha di meno.

Questo per quanto riguarda i benefici. I costi – peraltro molto modesti ‒ sarebbero sopportati quasi esclusivamente dai due decimi più ricchi delle famiglie. Nel nostro scenario-base, quello con aliquota e quota esente più basse (rispettivamente 1% e 100.000€), il 60% meno abbiente della popolazione non pagherebbero nulla, e il settimo e l’ottavo decimo quasi nulla; l’aliquota effettiva, data l’esenzione, sarebbe minore dell’1% anche per il decimo più ricco. Naturalmente operando sulla quota esente e sull’aliquota si possono ottenere diversi scenari: per esempio, con una quota esente di 200.000€ e un’aliquota dell’1,33% sarebbe l’80% delle famiglie a non pagare nulla, e il decimo più ricco pagherebbe poco più dell’1%, mentre, con una quota esente di 300.000€ e un’aliquota dell’1,73% solo il decimo più ricco sarebbe tassato, pagando l’1,16%. La futura disponibilità di dati più aggiornati potrebbe rendere necessario modificare queste cifre, ma solo di molto poco.

Ci sentiamo di affermare che anche molti tra coloro che dovranno sostenere l’onere di questa imposta di solidarietà non sarebbero pregiudizialmente contrari, come risulta da un sondaggio condotto qualche anno fa (scaricabile da https://econpapers.repec.org/paper/ucaucapdv/185.htm) e anche da alcune recenti interviste di qualche arci-miliardario americano. Dopo tutto in tal modo non solo si darebbe un valido contributo alla crescita dell’economia sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta, ma si darebbe anche lavoro a un milione di giovani, ora disoccupati o sotto-occupati, e certamente la maggior parte delle famiglie conosce qualcuno di essi. Infine, è bene ricordare che i costi di esazione sarebbero praticamente nulli per lo Stato e del tutto nulli per il contribuente, come già è il caso per l’imposta di bollo.

Dove, come, e chi assumere deve essere oggetto di valutazioni tecniche accurate. Pensiamo però che sia possibile avanzare fin d’ora qualche suggerimento riguardo ai criteri cui ci si dovrebbe attenere. In particolare, bisognerà tenere conto dei costi in aggiunta allo stipendio connessi all’attivazione di un posto di lavoro e dell’offerta potenziale di giovani con qualifiche tali da potere essere facilmente addestrati on the job, e operare su quei settori che offrano le maggiori attivazioni sull’economia nel suo complesso. È evidente che tutto ciò – così come la fissazione dell’aliquota e della quota esente – ha anche un aspetto politico. Tuttavia il nostro è e vuole essere un contributo tecnico. Riteniamo quindi di non doverci occupare di questa problematica.

La proposta qui illustrata è stata elaborata da: Filippo Barbera, Università di Torino; Maria Luisa Bianco, Università del Piemonte Orientale; Giancarlo Cerruti, Università di Torino; Bruno Contini, Università di Torino; Ugo Mattei, Università di Torino; Guido Ortona1, Università del Piemonte Orientale; Francesco Scacciati1, Università di Torino; Pietro Terna, Università di Torino; Dario Togati, Università di Torino; Willem Tousijn, Università di Torino.
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PER CORRELAZIONE
FPA, Forum DD e Movimenta presentano “Il Fattore Umano”: Rapporto per la Pubblica Amministrazione.
forum-ddCONCORSI, 105 GIORNI PER ASSUMERE PRESTO E BENE
Pubblicato il 7 Aprile, 2021 in Amministrazioni pubbliche rinnovate, Comunicati.
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FPA, Forum DD e Movimenta presentano “Il Fattore Umano”: Rapporto per la Pubblica Amministrazione
SCARICA IL VADEMECUM
Roma, 7 aprile 2021 – Quarantotto riferimenti legislativi, 13 Decreti legislativi, 8 Decreti legge, 7 Leggi, 4 Decreti del Presidente della Repubblica, 4 Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, 4 Decreti Ministeriali, 1 regolamento europeo, 1 contratto collettivo e 6 adempimenti dell’Ente che istituisce il Concorso. Per non parlare delle Linee guida per il piano di fabbisogno di personale e la direttiva del Ministro della PA sui concorsi. È questo il dedalo normativo in un cui si incappa leggendo un bando “tipo” del Dipartimento della Funzione pubblica. Allora non c’è speranza di assumere presto e bene? No, è possibile. E succede. Può e deve diventare pratica di sistema.

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Una forte intesa intergenerazionale per superare la crisi.
Da Aladinpensiero online (10 aprile 2021)
(…) E dunque per quanto accade oggi c’è certo da preoccuparci, partendo però da un dato: non è vero che i giovani non ci sono. E’ che occorre dar loro fiducia e responsabilità, in tutti i campi, ma per la gran massa innanzitutto occorre assicurare lavoro, lavoro degno, qualificato e congruamente remunerato. E quando le qualifiche non si sono occorre crearle attraverso l’istruzione, in tutti i gradi, e la formazione professionale e permanente. Si investa quindi su questi versanti, prioritariamente. Un grosso contributo potrà darlo la Pubblica Amministrazione, che per funzionare bene ha in primo luogo la necessità di un massiccio inserimento di giovani (il dato delle esigenze per tutta Italia è valutato da credibili esperti in 1 milione di assunzioni). Alcune organizzazioni culturali, di cui nutriamo massima fiducia, ci dicono che queste assunzioni possono essere fatte in tempi rapidi, nel rispetto delle normative vigenti, precisamente in 105 giorni. Non c’è nulla da inventare, ci dicono gli esperti: “Basta copiare dai migliori”, cioè dalle migliori pratiche realizzate. Certo, oltre tali assunzioni occorre fare tante altre cose, come investire in occupazione negli altri settori (imprese e terzo settore), sostenendo l’impresa (profit e non) esistente e creandone di nuova, in primis le start up. Le assunzioni nelle Pubbliche Amministrazioni sono una componente fondamentale e per certi versi preliminare di quanto possiamo e dobbiamo fare. Al riguardo il Next Generation Eu costituisce in questa fase il più importante programma e terreno d’impegno, in Italia come in Sardegna. In particolare, riferendoci alla Sardegna: blocchiamo l’emorragia di giovani verso l’estero e il settentrione e favoriamo il ritorno di quanti lo vogliano, creando occasioni di lavoro adeguate alle diverse professionalità. Questa è sicuramente una priorità. I giovani amministratori impegnati in molti comuni sardi, che pur hanno scelto di stare (a volte di tornare) in Sardegna sono convinti assertori di queste politiche (allo stato solo marginalmente in attuazione) ed essi stessi ne rappresentano un esempio positivo (rammento al riguardo i loro interventi negli webinar promossi dall’associazione Nino Carrus), che ci da speranza e motivazione per oggi e domani.
[segue]

Online il nuovo Rapporto EuroMemorandum 2021

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Online il nuovo Rapporto EuroMemorandum 2021

Su Sbilanciamoci! – 6 Aprile 2021 | Sezione: Apertura, Economia e finanza.
È online, scaricabile gratuitamente, la traduzione di Sbilanciamoci! del Rapporto EuroMemorandum 2021 “Un’agenda per la trasformazione socio-ecologica dell’Europa dopo la pandemia”: l’analisi della situazione economico-politica e le ricette per uscire dalla crisi Covid con un’Unione giusta e sostenibile.

Scarica il Rapporto EuroMemorandum 2021
Come ogni anno, anche nel 2021 Sbilanciamoci! propone al pubblico la traduzione, scaricabile gratuitamente, del Rapporto EuroMemorandum realizzato dall’EuroMemo Group, nutrita rete europea di economisti da sempre impegnata sul fronte dell’analisi e della proposta per imprimere all’Unione europea una svolta verso traguardi di giustizia economica e sociale e di sostenibilità ambientale. Il Rapporto EuroMemorandum 2021, intitolato “Un’agenda per la trasformazione socio-ecologica dell’Europa dopo la pandemia”, deriva come di consueto dai dibattiti e dalle relazioni presentate alla conferenza annuale (il “Workshop on Alternative Economic Policy in Europe”) organizzata dall’EuroMemo Group, la cui ventiseiesima edizione – a cui anche Sbilanciamoci! ha preso parte – si è tenuta online, causa Covid, dall’8 al 25 settembre 2020.

Al centro del Rapporto EuroMemorandum 2021, la pandemia e i suoi devastanti effetti sul tessuto sociale, economico e produttivo dei paesi europei, le politiche e le misure intraprese dalla Ue per farvi fronte, la necessità e l’urgenza di mettere in campo approcci e strumenti radicalmente alternativi che mettano al centro – nell’ottica di un ambizioso Patto Verde e per la Cura in Europa – il welfare e il diritto alla salute e all’assistenza, un modello di sviluppo capace di rispettare gli equilibri ecologici del pianeta, nuove relazioni politiche e diplomatiche sia nella Ue sia a livello globale improntate alla cooperazione e alla solidarietà. Qui di seguito riportiamo il testo dell’introduzione del Rapporto.

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I fallimenti del capitalismo neoliberista (che la pandemia ha mostrato ancora una volta)

La pandemia di Coronavirus ha provocato più di 400.000 morti in Europa nel 2020, ha aperto una grave crisi economica e ha tragicamente messo a nudo i gravi difetti del modello economico predominante, sia nell’Unione Europea che altrove. Il modello neoliberista dei passati decenni consisteva nella costruzione di un mercato integrato globalmente con regole armonizzate, a loro volta garantite da organizzazioni internazionali come l’Organizzazione mondiale del commercio. La crisi finanziaria globale, la crisi climatica, così come l’emergere del populismo autoritario su scala globale e, più recentemente, la pandemia di Covid-19, hanno reso chiarissimo che il capitalismo neoliberista è in profonda crisi.

Il commercio internazionale e gli investimenti hanno subìto un rallentamento dal 2009. Inoltre, l’attività economica internazionale, paradigmaticamente incarnata nelle catene globali del valore, è stata esposta a diversi tipi di shock, come evidenziato dal Covid-19. La quantità di tali shock è in aumento da anni e il loro impatto economico e sociale è diventato sempre più grave.[1] Se si considera il numero crescente di eventi climatici avversi (inondazioni, siccità, eccetera), crisi sanitarie, attacchi informatici e conflitti politici, è probabile che tanto la frequenza quanto l’ampiezza del rallentamento economico e produttivo siano destinate ad aumentare nel prossimo futuro.

Meno cooperazione internazionale, ma più integrazione europea?

A seguito della pandemia abbiamo assistito al ritorno dello Stato come agente economico di ultima istanza. Ciò ha prodotto risultati ambivalenti. In primo luogo, al fine di garantire la fornitura di beni essenziali, in particolare prodotti e forniture mediche e farmaceutiche, i governi di 90 paesi hanno scelto di imporre circa 230 restrizioni all’esportazione.[2] Tra questi sono inclusi i protagonisti del cosiddetto “ordine internazionale basato sulle regole” (“Rules-based International Order”), come la Commissione europea, la Germania e il Giappone. Analogamente, i paesi ricchi del centro capitalistico hanno ingaggiato una lotta per assicurarsi un accesso preferenziale ai vaccini sviluppati dai laboratori di ricerca e dalle aziende farmaceutiche, a discapito di un approccio coordinato che tenesse conto delle esigenze dei paesi della periferia.[3] La mancanza di solidarietà internazionale, almeno durante la prima fase della crisi Covid-19, ha costituito un elemento di grave problematicità; ma questo non dovrebbe sorprenderci dato che sono gli Stati nazionali ad avere la responsabilità primaria della gestione delle situazioni di crisi, mentre l’UE non dispone ancora di rilevanti competenze al riguardo. Il Covid-19 ha quindi avuto l’effetto iniziale di indebolire ulteriormente la cooperazione europea e internazionale.

In secondo luogo, i governi di tutta l’UE hanno introdotto ampi programmi fiscali per mitigare l’impatto economico e sociale della profonda contrazione economica dovuta al Covid-19. La sospensione delle regole fiscali e sugli aiuti di Stato da parte della Commissione europea, così come le ingenti iniezioni di liquidità della Banca Centrale Europea, hanno portato al varo di imponenti piani di spesa da parte dei singoli Stati membri. Le politiche di austerità degli ultimi dodici anni si sono rivelate al grande pubblico per quello che sono sempre state: dogmatiche e slegate da solidi ancoraggi teorici, dall’esperienza storica e soprattutto dal loro costo in termini umani e sociali. Inoltre, l’impatto economico marcatamente asimmetrico del Covid-19 tra gli Stati membri dell’UE, con paesi dell’Europa meridionale come Italia e Spagna colpiti più duramente rispetto a quelli che ruotano attorno all’orbita della Germania, ha portato a compiere un ulteriore passo, sebbene timido, verso l’integrazione economica, vale a dire la decisione di introdurre forme mutualistiche di debito europeo con il Next Generation EU Program. Il programma da 750 miliardi di euro comprende sia prestiti che sovvenzioni, queste ultime per un totale di 390 miliardi di euro. Pur trattandosi di una novità importante, non sappiamo se la portata di questa iniziativa e la velocità della sua attuazione saranno sufficienti a dare un contributo significativo alla ripresa dell’economia europea, né tantomeno a un processo di convergenza economica all’interno dell’Eurozona.

La crisi climatica e la necessità di una profonda trasformazione socio-ecologica

Sebbene un annunciato 30% dei fondi del Next Generation EU sarà destinato a finanziare investimenti verdi, nondimeno il Green Deal europeo (European Green Deal, d’ora in avanti EGD), progetto chiave della nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen, appare sotto pressione a causa della profonda crisi economica generata dalla pandemia. Le proposte per concretizzare programmi specifici nell’ambito dell’EGD sono state rinviate o indebolite. Nell’ottobre 2020, ad esempio, le posizioni concordate sia dal Consiglio che dal Parlamento europeo sugli orientamenti per la Politica agricola comune (PAC) per il periodo 2021-2027 sono state ampiamente criticate per la mancanza di ambizione in materia di obiettivi sulla protezione dell’ambiente e del clima.[4]

È fin troppo ovvio che i gruppi e gli interessi più forti stiano usando l’attuale crisi economica come pretesto per respingere non solo gli elementi più ambiziosi dell’EGD, ma anche le proposte più radicali di trasformazione socio-ecologica. Il processo decisionale nelle istituzioni europee è diventato via via più tortuoso, con l’emergere di nuovi paesi che oppongono il diritto di veto su argomenti specifici come i quattro “paesi frugali” (Austria, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, supportati dalla Finlandia) sulla politica fiscale, o come l’Ungheria e la Polonia sulla politica climatica, lo Stato di diritto e altri temi. Sfortunatamente, le discussioni sulla traiettoria futura dell’integrazione europea sono oggi più controverse che mai. Recenti – e importanti – eventi quali la Brexit, il cambiamento della linea di politica estera statunitense rispetto alla Cina o la diffusione della pandemia di Covid non sono stati finora in grado di cambiare la prospettiva strategica dei responsabili politici dell’UE, i quali appaiono capaci di fare solo lo stretto necessario per evitare il crollo dell’Eurozona o eventi di simile, disastrosa portata.

Durante l’autunno del 2020, la maggior parte dei paesi europei è stata attraversata da una seconda ondata di Covid-19, in conseguenza della quale il processo decisionale dell’UE ha avuto una nuova accelerazione. Sebbene sia impossibile prevedere quando la pandemia sarà definitivamente contenuta, deve essere nondimeno chiaro che, dati gli obiettivi climatici dell’UE, le decisioni di politica economica che saranno prese nel corso dei prossimi anni peseranno in modo decisivo sulla traiettoria dell’economia europea da qui alla fine del decennio. Saranno quindi, i prossimi, anni decisivi, sia se ci muoveremo verso la sostituzione dei nostri attuali modelli di produzione e consumo socialmente e ambientalmente insostenibili, sia se le forze dello status quo prevarranno, infliggendoci crisi sociali e ambientali sempre più intense.

Come già sottolineato nel Rapporto EuroMemorandum 2020, il Gruppo EuroMemo crede fermamente che sia fondamentale adottare un programma puntuale e radicale di trasformazione socio-ecologica al fine di realizzare la necessaria transizione verso un futuro sostenibile. Nel Rapporto di quest’anno, oltre a offrire una panoramica sulla situazione economica e politica corrente e una critica al Green Deal europeo e alla sua implementazione, ci concentriamo su una serie di ambiti che sono rimasti troppo spesso fuori dalle discussioni circa la trasformazione socio-ecologica, ma che meritano tuttavia grande attenzione: in primo luogo, la necessità di adottare una prospettiva femminista e di rimarcare l’importanza della riproduzione sociale e della cura all’interno di qualsiasi articolazione di una proposta progressista sul Green New Deal e la trasformazione socio-ecologica. In secondo luogo, alla luce dei nostri obiettivi e impegni sul fronte dell’ambiente e delle urgenze dettate dal Covid-19, serve un programma ambizioso per ricostruire la nostra economia produttiva.

In terzo luogo, la dimensione internazionale e la politica estera e di sicurezza dell’UE devono essere affrontate in modo molto più esplicito. Alla luce delle crescenti rivalità geopolitiche, in particolare tra gli Stati Uniti e la Cina, occorre contrastare con forza i piani volti a espandere le capacità militari dell’UE e la sua politica esterna di sicurezza – così come la sua politica commerciale – al fine di poter assumere un approccio ancora più aggressivo negli affari internazionali. L’UE deve al contrario basare la propria politica estera sui principi del peace-building, della mediazione dei conflitti e del disarmo, insieme a quelli di cooperazione e solidarietà internazionale.

Note

[1] Cfr., ad esempio, Swiss Re Institute (2020) “Natural catastrophes in times of economic accumulation and climate change”. Sigma No. 2/2020. Disponibile su: https://www.swissre.com/dam/jcr:85598d6e-b5b5-4d4b-971e-5fc9eee143fb/sigma-2-2020-en.pdf (accesso: 15 dicembre 2020).

[2] Si veda il sito del WTO: https://www.wto.org/ (30 agosto 2020).

[3] L’iniziativa Gavi COVAC con il supporto dell’Organizzazione mondiale della sanità, della Commissione europea e della Francia è un’eccezione, ma probabilmente troppo debole e sottofinanziata per fornire ai paesi meno sviluppati un accesso onnicomprensivo a una vaccinazione efficace, una volta disponibile. Per maggiori informazioni si veda www.gavi.org.

[4] Cfr. https://www.politico.eu/article/europes-green-ambitions-run-into-an-old-foe-farmers/

Scarica il Rapporto EuroMemorandum 2021
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L’indice del Rapporto EuroMemorandum 2020

Sommario
Introduzione
1. L’economia Europea nell’era della pandemiac di Coronavirus
2. Una prospettiva critica sul Gree Deal europeo
3. Un approccio femminista per un Patto Verde e per la Cura
4. Ricostruire l’economia europea: politica industriale, transizione ecologica e sistema sanitario
5. La dimensione internazionale della trasformazione socio-ecologica

Diritto alla salute per tutta l’Umanità. Verso il 7 Aprile Giornata Mondiale della Salute.

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Papa Francesco sui vaccini: «tutti siamo chiamati a combattere la pandemia, i vaccini sono strumento essenziale per questa lotta. Serve internazionalismo dei vaccini, la comunità internazionale faccia di più per superare i ritardi e favorisca invece la condivisione con i Paesi più poveri»
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7 Aprile Giornata Mondiale della Salute: un pool di artisti d’eccezione invitano a fare un click per “liberare” i brevetti da BigPharma con un milione di firme

Decine di artisti e personalità fra i più amati e popolari per il 7 aprile, Giornata Mondiale della Salute, in diretta Facebook dalle 18 alle 19,30: un click per “liberare” i brevetti dei vaccini da BigPharma con un milione di firme, una necessità urgente e indilazionabile.
”O il brevetto, o la vita”! Ad accettare la sfida e “sposare” la causa dei “brevetti liberi” per una Giornata Mondiale della Salute davvero speciale, ci sono artisti e personalità dello spettacolo e della cultura italiana fra i più amati e popolari. Eccoli, in ordine alfabetico: Giulia Anania, Stefano “Cisco” Belotti, Claudio Bisio, Dario Brunori “Brunori Sas”, Giulio Cavalli, Ascanio Celestini, Marco Dose e Antonello Presta, Luigi Ferrajoli, Richy Gianco, Silvio Garattini, Paolo Hendel, Germano Lanzoni, Maurizio Maggiani, Giovanna Marini, Paola Minaccioni, Moni Ovadia, Cochi Ponzoni, David Riondino, Paolo Rossi, Marco Rovelli, Renato Sarti, Andrea Satta, Guido Silvestri, Bebo Storti, Dario Vergassola, Sofia Viscardi. Un elenco ”spettacolare” che continua a crescere: li vedremo alternarsi nella diretta Facebook di mercoledì 7 aprile dalle 18,00 alle 19,30 sulla pagina Facebook Right2cure/DirittoallaCura, con la conduzione di Vittorio Agnoletto, portavoce dela Campagna Europea Diritto alla Cura: https://www.facebook.com/right2cure.it
“Un click per liberare i brevetti dei vaccini dai superpoteri delle aziende farmaceutiche”, questa la parola d’ordine del Comitato Italiano della Campagna Europea Diritto alla Cura, che ha promosso l’iniziativa Facebook: “Firmate la nostra petizione per la raccolta di un milione di firme cliccando qui https://noprofitonpandemic.eu/it/ , non c’è più tempo da perdere”!
“Bisogna spezzare la spirale vorticosa dei numeri - sostiene il Comitato- con cifre, dosi, date e destinazioni che non si rispettano, perchè le capacità produttive delle aziende detentrici dei brevetti sono limitate. Così come non sono tollerabili vicende sconcertanti come quella di AstraZeneca e dei 29 milioni di dosi ‘imboscate’: occorre sottrarsi al condizionamento assoluto delle aziende farmaceutiche, che sfuggono ad ogni controllo e decidono solo in base ai profitti, senza rispetto di accordi e contratti”!
L’obiettivo della Campagna Europea Diritto alla Cura, promossa in Italia da un gruppo di personalità di prestigio, a cui aderiscono ad oggi 92 Organizzazioni, è quello, appunto, di raccogliere 1 milione di firme, utilizzando lo strumento dell’ICE, Iniziativa Cittadini Europei, per obbligare l’UE a modificare gli accordi commerciali con una sospensione, almeno temporanea, dei brevetti dei vaccini. Sospensione richiesta di India e Sudafrica, con il sostegno di un centinaio di Paesi alla riunione del WTO dello scorso 11 marzo e fino ad ora contrastata da Usa-Ue-Uk-Giappone-Brasile-Canada-Svizzera-Australia e Singapore: una pesante e pericolosa battuta d’arresto per il diritto alla salute della comunità mondiale, che verrà contrastata in ogni modo.
Per maggior informazioni sulla campagna e firmare la petizione: https://noprofitonpandemic.eu/it/, “Diritto alla Cura, nessun profitto sulla pandemia”
[COMUNICATO STAMPA]
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Vaccini e diamanti: lo spirito del capitalismo
Volerelaluna. 03-04-2021 – di: Luigi Pandolfi**

Anche sulle vaccinazioni l’Europa sta mostrando tutti i suoi limiti. Quali compiti si era data? Concludere accordi con i singoli produttori di vaccini per conto degli Stati membri. L’ha fatto ricorrendo al fondo da 2,7 miliardi appositamente istituito per supportare i Paesi dell’Unione nella lotta al coronavirus (Emergency Support Instrument). In sostanza, si è fatta carico di acquisire un diritto di acquisto per un certo numero di dosi, dando alle imprese un acconto a nome degli Stati. A ben vedere, una buona garanzia per le imprese produttrici, che in questo modo sarebbero incentivate ad aumentare la produzione. Dopo tre mesi, tuttavia, i conti non tornano. Secondo la tabella di marcia, ad oggi doveva essere vaccinato l’80% degli ultraottantenni e del personale sanitario. Siamo al 27% per gli uni e al 47% per gli altri. Nel frattempo, il numero giornaliero di morti e contagi rimane da paura. Oltre 200 mila i primi, circa 3 mila i secondi. Fallimento? È quello che dice la sezione regionale dell’Oms. «Campagna inaccettabilmente lenta», ha dichiarato il direttore generale Hans Henri P. Kluge. A Bruxelles, però, dicono che la colpa è delle case farmaceutiche che producono poco e dei piani nazionali che non decollano. Ma davvero è solo una questione organizzativa? Troppo semplice, verrebbe da dire.

Intanto, dovremmo chiederci perché i singoli Paesi membri, quasi tutti economicamente avanzati, non sono in grado di produrre i vaccini per i loro popoli. O li producono solo per conto terzi, per i colossi di Big Pharma. Cuba sì e l’Italia no? Un paradosso. Eppure, in passato non è stato sempre così. Fino agli anni Settanta, in Europa esisteva una pluralità di produttori pubblici di vaccini. Ma anche gli istituti privati assolvevano, come in Italia (emblematico il caso dell’Istituto Sclavo), a una funzione pubblica, nel quadro delle strategie nazionali di politica sanitaria. La svolta arriva negli anni Ottanta. La rivincita delle teorie economiche neoclassiche travolge anche il settore sanitario e farmaceutico. La sanità diventa «aziendale», anche i farmaci diventano solo fonte di profitto, al pari di tutte le altre merci. In pochi anni tutti gli istituti pubblici di produzione di vaccini che erano sorti a partire dagli anni Cinquanta nei principali Paesi europei vengono smantellati (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/03/23/per-unindustria-pubblica-del-farmaco-e-del-vaccino/). Fine di una storia. Quella che nei decenni passati aveva fatto conseguire risultati clamorosi nella lotta alle più insidiose malattie endemiche, come ad esempio il vaiolo (per quelli di una certa età la traccia indelebile di quella stagione è data dei segni dell’innesto sul braccio sinistro).

È il trionfo del privato. Un pugno di multinazionali acquisisce il monopolio della produzione farmaceutica su scala mondiale e anche i vaccini vengono interamente assoggettati alla logica del mercato. Da «valori d’uso» si trasformano in meri «valori di scambio». Come per le altre merci, la loro produzione non è più finalizzata al soddisfacimento di un bisogno (in questo caso il bisogno di salute), ma alla realizzazione di un profitto il più possibile elevato. Il processo è quello che si può riassumere nella formula denaro-merce-denaro. Processo capitalistico per eccellenza. L’«utilità marginale» del bene vaccino è commisurata alla formazione del suo valore monetario e alla profittabilità dell’impresa produttrice. L’utilizzatore è un consumatore come un altro. Non conta il numero dei morti che fa il Covid-19, ma la legge della domanda e dell’offerta. Quando la Commissione europea scrive che l’acconto dato alle case produttrici per conto degli Stati serve a incentivare la produzione da parte delle stesse (una copertura del rischio) ammette proprio questo. Che gli affari non guardano in faccia nessuno, anche se di mezzo ci sono malati e morti (https://volerelaluna.it/noi-e-il-virus/2021/03/22/astrazeneca-una-vicenda-che-non-riguarda-solo-il-vaccino/). Nel I libro de Il Capitale, Marx porta il lettore a ragionare sulla duplice natura delle merci. «Come valori d’uso le merci sono soprattutto di qualità differente, come valori di scambio possono essere soltanto di quantità differente, cioè non contengono nemmeno un atomo di valore d’uso», è la sua caustica conclusione. La traduzione è semplice. In un’economia capitalistica la differenza tra un vaccino che salva la vita e un diamante che serve a soddisfare la vanità di una persona è data soltanto dal loro diverso «valore di scambio». Il loro prezzo. Il processo economico capitalista non contempla la produzione di utilità sociali, ma solo la realizzazione di un sovrappiù per chi detiene i mezzi di produzione, dopo aver reintegrato i mezzi per la sussistenza e la riproduzione dei lavoratori e quelli necessari alla ripresa del processo produttivo. Dopo più di tre secoli siamo ancora qui, per quanto si voglia insistere con la storiella che «ormai è cambiato tutto, anche il lavoro e l’impresa».

La pandemia è arrivata alla fine di un lungo ciclo di ristrutturazione delle società occidentali. Anni in cui il mercato è stato fatto entrare dappertutto, finanche dove insistono, per dirla ancora con Marx, «valori d’uso senza valore» (acqua, aria, paesaggio). Tutto è stato assoggettato a «determinazione economica». E tutto è stato riassorbito in un processo fine a se stesso di produzione di denaro a mezzo di denaro. Compresa la politica e le istituzioni democratiche, la cui autonomia rispetto all’economia è pari a zero, ormai. Come per la produzione pubblica di vaccini, anche il «Grande novecento» politico è solo un lontano ricordo. Siamo «dopo l’età della politica». Ma tutto sembra normale: il problema diventano i ritardi nelle forniture e non il fatto che un bene così importante come il vaccino venga prodotto in funzione dei guadagni che su di esso si possono realizzare. Siamo schiavi del mercato ma intendiamo le catene come semplici accidenti. E nemmeno in tutte le circostanze della vita. «Una levigata, ragionevole, democratica non-libertà», avrebbe detto Herbert Marcuse. Salvo aggiungere che «se la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente, ciò non rende questa meno irrazionale e riprovevole».

Un esempio recente di subalternità della politica e delle istituzioni al capitale monopolistico, legato proprio alla questione dei vaccini, è quello del mancato accordo in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) a proposito di una deroga sui brevetti. Si sono schierati contro gli Usa, il Regno Unito, la Commissione Ue e tutti i 27 Stati membri dell’Unione, compresa l’Italia. L’Occidente ricco unito a sostegno dei profitti privati sui vaccini, e contro i diritti elementari delle persone e dei popoli più sfortunati della Terra. (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/02/17/il-nazionalismo-del-vaccino-ovvero-si-salvi-chi-puo/). Una vicenda «riprovevole e irrazionale». Ma tutto maledettamente razionale secondo lo spirito del capitalismo.

Dalla pandemia usciremo, prima o poi. Il problema è che rimarremo ancora a lungo in un sistema nel quale il valore dell’attività umana e la stessa vita continueranno ad essere «espressi in cifre», come efficacemente scrisse due secoli fa il filosofo e attivista tedesco Moses Hess. D’altronde, cosa si muove intorno a noi perché questo giudizio pessimistico sul futuro possa essere ribaltato?
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Nell’illustrazione in testa Discesa agli inferi (XIV secolo), basilica di San Salvatore in Chora ad Istanbul
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** Luigi Pandolfi
Luigi Pandolfi, laureato in scienze politiche, giornalista pubblicista, scrive di politica ed economia su vari giornali, riviste e web magazine, tra cui “Il Manifesto”, “Micromega”, “Economia e Politica”. Tra i suoi libri più recenti: “Metamorfosi del denaro” (manifestolibri, 2020).
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[Benedizione Urbi et Orbi dopo la Santa Messa di Pasqua: video streaming, Papa Francesco annuncia la Resurrezione del Signore. Il messaggio del 2021]
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Auguri di buona Pasqua di Resurrezione!

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Pasqua 2021: salvarsi insieme
Volerelaluna. 03-04-2021 – di: Tomaso Montanari*.
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Gesù non si salva da solo. Gesù non risorge da solo.

Appena vinta la morte, Gesù non ascende al cielo. Non vola dal Padre, e non corre subito nemmeno dai suoi amici, gli apostoli. Egli invece va letteralmente all’inferno, questa terribile prigione perpetua (Pietro 1, 3, 19: «andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione»). Ne scardina le porte blindate. Le abbatte: le porte dell’inferno non prevarranno (Matteo 16, 18). Vediamo, a terra, tutti i chiavistelli del cancello infernale: distrutti, disarticolati, spezzati. Sono i congegni della morte: il peccato e la legge. E sono stati annientati da una legge nuova che non è una legge: ma un amore. Sconosciuto, perché gratuito. La porta, gettata a terra, schiaccia il diavolo: etimologicamente colui che divide, il divisore. È vinto colui che divideva i morti dai vivi, è vinto colui che divideva i vivi tra chiamati e rifiutati. Ora tutti sono chiamati, senza confini di genere, razza, lingua e stirpe. Senza confini di religione.

E quando Gesù mette piede all’inferno, cosa fa? Stende le sue mani, e prende le mani di Adamo e di Eva. Quell’incontro di mani, quella stretta forte è il primo frutto della resurrezione. Gesù stringe a sé tutto il genere umano, le donne e gli uomini di ogni tempo. Non solo quelli che lo hanno preceduto, ma quelli di tutti i tempi. Gesù non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio (Filippesi 2, 6), e non considera un tesoro geloso nemmeno la sua resurrezione: tende le mani, e condivide subito quella vittoria sulla morte.

La Pasqua è il trionfo di quel salvarsi insieme che don Lorenzo Milani definiva semplicemente “politica”. Oggi tutto questo, lo sappiamo, è ribaltato nel suo contrario. Oggi il primo ministro inglese Boris Johnson ha avuto almeno il coraggio di dire apertamente ciò che è tutto l’Occidente pensa: e cioè che se ci salviamo dalla pandemia, ci salviamo grazie all’avidità, al profitto, al mercato. Al denaro. Più o meno tutti gli Stati occidentali lo stanno facendo: e chi, come l’Italia, non lo fa, è perché non ci riesce, non perché non voglia. Ci siamo affidati al grande nemico dell’uomo, il divisore: il diavolo che Gesù identifica col denaro (Matteo 6, 24; Luca 16,13).

Nemmeno la concreta e attuale minaccia di una estinzione di specie ci induce a superare il nostro mostruoso egoismo. La pandemia – lo sappiamo – è il frutto dello scellerato modello di economia che l’Occidente ha imposto al mondo: una crescita infinita per un pianeta finito; le condizioni di vita che imponiamo agli animali, e che tolgono a noi la condizione di umani. È questo l’inferno che abbiamo costruito in terra. Guardato da porte pesanti, da chiavistelli inespugnabili. E ora che quell’inferno minaccia di ingoiare il mondo intero, l’Occidente cerca di risorgere da solo.

Se l’epidemia della spagnola non è ricordata come il flagello mostruoso che fu davvero, è perché la maggior parte dei morti non li fece in Occidente: dove fummo molto più bravi a ucciderci a vicenda con la Prima guerra mondiale. Ma nel resto del mondo il disastro fu epocale: forse fino a cento (certamente fino a cinquanta) milioni di morti, un’ecatombe che stentiamo financo a immaginare, pur con i nostri quasi tre milioni di caduti per il coronavirus di oggi. Il mondo povero non scrive la storia, e oggi il copione sembra ripetersi. Ma con una differenza fondamentale, e cioè che le vaccinazioni occidentali potrebbero essere radicalmente vanificate dal ritorno “a casa nostra” delle varianti del virus generate in un terzo mondo abbandonato a se stesso. Pensiamoci un attimo: se dovessimo finire per il nostro egoismo, se dovessimo morire tutti perché abbiamo pensato a salvarci da soli, chi potrebbe piangere sul nostro egoismo suicida?

Mai come quest’anno, dunque, la Pasqua coincide con la discesa agli inferi del Risorto. La Pasqua è resurrezione di uno che diventa resurrezione di tutti. È salvarsi insieme. È mano tesa a chi è imprigionato nell’inferno che proprio noi abbiamo creato (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/04/12/pasqua-2020-3-domenica-di-pasqua-un-cuore-di-carne/).

Giovanni racconta che, dopo la resurrezione, Gesù si manifestò ai discepoli nel modo più fraterno e commovente: «Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso or ora”» (21, 9-10). Gesù cucina per i suoi amici, prepara un fuoco sulla spiaggia, e aspetta che tornino dal lavoro. Un’immagine indimenticabile di convivialità e amicizia, che dice, nel modo più forte e insieme più semplice, cos’è che davvero importa nella vita: condividere. Gesù, vero uomo, avrà imparato molte cose nella sua vita tra gli uomini. Anche che una vita senza arrostire del pesce per i propri amici, una vita (perfino una vita eterna) da solo non è umana, anzi non è nemmeno immaginabile.

Se vogliamo che l’umanità si salvi, dobbiamo essere umani: scardinando le porte degli inferni che noi stessi abbiamo costruito (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/04/12/che-pasqua-celebriamo/). Gli umani si salvano insieme, risorgono insieme: o non si salvano, e non risorgono. La Pasqua è la speranza che questo accada. La resurrezione è «la speranza che, nonostante tutta questa ingiustizia che caratterizza il mondo, non possa avvenire che l’ingiustizia possa essere l’ultima parola» (Max Horkheimer).
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Vaccini e diamanti: lo spirito del capitalismo
Volerelaluna. 03-04-2021 – di: Luigi Pandolfi**

Anche sulle vaccinazioni l’Europa sta mostrando tutti i suoi limiti. Quali compiti si era data? Concludere accordi con i singoli produttori di vaccini per conto degli Stati membri. L’ha fatto ricorrendo al fondo da 2,7 miliardi appositamente istituito per supportare i Paesi dell’Unione nella lotta al coronavirus (Emergency Support Instrument). In sostanza, si è fatta carico di acquisire un diritto di acquisto per un certo numero di dosi, dando alle imprese un acconto a nome degli Stati. A ben vedere, una buona garanzia per le imprese produttrici, che in questo modo sarebbero incentivate ad aumentare la produzione. Dopo tre mesi, tuttavia, i conti non tornano. Secondo la tabella di marcia, ad oggi doveva essere vaccinato l’80% degli ultraottantenni e del personale sanitario. Siamo al 27% per gli uni e al 47% per gli altri. Nel frattempo, il numero giornaliero di morti e contagi rimane da paura. Oltre 200 mila i primi, circa 3 mila i secondi. Fallimento? È quello che dice la sezione regionale dell’Oms. «Campagna inaccettabilmente lenta», ha dichiarato il direttore generale Hans Henri P. Kluge. A Bruxelles, però, dicono che la colpa è delle case farmaceutiche che producono poco e dei piani nazionali che non decollano. Ma davvero è solo una questione organizzativa? Troppo semplice, verrebbe da dire.

Intanto, dovremmo chiederci perché i singoli Paesi membri, quasi tutti economicamente avanzati, non sono in grado di produrre i vaccini per i loro popoli. O li producono solo per conto terzi, per i colossi di Big Pharma. Cuba sì e l’Italia no? Un paradosso. Eppure, in passato non è stato sempre così. Fino agli anni Settanta, in Europa esisteva una pluralità di produttori pubblici di vaccini. Ma anche gli istituti privati assolvevano, come in Italia (emblematico il caso dell’Istituto Sclavo), a una funzione pubblica, nel quadro delle strategie nazionali di politica sanitaria. La svolta arriva negli anni Ottanta. La rivincita delle teorie economiche neoclassiche travolge anche il settore sanitario e farmaceutico. La sanità diventa «aziendale», anche i farmaci diventano solo fonte di profitto, al pari di tutte le altre merci. In pochi anni tutti gli istituti pubblici di produzione di vaccini che erano sorti a partire dagli anni Cinquanta nei principali Paesi europei vengono smantellati (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/03/23/per-unindustria-pubblica-del-farmaco-e-del-vaccino/). Fine di una storia. Quella che nei decenni passati aveva fatto conseguire risultati clamorosi nella lotta alle più insidiose malattie endemiche, come ad esempio il vaiolo (per quelli di una certa età la traccia indelebile di quella stagione è data dei segni dell’innesto sul braccio sinistro).

È il trionfo del privato. Un pugno di multinazionali acquisisce il monopolio della produzione farmaceutica su scala mondiale e anche i vaccini vengono interamente assoggettati alla logica del mercato. Da «valori d’uso» si trasformano in meri «valori di scambio». Come per le altre merci, la loro produzione non è più finalizzata al soddisfacimento di un bisogno (in questo caso il bisogno di salute), ma alla realizzazione di un profitto il più possibile elevato. Il processo è quello che si può riassumere nella formula denaro-merce-denaro. Processo capitalistico per eccellenza. L’«utilità marginale» del bene vaccino è commisurata alla formazione del suo valore monetario e alla profittabilità dell’impresa produttrice. L’utilizzatore è un consumatore come un altro. Non conta il numero dei morti che fa il Covid-19, ma la legge della domanda e dell’offerta. Quando la Commissione europea scrive che l’acconto dato alle case produttrici per conto degli Stati serve a incentivare la produzione da parte delle stesse (una copertura del rischio) ammette proprio questo. Che gli affari non guardano in faccia nessuno, anche se di mezzo ci sono malati e morti (https://volerelaluna.it/noi-e-il-virus/2021/03/22/astrazeneca-una-vicenda-che-non-riguarda-solo-il-vaccino/). Nel I libro de Il Capitale, Marx porta il lettore a ragionare sulla duplice natura delle merci. «Come valori d’uso le merci sono soprattutto di qualità differente, come valori di scambio possono essere soltanto di quantità differente, cioè non contengono nemmeno un atomo di valore d’uso», è la sua caustica conclusione. La traduzione è semplice. In un’economia capitalistica la differenza tra un vaccino che salva la vita e un diamante che serve a soddisfare la vanità di una persona è data soltanto dal loro diverso «valore di scambio». Il loro prezzo. Il processo economico capitalista non contempla la produzione di utilità sociali, ma solo la realizzazione di un sovrappiù per chi detiene i mezzi di produzione, dopo aver reintegrato i mezzi per la sussistenza e la riproduzione dei lavoratori e quelli necessari alla ripresa del processo produttivo. Dopo più di tre secoli siamo ancora qui, per quanto si voglia insistere con la storiella che «ormai è cambiato tutto, anche il lavoro e l’impresa».

La pandemia è arrivata alla fine di un lungo ciclo di ristrutturazione delle società occidentali. Anni in cui il mercato è stato fatto entrare dappertutto, finanche dove insistono, per dirla ancora con Marx, «valori d’uso senza valore» (acqua, aria, paesaggio). Tutto è stato assoggettato a «determinazione economica». E tutto è stato riassorbito in un processo fine a se stesso di produzione di denaro a mezzo di denaro. Compresa la politica e le istituzioni democratiche, la cui autonomia rispetto all’economia è pari a zero, ormai. Come per la produzione pubblica di vaccini, anche il «Grande novecento» politico è solo un lontano ricordo. Siamo «dopo l’età della politica». Ma tutto sembra normale: il problema diventano i ritardi nelle forniture e non il fatto che un bene così importante come il vaccino venga prodotto in funzione dei guadagni che su di esso si possono realizzare. Siamo schiavi del mercato ma intendiamo le catene come semplici accidenti. E nemmeno in tutte le circostanze della vita. «Una levigata, ragionevole, democratica non-libertà», avrebbe detto Herbert Marcuse. Salvo aggiungere che «se la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente, ciò non rende questa meno irrazionale e riprovevole».

Un esempio recente di subalternità della politica e delle istituzioni al capitale monopolistico, legato proprio alla questione dei vaccini, è quello del mancato accordo in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) a proposito di una deroga sui brevetti. Si sono schierati contro gli Usa, il Regno Unito, la Commissione Ue e tutti i 27 Stati membri dell’Unione, compresa l’Italia. L’Occidente ricco unito a sostegno dei profitti privati sui vaccini, e contro i diritti elementari delle persone e dei popoli più sfortunati della Terra. (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/02/17/il-nazionalismo-del-vaccino-ovvero-si-salvi-chi-puo/). Una vicenda «riprovevole e irrazionale». Ma tutto maledettamente razionale secondo lo spirito del capitalismo.

Dalla pandemia usciremo, prima o poi. Il problema è che rimarremo ancora a lungo in un sistema nel quale il valore dell’attività umana e la stessa vita continueranno ad essere «espressi in cifre», come efficacemente scrisse due secoli fa il filosofo e attivista tedesco Moses Hess. D’altronde, cosa si muove intorno a noi perché questo giudizio pessimistico sul futuro possa essere ribaltato?
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Nell’illustrazione in testa Discesa agli inferi (XIV secolo), basilica di San Salvatore in Chora ad Istanbul
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* Tomaso Montanari
Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva). Collabora con numerosi quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)
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** Luigi Pandolfi
Luigi Pandolfi, laureato in scienze politiche, giornalista pubblicista, scrive di politica ed economia su vari giornali, riviste e web magazine, tra cui “Il Manifesto”, “Micromega”, “Economia e Politica”. Tra i suoi libri più recenti: “Metamorfosi del denaro” (manifestolibri, 2020).

Riflessioni su volontariato e terzo settore

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Ridefinire il volontariato per promuovere risposte
Per un necessario cambiamento del Terzo settore

di Luca Gori, su Labsus.
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In un suo editoriale del 2017, Gregorio Arena scriveva che «le parole del legislatore pesano, per cui ne basta una per cambiare completamente la prospettiva». Si può dire che il volume che Emanuele Rossi ed il sottoscritto hanno curato, Ridefinire il volontariato (Pisa University Press, 2021) – e di cui Labsus ha gentilmente chiesto una auto-recensione –, ha inteso prendere sul serio quell’avvertimento: le parole del legislatore “pesano”. In effetti, se si legge con attenzione l’art. 17, comma 2 del Codice del Terzo settore si percepisce come la necessaria “sinteticità” che è richiesta alla legge svolga una duplice funzione: bilancio della disciplina normativa del volontariato italiano e, allo stesso tempo, apertura verso il futuro.
Bilancio perché la storia normativa del volontariato italiano nasce ancora prima della legge n. 266 del 1991 (Legge quadro sul volontariato) e si snoda attraverso diverse leggi statali e regionali, non sempre fra loro coordinate, e interpretate dai giudici. Ciascuna di quelle leggi ed interpretazioni ha progressivamente adattato, riletto, adeguato. Ha sagomato – per riprendere una immagine di Paolo Grossi – il vestito del diritto sopra il corpo sociale, per come esso si è via via organizzato.
Ma vi è anche una significativa apertura verso il futuro, perché il legislatore ha preso atto del polimorfismo del volontariato, che trascende i singoli enti e le singole attività. E ciò è avvenuto, principalmente, attraverso un semplice “anche”: sia nel Terzo settore, sia fuori di esso, sia in modalità del tutto informali. Si prende atto – attraverso l’utilizzo di “anche” – che ad oggi la capacità immaginativa del legislatore si arresta ad un dato storico – il Terzo settore – ma che non si possa escludere, domani, un volontariato del tutto nuovo.
La valutazione complessiva dell’art. 17, c. 2 è positiva. Certamente, si tratta di una disposizione che non si può isolare rispetto al Codice del Terzo settore, ma è estremamente significativo che – finalmente – vi sia una definizione chiara e comprensiva, che si proietta in tutto l’ordinamento giuridico.

Due scenari per il volontariato
Nel libro si è provato a “spezzare” il comma 2 in singoli sintagmi. A ciascun autore si è chiesto di offrire una propria lettura di una singola espressione. Si tratta di una operazione che non ha solo un significato di tipo giuridico – offrire una interpretazione di una disposizione di diritto vigente – bensì pure di lanciare un segnale di tipo culturale. Infatti, la disposizione rappresenta, oltre che una norma propriamente giuridica, una sorta di manifesto culturale. Dalla lettura del libro, emergono, fra i tanti, due “scenari” da valutare.
Il primo. Il volontario «[…] svolge attività in favore della comunità e del bene comune». La norma non indica quale sia la comunità di riferimento (il quartiere, la città, la Regione, ecc.) né indica quale sia il bene comune cui si riferisce. Spetta al volontario individuare quale sia la comunità con la quale voglia entrare in relazione e quale sia l’idea di bene comune che intende sostenere, ed aggregare altre persone, risorse, beni immateriali. La disposizione, quindi, ci parla di un volontario che non è il mero esecutore della volontà degli enti pubblici, ma di un volontario che è chiamato a farsi naturalmente costruttore, sapendo che la propria attività avrà un impatto politico (e non si deve avere paura di dirlo) e modificherà i rapporti all’interno del contesto di riferimento. Anche le micro-azioni di cura dei beni comuni sono espressione di appartenenza alla comunità, di rivendicazione della propria libertà di scegliere e di impegnarsi e di assunzione di una responsabilità.
Al contrario, spesso è diffusa una idea di volontariato come intervento a basso costo, in sostituzione di quello pubblico e con intenti dirigisti da parte della pubblica amministrazione. L’art. 17, c. 2 ricorda che la prospettiva è tutt’altra. Il sintagma «attività in favore della comunità e del bene comune» potrebbe essere così riletto: ciascun volontario è in condizione di esercitare la propria autonoma iniziativa di cittadino individuando, in condizione di libertà, i fini ed i mezzi della propria azione orientata a migliorare le condizioni di vita della comunità ove vive, anche indipendentemente dal potere pubblico, responsabilmente, ovverosia potendo argomentare a quale comunità egli si riferisca ed a quale idea di bene comune si ispiri. Una missione impegnativa, insomma.
Il secondo. Il volontario opera «[…] per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione». Non è detto semplicemente “per realizzare risposte ai bisogni”, ma più ampiamente di “promuovere risposte“. “Promuovere” significa creare le condizioni affinché i bisogni possano trovare risposta e, ancora prima, affinché i bisogni escano da uno stato di latenza e assumano una loro concreta evidenza. Talvolta è richiesto al volontario di attivarsi anche solamente per indicare ai pubblici poteri situazioni e luoghi sui quali intervenire o invocare la tutela di diritti (la c.d. funzione di advocacy). Ciò non esclude che “promuovere” significhi pure prendersi cura direttamente delle situazioni, concretamente e operativamente. Non si deve dimenticare però che la gamma di azioni che il volontario può essere chiamato a mettere in campo è, quindi, assai ampia.

Un cambiamento necessario
Ma soprattutto il richiamo alle “risposte” indica l’idea di un cambiamento necessario: l’azione del volontario determina alterazioni della realtà di fatto, non accettazione di una condizione attuale. Emanuele Rossi, nella conclusione del libro, ricorda che ha molto colpito ed ha generato dibattito il messaggio, a tratti provocatorio, di Papa Francesco in occasione dell’evento “The Economy of Francesco – i giovani, un patto, il futuro” (21 novembre 2020). Il Papa ha ammonito che, per garantire beni e servizi essenziali alle persone, «non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel Terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case».
È stato un richiamo forte, quasi ruvido, ma che ha rimesso al centro il tema di quel “promuovere risposte” in maniera integrale: non già il «porre rimedio ai guai fatti dagli altri» (come affermava Maria Eletta Martini), bensì l’andare in profondità, con acume, alle radici dei problemi, attraverso formazione e non tramite improvvisazione. Quando la legge dice “promuovere risposte” si potrebbe dire, più ampiamente, come creare le condizioni affinché quei bisogni siano rilevati e soddisfatti poiché, per la propria competenza, potere pubblico e Terzo settore si adoperano affinché le determinanti di quei bisogni siano individuate e risolte nonché gli effetti, comunque, mitigati.

Le voci
Le “voci” che si alternano del libro appartengono a diversi ambiti disciplinari ed esperienze: giuristi, sociologici, economisti, dirigenti di grandi enti, ricercatori sociali. Hanno infatti contribuito, oltre ai curatori, Pasqualino Albi, Maurizio Ambrosini, Gregorio Arena, Carlo Borzaga, Antonio Cecconi, Andrea Salvini, Jacopo Sforzi, Vincenzo Tondi Della Mura. I contributi sono brevi, di agile lettura, con una indicazione di una bibliografia essenziale.
L’intenzione è stata di indicare sentieri possibili da percorrere, per approfondire e riflettere, a partire da un singolo comma costituito da meno di 400 caratteri che, da solo, indica un essere ed un dover essere della persona-volontario. Il rischio, infatti, è schiacciare l’analisi esclusivamente sul dato normativo e sulla sua portata prescrittiva, che è indubitabile: dagli adempimenti di registrazione, alle incompatibilità, ai divieti di retribuzione, alle assicurazioni ecc., queste sono le preoccupazioni che affliggono il Terzo settore e la pubblica amministrazione oggi. Si tratta di aspetti indubbiamente importanti, ma occorre tenere presente che non sono altro che il riflesso, sul piano giuridico, di alcuni orientamenti valoriali di fondo e, in particolare, di quella naturale vocazione sociale dell’uomo, inscritta nella storia profonda del nostro Paese e cardine della Costituzione repubblicana.
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Dispositivo dell’art. 17 Codice del terzo settore
Fonti → Codice del terzo settore → Titolo III – Del volontario e dell’attività di volontariato

1. Gli enti del Terzo settore possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività e sono tenuti a iscrivere in un apposito registro i volontari che svolgono la loro attività in modo non occasionale.

2. Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà.

3. L’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere rimborsate dall’ente del Terzo settore tramite il quale svolge l’attività soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente medesimo. Sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfetario.

4. Ai fini di cui al comma 3, le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate anche a fronte di una autocertificazione resa ai sensi dell’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, purché non superino l’importo di 10 euro giornalieri e 150 euro mensili e l’organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso. La disposizione di cui al presente comma non si applica alle attività di volontariato aventi ad oggetto la donazione di sangue e di organi.

5. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli operatori che prestano attività di soccorso per le organizzazioni di cui all’articolo 76 della legge provinciale 5 marzo 2001, n. 7, della Provincia autonoma di Bolzano e di cui all’articolo 55-bis della legge provinciale 19 luglio 1990, n. 23, della Provincia autonoma di Trento.

6. Ai fini del presente Codice non si considera volontario l’associato che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni.

6-bis. I lavoratori subordinati che intendano svolgere attività di volontariato in un ente del Terzo settore hanno diritto di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale.

7. Le disposizioni di cui al presente titolo non si applicano agli operatori volontari del servizio civile universale, al personale impiegato all’estero a titolo volontario nelle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo, nonché agli operatori che prestano le attività di cui alla legge 21 marzo 2001, n. 74.

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Pubblichiamo di seguito il testo del Videomessaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato, a conclusione dei lavori, ai partecipanti all’Incontro internazionale “Economy of Francesco – Papa Francesco e i giovani da tutto il mondo per l’economia di domani”, in corso ad Assisi – in diretta streaming – dal 19 al 21 novembre 2020:

Videomessaggio del Santo Padre

Cari giovani, buon pomeriggio!

Grazie per essere lì, per tutto il lavoro che avete fatto, per l’impegno di questi mesi, malgrado i cambi di programma. Non vi siete scoraggiati, anzi, ho conosciuto il livello di riflessione, la qualità, la serietà e la responsabilità con cui avete lavorato: non avete tralasciato nulla di ciò che vi dà gioia, vi preoccupa, vi indigna e vi spinge a cambiare.

L’idea originaria era di incontrarci ad Assisi per ispirarci sulle orme di San Francesco. Dal Crocifisso di San Damiano e da altri volti – come quello del lebbroso – il Signore gli è andato incontro, lo ha chiamato e gli ha affidato una missione; lo ha spogliato degli idoli che lo isolavano, delle perplessità che lo paralizzavano e lo chiudevano nella solita debolezza del “si è sempre fatto così” – questa è una debolezza! – o della tristezza dolciastra e insoddisfatta di quelli che vivono solo per sé stessi e gli ha regalato la capacità di intonare un canto di lode, espressione di gioia, libertà e dono di sé. Perciò, questo incontro virtuale ad Assisi per me non è un punto di arrivo ma la spinta iniziale di un processo che siamo invitati a vivere come vocazione, come cultura e come patto.

La vocazione di Assisi

“Francesco va’, ripara la mia casa che, come vedi, è in rovina”. Queste furono le parole che smossero il giovane Francesco e che diventano un appello speciale per ognuno di noi. Quando vi sentite chiamati, coinvolti e protagonisti della “normalità” da costruire, voi sapete dire “sì”, e questo dà speranza. So che avete accettato immediatamente questa convocazione, perché siete in grado di vedere, analizzare e sperimentare che non possiamo andare avanti in questo modo: lo ha mostrato chiaramente il livello di adesione, di iscrizione e di partecipazione a questo patto, che è andato oltre le capacità. Voi manifestate una sensibilità e una preoccupazione speciali per identificare le questioni cruciali che ci interpellano. L’avete fatto da una prospettiva particolare: l’economia, che è il vostro ambito di ricerca, di studio e di lavoro. Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che «l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista»[1] e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. Vanno insieme: tu spogli la terra e ci sono tanti poveri esclusi. Essi sono i primi danneggiati… e anche i primi dimenticati.

Attenzione però a non lasciarsi convincere che questo sia solo un ricorrente luogo comune. Voi siete molto più di un “rumore” superficiale e passeggero che si può addormentare e narcotizzare con il tempo. Se non vogliamo che questo succeda, siete chiamati a incidere concretamente nelle vostre città e università, nel lavoro e nel sindacato, nelle imprese e nei movimenti, negli uffici pubblici e privati con intelligenza, impegno e convinzione, per arrivare al nucleo e al cuore dove si elaborano e si decidono i temi e i paradigmi.[2] Tutto ciò mi ha spinto a invitarvi a realizzare questo patto. La gravità della situazione attuale, che la pandemia del Covid ha fatto risaltare ancora di più, esige una responsabile presa di coscienza di tutti gli attori sociali, di tutti noi, tra i quali voi avete un ruolo primario: le conseguenze delle nostre azioni e decisioni vi toccheranno in prima persona, pertanto non potete rimanere fuori dai luoghi in cui si genera, non dico il vostro futuro, ma il vostro presente. Voi non potete restare fuori da dove si genera il presente e il futuro. O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra.

Una nuova cultura

Abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento.[3] Il problema nasce quando ci accorgiamo che, per molte delle difficoltà che ci assillano, non possediamo risposte adeguate e inclusive; anzi, risentiamo di una frammentazione nelle analisi e nelle diagnosi che finisce per bloccare ogni possibile soluzione. In fondo, ci manca la cultura necessaria per consentire e stimolare l’apertura di visioni diverse, improntate a un tipo di pensiero, di politica, di programmi educativi, e anche di spiritualità che non si lasci rinchiudere da un’unica logica dominante.[4] Se è urgente trovare risposte, è indispensabile far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di elaborare cultura, avviare processi – non dimenticatevi questa parola: avviare processi – tracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze… Ogni sforzo per amministrare, curare e migliorare la nostra casa comune, se vuole essere significativo, richiede di cambiare «gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società».[5] Senza fare questo, non farete nulla.

Abbiamo bisogno di gruppi dirigenti comunitari e istituzionali che possano farsi carico dei problemi senza restare prigionieri di essi e delle proprie insoddisfazioni, e così sfidare la sottomissione – spesso inconsapevole – a certe logiche (ideologiche) che finiscono per giustificare e paralizzare ogni azione di fronte alle ingiustizie. Ricordiamo, ad esempio, come bene osservò Benedetto XVI, che la fame «non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale».[6] Se voi sarete capaci di risolvere questo, avrete la via aperta per il futuro. Ripeto il pensiero di Papa Benedetto: la fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale.

La crisi sociale ed economica, che molti patiscono nella propria carne e che sta ipotecando il presente e il futuro nell’abbandono e nell’esclusione di tanti bambini e adolescenti e di intere famiglie, non tollera che privilegiamo gli interessi settoriali a scapito del bene comune. Dobbiamo ritornare un po’ alla mistica [allo spirito] del bene comune. In questo senso, permettetemi di rilevare un esercizio che avete sperimentato come metodologia per una sana e rivoluzionaria risoluzione dei conflitti. Durante questi mesi avete condiviso varie riflessioni e importanti quadri teorici. Siete stati capaci di incontrarvi su 12 tematiche (i “villaggi”, voi li avete chiamati): 12 tematiche per dibattere, discutere e individuare vie praticabili. Avete vissuto la tanto necessaria cultura dell’incontro, che è l’opposto della cultura dello scarto, che è alla moda. E questa cultura dell’incontro permette a molte voci di stare intorno a uno stesso tavolo per dialogare, pensare, discutere e creare, secondo una prospettiva poliedrica, le diverse dimensioni e risposte ai problemi globali che riguardano i nostri popoli e le nostre democrazie.[7] Com’è difficile progredire verso soluzioni reali quando si è screditato, calunniato e decontestualizzato l’interlocutore che non la pensa come noi! Questo screditare, calunniare o decontestualizzare l’interlocutore che non la pensa come noi è un modo di difendersi codardamente dalle decisioni che io dovrei assumere per risolvere tanti problemi. Non dimentichiamo mai che «il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma»[8], e che «la mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità».[9]

Questo esercizio di incontrarsi al di là di tutte le legittime differenze è il passo fondamentale per qualsiasi trasformazione che aiuti a dar vita a una nuova mentalità culturale e, quindi, economica, politica e sociale; perché non sarà possibile impegnarsi in grandi cose solo secondo una prospettiva teorica o individuale senza uno spirito che vi animi, senza alcune motivazioni interiori che diano senso, senza un’appartenenza e un radicamento che diano respiro all’azione personale e comunitaria.[10]

Così il futuro sarà un tempo speciale, in cui ci sentiamo chiamati a riconoscere l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. Un tempo che ci ricorda che non siamo condannati a modelli economici che concentrino il loro interesse immediato sui profitti come unità di misura e sulla ricerca di politiche pubbliche simili che ignorano il proprio costo umano, sociale e ambientale.[11] Come se potessimo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse. No, non siamo costretti a continuare ad ammettere e tollerare in silenzio nei nostri comportamenti «che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti»[12] o privilegi per il godimento garantito di determinati beni o servizi essenziali.[13] Non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case. E questo è molto più che assistenzialismo: stiamo parlando di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale. [segue]

Diritto alla salute per tutta l’Umanità

no-profit-per-vaccino-pandemia Milano, 30 marzo 2021
7 Aprile Giornata Mondiale della Salute: un pool di artisti d’eccezione invitano a fare un click per “liberare” i brevetti da BigPharma con un milione di firme
COMUNICATO STAMPA*
Decine di artisti e personalità fra i più amati e popolari per il 7 aprile, Giornata Mondiale della Salute, in diretta Facebook dalle 18 alle 19,30: un click per “liberare” i brevetti dei vaccini da BigPharma con un milione di firme, una necessità urgente e indilazionabile.
”O il brevetto, o la vita”! Ad accettare la sfida e “sposare” la causa dei “brevetti liberi” per una Giornata Mondiale della Salute davvero speciale, ci sono artisti e personalità dello spettacolo e della cultura italiana fra i più amati e popolari. Eccoli, in ordine alfabetico: Giulia Anania, Stefano “Cisco” Belotti, Claudio Bisio, Dario Brunori “Brunori Sas”, Giulio Cavalli, Ascanio Celestini, Marco Dose e Antonello Presta, Luigi Ferrajoli, Richy Gianco, Silvio Garattini, Paolo Hendel, Germano Lanzoni, Maurizio Maggiani, Giovanna Marini, Paola Minaccioni, Moni Ovadia, Cochi Ponzoni, David Riondino, Paolo Rossi, Marco Rovelli, Renato Sarti, Andrea Satta, Guido Silvestri, Bebo Storti, Dario Vergassola, Sofia Viscardi. Un elenco ”spettacolare” che continua a crescere: li vedremo alternarsi nella diretta Facebook di mercoledì 7 aprile dalle 18,00 alle 19,30 sulla pagina Facebook Right2cure/DirittoallaCura, con la conduzione di Vittorio Agnoletto, portavoce dela Campagna Europea Diritto alla Cura: https://www.facebook.com/right2cure.it
“Un click per liberare i brevetti dei vaccini dai superpoteri delle aziende farmaceutiche”, questa la parola d’ordine del Comitato Italiano della Campagna Europea Diritto alla Cura, che ha promosso l’iniziativa Facebook: “Firmate la nostra petizione per la raccolta di un milione di firme cliccando qui www.noprofitonpandemic.eu/it , non c’è più tempo da perdere”!
“Bisogna spezzare la spirale vorticosa dei numeri - sostiene il Comitato- con cifre, dosi, date e destinazioni che non si rispettano, perchè le capacità produttive delle aziende detentrici dei brevetti sono limitate. Così come non sono tollerabili vicende sconcertanti come quella di AstraZeneca e dei 29 milioni di dosi ‘imboscate’: occorre sottrarsi al condizionamento assoluto delle aziende farmaceutiche, che sfuggono ad ogni controllo e decidono solo in base ai profitti, senza rispetto di accordi e contratti”!
L’obiettivo della Campagna Europea Diritto alla Cura, promossa in Italia da un gruppo di personalità di prestigio, a cui aderiscono ad oggi 92 Organizzazioni, è quello, appunto, di raccogliere 1 milione di firme, utilizzando lo strumento dell’ICE, Iniziativa Cittadini Europei, per obbligare l’UE a modificare gli accordi commerciali con una sospensione, almeno temporanea, dei brevetti dei vaccini. Sospensione richiesta di India e Sudafrica, con il sostegno di un centinaio di Paesi alla riunione del WTO dello scorso 11 marzo e fino ad ora contrastata da Usa-Ue-Uk-Giappone-Brasile-Canada-Svizzera-Australia e Singapore: una pesante e pericolosa battuta d’arresto per il diritto alla salute della comunità mondiale, che verrà contrastata in ogni modo.
Per maggior informazioni sulla campagna e firmare la petizione: www.noprofitonpandemic.eu/it, “Diritto alla Cura, nessun profitto sulla pandemia”

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La lettera da inviare per diffondere l’appello e invitare a firmare!
Cara, Caro ______________
Sapevi che i vaccini contro COVID-19 sono ancora in gran parte inaccessibili a gran parte della popolazione mondiale? Si è ampliata la differenza tra i paesi più ricchi, alcuni con dosi sufficienti per vaccinare più volte la loro popolazione, e i paesi più poveri, che sono stati esclusi di fatto dalla possibilità di vaccinare. L’accesso diseguale consente alle nuove varianti del virus di diffondersi più rapidamente, facendo durare più a lungo la pandemia e colpendo un maggior numero di persone.

Ma c’è una soluzione: se le aziende farmaceutiche condividessero apertamente le loro conoscenze e consentissero ad altri paesi di produrre vaccini, potremmo porre fine a questa pandemia più velocemente. Per questo motivo I brevetti dovrebbero essere revocati e nessun profitto deve essere consentito sulla pandemia.

Il 10 marzo, i nostri governi e la Commissione europea decideranno su una proposta per revocare temporaneamente i monopoli farmaceutici sui vaccini, sui trattamenti e sulle tecnologie relative al COVID-19 all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Tuttavia, la Commissione europea sembra ancora disposta a anteporre gli interessi delle aziende farmaceutiche ai bisogni e ai diritti delle persone in tutto il mondo e sta bloccando questa azione necessaria.

Ecco perché vi chiediamo di firmare L’ICE – Iniziativa dei Cittadini Europei per il diritto alla cura.

Abbiamo bisogno di 1 milione di firme per cambiare la posizione della Commissione europea e rendere accessibili a tutti i vaccini e le cure essenziali per il Covid-19.

FIRMA l’ICE CLICCANDO QUI

L’ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei) è un modo diretto per presentare proposte legislative alla Commissione europea. Questa iniziativa è supportata da una coalizione di oltre 200 organizzazioni della società civile di 13 paesi europei.

Ti preghiamo di inoltrare questa email a persone che conosci che si preoccupano di trovare una soluzione a questa crisi quanto te
FIRMA l’ICE: https://eci.ec.europa.eu/015/public/#/screen/home

Grazie.
Coordinamento per la Democrazia Costituzionale
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*Ufficio Stampa – Carmìna Conte – cell. 393 1377616