Editoriali

Conflitto palestinesi-israeliani. Oltre un’impossibile soluzione solo politica. Le proposte dei Movimenti ChiesadituttiChiesadeipoveri e di Costituente Terra.

schermata-2021-05-15-alle-13-37-43 La durezza della risposta armata dello Stato di Israele, ancora rappresentato da un Netanyau ricusato dal suo stesso elettorato, e la passività o la reazione maldestra dell’Unione Europea, degli Stati Uniti, degli Stati arabi e asiatici di fronte a questa tragedia, ci dice che non saranno certo gli Stati, con la loro spietatezza, unendosi o federandosi tra loro, che faranno la pace e daranno impulso a un processo costituente della Terra, ma potranno esserlo solo i popoli e le altre formazioni sociali, potranno farlo le culture, le sinagoghe, le moschee, gli ashram, le pagode e le chiese; è in questa direzione che dovremo lavorare.
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Chiesadituttichiesadeipoveri. Newsletter n. 222 del 15 maggio 2021

SE NON CI SI CONVERTE

Care e cari amici,
A partire dall’11 maggio un giorno dopo l’altro la Televisione ci ha mostrato torri e palazzi di 12 e 14 piani a Gaza abbattersi al suolo con i loro abitanti sotto i bombardamenti israeliani. Le immagini in diretta immediatamente richiamavano alla memoria con impressionante somiglianza le corrispondenti immagini dell’11 settembre 2001 quando furono abbattute le Torri gemelle a New York. Ma mentre allora il mondo si fermò e il compianto fu universale, questa volta nulla si è fermato e pianto non s’è visto.
È la guerra, dicono, ma è impossibile dire quando questa è cominciata. È cominciata il giorno prima, con le migliaia di razzi sparati da Hamas su Israele, tanto più numerosi quanto più inefficaci, più politica che guerra, paurosamente asimmetrici rispetto alla potenza di fuoco israeliana? Oppure è cominciata il 7 maggio quando l’esercito di Israele ha fatto irruzione sulla spianata delle moschee, si è scontrato con i Palestinesi lì manifestanti o in preghiera? O è cominciata quando le famiglie palestinesi povere sono state sfrattate dal quartiere Sheik Jarrah per lasciare le case ai coloni occupanti sionisti? O è partita con la guerra dei 6 giorni del 1967 e la conquista ebraica di Gerusalemme Est? O con la Nakba, o “catastrofe” palestinese, e gli Arabi espulsi dalle loro terre nel 1948? O è cominciata con la Shoà, il genocidio, la lunga persecuzione degli Ebrei?
Non è il caso qui di tentare un’analisi che ci troverebbe divisi. Ma una cosa è certa: che questo lungo inumano conflitto non ha una soluzione politica. E speriamo fermamente che nessuno pretenda o si illuda di dargli una soluzione di forza, che nessuno pensi a una mazzata militare finale. Invece c’è una sola soluzione possibile, e c’è una condizione imprescindibile per una soluzione politica, ed è una conversione.
Per conversione deve intendersi una conversione religiosa, che implica un mutamento della natura ebraica dello Stato di Israele. La natura ebraica dello Stato, nonostante la mascheratura laica, è stata impressa fin dal principio nella formazione statuale israeliana, incorporata nel suo evento fondatore, di fatto poi associata a tutte le sue scelte politiche e militari e dal luglio 2018 è anche formalmente sancita in una legge di portata costituzionale che fa di Israele lo “Stato-nazione” degli Ebrei, nel quale al solo popolo ebraico è riconosciuto il diritto all’autodeterminazione, gli altri sono un popolo soggetto, da “scartare”, come direbbe la “Evangelii Gaudium”. In forza di ciò in Israele ci sono due cittadinanze e una sola legittimità, la cui fonte è un diritto non di origine umana ma un diritto divino.
Si tratta di una figura storicamente già nota. Tale è stato il regime costantiniano, o meglio teodosiano, in cui si è incorporato tra il I e il II millennio il cristianesimo, tale lo Stato della Chiesa che ancora nell’800 praticava a Roma le esecuzioni capitali alla mazzola e squarto a piazza del Popolo, tale “la cristianità” vigente in Occidente fino al Concilio Vaticano II, tale il regime di cristianità dal quale ora papa Francesco proclama risolutamente la Chiesa essere uscita; ma questo è anche il modello che ancora sussiste nelle velleità e nei sogni dell’estremismo islamico e dei suoi riesumati e falliti califfati.
Uscire da questo ibridismo politico-religioso non è solo la condizione della democrazia e la prima stazione della pace, ma sarebbe anche una straordinaria epifania di Dio, una correzione delle sue fuorviate immagini, una guarigione delle perverse rappresentazioni fornitene da ogni tradizione. Per la religione e il popolo d’Israele, come pur imperfettamente lo è stato per i cristiani, una tale conversione sarebbe un dono inestimabile anzitutto per se stessi, ma anche per l’umanità tutta, oggi alle prese con il compito storico di dare una risposta alla crisi ambientale, di salvare il pianeta, far continuare la storia. Il miglior cristianesimo e il miglior Islam si sono già abbracciati su questa frontiera nel documento di Abu Dhabi del febbraio 2019 in cui insieme essi hanno preso le distanze dall’uso politico della religione, divenuto fonte di “violenza, estremismo e fanatismo cieco”, mentre un documento cattolico dogmatico sul monotesimo e la violenza del 2013 aveva già sconfessato ogni “tentazione di scambiare la potenza divina con un potere mondano” e aveva postulato, come inizio di una nuova storia, l’avvento di “una religione definitivamente congedata da ogni strumentale sovrapposizione della sovranità politica e della signoria di Dio”.
Nel sito un articolo di Domenico Gallo “senza giustizia” [riportato anche di seguito].
Con i più cordiali saluti
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La guerra in Israele
SENZA GIUSTIZIA PER I PALESTINESI
15 MAGGIO 2021 / EDITORE / DICONO I FATTI /
Il 14 maggio ricorreva il 73 anniversario della nascita dello Stato di Israele, ma quest’anno c’è poco da celebrare. La festa dell’indipendenza è coincisa con un’esplosione di violenza, non solo militare, che pervade tutta la società comprese le comunità che convivono nelle cittadine miste come Lod, Aco e Ramble. Se in 73 anni la popolazione di Israele non ha vissuto un solo giorno di pace, evidentemente siamo in presenza del fallimento del progetto politico che ha guidato la nascita dello Stato d’Israele ed il suo percorso storico fin qui realizzato. Un percorso storico che si è sciolto di ogni ambiguità anche da un punto di vista formale con la legge approvata il 19 luglio 2018 con la quale è stata definita la natura dello Stato ed i suoi caratteri fondamentali. Abbandonando ogni remora, sotto la guida di Netanyahu, Israele si è autodefinito come uno Stato etnico-religioso, nel quale l’autodeterminazione “è esclusivamente per il popolo ebraico” e sono stati riconosciuti gli insediamenti dei coloni nei territori occupati come “valore nazionale”. In altre parole è stata “costituzionalizzata” una situazione di discriminazione e di umiliazione del popolo palestinese perseguita con accanimento e con un ventaglio di misure di carattere militare, amministrativo e legislativo. Negli ultimi tempi questa situazione di oppressione è stata resa ancora più dura. Il 27 aprile è stato pubblicato un rapporto di 213 pagine di Human Rights Watch, intitolato “Una soglia varcata. Autorità israeliane e crimini di apartheid e persecuzione” (https://www.hrw.org/report/2021/04/27/threshold-crossed/israeli-authorities-and-crimes-apartheid-and-persecution) in cui viene descritto dettagliatamente il trattamento umiliante e discriminatorio riservato da Israele ai palestinesi nella Cisgiordania occupata, nella Striscia di Gaza bloccata e nell’annessa Gerusalemme est, oltre che agli arabi-israeliani.
Nelle ultime settimane a Gerusalemme si è scatenata una repressione durissima contro la protesta spontanea che si opponeva alle deportazioni e agli “sfratti etnici” dal quartiere di Sheikh Jarrah della popolazione Palestinese, che lì vive da decenni. Ma la provocazione ancora più grave è stata l’irruzione dell’esercito israeliano nella spianata delle moschee. In Italia negli anni del confronto politico rovente fra comunisti e democristiani, veniva agitato lo spettro dei cavalli dei cosacchi che si abbeveravano in piazza San Pietro. In politica i simboli sono importanti e quando colpiscono l’immaginario religioso incidono profondamente nell’identità dei popoli. L’attacco alla moschea di al-Aqsa è stato vissuto dalla popolazione musulmana come una provocazione profonda. Ciò ha consentito ad Hamas di ergersi a protettore dei palestinesi e di tutti i musulmani, inviando un velleitario ultimatum ad Israele a cui hanno fatto seguito una pioggia di razzi lanciati da Gaza e i violentissimi bombardamenti delle forze armate israeliane. Quel che è certo è che nessuna operazione militare potrà porre fine al conflitto e che la straordinaria potenza militare di Israele non potrà garantire al popolo israeliano di vivere in pace. Quando scoppiò la prima intifada nel 1987, seguì una durissima repressione. I soldati israeliani rompevano le ossa delle braccia ai ragazzini di 15/16 anni catturati per “insegnare” loro a non lanciare più le pietre. L’allora ministro della difesa Yitzhak Rabin, commentò la repressione osservando che se i palestinesi si ribellavano solo loro avrebbero sofferto. Purtroppo Rabin, ucciso da un colono il 4 novembre del 1995, sperimentò su se stesso che la violenza contro gli altri si ritorce anche contro di noi. Non è possibile separare il destino di due comunità umane che vivono sotto lo stesso cielo, nel senso che si può infliggere dolore all’altra comunità restandone noi immuni.
L’attacco con razzi compiuto da Hamas è doppiamente sbagliato, non solo perché sul terreno della violenza bellica Israele è mille volte più forte mentre sul terreno politico è un “assist” per consentire ad un leader in crisi come Netanyhau di mantenersi al potere, ma soprattutto perché è un’azione totalmente iscritta nella “pedagogia del dolore”. Cerca di infliggere delle sofferenze ad Israele per “insegnargli” il rispetto dei diritti del popolo palestinese. Senonché l’effetto è quello opposto: più violenze si commettono e più diventa profondo l’oceano di odio che divide le due comunità; più diventa difficile aprire la strada a un percorso di riconciliazione fra i due popoli. Il conflitto che da quasi un secolo dilania la Terrasanta è la prova più tangibile del fallimento di ogni politica che, confidando sulla superiorità delle armi, pretenda di imporre la pace senza costruire la giustizia.
Non c’è pace senza giustizia.

Domenico Gallo
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costituente-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

Newsletter n.38 del 15 maggio 2021

Se non ci si converte

Care e cari Costituenti della Terra,
[segue]

Che fare? Dove andare?

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Dopo il Covid svolta a sinistra
Rachele Gonnelli

Sbilanciamoci! 11 Maggio 2021 | Sezione: Apertura, Politica.
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Un testo per il nuovo riformismo con proposte per la ripresa post pandemica e sollecitazioni sul ruolo dello Stato e le riforme necessarie. Lo hanno elaborato una cinquantina di economisti e intellettuali dopo mesi di discussioni online, sintetizzato da Biasco, Mastropaolo e Tocci.
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C’è sempre qualcuno che brechtianamente riprende il discorso e cerca di riparare agli errori fatti per dare nuova vita a una sinistra ormai povera di idee e di programmi, sconfitta e travolta da sé stessa più che dagli insulti della storia e dall’egemonia del fronte opposto. Così il gruppo di economisti, politologi e intellettuali riuniti nella rete “Ripensare la cultura politica della sinistra” ha elaborato una sintesi della serie di webinar interni svolti a partire dalla fine di dicembre fino ai primi di marzo.

Il documento, lungo una trentina di pagine, si intitola “Governare la società del dopo Covid” e si confronta con il momento attuale, l’alba di una nuova era almeno per quanto riguarda il ruolo e la responsabilità dello Stato e quindi della politica nel progettare e intervenire direttamente nella trasformazione economica e sociale dell’Italia, provata dalla pandemia e dai postumi di un’adesione anche culturale alle logiche del neoliberismo. È uno sforzo di elaborazione e di sintesi ammirevole, firmato alla fine da Salvatore Biasco, Alfio Mastropaolo e Walter Tocci, ma al quale hanno partecipato una cinquantina di intellettuali, tra i quali Nadia Urbinati e Laura Pennacchi, ma anche Gianfranco Dosi, Andrea Roventini, Gianfranco Viesti e Maurizio Franzini e altri che da anni collaborano anche con le elaborazioni della campagna Sbilanciamoci!.

L’assunto iniziale è che “la sconfitta della sinistra” e quindi la caduta del governo Conte bis non possa essere rubricata “solo come una questione di numeri parlamentari” ma debba essere invece inquadrata in una perdita di egemonia dalle radici profonde e che il Pd, “trasformato in partito d’opinione”, da solo non riesce e non riuscirà a superare. Il rischio che si vede profilarsi è quello che una gran parte dell’elettorato “fuori dalla Ztl” pesantemente colpito dalla crescita delle diseguaglianze aggravate dalla pandemia e dai processi di marginalizzazione e precarizzazione si rifugi nell’astensione o perda definitivamente l’interesse per un progetto di “socialismo democratico” e partecipativo, al quale gli estensori del documento vogliono ancorarsi agganciandosi alla società civile del Terzo settore, dei sindacati, dei movimenti di cittadinanza attiva e anche ai pezzi di partiti della sinistra ancora “non omologati”. L’idea è quindi quella di rilanciare un “grande progetto di trasformazione sociale”, un progetto deliberatamente riformista che parte dalla constatazione che “il capitalismo anche se ha i secoli contati in questa epoca non ha alternative”. E tuttavia il capitalismo può essere riorientato, attraverso una politica coerente e attraverso, appunto, lo Stato, piegato in una sua forma meno vorace dal punto di vista ambientale e più equa dal punto di vista dei “diritti universali”.

Per quanto riguarda l’Italia di oggi e del Pnrr appena abbozzato, due sono le riforme che vengono messe in primo piano: quella della pubblica amministrazione con una modernizzazione che non vada verso la creazione di nuove agenzie o verso nuove privatizzazioni e il rafforzamento della scuola pubblica, intesa anche come polo di attrazione di un vivere civile associato ai beni comuni, alle comunità territoriali, alla cittadinanza partecipata e non ultimo ad un grande piano di educazione degli adulti e formazione permanente. Come obiettivo di fondo si vuole superare la frantumazione della società e del mondo del lavoro, si vuole cioè agevolare una ricomposizione sociale, sia con lo strumento di un nuovo Statuto dei lavori che evoca quello da tempo proposto dalla Cgil, sia in termini più esistenziali e culturali riaffermare la possibilità di una “felicità collettiva”, battendo una tendenza contraria antropologicamente in atto.

Il documento si sofferma sulla necessità di una redistribuzione dei redditi, proponendo una riforma fiscale più progressiva che tocchi anche le “valutazioni patrimoniali dei cespiti” insieme a strumenti in grado di premiare l’uso produttivo dei capitali. Qui non si entra nel dettaglio, non si delineano percentuali e scaglioni di aliquote. Si tratteggia semplicemente i luoghi degli interventi: il grande patrimonio ereditario, la finanza speculativa, l’evasione fiscale sia dei redditi da capitale che si impiantano nei paradisi fiscali sia dei professionisti autonomi e delle piccole e medie imprese la cui elusione è finora coperta dal mancato incrocio dei dati rilevanti sul piano fiscale. Oltre a chiedere un impegno contro la superfetazione di norme che hanno ingigantito la bolla burocratica fino a rasentare la paralisi delle pubbliche amministrazioni, il documento pur senza parlare esplicitamente di un ritocco del Titolo V, nota come la pandemia abbia messo in evidenza l’inefficienza di una eccessiva regionalizzazione in settori come la sanità e le politiche attive del lavoro. Si evidenzia quindi una esigenza di sfoltimento di norme e semplificazione e di ringiovanimento e ammodernamento del personale pubblico.

Complessivamente il testo si pone con un evidente intento di apertura di un dibattito anche tra diverse anime quindi non entra nel dettaglio e appare piuttosto come una piattaforma iniziale di mediazione, per la rinascita di un pensiero riformista che dovrà trovare altre voci e altre gambe. Inoltre i temi trattati sono tutti di natura più economica che sociale. Così si avvertono alcuni vuoti, soprattutto sul welfare, sul reddito di cittadinanza, sull’essenziale riforma degli ammortizzatori sociali (si propende in ogni caso per l’introduzione di un salario minimo orario) e su questioni che pure riguardano i piani industriali e gli input da dare alle imprese partecipate dallo Stato come la riconversione dell’industria bellica. Rispetto ad una proposta di inasprimento della Web Tax, stranamente si ripropone invece, senza dettaglio, la “bit tax” degli anni ’90 che intendeva rincorrere i flussi di traffico sul web anziché i fatturati delle multinazionali.

Alla fine della lettura resta la sensazione di uno sforzo di organicità e di prospettiva che potrebbe davvero essere utile se non per un partito sinceramente socialdemocratico, almeno per un campo più ampio di coalizione.
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c3dem_banner_04Che succede?
RIFORMARE IL CAPITALISMO, LOTTARE CONTRO LA POVERTA’…
14 Maggio 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Ugo Colombino, “Riformare il capitalismo, si può. Ma come?” (lavoce.info). Stefano Lepri, “Per aiutare i poveri bisogna andare a conoscerli” (La Stampa). Leonardo Becchetti, “C’è un interesse a conciliare utili e licenze obbligatorie” (Avvenire). PARTITI E GOVERNO: Lina Palmerini, “Perché il costo delle liti sta pesando su Letta e Salvini” (Sole 24 ore). Alessandro Campi, “Se i partiti in frantumi non imparano la lezione” (Messaggero). Nadia Urbinati, “Il Pd ha perso il controllo delle primarie a livello locale” (Domani). Emanuele Felice, “L’occasione da non perdere per abbattere l’evasione” (Domani). Tito Boeri e Roberto Perotti, “Gli intoccabili del fisco” (Repubblica). Stefano Feltri, “Siete pronti per la prossima crisi? Arriva l’inflazione” e “L’errore di sottovalutare la sfida epocale del Pnrr” (Domani). Sabino Cassese, “L’errore di evitare i concorsi” (Corriere della sera). GIUSTIZIA: Marco Conti, “Prescrizione e appello, rivoluzione Cartabia. In gioco il Recovery” Messaggero). Giovanni Bianconi, “Prescrizione, le due ipotesi” (Corriere della sera). Gianluca De Feo, “Draghi affronta la sfida più difficile” (Repubblica). Gustavo Zagrebelsky, “La giustizia e la vita” (Repubblica). OMOFOBIA: Luigi Manconi, “La legge Zan e i confini delle libertà” (Repubblica). Gianni Santamaria, “Zan, Letta spinge ma primi no nel Pd” (Avvenire). Giovanni Maria Flick, “Ddl Zan, errori seri. Il Senato rifletta bene” (intervista all’Avvenire). Francesco Lepore, “La proposta autolesionista del centrodestra contro il ddl Zan” (Linkiesta).
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“In Palestina serve azione diplomatica, di pace e di rispetto del Diritto Internazionale. Occorre fermare la violenza, rimuovendone le cause, e riconoscere lo Stato di Palestina”

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schermata-2021-05-13-alle-18-58-53Lettera aperta alle massime Istituzioni per chiedere un intervento dell’Italia per fermare l’escalation di violenza tra Israele e Palestina.
Di seguito il comunicato stampa della Rete Pace e Disarmo.
“In Palestina serve azione diplomatica, di pace e di rispetto del Diritto Internazionale. Occorre fermare la violenza, rimuovendone le cause, e riconoscere lo Stato di Palestina”
Diverse organizzazioni, associazioni, sindacati della società civile italiana hanno inviato oggi una lettera aperta al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, al Presidente della Commissione Esteri Senato, al Presidente della Commissione Esteri della camera per esprimere la profonda preoccupazione per quanto sta accadendo nella martoriata terra di Palestina e per chiedere che l’Italia si faccia promotrice di una forte azione diplomatica affinché cessi il conflitto tra israeliani e palestinesi.
Nella lettera si sottolinea come sia ormai necessaria e non più rimandabile un’azione diplomatica, di pace e di rispetto del Diritto Internazionale che possa fermare la violenza, rimuovendone le cause, e nel contempo riconoscere lo Stato di Palestina.
Le richieste inviate alle istituzioni italiane sono le seguenti:
- fermare questa nuova ondata di violenza, intimando ad Hamas di fermare il lancio dei razzi ed al governo israeliano di rimuovere l’assedio di Gaza e di fermare qualsiasi tipo di ritorsione contro la popolazione della Striscia di Gaza;
- impiegare tutti gli strumenti politici, diplomatici e di diritto internazionale per fermare l’espropriazione e la demolizione delle case a Gerusalemme Est;
- esigere dal governo israeliano la rimozione di tutti gli ostacoli che impediscono le elezioni libere e regolari in Cisgiordania, Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza, come previsto dagli accordi di Oslo, firmati dalle parti;
- sostenere e assistere l’Autorità Nazionale Palestinese per l’organizzazione e la realizzazione del processo elettorale, evitando ulteriori rinvii;
- inviare osservatori internazionali neutrali per monitorare il processo elettorale, i giorni del voto e il conteggio dei voti, che si svolga secondo gli standard internazionali di trasparenza e con pieno diritto di voto per tutta la popolazione residente in Cisgiordania, nel distretto di Gerusalemme e nella Striscia di Gaza;
- agire in sede ONU per un immediato riconoscimento dello Stato di Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, per permettere ai due Stati di negoziare direttamente in condizioni di pari autorevolezza, legittimità e piena sovranità.
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La lettera è stata sottoscritta da: CGIL, CISL, UIL, ACLI, Accademia Apuana della Pace, AOI – Associazione delle Organizzazioni Italiane di cooperazione e solidarietà internazionale, Arci, ARCS – Arci Culture Solidali, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Associazione per la Pace, Associazione per la Pace di Modena, Associazione per la Pace di Padova, AssoPacePalestina, AUSER, Beati i costruttori di pace, Campagna Ponti e non Muri, Casa per la Pace Modena, Centro Studi Sereno Regis, CGIL di Padova, Emmaus Italia Onlus, Fiom, Fondazione Giorgio La Pira, Fondazione Lisli e Lelio Basso, Gruppo Abele, Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, Legambiente, LIBERA contro le mafie, Link – Coordinamento Universitario, Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR), Movimento Nonviolento, NEXUS Emilia Romagna, Noi Siamo Chiesa, OPAL Brescia, Pax Christi Italia, Pro Civitate Christiana, Progetto Sud, Rete della Conoscenza, Rete italiana Pace e Disarmo, Segreteria della Piattaforma ONG Italiane Mediterraneo e Medio Oriente, TAM-TAM di Pace Modena (Tavolo Associazioni Modena), Un Ponte Per, Unione degli Studenti, Usacli, Aladinpensiero, Patto per la Sardegna.

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pace-schermata-2021-05-12-alle-21-53-20 Facciamo pace a Gerusalemme
C’è solo un modo per mettere fine alle terribili violenze che stanno insanguinando Gerusalemme e la Terra Santa: riconoscere ai palestinesi la stessa dignità, la stessa libertà e gli stessi diritti che riconosciamo agli israeliani. Nessuna pace può essere edificata sulla persecuzione di un intero popolo, sull’occupazione militare, l’arbitrio, gli abusi, la sopraffazione, l’umiliazione, le deportazioni, l’apartheid, la continua violazioni di tutti i fondamentali diritti umani.
 Non basta invocare la fine delle violenze. Non c’è e non ci sarà mai pace senza giustizia. Rinnoviamo, ancora una volta, il nostro accorato appello a tutti i responsabili della politica nazionale, europea e internazionale perché intervengano energicamente per far rispettare il diritto internazionale dei diritti umani, la legalità internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite.



Tavola della Pace

Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani

Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova

Cattedra Unesco “Diritti Umani, Democrazia e Pace” dell’Università di Padova



Per adesioni: adesioni@perlapace.it 
Perugia, 11 maggio 2021 
Per informazioni: 
Tavola della pace

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MANIFESTAZIONE A CAGLIARI
Venerdì 14 maggio 2021
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sardegna-palestina-cropped-cropped-logo-sardegna-palestina-square-novembre-2015-senza-scritte2xSardegna Palestina
L’Associazione Amicizia Sardegna Palestina e la Comunità Palestinese in Sardegna invitano a partecipare al presidio in solidarietà con il popolo palestinese che si terrà venerdì 14 maggio alle ore 18:00 in Piazza Garibaldi (Cagliari).
Quest’anno l’anniversario della Nakba e dell’occupazione della Palestina da parte del movimento sionista avviene in concomitanza con l’intensificarsi delle proteste nel quartiere palestinese di Sheikh Jarrah a Gerusalemme, dove decine di famiglie palestinesi si trovano nel mirino dei coloni sionisti.
La maggioranza degli abitanti di questo quartiere vi era arrivata dopo essere stata cacciata dalle proprie case nel 1948. Da anni le forze d’occupazione israeliana ha preso di mira quest’area, tentando di cacciarne gli abitanti palestinesi, per portare avanti il proprio obiettivo di giudeizzazione di Gerusalemme.
Negli ultimi giorni abbiamo assistito a un’escalation delle violenze da parte di coloni e polizia israeliana anche in altri quartieri e sobborghi di Gerusalemme, culminata negli episodi della Spianata delle Moschee, dove è stata attuata una chiara aggressione ai fedeli in preghiera durante il mese di Ramadan.
In aggiunta a tutto ciò, negli ultimi due giorni la situazione si è deteriorata anche a Gaza, dove proseguono i bombardamenti israeliani nel tentativo di piegare la resistenza portata avanti dalle varie forze palestinesi in risposta ai crimini sionisti a Gerusalemme.
Si registrano manifestazioni e scontri anche nelle maggiori città dei territori occupati del 1948 e della Cisgiordania, dove i palestinesi sono scesi in piazza in appoggio alla popolazione di Gerusalemme.
Chiediamo a tutti i militanti, simpatizzanti, solidali con la Palestina, e a tutti i partiti, sindacati, associazioni, di unirsi a noi in piazza per manifestare contro le politiche criminali e di pulizia etnica dello stato di occupazione israeliana contro il popolo palestinese.
- Associazione Amicizia Sardegna Palestina
- Comunità Palestinese Sardegna
N.B.:
Si invita ad indossare le mascherine e a rispettare il distanziamento
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CSS loghettoLa Confederazione Sindacale Sarda-CSS aderisce al SIT-IN del 14 maggio 2021 per la pace giusta in Palestina perché cessino immediatamente i bombardamenti e si rispettino i patti internazionali nel riconoscimento reciproco dei diritti dei due popoli palestinese e israeliano.
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Sanders e Ocasio-Cortez a fianco della resistenza palestinese: stop alla colonizzazione israeliana
L’eco di questa resistenza popolare nel cuore di Gerusalemme Est ha varcato l’Oceano e ha raggiunto gli Stati Uniti. Su Globalist.

Palestina e Israele: venti di guerra. Fermiamo l’arroganza dello Stato di Israele

Che succede a Gerusalemme?
gadRispetto dei diritti dei palestinesi di Gerusalemme. Negoziati di pace, non guerra e terrorismo. Comunicato del Patto per la Sardegna.
patto-nge-2021-01-28-alle-12-21-48-1 Il Patto si schiera con i palestinesi per il loro diritto a vivere pacificamente nelle loro case a Gerusalemme e, in generale per i loro diritti di comunità formalmente internazionalmente riconosciuta. Cessi ogni pretesa dello Stato israeliano di sfrattare i legittimi abitanti palestinesi e si riprendano i negoziati. In argomento sosteniamo senza indugi le posizioni dell’Unione Europea, ben riportate nel comunicato che riproduciamo integralmente e che ci impegniamo a diffondere in tutte le sedi e le circostanze in cui contiamo di essere presenti. “Le autorità israeliane hanno recentemente annunciato l’intenzione di costruire 540 nuove unità abitative ad Har Homa E. L’implementazione di questi piani, così come quelli per Givat Hamatos, taglierebbe Gerusalemme Est da Betlemme e minerebbe gravemente i futuri negoziati verso una soluzione a due Stati in in linea con i parametri concordati a livello internazionale. L’UE ribadisce la sua posizione secondo cui tutti gli insediamenti nel territorio palestinese occupato sono illegali ai sensi del diritto internazionale e l’UE non riconoscerà alcuna modifica ai confini precedenti al 1967, inclusa Gerusalemme, diversa da quelle concordate da entrambe le parti. L’UE rinnova il suo invito al governo israeliano a fermare la costruzione di insediamenti e a revocare con urgenza queste ultime decisioni. L’aumento degli sfratti e delle demolizioni in tutto il territorio palestinese occupato, in particolare l’evoluzione della situazione a Sheikh Jarrah e Silwan, a Gerusalemme est, e anche la possibile demolizione di strutture nel villaggio palestinese di al-Walajeh sono allarmanti. Tali azioni unilaterali sono illegali ai sensi del diritto internazionale umanitario e alimentano solo le tensioni sul terreno. Le autorità israeliane dovrebbero cessare queste attività e fornire permessi adeguati per la costruzione e lo sviluppo legale delle comunità palestinesi. Alla luce dei recenti sviluppi nel sud di Israele e nel territorio palestinese occupato, l’UE ribadisce la sua ferma condanna della violenza e chiede calma e moderazione da parte di tutti gli attori in questo momento delicato”. [ https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/97845/israelpalestine-statement-spokesperson-settlement-expansion-and-situation-east-jerusalem_en ]. Auspichiamo interventi di pacificazione e di risoluzione negoziale dei conflitti con il sostegno alle due parti in causa da parte degli Stati Uniti d’America, dell’Unione Europea e di tutta la diplomazia internazionale, nella strada indicata dal Segretario generale delle Nazioni Unite. [https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2021/05/10/onu-israele-cessi-demolizioni-e-sgomberi_8c30efbc-c183-4a08-adbd-4d13522590a2.html].
Si adottino pertanto tutte le misure necessarie, comprese adeguate sanzioni economiche per gli Stati trasgressori rispetto ai patti e alle decisioni dell’Onu.
Nella direzione indicata chiediamo che si muovano con immediatezza e possibilmente all’unisono per un importantissimo appoggio di opinione alla causa palestinese e perchè Israele imbocchi la via della pace, attraverso i negoziati: il Consiglio regionale della Sardegna, i Comuni sardi, la Chiesa sarda, le forze politiche e le entità della società civile sarda e oltre.
Il Patto per la Sardegna.

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Altre fonti
Zvi Schuldiner, “Israele-Palestina, un’escalation di pulizia etnica” (Manifesto). Gad Lerner, “Gerusalemme, lo sfratto che calpesta la storia” (Il Fatto).
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MANIFESTAZIONE A CAGLIARI

Venerdì 14 maggio 2021
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Per la Costituzione della Terra

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Sabato 8 maggio 2021 si è tenuta la terza Assemblea associativa della Costituente della Terra. Ripubblichiamo di seguito la prima bozza di lavoro sulla stessa Carta su cui si è aperto il confronto. Tutta la documentazione sarà presto disponibile nel sito dell’Associazione Costituente Terra, www.costituenteterra.it, già molto ricco di riflessioni e proposte.

PRIMA BOZZA DI LAVORO PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA

Estensore Luigi Ferrajoli

Relazione
L’umanità si trova oggi di fronte ad emergenze e a sfide globali che mettono in pericolo la sua stessa sopravvivenza: le devastazioni ambientali e il rischio di una prossima inabitabilità del pianeta, la minaccia nucleare generata da migliaia di testate atomiche, la crescita della povertà e la morte per fame o per malattie non curate di milioni di esseri umani, le ondate migratorie di masse crescenti di persone che fuggono dalla miseria, dagli sconvolgimenti climatici, dalle guerre civili e dalle persecuzioni politiche. Per la prima volta nella storia il genere umano, a causa della catastrofe ecologica, rischia l’estinzione: non un’estinzione naturale come fu quella dei dinosauri, ma un insensato suicidio di massa dovuto all’attività irresponsabile degli stessi esseri umani. Tutto questo è ormai da molti anni sotto gli occhi di tutti. Perfino quanti di queste emergenze e di queste minacce sono i responsabili – dai governanti delle maggiori potenze ai grandi attori dell’economia mondiale – sono ormai pienamente consapevoli che il cambiamento climatico, la distruzione della biodiversità, i processi di deforestazione e desertificazione stanno travolgendo l’umanità e sono dovuti ai loro stessi comportamenti. Eppure continuiamo tutti a comportarci come se fossimo le ultime generazioni che vivono sulla Terra.
Non basta, quindi, lamentarsi e denunciare. Non basta documentare i disastri in atto e quelli ancor più gravi che ci aspettano di cui tutti sono ormai consapevoli. Al pessimismo paralizzante delle diagnosi è necessario opporre una risposta politica e istituzionale all’altezza delle sfide globali, in assenza della quale troverebbe conferma la massima corrente che a quanto accade non ci sono alternative. Ebbene, questa risposta non può che consistere nell’imposizione di limiti e vincoli ai poteri selvaggi dei mercati globali e degli Stati sovrani, onde porre fine all’azione devastatrice della natura e garantire la pace, la dignità, i beni vitali e i diritti fondamentali di tutti gli esseri umani.
È questa la proposta avanzata dal nostro appello del dicembre 2019 e poi dalla Scuola “Costituente Terra” che inaugurammo nell’assemblea del 21 febbraio 2020: la necessità di pervenire a un nuovo patto costituzionale tra tutti i popoli del mondo, in grado di garantire la loro convivenza pacifica e, prima ancora, le condizioni della vita sul nostro pianeta. Non si tratta di un progetto irrealistico. Si tratta al contrario della sola risposta razionale e realistica alle terribili emergenze che minacciano il futuro del genere umano. Come la pandemia del covid-19 ha mostrato a proposito del diritto alla salute, l’effettività di tutti i diritti fondamentali e dei principi della pace e della tutela dell’ambiente può essere assicurata, in un mondo sempre più integrato e interdipendente, solo dall’introduzione di idonee garanzie di carattere pubblico e globale. Il progetto di un costituzionalismo sovranazionale, al di là delle difficoltà della sua realizzazione, vale dunque a indicare, alle lotte sociali contro le tante emergenze in atto, un concreto obiettivo strategico. Non solo. L’obiettivo di una Costituzione della Terra, sollecitando risposte simultanee e sistematiche a tutte queste emergenze, equivale a un programma politico razionale in grado di unificare le tante battaglie nelle quali sono impegnate in tutto il mondo migliaia di associazioni: dalle battaglie civili in difesa dell’ambiente a quelle a sostegno della garanzia universale dell’acqua potabile, dai movimenti pacifisti per il disarmo nucleare alle mobilitazioni per l’uguale garanzia del diritto alla salute di tutti gli esseri umani, da quelle contro la povertà e la fame nel mondo fino alle lotte a sostegno dei diritti alla sopravvivenza oggi negati ai migranti.

Il progetto qui presentato è stato elaborato, su invito del Comitato esecutivo della Scuola “Costituente Terra”, durante la pandemia, che ha reso impossibile lo svolgimento dei seminari progettati. E’ infatti sembrato, in questi mesi di inerzia forzata, che una discussione feconda sul testo di una carta costituzionale globale potrebbe giovarsi di una prima bozza, che valga a facilitare e a orientare il dibattito attraverso l’identificazione sistematica delle questioni normative più rilevanti che il lavoro della Scuola dovrà affrontare.
La bozza è formata da cento articoli, divisi in due parti: la prima parte è dedicata ai principi di giustizia sostanziale nei quali consistono i fini e la ragion d’essere della Costituzione della Terra; la seconda è dedicata alle forme organizzative delle istituzioni globali che la Costituzione prevede ed impone quali strumenti idonei, grazie alle loro competenze, ad assicurare la realizzazione delle finalità stipulate. Nella stesura di questi cento articoli ho utilizzato quanto più possibile le formulazioni presenti nelle Carte dei diritti più avanzate, sia costituzionali che internazionali. Ma una Costituzione della Terra è inevitabilmente assai diversa da tutte le Carte vigenti, dato che deve rispondere a problemi globali del tutto sconosciuti ad altre epoche e tutelare nuovi diritti e nuovi beni vitali contro nuove aggressioni che richiedono sistemi nuovi di garanzie, ben più incisivi e complessi di quelli tramandati dalla nostra tradizione giuridica. Non mi nascondo il carattere all’apparenza utopistico di molte proposte qui avanzate. Ma lo scopo di questo progetto è stato disegnare un modello-limite, quanto più possibile idoneo a garantire effettivamente i principi di giustizia proclamati nelle tante Carte dei diritti che affollano i nostri ordinamenti.
La prima parte del progetto, dopo una premessa nella quale viene parafrasato l’incipit della Carta delle Nazioni Unite, è divisa in quattro titoli dedicati, rispettivamente, ai principi supremi, ai diritti fondamentali, ai beni fondamentali e ai beni illeciti. I principi supremi definiscono la ragion d’essere della Costituzione della Terra, cioè il mantenimento della pace, la salvaguardia della natura, la garanzia dei diritti fondamentali, la tutela dei beni vitali e la messa al bando dei beni micidiali. I diritti fondamentali, previsti nel titolo secondo, sono i tradizionali diritti che in tutte le Carte costituzionali avanzate vengono conferiti universalmente a tutti: i diritti di libertà, i diritti sociali, i diritti politici e i diritti civili, cui sono dedicate altrettante sezioni. Beni fondamentali e beni illeciti sono invece due novità di questa Costituzione, riguardando proprio le sfide e le emergenze globali – umanitarie, ecologiche e nucleari – che il linguaggio individualistico dei diritti non sempre è in grado di affrontare. I beni fondamentali, previsti nel titolo terzo, sono i beni vitali, accomunati dalla loro sottrazione al mercato: i beni personalissimi, che riguardano l’integrità del corpo umano e l’identità delle persone; i beni sociali, che includono tutti i farmaci salva-vita e i vaccini, dei quali viene stipulata la garanzia universale attraverso l’esclusione della loro brevettabilità e comunque la possibilità, già prevista dall’articolo 31 dell’Accordo sui diritti di proprietà intellettuale (TRIPS), del loro uso, in caso di emergenza, senza il consenso dei loro titolari; i beni comuni – come l’aria, l’acqua potabile, i grandi ghiacciai e le grandi foreste – garantiti da molteplici tutele, a cominciare dalla loro qualificazione come beni appartenenti a un demanio planetario. Infine i beni illeciti, previsti nel titolo quarto, sono i beni micidiali, che minacciano la vita delle persone e di popoli interi e dei quali, perciò, viene pattuito il divieto della produzione e/o del commercio e/o della detenzione: le armi atomiche, tutte le armi da fuoco, i rifiuti tossici o comunque pericolosi, le energie non rinnovabili con le connesse emissioni di gas serra.
Anche la seconda parte di questo progetto è divisa in quattro titoli. Il primo titolo definisce il ruolo e le competenze della Federazione della Terra quale istituzione aperta all’adesione di tutti gli Stati del mondo. Il secondo titolo è dedicato alle istituzioni e alle funzioni globali di governo, quali sono già previste dalla Carta delle Nazioni Unite: l’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza, il Consiglio economico e sociale e il Segretariato. Di queste istituzioni vengono stipulate la democratizzazione politica, il compito di dar vita alle istituzioni globali di garanzia e le funzioni in tema di pubblica sicurezza internazionale e di governo sovranazionale dell’economia. Ma a parte queste funzioni di carattere globale, è chiaro che le funzioni di governo, poiché la loro legittimità dipende dalla loro rappresentatività politica, è bene che restino prevalentemente in capo agli Stati nazionali.
Enormemente più decisiva, ai fini della costruzione di una sfera pubblica mondiale, è l’introduzione di quelle che ho chiamato istituzioni e funzioni globali di garanzia, legittimate appunto, soprattutto a livello globale, dalla garanzia, anche contro-maggioritaria, dell’uguaglianza nei diritti, della tutela e dell’accesso ai beni fondamentali e della protezione dai beni illeciti. Sono le istituzioni previste nel titolo terzo, diviso a sua volta in due sezioni: la prima dedicata alle istituzioni e alle funzioni di garanzia primaria dei principi stabiliti nella parte prima, cioè all’immediata e diretta garanzia della pace, della salute, dell’alimentazione di base, dell’istruzione, dell’ambiente e del lavoro; la seconda dedicata alle istituzioni e alle funzioni di garanzia secondaria, deputate all’accertamento e alla riparazione giurisdizionale delle violazioni dei suddetti principi, per commissione o per omissione e, insieme, alla soluzione delle controversie internazionali.
Talune istituzioni di garanzia primaria esistono già: l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Fao, l’Unesco e l’Organizzazione internazionale del lavoro. Di esse viene previsto il rafforzamento sia delle funzioni che degli apparati, onde metterle in grado di assicurare effettivamente la garanzia universale dei diritti alla salute, all’istruzione, all’alimentazione di base e a condizioni di lavoro eque e dignitose. Altre istituzioni di garanzia primaria vengono invece istituite o riformate, da questo progetto, in attuazione di altrettanti principi e diritti stabiliti nella sua prima parte. Viene anzitutto previsto un Consiglio internazionale per i diritti umani, con funzioni di coordinamento e organizzazione delle attività delle altre istituzioni di garanzia e di distribuzione delle risorse ad esse necessarie. Vengono stipulati, a garanzia della pace, la messa al bando delle armi e lo scioglimento, quale fu auspicato da Immanuel Kant, degli eserciti nazionali. Viene inoltre istituita un’Agenzia garante dell’ambiente, deputata alla protezione della natura attraverso la qualificazione come appartenenti a un demanio planetario di tutti i beni naturali da essa identificati come vitali e, inoltre, il controllo dell’osservanza dei divieti di produrre gas serra, rifiuti tossici o comunque micidiali. Infine sono previste un’Organizzazione internazionale delle prestazioni sociali, a garanzia della sussistenza delle persone, un’Agenzia mondiale dell’acqua, a garanzia dell’accesso di tutti all’acqua potabile, e un Comitato mondiale per le comunicazioni digitali, a garanzia dei diritti umani che da tali comunicazioni possano essere lesi.
Quanto alle istituzioni globali di garanzia secondaria, due di esse sono l’attuale Corte internazionale di giustizia, la cui giurisdizione viene resa obbligatoria ed allargata ad altre controversie nelle quali siano coinvolti gli Stati, e l’attuale Corte penale internazionale, la cui giurisdizione viene a sua volta estesa alle gravi lesioni dei diritti di libertà da parte di regimi dispotici, alla produzione e al commercio illeciti di armi e alle violenze dirette a impedire l’esercizio dei diritti fondamentali, incluso il diritto di emigrare. Sono poi istituite altre due nuove giurisdizioni, forse ancor più importanti. La prima è la Corte costituzionale globale, il cui ruolo di controllo sull’invalidità di qualsiasi fonte in contrasto con le norme di questa Costituzione vale a collocare tali norme al vertice del sistema delle fonti e a conferire ad esse la rigidità, che è il tratto distintivo dell’odierno garantismo costituzionale. La seconda è la Corte internazionale per i crimini di sistema, competente ad accertare le cause e a promuovere la cessazione di quelli che ho chiamato “crimini di sistema”, consistenti in violazioni gravissime di diritti o di beni fondamentali non riconducibili alla responsabilità penale di persone determinate, ma all’irrazionalità e all’irresponsabilità sociale dell’attuale sistema politico ed economico: le devastazioni ambientali, i rischi di conflitti nucleari, la crescita della fame e della povertà nelle periferie del mondo.
Infine il titolo quarto della parte seconda è dedicato alle istituzioni economiche e finanziarie. Si tratta di istituzioni già esistenti nel nostro diritto internazionale: la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale, istituiti nel 1945 a seguito degli accordi di Bretton Woods, e l’Organizzazione mondiale del Commercio, istituita nel 1995. Di queste istituzioni vengono riformati i criteri di formazione dei loro organi dirigenti, il cui controllo odierno da parte dei Paesi più ricchi ha finora reso ineffettivo e talora capovolto il ruolo di promozione dello sviluppo dei Paesi poveri e di riduzione degli squilibri economici ad esse affidato dai loro statuti. Vengono inoltre previsti, in quest’ultimo titolo, un bilancio planetario e un fisco globale, con indicazioni dettagliate, onde renderle effettivamente vincolanti, sia delle quote di bilancio che delle aliquote fiscali. Il fisco globale si compone di svariate tassazioni di attività globali, a cominciare dall’uso fino ad oggi gratuito di beni comuni, e di un’imposizione fiscale fortemente progressiva sulle grandi ricchezze e sugli altissimi redditi. Il bilancio planetario consiste nell’assegnazione alle diverse istituzioni globali, e soprattutto a quelle di garanzia primaria, di quote minime delle entrate fiscali dirette a finanziarne le attività.
Luigi Ferrajoli

COSTITUZIONE DELLA TERRA
Progetto Ferrajoli

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PRECEDENTI EDITORIALI
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Festa dell’Europa 2021

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lllllampadadialadmicromicro Discutiamo di welfare, anzi di stato sociale, del quale urge una non più rinviabile profonda riforma.
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Festa dell’Europa 2021

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di Franco Meloni
“Ce lo chiede l’Europa”: è la frase che da alcuni anni a questa parte ci sentiamo dire per giustificare scelte politiche impopolari, quelle che si basavano sull’austerità. A pagarne le spese erano (e ancora sono) appunto i ceti popolari di tutti i paesi europei. Basta pensare alle sofferenze inflitte al popolo della Grecia. Così scelte all’insegna dell’efficientismo, come il “pareggio di bilancio”, in Italia introdotto con una riforma costituzionale, sono stati strumenti di aumento delle disuguaglianze sociali. Nel mentre nessun passo avanti sulla tutela dei diritti (anzi tolleranza dei sovranismi antidemocratici dei paesi dell’est europeo) e su una saggia politica di gestione dei flussi migratori. Sono solo alcuni esempi. Il discorso sarebbe lungo, ma è bene che si sviluppi in mille analisi, proposte e altri contributi di pensiero che molti meglio di noi sono capaci a fare e che volentieri per quanto possiamo ospitiamo anche nelle nostre pagine. Qui vogliamo rammentare che l’Europa per le generazioni post conflitto bellico ha rappresentato i valori virtuosi imprescindibili della democrazia e del vivere civile, in irriducibile contrapposizione con le impostazioni e la pratica del nazismo e del fascismo (mali assoluti), e di tutti i regimi totalitari. Per noi l’Europa era e continua ad essere, nonostante tutto (purtroppo siamo meno numerosi rispetto ai tempi dell’esordio e oltre, segnati dalle “visioni” dei grandi fondatori) un riferimento fondamentale, una meta da raggiungere. Purtroppo questa meta nel tempo anzichè avvicinarsi nel perseguimento dell’integrazione (Stati Uniti d’Europa) e dell’espansione dei diritti e per la Pace (nella logica della Costituente della Terra), si è allontanata pericolosamente. C’è voluta la terribile pandemia per un inversione di rotta, a cui diamo credito e su cui vogliamo investire. Semplificando: così come l’agenda di Draghi, anche quella di Ursula Von der Leyen, costituisce in un tutt’uno, per noi, “la nostra agenda”, ovviamente sapendo che Draghi-VdL sono espressioni di interessi prevalenti della borghesia, e che una inedita “lotta di classe” deve cercare di volgere il più possibile a favore degli interessi popolari. Mutatis mutandis, questo è ancora il modello da perseguire, che storicamente ci ha fatto crescere tutti. Il recupero del motto di don Lorenzo Milani, I care, fatto dalla presidente Ursula VdL è sicuramente un significativo faro, che illumina la nostra strada di europeisti convinti. Con questi intendimenti festeggiamo oggi l’Europa!

—-—Alle associazioni: fate come La Casa del quartiere Is Mirrionis e la CSS—————————-
51babb66-1edf-4ccc-a1aa-eb7fbc89c117166fafa3-9942-45d9-a68d-8a20f2328f81Per l’Europa che vogliamo. Iniziative encomiabili
La “Casa del quartiere Is Mirrionis” di Cagliari, sulla base dello statuto costitutivo che ne fissa la missione di intervento nel sociale a favore dei cittadini e per la promozione della più ampia partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica, nel riaffermare lo spirito europeista che unitamente all’orgogliosa appartenenza sarda, la permea,
ADERISCE
alla Festa dell’Europa, istituita dall’Unione Europea, che si celebra il 9 maggio di ogni anno.
SI IMPEGNA
per il successo della Conferenza sul futuro dell’Europa, che prende avvio proprio da domenica 9 maggio 2021, favorendo la partecipazione della cittadinanza del quartiere, della città e dell’intera Sardegna, in tutte le forme e combinazioni (in proprio e in collaborazione con terzi) che verranno stabilite dagli organi di gestione dell’associazione, anche promuovendo la presenza e le iniziative degli associati singoli o organizzati nelle entità aderenti alla Casa sull’apposita piattaforma online dedicata
Il Presidente Terenzio Calledda
Ecco il link
https://futureu.europa.eu/?locale=it
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css-eu
La CONFEDERAZIONE SINDACALE SARDA – CSS partecipa alla Festa dell’EUROPA di Domenica 9 maggio 2021, ricordando che i sardi vogliono una EUROPA DEI POPOLI, come l’avevano sognata i grandi sardisti Camillo Bellieni ed Antonio Simon Mossa, nella
quale la Sardegna viene riconosciuta ed opera come popolo e nazione.
La CSS è membro fondatore della Piattaforma dei Sindacati delle Nazioni senza Stato. In questo organismo internazionale sono rappresentati le delegazioni della Sardegna, della Valle d’Aosta, dei Paesi Baschi, della Galizia, della Catalogna, della Bretagna, della Corsica, della Martinica, del Guadalupe e Nuova Caledonia.
“Serbit e boleus un’Europa de is Pópulus in paxi,
de s’agiudu torrau, de sa solidariedadi umana,
no cussa de is leonis a iscórriu e gherra”
.

“Serve e vogliamo un’Europa di Popoli in pace, dell’aiuto condiviso e della solidarietà umana,
Non quella dei leoni in lotta ed in guerra“-
IL SEGRETARIO NAZIONALE DELLA CSS Dr. Giacomo Meloni
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Giuliano Pisapia, “Cambiamo l’Europa dal basso” (Corriere della sera).
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i-care
«I care» faro per tutti (una scelta da onorare)
di Francesco Gesualdi
in “Avvenire” del 7 maggio 2021
Parto da una doverosa precisazione: don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, il motto ‘I care’ (m’importa, ho a cuore) non lo aveva scritto su un muro, ma sulla porta che separava la scuola dalla sua camera. Un particolare non secondario perché essendo il punto di ingresso nell’unico spazio in cui a sera si ritirava in privato, voleva annunciare lo spirito che aleggiava in quello spazio e quindi nella sua persona. Uno spirito di assunzione di responsabilità verso le creature che la vita gli aveva messo davanti tale da fargli dimenticare totalmente se stesso. E uno spirito di coerenza verso la verità tale da fargli accettare le conseguenze che la difesa della verità spesso comporta. Don Lorenzo non lo ricordava per narcisismo, ma come invito a noi allievi a fare altrettanto, ricordandoci che se la società è ingiusta, violenta, predatrice, la responsabilità non è solo del ‘potere’ che impartisce ordini sbagliati e scrive leggi ingiuste, ma anche di tutti coloro che quegli ordini e quelle leggi eseguono. Ha fatto bene Ursula von der Leyen a ricordare il motto ‘I care’ proprio oggi che dall’altra parte dell’Atlantico, Joe Biden ha annunciato di voler appoggiare la richiesta avanzata da Sudafrica e India di sospendere le regole internazionali a difesa dei brevetti sui vaccini e ogni altro farmaco utile a sconfiggere la pandemia. Ha fatto bene perché ciò che in Europa ci è meno noto è che la decisione di Biden non giunge come un fulmine a ciel sereno, ma come conseguenza di una forte pressione popolare organizzata negli Stati Uniti da parte delle organizzazioni umanitarie che hanno fatto arrivare a Biden milioni di messaggi a favore della sospensione. Per questo la sua decisione è la vittoria di milioni di persone che in cuor loro hanno detto ‘I care’ e hanno preso l’iniziativa di agire per manifestare il proprio pensiero e insistere finché il Presidente di tanti di loro, l’uomo più potente del mondo, ha deciso di stare dalla parte delle persone piuttosto che delle multinazionali farmaceutiche. Un’iniziativa ancor più lodevole perché non attuata a favore di se stessi, ma di persone lontane, africani, asiatici, latino americani, che rischiano di non poter essere vaccinati a causa dei costi imposti dai brevetti. Ma il vero spirito dell’I Care è proprio questo: si agisce non perché se ne trae un vantaggio, ma perché non si tollera la sofferenza, l’ingiustizia, l’umiliazione, il sopruso, il latrocinio, a chiunque sia inflitto.
Ursula VdL, allora, deve ricordarsi che avendo preso l’impegno solenne, per giunta a Firenze, di volere assumere lo spirito di ‘I Care’ a livello personale e della politica dell’Unione Europea, si è assunta una grande responsabilità. La responsabilità di agire di conseguenza, applicando il suo e nostro ‘I Care’ prima di tutto verso i migranti. Verso tutte quelle donne, quegli uomini, quei bambini che dopo essere fuggiti da zone di guerra si trovano respinti, addirittura aggrediti dai cani alla frontiera est della Ue. Verso tutti coloro che cercando di fuggire dai lager libici si mettono in mare per raggiungere la sponda Sud della Ue, ma in caso di avaria vengono lasciati annegare o sono ripescati dalla cosiddetta Guardia costiera libica che li riporta nei lager dai quali hanno cercato di fuggire. Verso tutti i cittadini meno protetti della Ue che in tempo di austerità sono stati privati di un lavoro, di cure mediche, di scuola, sacrificati di nuovo sull’altare del debito.
Un tema, quello del debito pubblico, tutt’altro che superato, perché ora che la Ue ha deciso di indebitarsi per sostenere la transizione ecologica e la ripresa sociale, sarebbe beffardo se domani, dovesse ripristinare l’austerità per ripagare il debito fatto oggi in nome del suo ‘I Care’. Finché siamo in tempo sarebbe meglio proporre di rivedere i Trattati, in particolare quelli che regolano le funzioni e i meccanismi di funzionamento della Banca centrale europea affinché la moneta, al pari dei vaccini, sia gestita come un bene comune al servizio della piena occupazione, della promozione dei servizi pubblici e della tutela della natura.
Grazie dunque alla signora Ursula VdL, per averci ricordato il valore di ‘I Care’, ma per favore l’Europa un faro per i tanti cittadini che la guardano affinché di quello spirito sia dato l’esempio migliore.
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Domenica 9 maggio Festa dell’Europa.
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‘I care’ di don Lorenzo Milani deve diventare il motto per l’Europa

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«I care» faro per tutti (una scelta da onorare)
di Francesco Gesualdi
in “Avvenire” del 7 maggio 2021
Parto da una doverosa precisazione: don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, il motto ‘I care’ (m’importa, ho a cuore) non lo aveva scritto su un muro, ma sulla porta che separava la scuola dalla sua camera. Un particolare non secondario perché essendo il punto di ingresso nell’unico spazio in cui a sera si ritirava in privato, voleva annunciare lo spirito che aleggiava in quello spazio e quindi nella sua persona. Uno spirito di assunzione di responsabilità verso le creature che la vita gli aveva messo davanti tale da fargli dimenticare totalmente se stesso. E uno spirito di coerenza verso la verità tale da fargli accettare le conseguenze che la difesa della verità spesso comporta. Don Lorenzo non lo ricordava per narcisismo, ma come invito a noi allievi a fare altrettanto, ricordandoci che se la società è ingiusta, violenta, predatrice, la responsabilità non è solo del ‘potere’ che impartisce ordini sbagliati e scrive leggi ingiuste, ma anche di tutti coloro che quegli ordini e quelle leggi eseguono. Ha fatto bene Ursula von der Leyen a ricordare il motto ‘I care’ proprio oggi che dall’altra parte dell’Atlantico, Joe Biden ha annunciato di voler appoggiare la richiesta avanzata da Sudafrica e India di sospendere le regole internazionali a difesa dei brevetti sui vaccini e ogni altro farmaco utile a sconfiggere la pandemia. Ha fatto bene perché ciò che in Europa ci è meno noto è che la decisione di Biden non giunge come un fulmine a ciel sereno, ma come conseguenza di una forte pressione popolare organizzata negli Stati Uniti da parte delle organizzazioni umanitarie che hanno fatto arrivare a Biden milioni di messaggi a favore della sospensione. Per questo la sua decisione è la vittoria di milioni di persone che in cuor loro hanno detto ‘I care’ e hanno preso l’iniziativa di agire per manifestare il proprio pensiero e insistere finché il Presidente di tanti di loro, l’uomo più potente del mondo, ha deciso di stare dalla parte delle persone piuttosto che delle multinazionali farmaceutiche. Un’iniziativa ancor più lodevole perché non attuata a favore di se stessi, ma di persone lontane, africani, asiatici, latino americani, che rischiano di non poter essere vaccinati a causa dei costi imposti dai brevetti. Ma il vero spirito dell’I Care è proprio questo: si agisce non perché se ne trae un vantaggio, ma perché non si tollera la sofferenza, l’ingiustizia, l’umiliazione, il sopruso, il latrocinio, a chiunque sia inflitto.
Ursula VdL, allora, deve ricordarsi che avendo preso l’impegno solenne, per giunta a Firenze, di volere assumere lo spirito di ‘I Care’ a livello personale e della politica dell’Unione Europea, si è assunta una grande responsabilità. La responsabilità di agire di conseguenza, applicando il suo e nostro ‘I Care’ prima di tutto verso i migranti. Verso tutte quelle donne, quegli uomini, quei bambini che dopo essere fuggiti da zone di guerra si trovano respinti, addirittura aggrediti dai cani alla frontiera est della Ue. Verso tutti coloro che cercando di fuggire dai lager libici si mettono in mare per raggiungere la sponda Sud della Ue, ma in caso di avaria vengono lasciati annegare o sono ripescati dalla cosiddetta Guardia costiera libica che li riporta nei lager dai quali hanno cercato di fuggire. Verso tutti i cittadini meno protetti della Ue che in tempo di austerità sono stati privati di un lavoro, di cure mediche, di scuola, sacrificati di nuovo sull’altare del debito.
Un tema, quello del debito pubblico, tutt’altro che superato, perché ora che la Ue ha deciso di indebitarsi per sostenere la transizione ecologica e la ripresa sociale, sarebbe beffardo se domani, dovesse ripristinare l’austerità per ripagare il debito fatto oggi in nome del suo ‘I Care’. Finché siamo in tempo sarebbe meglio proporre di rivedere i Trattati, in particolare quelli che regolano le funzioni e i meccanismi di funzionamento della Banca centrale europea affinché la moneta, al pari dei vaccini, sia gestita come un bene comune al servizio della piena occupazione, della promozione dei servizi pubblici e della tutela della natura.
Grazie dunque alla signora Ursula VdL, per averci ricordato il valore di ‘I Care’, ma per favore l’Europa un faro per i tanti cittadini che la guardano affinché di quello spirito sia dato l’esempio migliore.
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Domenica 9 maggio Festa dell’Europa.
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Per la Costituzione della Terra

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PRIMA BOZZA DI LAVORO PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA

Estensore Luigi Ferrajoli

Relazione
L’umanità si trova oggi di fronte ad emergenze e a sfide globali che mettono in pericolo la sua stessa sopravvivenza: le devastazioni ambientali e il rischio di una prossima inabitabilità del pianeta, la minaccia nucleare generata da migliaia di testate atomiche, la crescita della povertà e la morte per fame o per malattie non curate di milioni di esseri umani, le ondate migratorie di masse crescenti di persone che fuggono dalla miseria, dagli sconvolgimenti climatici, dalle guerre civili e dalle persecuzioni politiche. Per la prima volta nella storia il genere umano, a causa della catastrofe ecologica, rischia l’estinzione: non un’estinzione naturale come fu quella dei dinosauri, ma un insensato suicidio di massa dovuto all’attività irresponsabile degli stessi esseri umani. Tutto questo è ormai da molti anni sotto gli occhi di tutti. Perfino quanti di queste emergenze e di queste minacce sono i responsabili – dai governanti delle maggiori potenze ai grandi attori dell’economia mondiale – sono ormai pienamente consapevoli che il cambiamento climatico, la distruzione della biodiversità, i processi di deforestazione e desertificazione stanno travolgendo l’umanità e sono dovuti ai loro stessi comportamenti. Eppure continuiamo tutti a comportarci come se fossimo le ultime generazioni che vivono sulla Terra.
Non basta, quindi, lamentarsi e denunciare. Non basta documentare i disastri in atto e quelli ancor più gravi che ci aspettano di cui tutti sono ormai consapevoli. Al pessimismo paralizzante delle diagnosi è necessario opporre una risposta politica e istituzionale all’altezza delle sfide globali, in assenza della quale troverebbe conferma la massima corrente che a quanto accade non ci sono alternative. Ebbene, questa risposta non può che consistere nell’imposizione di limiti e vincoli ai poteri selvaggi dei mercati globali e degli Stati sovrani, onde porre fine all’azione devastatrice della natura e garantire la pace, la dignità, i beni vitali e i diritti fondamentali di tutti gli esseri umani.
È questa la proposta avanzata dal nostro appello del dicembre 2019 e poi dalla Scuola “Costituente Terra” che inaugurammo nell’assemblea del 21 febbraio 2020: la necessità di pervenire a un nuovo patto costituzionale tra tutti i popoli del mondo, in grado di garantire la loro convivenza pacifica e, prima ancora, le condizioni della vita sul nostro pianeta. Non si tratta di un progetto irrealistico. Si tratta al contrario della sola risposta razionale e realistica alle terribili emergenze che minacciano il futuro del genere umano. Come la pandemia del covid-19 ha mostrato a proposito del diritto alla salute, l’effettività di tutti i diritti fondamentali e dei principi della pace e della tutela dell’ambiente può essere assicurata, in un mondo sempre più integrato e interdipendente, solo dall’introduzione di idonee garanzie di carattere pubblico e globale. Il progetto di un costituzionalismo sovranazionale, al di là delle difficoltà della sua realizzazione, vale dunque a indicare, alle lotte sociali contro le tante emergenze in atto, un concreto obiettivo strategico. Non solo. L’obiettivo di una Costituzione della Terra, sollecitando risposte simultanee e sistematiche a tutte queste emergenze, equivale a un programma politico razionale in grado di unificare le tante battaglie nelle quali sono impegnate in tutto il mondo migliaia di associazioni: dalle battaglie civili in difesa dell’ambiente a quelle a sostegno della garanzia universale dell’acqua potabile, dai movimenti pacifisti per il disarmo nucleare alle mobilitazioni per l’uguale garanzia del diritto alla salute di tutti gli esseri umani, da quelle contro la povertà e la fame nel mondo fino alle lotte a sostegno dei diritti alla sopravvivenza oggi negati ai migranti.

Il progetto qui presentato è stato elaborato, su invito del Comitato esecutivo della Scuola “Costituente Terra”, durante la pandemia, che ha reso impossibile lo svolgimento dei seminari progettati. E’ infatti sembrato, in questi mesi di inerzia forzata, che una discussione feconda sul testo di una carta costituzionale globale potrebbe giovarsi di una prima bozza, che valga a facilitare e a orientare il dibattito attraverso l’identificazione sistematica delle questioni normative più rilevanti che il lavoro della Scuola dovrà affrontare.
La bozza è formata da cento articoli, divisi in due parti: la prima parte è dedicata ai principi di giustizia sostanziale nei quali consistono i fini e la ragion d’essere della Costituzione della Terra; la seconda è dedicata alle forme organizzative delle istituzioni globali che la Costituzione prevede ed impone quali strumenti idonei, grazie alle loro competenze, ad assicurare la realizzazione delle finalità stipulate. Nella stesura di questi cento articoli ho utilizzato quanto più possibile le formulazioni presenti nelle Carte dei diritti più avanzate, sia costituzionali che internazionali. Ma una Costituzione della Terra è inevitabilmente assai diversa da tutte le Carte vigenti, dato che deve rispondere a problemi globali del tutto sconosciuti ad altre epoche e tutelare nuovi diritti e nuovi beni vitali contro nuove aggressioni che richiedono sistemi nuovi di garanzie, ben più incisivi e complessi di quelli tramandati dalla nostra tradizione giuridica. Non mi nascondo il carattere all’apparenza utopistico di molte proposte qui avanzate. Ma lo scopo di questo progetto è stato disegnare un modello-limite, quanto più possibile idoneo a garantire effettivamente i principi di giustizia proclamati nelle tante Carte dei diritti che affollano i nostri ordinamenti.
La prima parte del progetto, dopo una premessa nella quale viene parafrasato l’incipit della Carta delle Nazioni Unite, è divisa in quattro titoli dedicati, rispettivamente, ai principi supremi, ai diritti fondamentali, ai beni fondamentali e ai beni illeciti. I principi supremi definiscono la ragion d’essere della Costituzione della Terra, cioè il mantenimento della pace, la salvaguardia della natura, la garanzia dei diritti fondamentali, la tutela dei beni vitali e la messa al bando dei beni micidiali. I diritti fondamentali, previsti nel titolo secondo, sono i tradizionali diritti che in tutte le Carte costituzionali avanzate vengono conferiti universalmente a tutti: i diritti di libertà, i diritti sociali, i diritti politici e i diritti civili, cui sono dedicate altrettante sezioni. Beni fondamentali e beni illeciti sono invece due novità di questa Costituzione, riguardando proprio le sfide e le emergenze globali – umanitarie, ecologiche e nucleari – che il linguaggio individualistico dei diritti non sempre è in grado di affrontare. I beni fondamentali, previsti nel titolo terzo, sono i beni vitali, accomunati dalla loro sottrazione al mercato: i beni personalissimi, che riguardano l’integrità del corpo umano e l’identità delle persone; i beni sociali, che includono tutti i farmaci salva-vita e i vaccini, dei quali viene stipulata la garanzia universale attraverso l’esclusione della loro brevettabilità e comunque la possibilità, già prevista dall’articolo 31 dell’Accordo sui diritti di proprietà intellettuale (TRIPS), del loro uso, in caso di emergenza, senza il consenso dei loro titolari; i beni comuni – come l’aria, l’acqua potabile, i grandi ghiacciai e le grandi foreste – garantiti da molteplici tutele, a cominciare dalla loro qualificazione come beni appartenenti a un demanio planetario. Infine i beni illeciti, previsti nel titolo quarto, sono i beni micidiali, che minacciano la vita delle persone e di popoli interi e dei quali, perciò, viene pattuito il divieto della produzione e/o del commercio e/o della detenzione: le armi atomiche, tutte le armi da fuoco, i rifiuti tossici o comunque pericolosi, le energie non rinnovabili con le connesse emissioni di gas serra.
Anche la seconda parte di questo progetto è divisa in quattro titoli. Il primo titolo definisce il ruolo e le competenze della Federazione della Terra quale istituzione aperta all’adesione di tutti gli Stati del mondo. Il secondo titolo è dedicato alle istituzioni e alle funzioni globali di governo, quali sono già previste dalla Carta delle Nazioni Unite: l’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza, il Consiglio economico e sociale e il Segretariato. Di queste istituzioni vengono stipulate la democratizzazione politica, il compito di dar vita alle istituzioni globali di garanzia e le funzioni in tema di pubblica sicurezza internazionale e di governo sovranazionale dell’economia. Ma a parte queste funzioni di carattere globale, è chiaro che le funzioni di governo, poiché la loro legittimità dipende dalla loro rappresentatività politica, è bene che restino prevalentemente in capo agli Stati nazionali.
Enormemente più decisiva, ai fini della costruzione di una sfera pubblica mondiale, è l’introduzione di quelle che ho chiamato istituzioni e funzioni globali di garanzia, legittimate appunto, soprattutto a livello globale, dalla garanzia, anche contro-maggioritaria, dell’uguaglianza nei diritti, della tutela e dell’accesso ai beni fondamentali e della protezione dai beni illeciti. Sono le istituzioni previste nel titolo terzo, diviso a sua volta in due sezioni: la prima dedicata alle istituzioni e alle funzioni di garanzia primaria dei principi stabiliti nella parte prima, cioè all’immediata e diretta garanzia della pace, della salute, dell’alimentazione di base, dell’istruzione, dell’ambiente e del lavoro; la seconda dedicata alle istituzioni e alle funzioni di garanzia secondaria, deputate all’accertamento e alla riparazione giurisdizionale delle violazioni dei suddetti principi, per commissione o per omissione e, insieme, alla soluzione delle controversie internazionali.
Talune istituzioni di garanzia primaria esistono già: l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Fao, l’Unesco e l’Organizzazione internazionale del lavoro. Di esse viene previsto il rafforzamento sia delle funzioni che degli apparati, onde metterle in grado di assicurare effettivamente la garanzia universale dei diritti alla salute, all’istruzione, all’alimentazione di base e a condizioni di lavoro eque e dignitose. Altre istituzioni di garanzia primaria vengono invece istituite o riformate, da questo progetto, in attuazione di altrettanti principi e diritti stabiliti nella sua prima parte. Viene anzitutto previsto un Consiglio internazionale per i diritti umani, con funzioni di coordinamento e organizzazione delle attività delle altre istituzioni di garanzia e di distribuzione delle risorse ad esse necessarie. Vengono stipulati, a garanzia della pace, la messa al bando delle armi e lo scioglimento, quale fu auspicato da Immanuel Kant, degli eserciti nazionali. Viene inoltre istituita un’Agenzia garante dell’ambiente, deputata alla protezione della natura attraverso la qualificazione come appartenenti a un demanio planetario di tutti i beni naturali da essa identificati come vitali e, inoltre, il controllo dell’osservanza dei divieti di produrre gas serra, rifiuti tossici o comunque micidiali. Infine sono previste un’Organizzazione internazionale delle prestazioni sociali, a garanzia della sussistenza delle persone, un’Agenzia mondiale dell’acqua, a garanzia dell’accesso di tutti all’acqua potabile, e un Comitato mondiale per le comunicazioni digitali, a garanzia dei diritti umani che da tali comunicazioni possano essere lesi.
Quanto alle istituzioni globali di garanzia secondaria, due di esse sono l’attuale Corte internazionale di giustizia, la cui giurisdizione viene resa obbligatoria ed allargata ad altre controversie nelle quali siano coinvolti gli Stati, e l’attuale Corte penale internazionale, la cui giurisdizione viene a sua volta estesa alle gravi lesioni dei diritti di libertà da parte di regimi dispotici, alla produzione e al commercio illeciti di armi e alle violenze dirette a impedire l’esercizio dei diritti fondamentali, incluso il diritto di emigrare. Sono poi istituite altre due nuove giurisdizioni, forse ancor più importanti. La prima è la Corte costituzionale globale, il cui ruolo di controllo sull’invalidità di qualsiasi fonte in contrasto con le norme di questa Costituzione vale a collocare tali norme al vertice del sistema delle fonti e a conferire ad esse la rigidità, che è il tratto distintivo dell’odierno garantismo costituzionale. La seconda è la Corte internazionale per i crimini di sistema, competente ad accertare le cause e a promuovere la cessazione di quelli che ho chiamato “crimini di sistema”, consistenti in violazioni gravissime di diritti o di beni fondamentali non riconducibili alla responsabilità penale di persone determinate, ma all’irrazionalità e all’irresponsabilità sociale dell’attuale sistema politico ed economico: le devastazioni ambientali, i rischi di conflitti nucleari, la crescita della fame e della povertà nelle periferie del mondo.
Infine il titolo quarto della parte seconda è dedicato alle istituzioni economiche e finanziarie. Si tratta di istituzioni già esistenti nel nostro diritto internazionale: la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale, istituiti nel 1945 a seguito degli accordi di Bretton Woods, e l’Organizzazione mondiale del Commercio, istituita nel 1995. Di queste istituzioni vengono riformati i criteri di formazione dei loro organi dirigenti, il cui controllo odierno da parte dei Paesi più ricchi ha finora reso ineffettivo e talora capovolto il ruolo di promozione dello sviluppo dei Paesi poveri e di riduzione degli squilibri economici ad esse affidato dai loro statuti. Vengono inoltre previsti, in quest’ultimo titolo, un bilancio planetario e un fisco globale, con indicazioni dettagliate, onde renderle effettivamente vincolanti, sia delle quote di bilancio che delle aliquote fiscali. Il fisco globale si compone di svariate tassazioni di attività globali, a cominciare dall’uso fino ad oggi gratuito di beni comuni, e di un’imposizione fiscale fortemente progressiva sulle grandi ricchezze e sugli altissimi redditi. Il bilancio planetario consiste nell’assegnazione alle diverse istituzioni globali, e soprattutto a quelle di garanzia primaria, di quote minime delle entrate fiscali dirette a finanziarne le attività.
Luigi Ferrajoli

COSTITUZIONE DELLA TERRA
Progetto Ferrajoli

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PRECEDENTE EDITORIALE
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lllllampadadialadmicromicro Discutiamo di welfare, anzi di stato sociale, del quale urge una non più rinviabile profonda riforma.
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Discutiamo di welfare, anzi di stato sociale, del quale urge una non più rinviabile profonda riforma

lllllampadadialadmicromicroIl compianto prof. Gianfranco Sabattini, di cui ci manca tantissimo il contributo di pensiero economico e non solo che ci assicurava con i suoi periodici (quasi quotidiani) articoli ospitati in prevalenza da Aladinpensiero, il manifesto sardo e Democraziaoggi, insisteva molto sulla necessità di una profonda riforma del sistema del welfare.
gsLui era un deciso sostenitore del reddito di cittadinanza, quello vero che riteneva essere altra cosa rispetto al RdC introdotto in Italia sulla spinta propulsiva del Movimento 5 Stelle. Riferendosi a illustri economisti, tra i quali James Edward Meade, premio Nobel per l’Economia del 1977, parlava più propriamente di “dividendo sociale” che si poteva – anzi per lui, si doveva – adottare in Italia come in Europa e nel resto del mondo, appunto nel contesto di un nuovo welfare, del quale nei suoi studi aveva delineato le principali caratteristiche. Occorre che tali riflessioni riprendano sia nelle sedi accademiche sia in quelle politiche e, in generale, del dibattito economico, sociale, culturale. E’ quanto in effetti sta accadendo, ma purtroppo in forme frammentate e tuttora prive degli sbocchi operativi che l’attuale gravissima situazione del Pianeta sconvolto dalla pandemia richiederebbe. Con queste convinzioni di seguito pubblichiamo una riflessione del professor Gianni Toniolo, apparsa il 1° maggio sul sito C3dem.

Stato sociale: tornare a Beveridge?
1 Maggio 2021 by c3dem_admin |
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di Gianni Toniolo

”Libertà dalla guerra e dalla paura della guerra. Libertà dall’ozio e dalla paura dell’ozio causato dalla disoccupazione forzata. Libertà dal bisogno e dalla paura del bisogno. Queste sono le tre libertà fondamentali. Questi sono gli obiettivi che dobbiamo perseguire con incessante determinazione”. Così William Beveridge introduceva il Rapporto che lanciò lo stato sociale postbellico. Era il 1942, le bombe cadevano su Londra mentre tutta Europa era occupata dai tedeschi. La sopravvivenza nazionale e individuale era la priorità assoluta. Malgrado ciò, c’era chi guardava lontano. Keynes programmava un nuovo ordine economico mondiale, Beveridge un patto sociale per le “libertà fondamentali”, entrambi avevano come obiettivo un’economia di piena occupazione.

Lo stato sociale, nato timidamente a fine Ottocento, ampliato in alcuni paesi negli anni Trenta, fiorì e si rafforzò in tutta Europa nel secondo dopoguerra, seguendo modelli in parte diversi, alcuni maggiormente fondati sulla cittadinanza (protezione di base a tutti i cittadini) altri più sul lavoro (protezione anzitutto ai lavoratori e alle loro famiglie). Nato dall’idea socialdemocratica di un patto tra capitale e lavoro, lo stato sociale fu attuato anche dai partiti conservatori cristiano democratici. La spesa sociale crebbe rapidamente in tutta Europa fino a agli anni Ottanta del secolo scorso, la crescita continuò poi a ritmo più lento. Il welfare state divenne una carattere distintivo, culturale e politico, dell’Europa occidentale. Anche gli Stati Uniti, sebbene con minore carica ideologica, accrebbero la spesa sociale. Altrettanto cominciarono a fare numerosi paesi in America Latina e in Asia.

Il “neoliberismo” lanciato da Reagan e Thatcher e fiorente negli anni Novanta e Duemila, malgrado il prestigio culturale che conquistò, non ebbe la forza politica di ridurre la spesa sociale che continuò a crescere, seppure a ritmi meno elevati che nel trentennio precedente, in quasi tutti i paesi, tranne che per brevi periodi nel Regno Unito e in Svezia, le due patrie originarie del welfare state. Benché la sua retorica dicesse il contrario, lo stesso Reagan non poté o non volle diminuire la spesa pubblica, che anzi aumentò. Lo stato sociale si dimostrò nei fatti, oltre le ideologie, soprattutto ma non solo in Europa, come un’istituzione consolidata, intoccabile pena la perdita di consensi elettorali. La sola cosa che potrebbe distruggerlo, nota Peter Lindert uno dei maggiori studiosi in argomento, è un debito pubblico fuori controllo.

Tutto bene, dunque? Certamente no. Non tanto per la quantità quanto per la qualità della spesa. Lo stato sociale europeo si è consolidato in un quadro demografico, tecnologico, sindacale e internazionale molto diverso dall’attuale. La sua inadeguatezza qualitativa spiega in parte, a mio parere, il diffondersi di ideologie populiste. La pandemia nella quale ancora viviamo ha messo a nudo lo scarto tra cittadini più e meno protetti. Faccio solo due esempi: lo stato sociale europeo, e massimamente quello italiano, è squilibrato a favore delle generazioni più anziane e del lavoro tradizionale, strutturato. Non si è adeguato alla fluidità del mercato del lavoro (anche di quella “buona”, non solo della Gig Economy). Non protegge sufficientemente il futuro dei giovani nel solo modo possibile: fornirli di cultura e formazione professionale adeguate a un buon inserimento nella società e nel lavoro. Tra le riforme delle quali si parla, penso che quella del welfare dovrebbe essere tra le prime. Anzitutto per equità, ma anche per favorire occupazione e sviluppo. Mi piacerebbe immaginare un “ritorno a Beveridge”, a una protezione universale di base per tutti i cittadini e le cittadine, indipendentemente da ogni altra loro qualifica.

Gianni Toniolo
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CHE SUCCEDE?
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PNRR: NOTE SU DIGITALE, OPERE PUBBLICHE, NON AUTOSUFFICIENTI. CASO PIETROSTEFANI ED EX BR
1 Maggio 2021 SU C3dem.
Vittorio Colao, “Con il digitale un’Italia più giusta per giovani e donne” (intervista a Repubblica). Enrico Giovannini, “I lavori pubblici del Recovery partono lunedì con regole nuove” (intervista al Sole 24 ore). Giuseppe Provenzano, “Recovery, punto di partenza per ridurre i divari del Sud” (intervista al Mattino). AGENDA DI GOVERNO E WELFARE: valutazione diverse: più critica Chiara Saraceno, “La fragilità incompresa” (La Stampa); più favorevoli Costanzo Ranci, Barbara da Roit, “Cura degli anziani, la riforma inizia dal Pnrr” (lavoce.info) e Network non autosufficienza, “Non autosufficienza: dal Piano una risposta alla società” (lavoce.info). Goffredo Buccini, “La scuola perduta dei ragazzi del Sud” (Corriere). CRISI MAGISTRATURA: Giulia Merlo, “Guida per orientarsi nel nuovo scandalo giudiziario” (Domani). Claudio Cerasa, “La giustizia è una patacca” (Foglio). La difesa di Giancarlo Caselli, “Volano i corvi che screditano i magistrati” (La Stampa). L’ARRESTO DI PIETROSTEFANI E DEGLI EX BR: Gustavo Zagrebelsky, “La pena e l’umanità” (Repubblica). Adriano Sofri, “La rinuncia alla violenza e l’estradizione che incombe su giusti e ingiusti” (Foglio). Marco Boato, “Macron cerca voti. Non credo che ci sia bisogno di giustizia” (intervista a Repubblica). Bruno Vespa, “Vi racconto il mio compagno Pietrostefani” (Qn). Giampiero Mughini, “Lotta Continua, la dottrina Mitterrand e la feccia della mia generazione”. Gad Lerner, “Lotta continua, sbaglia chi dice che fu terrorismo” (Il Fatto). Gianni Barbacetto, “Una vendetta? Non direste le stesse cose per i fascisti delle stragi” (Il Fatto). Mario Chiavario, “A giusto passo senza passerelle” (Avvenire). Giovanni Maria Flick, “Lo Stato non si vendica. Il carcere può rieducare anche i terroristi” (intervista a Il Giornale). Luciano Violante, “Le sentenze vanno eseguite, ma poi c’è la riconciliazione con le vittime e la società” (intervista al Corriere).
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IL LAVORO PERDUTO. L’INCONTRO LETTA-CONTE-BETTINI
1 Maggio 2021 su C3dem.
Dario Di Vico, “La verità sul lavoro perduto” (Corriere della sera). Linda Laura Sabbadini, “L’impiego scomparso per chi era già fragile” (Repubblica). Luigino Bruni, “I giusti salari della virtù” (Avvenire). Luigi Sbarra (segr. naz. Cisl), “Un Patto sociale per realizzare le grandi riforme” (Messaggero). Maurizio Molinari, “Lavoro, scriviamo i nuovi diritti digitali” (Repubblica). Enrico Letta, “Lavoro. Un nuovo Patto per il Pd” (Manifesto). GOVERNO E PARTITI: Nando Pagnoncelli, “Pd a un punto dalla Lega. FdI sorpassa i 5 Stelle” (Corriere della sera). Francesco Verderami, “Draghi, i partiti e le riforme da fare” (Corriere). Marco Follini, “I partiti sempre in bilico tra lotta e governo” (La Stampa). Claudio Cerasa, “Il pragmatismo di Draghi in cinque sfide” (Foglio). Enrico Letta, “Con Salvini tornerebbe il lockdown” (intervista a La Stampa). Stefano Feltri, “Perché a sinistra nessuno vuole essere il Biden italiano” (Domani). Mario Giro, “La fiera delle debolezza dei partiti spaventati dalle prossime elezioni” (Domani). CONTE-LETTA: Carlo Bertini, “Tra Conte e Letta il fidanzamento celebrato da Bettini” (La Stampa). Maria Teresa Meli, “Letta-Conte, l’asse per le comunali non c’è” (Corriere della sera). Daniela Preziosi, “Letta-Conte, incontro ravvicinato, ma c’è un problema di linea” (Domani). Marcello Sorgi, “Nozze difficili tra Conte e il leader dem” (La Stampa). Luca Ricolfi, “Happy Letta. Il Pd e il superamento dell’antipatia” (colloquio col Foglio). Piero Ignazi, “La destra è più unita di quel che sembra, la sinistra no” (Domani). Marco Filippeschi (pd), “Radicalità e primarie per il Pd. E alleanza con i 5 Stelle” (intervista a Il Riformista). Claudio De Flores, “L’inganno maggioritario nuoce al Pd” (Manifesto).
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1-ma-2021-bis- Gli editoriali del Primo Maggio
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1° maggio: buon primo maggio a tutti

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SE MANCA LA MATERIA PRIMA
di Gianni Loy

Festa celebrata con tristezza, oggi come tante altre volte, perché ancora scorre, davanti ai nostri occhi, il lavoro come forma di sfruttamento, il lavoro che manca, il lavoro che uccide. Scorrono, impietosamente, le immagini di chi, per guadagnarsi un pane, è costretto a piegarsi ad ogni umiliazione, ad abbandonare la propria terra, a morire, senza sepoltura, di morte atroce.
Sembra che l’angelo del dipinto ancora brandisca la spada della cacciata dal paradiso terrestre. Che i nostri primi progenitori ancora fuggano dal giardino verso l’ignoto, inseguiti dallo sguardo del Dio poderoso, lasciandosi alle spalle la felicità.
Sembra ancora di udire le parole della condanna: maledetta la terra, da essa, con fatica, trarrai il nutrimento, mangerai il pane con il sudore del tua fronte.
Così nacque il lavoro, come maledizione, come sofferenza; per i credenti come espiazione dal peccato originale. Spregevole fatica destinata agli schiavi, ai servi, ai rematori delle galere. Ché le persone “libere” disdegnavano. Non è neppure lontano il tempo in cui le donne della borghesia persino fuggivano i raggi del sole per non essere confuse con le loro sorelle che, lavorando nei campi dall’alba al tramonto, vedevano iscurire la loro pelle. Più tardi l’avrebbero chiamata abbronzatura.
- Che questo lavoro sia maledetto! Ebbe a gridare anche Victor Hugo, alla vista di fanciulli, dei quali neppure uno sorrideva, e di bimbe di otto anni “che vanno a lavorare quindici ore sotto le macine, che se ne vanno dall’alba alla sera, a far eternamente, nella medesima prigione, il medesimo movimento”.
Il giorno d’oggi non ci consola. Né nelle periferie, lontane eppur così vicine, né sul nostro marciapiede. Le leggi hanno affermato i fondamentali diritti della persona che lavora ma non hanno potuto arrestare la povertà che ancora prospera proprio a causa del lavoro negato e del lavoro sfruttato.
Eppure, sin dal principio, è germogliata una differente e contrapposta visione del lavoro che, ben lungi dall’esser considerato una condanna ed una pena, veniva riscoperto nel suo valore essenziale di dignità della persona. A partire dallo stesso San Paolo che, pur potendosi avvalere, in quanto ministro del culto, del diritto di esser mantenuto dalla Comunità, decide, invece, di mantenersi con il proprio lavoro e proclama con orgoglio: “nessuno mi toglierà questo vanto”.
Un percorso lento e faticoso. La schiavitù è scomparsa dal diario della storia appena l’altro giorno, e neppure del tutto. È stata necessaria la ribellione organizzata degli sfruttati, con il sacrificio di innumerevoli vittime, per far progredire la storia. Così che, oggi, è proprio sul lavoro che si fonda la Repubblica italiana e a tutti i cittadini viene chiesto di concorrere, con la propria attività, al progresso materiale o spirituale dell’intera società.
Per altro verso, è attraverso la cultura che dovrà penetrare nell’intimo di ogni persona, e della collettività nel suo insieme, la consapevolezza della dignità insita in ogni attività umana.
La storia va avanti, ma il processo di crescita democratica a volte s’inceppa. In un primo maggio devastato dalla pandemia, due esempi possono aiutarci a meglio intendere il valore del lavoro.
Il primo è quello di un Papa che proprio il primo maggio dell’anno passato, durante la celebrazione della messa, nella cappella di Casa Santa Marta, ha raccontato una parabola. Un uomo, rimasto senza lavoro e impossibilitato a sfamare la propria famiglia, si recò nella sede della Caritas per chiedere aiuto. Un volontario gli diede un pacco contenente prodotti alimentari e, nel consegnarglielo, gli disse: “Almeno lei può portare il pane a casa”. Quell’uomo, al sentire quelle parole, si rivolse al volontario e gli rispose: “Ma a me non basta questo, non è sufficiente. Io, il pane che porto a casa lo voglio guadagnare”. Papa Francesco, in perfetto stile stile evangelico, ha così commentato: – Vedete. A quell’uomo mancava la dignità, la dignità di poter ‘fare’ egli stesso il pane con il proprio lavoro e portarlo a casa. La dignità del lavoro, che tanto è calpestata, purtroppo.
Chi non lavora “non ha”, è evidente, ma soprattutto “non è”.
Papa Francesco ha concluso ricordando che il lavoro altro non è che la continuazione della creazione e che “il lavoro umano è la vocazione dell’uomo ricevuta da Dio alla fine della creazione dell’Universo”.
Il secondo è un ammonimento del nostro Remundu Piras, in occasione dei festeggiamenti di Sant’Antiogu, nel 1976 a Ghilarza. Prima di tutto, con una bellissima espressione, ha invitato tutti a “guardare in faccia il lavoro”: “Nara a sa moderna zonventude, de abbaidare su trabagliu in cara”, cioè a prendere piena consapevolezza del suo valore.
Quindi, con una mirabile metafora, spiega l’indispensabilità del lavoro, perché “sena s’istuppa non faghet filonzu, non ballat fusu e non si faghet filu …” In mancanza della stoppa non si può filare, il fuso non potrà “ballare” e non si potrà produrre il filato.
Insomma, il lavoro è la materia prima. Senza lavoro, senza un lavoro dignitoso, la terra, questa nostra unica terra, calpesta e derisa, non potrà ballare.

Gianni Loy
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Nell’illustrazione in testa: Cappella Brancacci, Cacciata di Adamo ed Eva (restaurato).
Autore: Masaccio – Data 1424-1425 – Tecnica: affresco Dimensioni 214×88 cm.
Ubicazione: Cappella Brancacci, chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze
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Nelle foto:
- manifestazione di lavoratori ambulanti, giostrai, torronai. Cagliari 21 aprile 2021.
- la prima pagina de Il Manifesto, del primo maggio 2021.
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IN PRIMO PIANO
1° maggio 2021: la solitudine dei lavoratori
30-04-2021 – di: Livio Pepino su Volerelaluna
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1° maggio a Cagliari
Sant’Efisio
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I Cattolici in Politica. In campo anche scelte di forte discontinuità. Il dibattito si approfondisce e si allarga.

zamagni-e-il-papa
lampadadialadmicromicroRiprendiamo dal sito del nuovo partito di ispirazione cristiana Politica Insieme un intervento di Stefano Zamagni, personalità eminente dell’intellettualità cattolica, presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, che della nuova formazione politica è cofondatore. Crediamo sia un importante contributo al dibattito sulla presenza dei Cattolici in Politica, che va approfondendosi e allargandosi. Quantunque desti molte perplessità la formazione di un partito, che pur ispirandosi ai valori cristiani e significativamente legato alla Dottrina sociale della Chiesa e particolarmente al Magistero di Papa Francesco, si dichiara laico e aperto a tutti coloro che ne condividono i valori di fondo a cui appunto si ispira, a prescindere dalle appartenenze religiose o di altra natura. Per semplificare: aperto ai credenti, ai non credenti, ai diversamente credenti.
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CONCRETIZZARE LA FRATELLI TUTTI CON UNA NUOVA PRESENZA IN POLITICA
di Stefano Zamagni.
Apr 27, 2021 – 07:13:30 – CEST su PoliticaInsieme
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1.Con l’enciclica Fratelli tutti, papa Francesco ha compiuto un salto di qualità nella comunicazione. Per la prima volta, infatti, il riferimento alla politica non è indiretto, ma esplicito. Il capitolo V si intitola “La migliore politica”, e al paragrafo 171 viene precisato che la politica non deve sottomettersi all’economia, e che questa a sua volta non deve sottomettersi al paradigma efficientista della tecnocrazia. Come ampiamente noto, fino agli anni ’70-80 del secolo scorso era la politica a guidare le danze, e l’economia interveniva in seconda battuta per dare attuazione a quanto politicamente veniva stabilito. Oggi, in tutto il mondo occidentale, avviene il contrario: gruppi di imprese, si pensi a certe finanziarie, all’high tech, al big pharma, hanno un tale potere di ricatto e di condizionamento sulla politica, che l’uomo della strada neppure immagina. Ebbene, il partito Insieme nasce il 4 ottobre 2020 anche sulla base di considerazioni come queste.

Parlare di politica equivale a parlare di potere. Due sono le dimensioni del potere che vanno attentamente distinte. Il potere come influenza, che mira a incidere sui comportamenti individuali attraverso l’educazione e la formazione politica, così da accrescere il senso di responsabilità dei cittadini. È questo il compito specifico delle tante scuole di formazione socio-politica, delle fondazioni culturali, dell’associazionismo di promozione sociale. Il potere come potenza mira invece a modificare le regole del gioco, cioè l’assetto istituzionale. Un tale compito non può che essere svolto dai partiti politici. La ragione è presto detta. In democrazia, l’assetto istituzionale si modifica nei parlamenti e nei governi, entità queste che rappresentano il campo d’azione dei partiti, non certo delle associazioni.

Nel corso dell’ultimo quarto di secolo, entro il variegato mondo dell’associazionismo cattolico, si è andata imponendo una posizione a dir poco ingenua, quella secondo cui la responsabilità del cittadino cattolico si esaurirebbe nel piano pre-politico, quello cioè del potere come influenza. Di qui il triste fenomeno della diaspora cattolica con la conseguente adiaforia etica, cioè l’indifferenza di fronte al bene e al male. Conviene rammentare che la diaspora consegue all’accoglimento della tesi di Agostino, per il quale la politica serve a porre un freno al male – a limitare cioè il katechon. Per Tommaso, invece, la politica ha il compito di realizzare il bene comune. Lo spirito di soggezione del nostro mondo cattolico nei confronti di altre matrici culturali in ambito politico è figlio della diaspora.

2.Un partito si regge su tre capisaldi: l’identità; un progetto di trasformazione dell’esistente che abbia il respiro della visione; un metodo (Methodos, in greco, è la via che occorre seguire per conseguire lo scopo). Tutte e tre le componenti vanno tenute insieme se si vuole scongiurare il rischio, per un verso, della faziosità (l’identità che diventa ideologia) e, per l’altro verso, dello sterile pragmatismo (il programma delle cose da fare privo di un orizzonte di senso). Circa il metodo, il principio che guida è questo: su ciò che unisce, si agisce; su ciò che divide, si ricerca. È questo il fondamento della temperanza – cosa ben diversa dal moderatismo conservatore.

L’Italia di oggi ha bisogno urgente di una triplice scossa. Primo, una scossa spirituale per contrastare i corifei delle passioni tristi (Spinoza), di chi ritiene che non ci siano alternative allo status quo e di chi indulge alla “cultura del piagnisteo”. Secondo, una scossa politica che valga ad affermare che la vocazione propria della politica è quella del bene comune e non del bene totale. Terzo, una scossa economica che immetta il nostro paese su un sentiero di prosperità inclusiva in grado di contrastare l’avanzata dei dualismi, territoriali e sociali, e di realizzare l’integralità dello sviluppo umano. Come ognuno può comprendere, rispetto a sfide del genere, l’approccio riformista non è sufficiente, perché le riforme mirano a dare nuova forma ad un sistema che non si vuole cambiare, mentre è proprio questo che invece va cambiato in alcuni suoi “pezzi” basilari.

Ebbene, Insieme è il nuovo partito (non già un partito nuovo) che fa suo l’approccio trasformazionale per rispondere, con mitezza e perciò con determinazione, alla triplice sfida di cui sopra. Quale il suo genoma? Insieme è un partito:

di ispirazione cristiana, quindi laico e non laicista, che si riconosce nella matrice culturale giudaico-cristiana. In quanto laico, è aperto a credenti, non credenti, diversamente credenti;
di centro ed autonomo rispetto sia alla destra sia alla sinistra, che ricerca il dialogo sincero e il confronto con altre posizioni politiche. E’ cosa nota che il modello di democrazia liberale non può fare a meno di un Centro autonomo. È la re-istituzionalizzazione del Centro politico ciò di cui l’Italia ha oggi necessità;
popolare e perciò antipopulista. Un partito popolare non si limita a dare risposte ai tanti portatori di interesse, ma suscita le domande latenti nella società e le anticipa. Respinge la democrazia diretta a favore della democrazia rappresentativa;
che fa della temperanza la sua divisa metodologica. Respinge pertanto la negative politics, quella che cerca in consenso denigrando e insultando le altre forze politiche.
3. In coerenza con quanto precede, quali trasformazioni Insieme ritiene che sia oggi più urgente avviare nel nostro Paese? Ne indico cinque:

1.la trasformazione del modello bipolare di ordine sociale fondato su Stato e Mercato, e quindi sulle due categorie del pubblico e del privato, nel modello tripolare Stato, Mercato, Comunità. Solamente tale trasformazione è possibile dare ali al principio di sussidiarietà, secondo quanto contemplato dall’art.118 della Carta Costituzionale, del Codice del Terzo Settore (D. Lgs. 117/2017) e della originale sentenza 131/2020 della Corte Costituzionale. Quella finora accolta non è la piena sussidiarietà, ma semplicemente un suo surrogato. Non solo, ma il passaggio, da tutti invocato, dall’obsoleto modello di Welfare State (Stato del benessere) a quello del Welfare Society (Società del benessere) mai potrà essere realizzato restando entro lo schema Stato-Mercato – a meno di voler rinunciare all’universalismo delle prestazioni, autentica conquista di civiltà. Un welfare delle capacità di vita, in sostituzione dell’attuale welfare delle condizioni di vita, esige la messa al centro della famiglia (e delle reti familiari), vista come soggetto e non come oggetto della benevolenza pubblica;

2.una seconda trasformazione riguarda il comparto dell’economia, divenuta la nuova grammatica della società. L’impianto del nostro assetto economico-istituzionale è ancora prevalentemente di tipo estrattivo. È di istituzioni economiche inclusive ciò di cui l’Italia ha bisogno, se si vuole ridurre significativamente l’area della rendita che, nell’ultimo quarantennio, si è andata espandendo a danno del profitto e del salario. La stanchezza della cultura imprenditoriale (e il declino dei livelli di produttività), oltre che il nanismo del sistema di impresa trovano in questo la loro causa principale. Lo stesso dicasi della condizione di sofferenza delle famiglie, soprattutto di quelle numerose, ingiustamente penalizzate. Se si crede che è il lavoro, nella duplice dimensione acquisitiva ed espressiva, il fattore decisivo di libertà, oltre che di benessere, allora occorre dire che è l’impresa che crea Ma l’impresa nella molteplicità delle su forme: di tipo capitalistico, cooperativa, impresa sociale, società benefit. Insieme respinge sia la prosperità senza inclusione sia l’inclusività senza prosperità, che si attua per via assistenzialistica;

3.una terza trasformazione chiama in causa il sistema scuola-università. Cosa c’è da trasformare? Il fondamento stesso del sistema: scuola e università devono tornare ad essere luoghi di educazione e non solamente di istruzione. Nel Patto Globale per l’Educazione (15 ottobre 2020), papa Francesco indica come all’origine della crisi della scuola vi sia l’abbandono, nel corso dell’ultimo secolo, del concetto aristotelico di conazione – parola che viene dalla crasi tra conoscenza e azione – ed il cui significato è quello di porre la conoscenza al servizio dell’azione e di non consentire che l’azione abbia luogo se non su una base di conoscenza. Le nostre scuole e università veicolano bensì la conoscenza, pure di buon livello, grazie alle riforme dell’istruzione dei passati decenni, ma non aiutano i giovani ad inserirsi “nella realtà totale”. (Di qui il triste fenomeno della fuga dei cervelli). Volere fare la cosa giusta è qualcosa di diverso dal sapere la cosa giusta da fare; e questo è qualcosa di diverso dal fare effettivamente la cosa giusta. E’ responsabilità specifica delle istituzioni scolastiche quelle non solo di vedere il mondo così com’è (istruzione), ma anche di immaginare il mondo come potrebbe essere (educazione);

4.il discorso sull’Europa va ripreso di petto. Insieme, è un partito convintamente europeista e dunque il suo è un europeismo pro-attivo che respinge sia l’opzione sovranista sia l’atteggiamento succube di chi, per complessi di inferiorità o per accidia, accoglie passivamente ogni decisione presa da altri. Insieme si adopererà per rivedere in profondità il contenuto dei Trattati, da quello di Maastricht (1992), a quello di Dublino e altri. Si tratta di riprendere il disegno originario dei padri fondatori del progetto europeo mirante ad una “Unione di diversi”, nella quale moneta unica e mercato unico devono intrecciarsi all’unitarietà delle politiche estera, fiscale, di welfare. Insieme fa proprio il monito di Pericle che, nel celebre “discorso agli Ateniesi”, scrisse che nessuna democrazia potrà mai durare a lungo se la più parte dei suoi membri è formata da idiotés, da soggetti cioè che vedono solo il proprio ego e il proprio interesse;

5.da ultimo, ma certo non per ultimo, Insieme si batterà per vedere affermate le ragioni del progetto neo-umanista, contrastando l’avanzata, a dir poco preoccupante, di quello trans-umanista. In California, dove all’inizio del secolo è stata fondata l’Università della Singolarità, culla del trans-umanesimo, si coltiva la speranza che entro il 2050 si possa arrivare ad un ordine sociale in cui non vi sarà più bisogno dell’essere umano, un ente giudicato ormai antiquato. La nuova frontiera è quella della “coscienza artificiale” che andrebbe ad aggiungersi alla già acquisita intelligenza artificiale. Non v’è chi non veda dove la deriva della “servitù digitale” potrebbe portare. Per questo, Insieme pone al centro della propria strategia per l’ambiente il principio della sostenibilità antropologica – di cui nessuno parla mai –, in aggiunta alla sostenibilità ecologica e a quella socio-economica. È triste osservare che nel dibattito in corso nessuna forza politica ne faccia parola. L’Italia ha donato al mondo l’Umanesimo civile (XV secolo) e poi il Rinascimento. Bisogna adoperarsi – e Insieme lo farà – perché l’Unione Europea affidi al nostro paese il compito di far decollare e di sostenere il progetto del neo-umanesimo.

Per concludere. Avere dimenticato il fatto che non è sostenibile una società di umani in cui si estingue il senso di fraternità e in cui tutto si riduce, per un verso, a migliorare le transazioni basate sullo scambio di equivalenti e, per l’altro verso, ad aumentare i trasferimenti attuati da strutture assistenziali di natura pubblica, ci dà conto del perché, nonostante la qualità delle forze intellettuali in campo, non si sia an cora addivenuti ad una soluzione credibile di quel trade-off. Non è capace di futuro la società in cui si dissolve il principio di fraternità; non c’è felicità in quella società in cui esiste solamente il “dare per avere” oppure il “dare per dovere”. Ecco perché, né la visione liberal-individualista del mondo, in cui tutto (o quasi) è scambio, né la visione statocentrica della società, in cui tutto (o quasi) è doverosità, sono guide sicure per farci uscire dalle secche in cui iperglobalizzazione e 4° rivoluzione industriale stanno mettendo a dura prova la tenuta del nostro modello di civilizzazione. Restituire un’anima alla politica – questa la missione che Insieme ha deciso di assegnarsi. Ci vogliono grandi cause, ancorché talvolta deviate dal loro alveo originale, per mobilitare le persone in gran numero. Non esiste forza politica, degna di questo nome, che non si rifaccia ad un’ispirazione. Senza di essa, un partito si riduce ad una mera aggregazione mercantile. “La tradizione – ha scritto Gustav Malher – è la salvaguardia del fuoco, non la conservazione delle ceneri”. È per questo che l’unità non si oppone alla pluralità delle posizioni, ma alla divisione.

È l’individualismo libertario – questo tarlo nefasto del tessuto sociale – ad alimentare gli atteggiamenti di intolleranza, e a sostenere la pretesa di voler imporre il proprio punto di vista perché ritenuto quello vero e opportuno. Lo sguardo di Insieme è uno sguardo che non giudica e, tanto meno, delegittima l’altro. Insieme fa proprio il modello della con-vivenza di stampo personalista. Il quale postula il rispetto di tre regole basilari. La prima è la pratica del principio di reciprocità (da non confondersi con quello dello scambio). La seconda è il rifiuto dell’uniformismo, secondo cui tutti dovrebbero pensare allo stesso modo. È questo il grave rischio del pensiero di gruppo (“group think”, nel senso di L. Janis) che limita la creatività. La terza condizione è che la comunanza delle azioni va declinata sui fini da raggiungere e non già sui mezzi.

Sono ben consapevole delle grandi sfide che questo nostro tempo ci lancia e dei limiti di Insieme. Ma so anche che il senso di possibilità dipende non solo dalle opportunità e dalle risorse, ma pure dalla speranza. Ci sono due modi errati di affrontare le difficoltà. L’uno è cedere alla tentazione di rimanere al di sopra della realtà con l’utopia; l’altro è la tendenza a rimanere al di sotto della realtà con la rassegnazione. Dobbiamo scongiurare tentazioni del genere. Piuttosto, dobbiamo coltivare il seme della speranza, la quale poggia sulla certezza che la realtà non è un dato, ma un compito. E’ la speranza che sprona all’azione, all’intraprendenza: chi è capace di sperare è anche colui che è capace di agire per vincere la paralizzante apatia dell’esistente.

“Hanno spine le rose; fango gli argentei rivi”. (W. Shakespeare). E’ proprio così, ma quando le rose poi sbocciano ripagano, con la loro bellezza, le sofferenze patite e gli sforzi profusi. Mai si dimentichi che con i mattoni si costruisce, ma è grazie alle radici che si avanza. E le radici di Insieme sono profonde e robuste.

Stefano Zamagni
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Un articolo di Famiglia Cristiana (Stefano Zamagni con papa Francesco durante l’udienza concessa da Bergoglio ad una delegazione della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali il 2 maggio 2019.)
Foto e Approfondimenti: https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2019/5/2/plenaria-pass.html

28 de abrili Sa die de sa Sardigna

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Sa Die 2021, sa bandela, sa festa, s’innu: sos sinnos de sa NATZIONE SARDA

Come l’anno scorso celebreremo la festa del Popolo sardo, “Sa Die de sa Sardigna 2021” chiusi nelle nostre case. Il Comitato, nell’augurare ai Sardi ogni soddisfazione e benessere, propone di diffondere nei propri siti (fb, instagramm, twitter, telegram, tictoc etc) l’allegato “MESSAGGIO PER SA DIE 2021”, che abbiamo reso disponibile in italiano, sardo-campidanese e in sardo-logudorese, e di esporre la bandiera sarda nelle proprie case. E NEI VOSTRI SOCIAL. Augurios, frades Sardos!

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MESSAGGIO DEL COMITATO PER SA DIE DE SA SARDIGNA 2021

Come l’anno scorso celebreremo la festa del Popolo sardo, “Sa Die de sa Sardigna 2021” chiusi nelle nostre case. Il Comitato, nell’augurare ai Sardi ogni soddisfazione e benessere, propone di diffondere nei propri siti (fb, instagramm, twitter, telegram, tictoc etc) l’allegato “MESSAGGIO PER SA DIE 2021”, che abbiamo reso disponibile in italiano, sardo-campidanese e in sardo-logudorese, e di esporre la bandiera sarda nelle proprie case.

L’insurrezione cagliaritana del 28 aprile 1794 – ancora oggi viva nella memoria collettiva – sta alla base di “Sa Die de sa Sardigna”, la Giornata del Popolo Sardo che si celebra tutti gli anni, proprio il 28 aprile, e che anche il Comitato celebra nell’Aula del presente Parlamento sardo.

*****

Il tempo che stiamo vivendo ha impedito la partecipazione popolare alla Pasqua, alla festa del centenario della nascita del partito sardo (17 aprile) e alla festa della liberazione dal nazifascismo (25 aprile). Il 28 aprile, ricorre Sa Die de sa Sardigna, la festa che la Regione Autonoma della Sardegna ha dedicato al passato e al presente di questo popolo. Pochi giorni dopo, il 1 Maggio, è la Festa dei lavoratori in tutto il mondo e in Sardegna, non solo a Cagliari, di sant’Efisio.

Il popolo è invitato al rispetto di regole di prudenza che comportano la distanza reciproca e la rinuncia allo spazio pubblico.

Più di mille e trecento sardi sono stati finora vittime della malattia, e troppi sono stati travolti dalla seconda ondata della pandemia.

Sembra ripetersi il tragico destino delle migliaia di giovani che persero la vita nell’insensata catastrofe della Prima Guerra Mondiale. Allora quel “mare de dolore” provocò la reazione che spinse tanti giovani ad organizzarsi perché non si ripetesse quella carneficina, e perché quel sangue versato divenisse lievito di resurrezione di un popolo misero e calpestato.

La Sardegna si avvia ad affrontare forse alcuni tra i giorni più difficili, prima che la pandemia sia debellata. E’ il momento in cui occorre il massimo sforzo individuale nel rispetto di sé e degli altri, la massima efficacia ed efficienza nell’attività delle strutture pubbliche.

I Sardi sono stati sempre capaci di affrontare i problemi con la serietà, la laboriosità, la generosità che li contraddistingue. Oggi c’è bisogno più che mai delle virtù del nostro popolo.

La Sardegna è ricca di grandi risorse umane e naturali. La nostra terra è arrivata integra sino alle soglie della contemporaneità, il progresso ha consentito di sconfiggere, con l’aiuto di popoli amici, mali secolari come la malaria. Preservare l’ambiente naturale e la terra dall’inquinamento e dalla contaminazione radioattiva di scorie nucleari e depositi di rifiuti di ogni genere è compito primario della generazione attuale di Sardi.

Il popolo sardo deve ritrovare uno spirito unitario e solidale, per superare le difficoltà attuali e intraprendere con fiducia un cammino di ripresa e sviluppo economico per conquistare migliori condizioni di vita.

Come la bandiera con i Quattro Mori, prima bandiera del Regno di Sardegna, in seguito bandiera di partito, è diventata la bandiera di tutti i Sardi, così auspichiamo che tutti i Sardi si riconoscano parte di un unico popolo e, soprattutto in questa occasione, insieme ricordino e cantino il proprio inno nazionale, “Procurade ‘e moderare, barones sa tirannia …”.

Le figure e i disegni della nostra bandiera possono decorare gli edifici delle nostre case e illuminare i nostri cuori.
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(in campidanesu, di Gianni Loy)

Is sardus torrant a fairi festa, oi, po sa Die de sa Sardigna. Da torrant a festai, occannu, in conditzionis chi non funti normalis. Epperò du fainti cun convintzioni, cun impegnu e fintzas cun cuntentesa.

Giai ch’in su tempus chi seus bivendu sa participatzioni polulari no est possibili, is tzelibradoris, religiosus o laicus chi siant, d’hant a tzelebrai a sa sola. Po mori e icussu, prus manna hat a essiri sa rensponsabilidadi insoru.

Invitaus prima ‘e tottu su populu sardu, chi est sovranu, a respettai is arregulas de prudenzia; a mantenniri sa distantzia e a ndi fairi de mancu de s’ammuntonai in is pratzas.

Prus de milli e duxentus sardus hanti perdiu sa vida in sa gherra contra de sa maladia chi seus ancora cumbattendu.

Sa Sardigna, hat imbuccau unu caminu aunia, prima chi custa pandemia siat binta de averas, s’hant a deppiri affrontai tempus forsis prus diffitzilis ancora, In su tempus benidori nos hat a toccai a fairi unu sfortzu mannu meda, con rispettu po nosus e tottu e po is atrus; e a is istitutzionis publicas depeus pediri efficientzia e efficacia.

Is sardus, de calechisiat manera, hanti ammostau, confrommi a s’istoria insoru, sa balentia de affrontai il probelmas con sediedadi, cun laboriosidadi e cun generosidadi. Oi, prus ch’in atrus tempus, depeus bentulai is virtudis de su populu nostru.

Sa richesa de sa Sardigna s’agattat in is personas de gabbale e fintzas in sa natura. Sa terra nosta est erribada sana finas a oi. Gratzias a su progressu e a s’agiudu de populus amigus est arrenescia a binciri fintzas e a maladias antigas, comenti‘e sa malaria. Su primu doveri chi teneus oi est de preservai s’ambienti naturali e sa terra, gherrendu contra de s’inquinamentu e de sa contaminatzioni nucleari, tanchendu sa porta a depositus nuclearis e a dogna tipu de aliga.

Po arrenexiri a superai is ostaculus chi si presentanta dogna di, po imbucai in d’unu caminu nou de sperantzia, po chi si potzat torrai a una vida de mellus calidadi, su populu sardu depit arrenesciri a mantenniri un’ispiritu de unidadi e de solidariedadi,

Una bandera, cussa de is quattru morus est istettia su primu istendardu de su Regnu Sardu, a pustis de un partidu est, immoi, sa bandera de tottus is sardus. A sa matessi manera, a di de oi, auguramus chi tottus is sardus si potzant arreconosciri comenti parti de un unico populu.

CUN S’AUGURIU CHI CUSTA BANDERA COSA NOSTRA, POTZAT BENTULAI IN IS DOMUS NOSTRAS ET ALLIRGAI SU CORU DE NOSATRUS TOTTUS.

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(in logudoresu, di Luciano Carta)

Sos Sardos torrrant a festare oe sa festa issoro, sa Die de sa Sardigna. Issos la torrant a proponnere occannu in cunditziones chi non sunt normales, epperò lu faghent meda cumbintos, cun impinnu, e finzas cun cuntentesa.

Sos tempos chi semus vivìndhe non cunsèntint sa partizipassiòne populare a custas festas, chi ant a esser onoràdas dae sos tzelebràntes religiosos e laicos a sa sola. Custu fattu aumèntat de meda sa responsabbilidàde de sas autoridàdes e cun issas de sos uffizios.

A su pòpulu soberànu faghìmos s’invitu de rispettare sas regulas de prudensia chi impònent sa distànsia tra sas pessònes e sa mancantzia de ispaziu prubbicu de sa vida comune.

Pius de milli e treghentos sardos b’ant lassàdu sa vida in sa gherra contra custa maladìa, medas, troppu sunt ruttos in sa gherra chi amos cumbàttidu in cust’urtimu annu.

Sa Sardìgna s’at leàdu camìnu pro affrontare sos tempos forzis pius diffiziles, primma chi sa pandemìa siat bìnchida deabbèru. Custu est su tempus inùe b’at nezessidàde de un’isforzu mannu meda, in su rispettu de se matessi e de s’ateru, po ottenner s’efficaza e s’efficentzia massima de sas istitussiònes prubbicas.

Sos Sardos ant semper tentu capazidàde de affrontare sos problemas cun sa seriedàde, sa laboriosidàde, sa generosidàde che los distìnghet. Oe pius che in ateros tempos b’at bisonzu de sas virtùdes de su pòpulu nostru.

Sa Sardigna est terra de benes mannos de omines e de natura. Sa terra nostra est arrivàda sana finzas a s’intràda de sa cuntemporaneidàde, su progressu at cunsentìdu de che bìnchere, cun s’azzùdu de pòpuòos amigos, males seculares comente sa malaria. Preservare s’ambienbte naturale e-i sa terra dae s’inquinamentu e dae sa cuntaminassiòne de sos iscartos nucleares e depòsitos de avànsos de onzi tipu est sa primma faìna de sos Sardos de oe.

Su populu sardu deppet appompiare a tènnere un’ispiritu de unidàde e de solidariedàde, si cheret brincàre sas difficultàdes e cominzàre cun isperànsia unu camìnu de cominzamèntu nou e de torràre a fagher nàschere cunditziònes de vida menzus.

Che-i sa bandhèla de sos Battor Moros, primma bandhèla de su Regnu Sardu, appustis bandhèla de unu partìdu, chi est diventàda sa bandhèla de totu sos Sardos, gai auguràmos chi totucantos nos potèmas reconnòschere parte de su matessi unicu populu.

Chi sas figuras e-i sos disìnnos de sa bandhèla nostra potant illuminare sas domos nostras e-i sos coros de totu nois.
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PRECEDENTI EDITORIALI PNRR DIBATTITO
Manca il coraggio di cambiare
Giulio Marcon su Sbilanciamoci!
26 Aprile 2021 | Sezione: Editoriale, Politica
sbilanciamoci
cover-pnrr Nelle oltre 300 pagine del Piano di ripresa e resilienza, il Recovery Plan presentato alle Camere, le parole “competizione”, “concorrenza” e “impresa” ricorrono 257 volte, il doppio delle citazioni di “lavoro”, “diseguaglianze” solo sette volte. Il lessico è importante. Infatti alle imprese vanno 50 miliardi, solo 6,6 al lavoro. Un piano senza coraggio.

Incominciamo dalle parole. Nel PNRR di Draghi la parola “concorrenza” compare 42 volte, “competizione” 79 mentre “diseguaglianze” 7 e “diritti” 18. E già questo ci dice qualcosa. Se mettiamo insieme “competizione”, “concorrenza” e “impresa” (257) hanno più del doppio di citazioni (378) di quelle del “lavoro” (179) che pure sta sulla bocca di tutti come la cosa più importante. Ora, non si tratta di mettersi a fare il campionato delle citazioni, ma l’enfasi sulle parole ha sempre qualcosa a che fare con il senso di un discorso, il suo indirizzo, le finalità cui soggiace. Il lessico ha la sua importanza. Così nel piano di Draghi le diseguaglianze scolorano nelle pari opportunità, i diritti nell’accessibilità ai servizi mentre la ricerca scientifica acquista la sua importanza se va verso l’impresa (e non per esempio verso il benessere dei cittadini).

L’impianto di Draghi è sostanzialmente tecnocratico e liberista, pur contenendo diverse cose importanti: le misure per la transizione ecologica, quelle per la medicina territoriale, per l’inclusione sociale e la scuola e altro ancora. Ci sono alcune riforme previste (nel segno della sacrosanta efficienza del sistema), ma non quelle che potrebbero dare il senso di un cambiamento sociale e più giusto del Paese: la riforma del fisco (che sta nel calderone generico delle “varie ed eventuali”), del mercato del lavoro (invertendo la rotta del precariato verso i diritti), della sanità pubblica ricostruendo le basi del Servizio sanitario nazionale, dell’introduzione dei Livelli essenziali di assistenza, già previsti da 20 anni e mai realizzati. Non c’è il coraggio di dire qualche parola in più sulla prospettiva e gli strumenti dell’intervento pubblico in economia. Nel piano manca la politica industriale (altra riforma che non c’è): non sono evidenziate le sedi, gli strumenti, i poteri di indirizzo, di stimolo e di monitoraggio delle scelte per il nostro sistema produttivo.

Le imprese continuano ad essere le più importanti beneficiarie dei fondi pubblici (come è stato nel 2020 con i vari decreti d’emergenza): quasi 50 miliardi di euro del piano, mentre alle politiche per il lavoro vanno solo 6,6 miliardi. Di diseguaglianze non si parla e soprattutto manca una strategia su come affrontarle: il discorso è sempre lo stesso, con la crescita si risolverà tutto. Ricetta falsa: non è così e non è stato così in questi anni. Sulle diseguaglianze sanitarie si dice poco o niente su come affrontarle (non si affronta il tema della divaricazione dei sistemi sanitari regionali) e così quasi nulla (briciole) sul digital divide che incombe su gran parte del Paese.

Per l’ambiente le cose potrebbero andare meglio, certamente. Anche se le associazioni ambientaliste hanno espresso già le loro critiche. Ma ci si consenta qualche dubbio sul rapporto costi-benefici di un provvedimento come quello del bonus 110% su cui anche l’UpB ha sollevato qualche dubbio: un provvedimento (che implica tante risorse) di cui non usufruiscono né i poveri né i ceti medio-bassi e il cui effetto sull’abbattimento delle emissioni è molto sovrastimato, mentre lo spazio per incentivi fiscali sull’ecoefficienza è molto più ampio e molto più diffuso. Scompaiono quasi del tutto gli incentivi per la rigenerazione energetica degli edifici pubblici e rimangono solo quelli per i privati. Tutta questa enfasi per l’investimento sull’idrogeno (più di 3 miliardi) suscita qualche interrogativo, anche perchè è un vettore energetico più che una rinnovabile. E soprattutto uno di interrogativi: se tra le varie disposizioni non si nasconda anche l’aiuto dello sviluppo dell’idrogeno blu (cioè dal gas), su cui sta puntando l’ENI. Inoltre, non ci sono impegni per il superamento dei Sussidi ambientalmente dannosi (SAD) di cui usufruiscono in gran parte le imprese. Ulteriori semplificazioni vengono previste per la procedura VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) e codice appalti: più che meno burocrazia questo significa più deregulation. Qualcosa di cui sarà felice il ministro Cingolani, ex responsabile dell’innovazione per Leonardo: aumentano enormemente i fondi (quasi un miliardo di euro) per le infrastrutture satellitari: ne sarà contento l’ad Profumo.

Molti dubbi anche sulla governance (sulla cabina di regia si rimanda ad un successivo provvedimento) e il monitoraggio previsto per il piano. A tale riguardo colpisce che tutto si riduca -per il monitoraggio- all’uso di software più o meno sofisticati per valutare lo stato di avanzamento e la rispondenza agli obiettivi fissati. Prevale, in questa deriva tecnocratica, il modello McKinsey con matrici, indicatori, ecc e scompare completamente la dinamica della componente sociale, partecipativa e democratica della valutazione delle scelte fatte. D’altra parte è la stessa impostazione che si è seguita anche nella fase preparatoria del piano.

Si doveva fare diversamente. Un piano con molte cose utili (ma anche diverse sbagliate) in una cornice liberista, sempre la stessa, sbagliata e fallimentare, senza il coraggio di affrontare i nodi di una economia diversa fondata sul cambiamento radicale del modello di sviluppo che ci sta portando alla rovina. Senza mai metterlo in discussione: nemmeno nel piano di Draghi.
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Punta de billete. Lompendi su 28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
sadie2015 28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
SA FESTA NATZIONALE DE SOS SARDOS IN TEMPOS DE PANDEMIA
de Frantziscu Casula
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PRECEDENTE EDITORIALE
no-profit-per-vaccino-pandemia Comitato Italiano petizione ICE
Right2cure – No profit on pandemic- Diritto alla Cura -
VACCINI, APPELLO A DRAGHI: SOSPENDERE I BREVETTI PER SALVARCI TUTTI!
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PNRR. Le buone intenzioni dell’inferno di Draghi
gov-draghidi Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri.
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Il discorso di Mario Draghi alla Camera (lunedì 26 aprile 2021).
Signor Presidente, Onorevoli Deputati,
[...]
sbaglieremmo tutti a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze. Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà. La consapevolezza di ogni comunità che l’ambiente va tutelato e rispettato. Ma, nell’insieme dei programmi che oggi presento alla vostra attenzione, c’è anche e soprattutto il destino del Paese. La misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale. La sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione europea e protagonista del mondo occidentale.
Non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere. Ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare.

Dico questo perché sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio. Nel presentare questo documento, al quale è strettamente legato il nostro futuro, vorrei riprendere, specie all’indomani della celebrazione del 25 aprile, una testimonianza di uno dei padri della nostra Repubblica.

Scriveva Alcide De Gasperi nel 1943:

“Vero è che il funzionamento della democrazia economica esige disinteresse, come quello della democrazia politica suppone la virtù del carattere.
L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini – oggi diremmo delle persone – disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune.

A noi l’onere e l’onore di preparare nel modo migliore l’Italia di domani.

***

[segue, sul sito web del Governo].

Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – Primi approfondimenti dopo la presentazione al Parlamento

Manca il coraggio di cambiare
Giulio Marcon su Sbilanciamoci!
26 Aprile 2021 | Sezione: Editoriale, Politica
sbilanciamoci
cover-pnrr Nelle oltre 300 pagine del Piano di ripresa e resilienza, il Recovery Plan presentato alle Camere, le parole “competizione”, “concorrenza” e “impresa” ricorrono 257 volte, il doppio delle citazioni di “lavoro”, “diseguaglianze” solo sette volte. Il lessico è importante. Infatti alle imprese vanno 50 miliardi, solo 6,6 al lavoro. Un piano senza coraggio.

Incominciamo dalle parole. Nel PNRR di Draghi la parola “concorrenza” compare 42 volte, “competizione” 79 mentre “diseguaglianze” 7 e “diritti” 18. E già questo ci dice qualcosa. Se mettiamo insieme “competizione”, “concorrenza” e “impresa” (257) hanno più del doppio di citazioni (378) di quelle del “lavoro” (179) che pure sta sulla bocca di tutti come la cosa più importante. Ora, non si tratta di mettersi a fare il campionato delle citazioni, ma l’enfasi sulle parole ha sempre qualcosa a che fare con il senso di un discorso, il suo indirizzo, le finalità cui soggiace. Il lessico ha la sua importanza. Così nel piano di Draghi le diseguaglianze scolorano nelle pari opportunità, i diritti nell’accessibilità ai servizi mentre la ricerca scientifica acquista la sua importanza se va verso l’impresa (e non per esempio verso il benessere dei cittadini).

L’impianto di Draghi è sostanzialmente tecnocratico e liberista, pur contenendo diverse cose importanti: le misure per la transizione ecologica, quelle per la medicina territoriale, per l’inclusione sociale e la scuola e altro ancora. Ci sono alcune riforme previste (nel segno della sacrosanta efficienza del sistema), ma non quelle che potrebbero dare il senso di un cambiamento sociale e più giusto del Paese: la riforma del fisco (che sta nel calderone generico delle “varie ed eventuali”), del mercato del lavoro (invertendo la rotta del precariato verso i diritti), della sanità pubblica ricostruendo le basi del Servizio sanitario nazionale, dell’introduzione dei Livelli essenziali di assistenza, già previsti da 20 anni e mai realizzati. Non c’è il coraggio di dire qualche parola in più sulla prospettiva e gli strumenti dell’intervento pubblico in economia. Nel piano manca la politica industriale (altra riforma che non c’è): non sono evidenziate le sedi, gli strumenti, i poteri di indirizzo, di stimolo e di monitoraggio delle scelte per il nostro sistema produttivo.

Le imprese continuano ad essere le più importanti beneficiarie dei fondi pubblici (come è stato nel 2020 con i vari decreti d’emergenza): quasi 50 miliardi di euro del piano, mentre alle politiche per il lavoro vanno solo 6,6 miliardi. Di diseguaglianze non si parla e soprattutto manca una strategia su come affrontarle: il discorso è sempre lo stesso, con la crescita si risolverà tutto. Ricetta falsa: non è così e non è stato così in questi anni. Sulle diseguaglianze sanitarie si dice poco o niente su come affrontarle (non si affronta il tema della divaricazione dei sistemi sanitari regionali) e così quasi nulla (briciole) sul digital divide che incombe su gran parte del Paese.

Per l’ambiente le cose potrebbero andare meglio, certamente. Anche se le associazioni ambientaliste hanno espresso già le loro critiche. Ma ci si consenta qualche dubbio sul rapporto costi-benefici di un provvedimento come quello del bonus 110% su cui anche l’UpB ha sollevato qualche dubbio: un provvedimento (che implica tante risorse) di cui non usufruiscono né i poveri né i ceti medio-bassi e il cui effetto sull’abbattimento delle emissioni è molto sovrastimato, mentre lo spazio per incentivi fiscali sull’ecoefficienza è molto più ampio e molto più diffuso. Scompaiono quasi del tutto gli incentivi per la rigenerazione energetica degli edifici pubblici e rimangono solo quelli per i privati. Tutta questa enfasi per l’investimento sull’idrogeno (più di 3 miliardi) suscita qualche interrogativo, anche perchè è un vettore energetico più che una rinnovabile. E soprattutto uno di interrogativi: se tra le varie disposizioni non si nasconda anche l’aiuto dello sviluppo dell’idrogeno blu (cioè dal gas), su cui sta puntando l’ENI. Inoltre, non ci sono impegni per il superamento dei Sussidi ambientalmente dannosi (SAD) di cui usufruiscono in gran parte le imprese. Ulteriori semplificazioni vengono previste per la procedura VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) e codice appalti: più che meno burocrazia questo significa più deregulation. Qualcosa di cui sarà felice il ministro Cingolani, ex responsabile dell’innovazione per Leonardo: aumentano enormemente i fondi (quasi un miliardo di euro) per le infrastrutture satellitari: ne sarà contento l’ad Profumo.

Molti dubbi anche sulla governance (sulla cabina di regia si rimanda ad un successivo provvedimento) e il monitoraggio previsto per il piano. A tale riguardo colpisce che tutto si riduca -per il monitoraggio- all’uso di software più o meno sofisticati per valutare lo stato di avanzamento e la rispondenza agli obiettivi fissati. Prevale, in questa deriva tecnocratica, il modello McKinsey con matrici, indicatori, ecc e scompare completamente la dinamica della componente sociale, partecipativa e democratica della valutazione delle scelte fatte. D’altra parte è la stessa impostazione che si è seguita anche nella fase preparatoria del piano.

Si doveva fare diversamente. Un piano con molte cose utili (ma anche diverse sbagliate) in una cornice liberista, sempre la stessa, sbagliata e fallimentare, senza il coraggio di affrontare i nodi di una economia diversa fondata sul cambiamento radicale del modello di sviluppo che ci sta portando alla rovina. Senza mai metterlo in discussione: nemmeno nel piano di Draghi.
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EDITORIALI PRECEDENTI
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Punta de billete. Lompendi su 28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
sadie2015 28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
SA FESTA NATZIONALE DE SOS SARDOS IN TEMPOS DE PANDEMIA
de Frantziscu Casula
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VACCINI, APPELLO A DRAGHI: SOSPENDERE I BREVETTI PER SALVARCI TUTTI!
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PNRR. Le buone intenzioni dell’inferno di Draghi
gov-draghidi Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri.
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Il discorso di Mario Draghi alla Camera (lunedì 26 aprile 2021).
Signor Presidente, Onorevoli Deputati,

sbaglieremmo tutti a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze. Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà. La consapevolezza di ogni comunità che l’ambiente va tutelato e rispettato. Ma, nell’insieme dei programmi che oggi presento alla vostra attenzione, c’è anche e soprattutto il destino del Paese. La misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale. La sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione europea e protagonista del mondo occidentale.
Non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere. Ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare.

Dico questo perché sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio. Nel presentare questo documento, al quale è strettamente legato il nostro futuro, vorrei riprendere, specie all’indomani della celebrazione del 25 aprile, una testimonianza di uno dei padri della nostra Repubblica.

Scriveva Alcide De Gasperi nel 1943:

“Vero è che il funzionamento della democrazia economica esige disinteresse, come quello della democrazia politica suppone la virtù del carattere.
L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini – oggi diremmo delle persone – disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune.

A noi l’onere e l’onore di preparare nel modo migliore l’Italia di domani.

***

[segue, sul sito web del Governo].

Questo tempo

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La Resistenza: un movimento plurale
25 Aprile 2021 by Vittorio Sammarco | su C3dem
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di Salvatore Vento
Il 25 Aprile è il giorno ufficiale e simbolico scelto per celebrare la liberazione dall’occupazione nazista e dal regime fascista italiano. In quel giorno, infatti, il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) proclamò l’insurrezione generale dei patrioti nei territori occupati dai tedeschi. Ma in tutto il paese il processo verso la libertà non fu omogeneo e lineare e mi sembra perciò utile ricordare la cronologia essenziale.

Roma venne liberata dagli alleati il 4 giugno 1944, il mese dopo vi si trasferisce il governo, e Umberto II di Savoia, Luogotenente del Regno, s’insedia al Quirinale. L’11 agosto 1944 venne liberata Firenze dopo una cruenta lotta strada per strada e il 21 aprile 1945 toccò a Bologna. Le formazioni partigiane del triangolo industriale continuavano a combattere e gli operai compivano sforzi enormi per impedire che i macchinari delle loro fabbriche venissero trasferite in Germania. A Genova, medaglia d’oro al valor militare, l’atto di resa dei tedeschi, per la parte italiana, venne firmato da un operaio, Remo Scappini, e la liberazione avvenne prima dell’arrivo delle truppe alleate.

Il periodo 1943-1945 fu davvero drammatico, l’Italia era divisa in due: il Nord sotto il dominio nazifascista della Repubblica sociale italiana costituita a Salò, cittadina sul lago di Garda e il Sud sotto la protezione degli eserciti alleati. Il 10 luglio 1943 lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia aveva segnato una svolta nella guerra e quindici giorni dopo il Gran Consiglio del fascismo approvava un ordine del giorno contro Mussolini, che veniva destituito e arrestato. Il Re Vittorio Emanuele III, e tutto il governo Badoglio, mentre un gruppo di militari e civili a Porta San Paolo combattevano contro i nazisti, scapparono da Roma per raggiungere Brindisi. Il Re aveva così giustificato il suo comportamento: “per la salvezza della capitale e per poter pienamente assolvere i miei doveri di Re, col governo e con le Autorità militari, mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo italiano.” Il 3 settembre 1943 a Cassibile in Sicilia era già stato firmato l’Armistizio che sarà annunciato l’8 settembre. A questo punto l’esercito italiano (presente anche in altri territori dove aveva combattuto, come in Francia, Grecia, Albania, i Balcani) è completamente allo sbando.

Intanto i partiti antifascisti si uniscono nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) e per coordinare le azioni militari delle formazioni partigiane formano il Corpo Volontari della libertà (CVL) designando come presidente il generale Raffaele Cadorna (figlio del maresciallo Luigi) e vice presidenti Ferruccio Parri del Partito d’Azione e Luigi Longo del Pci. Anche le forze sindacali si riorganizzano in maniera unitaria e sottoscrivono un Patto per costituire la Cgil unitaria composta da rappresentanti dei comunisti (Giuseppe Di Vittorio), socialisti (Emilio Canevari, in sostituzione del capo storico Bruno Buozzi ucciso dai nazisti) e democristiani (Achille Grandi).

La Resistenza fu un movimento plurale nel quale confluirono motivazioni diverse: i militanti antifascisti attivi nella clandestinità e quelli dell’esilio, delle carceri e del confino di polizia; i giovani che non vollero arruolarsi nella Repubblica sociale di Salò e preferirono unirsi alla formazioni partigiane; le tante donne che svolgevano funzioni di assistenza (le famose “staffette”) ai combattenti in armi e col passare del tempo anch’esse combattenti; le popolazioni esauste dalla guerra e dai bombardamenti; i lavoratori delle fabbriche che scioperarono in diversi momenti; i militari che non accettarono di confluire nelle forze armate nazifasciste. Su quest’insieme di motivazioni nel 1991 Claudio Pavone pubblicò una ricerca approfondita che poneva all’attenzione anche il discusso concetto di “guerra civile” tra italiani, accanto a quello di “lotta di liberazione nazionale”.

Sul contributo dei militari alla lotta contro i tedeschi soltanto negli ultimi anni, grazie anche all’azione del presidente Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006), si è fatta luce. Quando Ciampi nel 2001 si recò a Cefalonia (isola greca dell’Egeo) ricordò il dilemma dei soldati italiani della Divisione Acqui che risposero alla domanda del loro generale Gandini scegliendo, all’unanimità, di non schierarsi con i tedeschi e scrivendo così la prima pagina della Resistenza. La risposta dei nazisti fu l’eccidio di massa. Interessante anche la testimonianza di Alessandro Natta (segretario del Pci dal 1984 al 1988) sui militari internati dai tedeschi, pubblicata con il titolo “L’altra resistenza”. E a chi sosteneva che nel periodo 1943-45 si ebbe “la morte della Patria”, Ciampi rispondeva che la scelta dei diecimila militari italiani a Cefalonia fu, invece, la via maestra per la salvezza della patria, come lo è stato tutto il movimento della Resistenza.

Nel 1996 Luciano Violante, all’atto del suo insediamento a presidente della Camera dei deputati, poneva l’interrogativo sul che fare affinché la lotta di liberazione dal nazifascismo diventasse davvero un valore nazionale, per superare le lacerazioni di ieri e avviare la “riconciliazione”. Un primo elemento da lui indicato riguardava la necessità di arrivare a una comprensione dei motivi che portarono molti giovani ad aderire alla Repubblica di Salò (tema questo molto controverso, perché la giusta esigenza di capire la soggettività di ogni scelta deve partire dalla condivisione che la Costituzione italiana è figlia della Resistenza; un politico che giura fedeltà alla Costituzione non può ignorare questa verità storica; la pietas sui morti di tutti i fronti non può confondersi col giudizio storico necessario per la formazione di una memoria collettiva, che va sempre coltivata). L’altro aspetto riguarda le regioni del Sud d’Italia, la cui vicenda, come noto, è stata diversa, ma, in realtà, non per questo meno lacerante e meno violenta. I bombardamenti tra il 1940 e il 1943 non hanno dato tregua a nessun luogo considerato per gli anglo-americani d’importanza strategica, come i porti e le isole di Sardegna e Sicilia, avamposto del Mediterraneo. Ci furono inoltre episodi significativi come “le quattro giornate di Napoli”, città che i combattenti riuscirono a liberare prima dell’arrivo degli alleati il primo ottobre 1943. O, in Abruzzo, la Brigata Maiella, di profonda fede repubblicana, aggregata all’esercito alleato, che contribuì allo sfondamento della linea Gustav, eretta dai tedeschi nell’Italia centrale. Per alcuni mesi il governo del Regno si trasferì a Salerno dove Togliatti proclamò l’omonima “svolta”, cioè il sostegno a Badoglio da parte dei sei partiti antifascisti del CLN.

Termino questo intervento con la citazione delle parole del presidente Sergio Mattarella pronunciate in occasione del “Giorno della memoria” del 2018:

“Sorprende sentir dire, ancora oggi, da qualche parte, che il fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione. Perché razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza”.

Salvatore Vento

*L’articolo è uscito il 24 aprile su Via Po, inserto culturale del quotidiano Conquiste del lavoro.

**Segnaliamo la riedizione, sulla rivista Vita e pensiero, di uno scritto dello storico Cinzio Violante del 1995: Ricordi e testimonianze sugli Internati Militari Italiani in Germania (1943-1945)
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Luisanna Usai (del Patto per la Sardegna – Cuncordiu po sa Sardigna) ci segnala un articolo di Maurizio Pretta sulla rivista online nemesismagazine sulle “donne sarde tra guerra di liberazione e prigionia”. Eccolo: https://www.nemesismagazine.it/25-aprile-eleonora-e-le-altre-le-donne-sarde-fra-guerra-di-liberazione-e-prigionia/
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25 aprile di Liberazione!

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La Resistenza: un movimento plurale
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Il 25 Aprile è il giorno ufficiale e simbolico scelto per celebrare la liberazione dall’occupazione nazista e dal regime fascista italiano. In quel giorno, infatti, il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) proclamò l’insurrezione generale dei patrioti nei territori occupati dai tedeschi. Ma in tutto il paese il processo verso la libertà non fu omogeneo e lineare e mi sembra perciò utile ricordare la cronologia essenziale.

Roma venne liberata dagli alleati il 4 giugno 1944, il mese dopo vi si trasferisce il governo, e Umberto II di Savoia, Luogotenente del Regno, s’insedia al Quirinale. L’11 agosto 1944 venne liberata Firenze dopo una cruenta lotta strada per strada e il 21 aprile 1945 toccò a Bologna. Le formazioni partigiane del triangolo industriale continuavano a combattere e gli operai compivano sforzi enormi per impedire che i macchinari delle loro fabbriche venissero trasferite in Germania. A Genova, medaglia d’oro al valor militare, l’atto di resa dei tedeschi, per la parte italiana, venne firmato da un operaio, Remo Scappini, e la liberazione avvenne prima dell’arrivo delle truppe alleate.

Il periodo 1943-1945 fu davvero drammatico, l’Italia era divisa in due: il Nord sotto il dominio nazifascista della Repubblica sociale italiana costituita a Salò, cittadina sul lago di Garda e il Sud sotto la protezione degli eserciti alleati. Il 10 luglio 1943 lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia aveva segnato una svolta nella guerra e quindici giorni dopo il Gran Consiglio del fascismo approvava un ordine del giorno contro Mussolini, che veniva destituito e arrestato. Il Re Vittorio Emanuele III, e tutto il governo Badoglio, mentre un gruppo di militari e civili a Porta San Paolo combattevano contro i nazisti, scapparono da Roma per raggiungere Brindisi. Il Re aveva così giustificato il suo comportamento: “per la salvezza della capitale e per poter pienamente assolvere i miei doveri di Re, col governo e con le Autorità militari, mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo italiano.” Il 3 settembre 1943 a Cassibile in Sicilia era già stato firmato l’Armistizio che sarà annunciato l’8 settembre. A questo punto l’esercito italiano (presente anche in altri territori dove aveva combattuto, come in Francia, Grecia, Albania, i Balcani) è completamente allo sbando.

Intanto i partiti antifascisti si uniscono nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) e per coordinare le azioni militari delle formazioni partigiane formano il Corpo Volontari della libertà (CVL) designando come presidente il generale Raffaele Cadorna (figlio del maresciallo Luigi) e vice presidenti Ferruccio Parri del Partito d’Azione e Luigi Longo del Pci. Anche le forze sindacali si riorganizzano in maniera unitaria e sottoscrivono un Patto per costituire la Cgil unitaria composta da rappresentanti dei comunisti (Giuseppe Di Vittorio), socialisti (Emilio Canevari, in sostituzione del capo storico Bruno Buozzi ucciso dai nazisti) e democristiani (Achille Grandi).

La Resistenza fu un movimento plurale nel quale confluirono motivazioni diverse: i militanti antifascisti attivi nella clandestinità e quelli dell’esilio, delle carceri e del confino di polizia; i giovani che non vollero arruolarsi nella Repubblica sociale di Salò e preferirono unirsi alla formazioni partigiane; le tante donne che svolgevano funzioni di assistenza (le famose “staffette”) ai combattenti in armi e col passare del tempo anch’esse combattenti; le popolazioni esauste dalla guerra e dai bombardamenti; i lavoratori delle fabbriche che scioperarono in diversi momenti; i militari che non accettarono di confluire nelle forze armate nazifasciste. Su quest’insieme di motivazioni nel 1991 Claudio Pavone pubblicò una ricerca approfondita che poneva all’attenzione anche il discusso concetto di “guerra civile” tra italiani, accanto a quello di “lotta di liberazione nazionale”.

Sul contributo dei militari alla lotta contro i tedeschi soltanto negli ultimi anni, grazie anche all’azione del presidente Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006), si è fatta luce. Quando Ciampi nel 2001 si recò a Cefalonia (isola greca dell’Egeo) ricordò il dilemma dei soldati italiani della Divisione Acqui che risposero alla domanda del loro generale Gandini scegliendo, all’unanimità, di non schierarsi con i tedeschi e scrivendo così la prima pagina della Resistenza. La risposta dei nazisti fu l’eccidio di massa. Interessante anche la testimonianza di Alessandro Natta (segretario del Pci dal 1984 al 1988) sui militari internati dai tedeschi, pubblicata con il titolo “L’altra resistenza”. E a chi sosteneva che nel periodo 1943-45 si ebbe “la morte della Patria”, Ciampi rispondeva che la scelta dei diecimila militari italiani a Cefalonia fu, invece, la via maestra per la salvezza della patria, come lo è stato tutto il movimento della Resistenza.

Nel 1996 Luciano Violante, all’atto del suo insediamento a presidente della Camera dei deputati, poneva l’interrogativo sul che fare affinché la lotta di liberazione dal nazifascismo diventasse davvero un valore nazionale, per superare le lacerazioni di ieri e avviare la “riconciliazione”. Un primo elemento da lui indicato riguardava la necessità di arrivare a una comprensione dei motivi che portarono molti giovani ad aderire alla Repubblica di Salò (tema questo molto controverso, perché la giusta esigenza di capire la soggettività di ogni scelta deve partire dalla condivisione che la Costituzione italiana è figlia della Resistenza; un politico che giura fedeltà alla Costituzione non può ignorare questa verità storica; la pietas sui morti di tutti i fronti non può confondersi col giudizio storico necessario per la formazione di una memoria collettiva, che va sempre coltivata). L’altro aspetto riguarda le regioni del Sud d’Italia, la cui vicenda, come noto, è stata diversa, ma, in realtà, non per questo meno lacerante e meno violenta. I bombardamenti tra il 1940 e il 1943 non hanno dato tregua a nessun luogo considerato per gli anglo-americani d’importanza strategica, come i porti e le isole di Sardegna e Sicilia, avamposto del Mediterraneo. Ci furono inoltre episodi significativi come “le quattro giornate di Napoli”, città che i combattenti riuscirono a liberare prima dell’arrivo degli alleati il primo ottobre 1943. O, in Abruzzo, la Brigata Maiella, di profonda fede repubblicana, aggregata all’esercito alleato, che contribuì allo sfondamento della linea Gustav, eretta dai tedeschi nell’Italia centrale. Per alcuni mesi il governo del Regno si trasferì a Salerno dove Togliatti proclamò l’omonima “svolta”, cioè il sostegno a Badoglio da parte dei sei partiti antifascisti del CLN.

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*L’articolo è uscito il 24 aprile su Via Po, inserto culturale del quotidiano Conquiste del lavoro.

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