Editoriali

Vincere la Pace

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avvenireLa parola del Papa. Il coraggio di far pace

Francesco

Il testo che pubblichiamo, riprendendolo da Avvenire di mercoledì 13 aprile, è la parte conclusiva dell’introduzione inedita al libro di papa Francesco Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace (Solferino – Libreria Editrice Vaticana, pp. 192, euro 14.50), in libreria da domani. Il testo presenta nelle parole del Papa il dialogo come arte politica, la costruzione artigianale della pace e il disarmo come scelta strategica. Il volume sarà presentato venerdì 29 aprile alle ore 10.30 a Roma all’Università Lumsa (Sala Giubileo – via di Porta Castello 44). Dopo il saluto del rettore Francesco Bonini, intervengono il cardinale Piero Parolin, segretario di Stato, e Romano Prodi. Modera Fiorenza Sarzanini.

L’odio, prima che sia troppo tardi, va estirpato dai cuori. E per farlo c’è bisogno di dialogo, di negoziato, di ascolto, di capacità e di creatività diplomatica, di politica lungimirante capace di costruire un nuovo sistema di convivenza che non sia più basato sulle armi, sulla potenza delle armi, sulla deterrenza. Ogni guerra rappresenta non soltanto una sconfitta della politica, ma anche una resa vergognosa di fronte alle forze del male.

Nel novembre 2019, a Hiroshima, città simbolo della Seconda guerra mondiale i cui abitanti furono trucidati, insieme a quelli di Nagasaki, da due bombe nucleari, ho ribadito che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche.

Chi poteva immaginare che meno di tre anni dopo lo spettro di una guerra nucleare si sarebbe affacciato in Europa? Così, passo dopo passo, ci avviamo verso la catastrofe. Pezzo dopo pezzo il mondo rischia di diventare il teatro di una unica Terza guerra mondiale. Cui si avvia come fosse ineluttabile.

Invece dobbiamo ripetere con forza: no, non è ineluttabile! No, la guerra non è ineluttabile! Quando ci lasciamo divorare da questo mostro rappresentato dalla guerra, quando permettiamo a questo mostro di alzare la testa e di guidare le nostre azioni, pèrdono tutti, distruggiamo le creature di Dio, commettiamo un sacrilegio e prepariamo un futuro di morte per i nostri figli e i nostri nipoti. La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione di potere, la violenza, sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia bellica che dimentica l’incommensurabile dignità della vita umana, di ogni vita umana, e il rispetto e la cura che le dobbiamo.

Di fronte alle immagini di morte che ci arrivano dall’Ucraina è difficile sperare. Eppure ci sono segni di speranza. Ci sono milioni di persone che non aspirano alla guerra, che non giustificano la guerra, ma chiedono pace. Ci sono milioni di giovani che ci chiedono di fare di tutto, il possibile e l’impossibile, per fermare la guerra, per fermare le guerre. È pensando innanzitutto a loro, ai giovani, e ai bambini, che dobbiamo ripetere insieme: mai più la guerra. E insieme impegnarci a costruire un mondo che sia più pacifico perché più giusto, dove a trionfare sia la pace, non la follia della guerra; la giustizia e non l’ingiustizia della guerra; il perdono reciproco e non l’odio che divide e che ci fa vedere nell’altro, nel diverso da noi, un nemico.

Mi piace qui citare un pastore d’anime italiano, il venerabile don Tonino Bello, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, in Puglia, instancabile profeta di pace, il quale amava ripetere: i conflitti e tutte le guerre «trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti».

Quando cancelliamo il volto dell’altro, allora possiamo far crepitare il rumore delle armi. Quando l’altro, il suo volto come il suo dolore, ce lo teniamo davanti agli occhi, allora non ci è permesso sfregiarne la dignità con la violenza. Nell’enciclica «Fratelli tutti» ho proposto di usare il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari per costituire un Fondo mondiale destinato a eliminare finalmente la fame e a favorire lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa. Rinnovo questa proposta anche oggi, soprattutto oggi. Perché la guerra va fermata, perché le guerre vanno fermate e si fermeranno soltanto se noi smetteremo di ‘alimentarle’.

Francesco
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costituente-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

Newsletter n. 74 del 13 aprile 2022

LA RAGIONE DELLE COSE

Carissimi,
Ha scritto “Limes” in copertina: “La fine della pace”. La fine della pace significa l’inizio della guerra. Se la guerra deve finire con la vittoria, la pace finisce col ripudio della politica. Ma ha detto il Papa: “Che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?”. Tra le macerie c’è tutto ciò che abbiamo costruito dopo Auschwitz, la Resistenza, la Costituzione, l’idea stessa di “Nazioni Unite” e forse anche la Via Crucis. Se irrompono i demoni dell’aggressione, se torna il Moloc della guerra, è perché “il popolo della terra” ha chiuso gli occhi, come denuncia la Bibbia, mentre i suoi re, i capi, i sacerdoti e i profeti – peraltro regolarmente secolarizzati – prostituendosi all’idolo, fanno passare i loro figli e le loro figlie nel fuoco (Ger. 32, 32-35; 1 Re 11,7; Lev. 20, 4). Ora, nella nuova situazione del mondo, ciascuno deve scegliere il suo posto, prendersi le sue responsabilità, ricominciare dalla ragione di tutte le cose.
Nel sito http://labibliotecadialessandria.costituenteterra.it/ trovate una bibliografia storica della nonviolenza e delle lotte non violente a cura di Enrico Peyretti.
Un cordiale augurio di buona Pasqua

www.costituenteterra.it
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logo76Anche su Newsletter n. 258 del 13 aprile 2022 Newsletter n. 258 del 13 aprile 2022.
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BIBLIOGRAFIA STORICA DELLE LOTTE NONARMATE E NONVIOLENTE
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Formazione per far vincere la Pace. L’insegnamento di Aldo Capitini

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Aldo Capitini (1899-1968).

Aldo Capitini: 20 ragioni della nonviolenza

1. La nonviolenza prende in considerazione il nostro rapporto con gli altri esseri viventi, con la fiducia di renderlo sempre più reciprocamente amichevole, comprensivo, soccorrente, lieto, malgrado le difficoltà che gli altri stessi possono metterci. Questa fiducia non cessa di colpo al confine degli esseri umani e spera anche per gli esseri viventi non umani; ma si rende conto che la storia con la sua spinta vitale ha separato da noi finora questi esseri (animali e piante) in forme di più difficile educazione, trasformazione, liberazione.
2 La nonviolenza è aperta all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo di ogni essere. Quando nel Settecento sono stati banditi i principi di libertà, eguaglianza, fratellanza, non è stato fatto tutto. La libertà era più la libertà propria come diritto che la libertà degli altri come dovere;l’eguaglianza era un bel principio, ma si fermava a metà perché restavano i miseri e gli sfruttati; la fratellanza era più quella generica con i lontani che quella difficile, nonviolenta e perdonante verso i vicini.
3 La bellezza della nonviolenza è che essa preferisce non di distruggere gli avversari, ma di lottare con loro in modo nobile e dignitoso, con il metodo nonviolento, che fa bene, prima o poi, a chi lo applica e a chi lo riceve. In fondo è più coraggioso volere vivi e ragionanti gli avversari, che farli a pezzi.
4 Ma sarebbe errore credere che la nonviolenza consista nel non fare nulla, nell’incassare i colpi, le cattiverie e le stupidaggini degli altri. La nonviolenza è sveglia e attiva, e protesta apertamente, anzi cerca i modi non solo per convincere gli autori delle ingiustizie, ma per informare l’opinione pubblica, di cui ha la massima considerazione: la nonviolenza per nessuna ragione crede che si possa sospendere la libertà e la possibilità abbondante di informazione e di critica per tutti, fino all’ultimo essere umano. Anche qui la nonviolenza attua al massimo un principio del Settecento, che la borghesia ha poi alterato a proprio vantaggio: la formazione libera dell’opinione pubblica, comprendente tutti.
5 La nonviolenza può rinnovare veramente la vita interna di un paese, perché nell’insieme di un’opinione pubblica, tutta sveglia e obbiettivamente informata, porta eventuali piani di non collaborazione e perfino, in casi estremi, di disobbedienza civile, che servono a bloccare iniziative autoritarie dall’alto. In Italia un popolo privo di esatta informazione e critica responsabilità fu portato ad uccidere e a morire, e poi al popolo privo del metodo di opposizione nonviolenta fu imposta una dittatura. L’uso del metodo nonviolento avrebbe salvato e trasformato l’Europa, a cominciare dall’Italia e dalla Germania.
6 Trasformare la situazione interna dei paesi vuol dire anche avere un continuo promovimento di campagne giuste e rinnovatrici, in cose piccole e in cose grandi, e senza portare il terrorismo della guerra civile nelle strade e nelle case. È un metodo nuovo, il tenere attiva una società con il metodo nonviolento, controllando e smascherando, protestando e agitando, sacrificandosi e così educando i giovanissimi a cercare coraggiosamente di migliorare le società dal di dentro. Anche qui la nonviolenza salva i giovani, occupandoli bene (rivoluzione permanente).
7 La nonviolenza è strettamente congiunta col punto a cui è giunta la guerra, con la sua attrezzatura tecnica e le armi nucleari. L’esasperazione della ferocia e della vastità distruttiva della guerra, specialmente dopo Hiroshima, ha posto il problema di arrivare a un altro modo di condurre le lotte e la stessa difesa. Come ci si difende alle frontiere da missili che varcano i continenti e in pochi minuti distruggono città, specialmente le industrie, i civili? Si può arrischiare una tale strage e un tale avvelenamento dell’educazione delle generazioni? Dietro e dopo le soluzioni provvisorie dell’equilibrio del terrore, mentre è enorme nel mondo la fabbricazione di armi di tutte le specie e la loro distribuzione anche ai popoli sottosviluppati, la nonviolenza prepara la svolta storica del possesso in tutto il mondo di un metodo di lotta che esclude la distruzione dei nemici, attraverso la non collaborazione con il male, la solidarietà aperta dei giusti. Questo metodo non ha bisogno di armi e perciò di appoggiarsi ad una nazione con industrie capaci di darle, come sono costretti a fare i guerriglieri violenti, che usano anche i vecchi modi del terrorismo tra gli avversari e della tortura dei prigionieri
8 Il metodo nonviolento esige prima di tutto qualità di coraggio, tenacia, sacrificio, e di non perdere mai l’amore; poi esige un addestramento fisico e psicologico, ma possibile anche per persone di forze modeste. Un metodo in cui un cieco può essere più utile di un gigante. Così il metodo nonviolento si rivela come la possibilità di partecipazione attiva, appassionata ed eroica, di persone che non hanno altro che il loro animo e le loro giuste esigenze: la nonviolenza le valorizza, illumina, e rende presenti anche moltitudini di donne, di giovinetti, folle del Terzo Mondo, che entrano nel meglio della civiltà, che è l’apertura amorevole alla liberazione di tutti. E allora perché essere così esclusivi (razzisti) verso altre genti? Oramai non è meglio insegnare, sì, l’affetto per la terra dove si nasce, ma anche tenere pronte strutture e mezzi per accogliere fraternamente altri, se si presenta questo fatto? La nonviolenza è un’altra atmosfera per tutte le cose e un’altra attenzione per le persone, e per ciò che possono diventare.
9 Davanti a questa svolta storica in anni e decenni, il prevalere di gruppi violenti per un certo periodo rimane un episodio. L’unica forza che scava loro il terreno è la nonviolenza, ma ci può volere pazienza, tempo, costanza. È vero che un atto di violenza può fronteggiare un altro atto di violenza, ma poi? Nel quadro generale è meglio attuare un altro metodo. Si possono conservare ancora forze coercitive per piccoli fatti, di ordine quotidiano, ma nel più e nell’insieme è il metodo del rapporto nonviolento che va risolto e articolato sempre più. In esso, nel fatto che esso è amorevolezza,approfondimento dell’unità, festa della vicinanza, inizio di una storia nuova con nuovi modi di realizzarsi, sta il compenso per i sacrifici della lotta nonviolenta e per il ritardo delle vittorie.
10. La nonviolenza è la porta da aprire per non sentirsi soli. La nonviolenza cerca sempre di essere con gli altri. E questo è molto importante oggi, perché sta dilagando il bisogno di una democrazia diretta, dal basso, con il controllo di tutti su tutto. Contro i poteri imperiali dei capi degli eserciti e delle industrie che li servono (private o statali), la democrazia diretta costituirà i suoi strumenti con la continua guida della nonviolenza, per smontare la varia violenza dei potenti (violenza burocratica, giudiziaria, nella scuola, nel lavoro, negli enti di assistenza, nella stampa e nella radio), non con assalti sanguinari che non trasformerebbero, ma con la preparazione al controllo serio e aperto.

11 Dire nonviolenza è come dire apertura in tutti i campi, occuparsi degli esseri viventi in modo concreto e aiutarli (che è anche un modo per avere forza in se stessi); tenersi pronti per sostenere cause giuste e meritare il nome di essere perfettamente leale; riconoscere che negli errori degli altri c’è sempre una qualche responsabilità e possibilità attiva per noi; perdonare facilmente al passato nella serietà di impegni migliori per il futuro; invidiare Dio che può conoscere più da vicino tutti gli esseri e aiutarli infinitamente; tendere a costituire comunità di vita con più persone e famiglie in modo che ci sia uno scambio più attivo e un’educazione comune dei piccoli; essere più sensibili ad ogni altro valore pratico e contemplativo (l’onestà, l’umiltà, la musica, ecc.); essere più fermi nella serietà e severità quando occorra (per es. contro le ingiuste e molli raccomandazioni); cercare di estendere il rispetto della vita quando è possibile (per es. col vegetarianesimo, ma facendolo bene perché non sia dannoso) e assecondare dalla fanciullezza la zoofilia; utilizzare l’appassionamento universale per la massima valorizzazione degli esseri per arricchire l’attenzione nel tu rivolto a un singolo essere, perché non sia isolato e stagnante; attuare quotidianamente la gentilezza costante, senza ipocrisia e con franchezza; portare in ogni situazione un’aggiunta di ragionevolezza umana e di comprensione reciproca; garantire una riserva di serenità per il fatto che la nonviolenza è qualche cosa di più rispetto alla semplice amministrazione della vita.
12 La nonviolenza non sta in un individuo astratto, ma è da individui a individui in situazioni, strutture, grandi problematiche e urgenti realizzazioni. Un modo in cui si fa presente è, come abbiamo visto, quello del pacifismo integrale. Il che vuol dire non solo il rifiuto di collaborare alla guerra e guerriglia, e a ciò che inevitabilmente le accompagna, il terrorismo contro i civili e la tortura sui prigionieri; ma anche la scelta del disarmo unilaterale, unito all’addestramento all’azione del metodo nonviolento. Perciò la nonviolenza indica il pericolo dell’equilibrio del terrore, durante il quale eserciti e industrie alimentano di armi tutto il mondo, da cui conflitti grandi e piccoli; indica gli spegnimenti della democrazia che vengono fatti per allinearsi in grandi blocchi politico-militari; mostra l’immenso consumo di denari nelle spese militari invece che nello sviluppo civile. Le Nazioni Unite, come insieme di sforzi per dominare razionalmente le situazioni difficili e per provocare continuamente la cooperazione, sono sostenibili, anche perché tutte le trasformazioni rivoluzionarie che la nonviolenza porta, sono sempre il fondamento e l’integrazione di quelle decisioni razionali e giuridiche che gli uomini prendono, quando esse sono un bene per tutti. Certo, il nonviolento non si scalda per il governo mondiale,che potrebbe diventare arbitrario e oppressivo, ma per il suscitamento di consapevoli e bene orientate moltitudini nonviolente dal basso.
13 La nonviolenza vuole la liberazione di tutti, e non cessa mai di portare l’eguaglianza a tutti i livelli. Ora un problema molto importante è che l’uomo non subisca la violenza mediante il lavoro. Il lavoro è uno dei modi che l’uomo ha (non il solo) per esprimere la sua personalità, ed è perciò positivo, un diritto-dovere, una partecipazione alla comunità. Ma va sempre più realizzato il fatto che ogni lavoro è verso tutti, e in certo senso pubblico, non privato e sottoposto a condizioni di servitù e di sfruttamento. Difendere e sviluppare la posizione di tutti i lavoratori vuol dire renderli sempre più capaci di eguaglianza di fruizione della vita comune, nei beni materiali e nei beni culturali, mediante la formazione nell’adolescenza e mediante il tempo libero, e capaci di partecipazione attiva, civica, critica, costruttiva. Perciò i provvedimenti per cui la proprietà viene resa pubblica e controllata, cioè aperta e non chiusa (socialismo) snidano la violenza sostanziale di chi si vale della proprietà per alienare gli uomini, staccandoli dal loro pieno sviluppo nonviolento e creativo sul piano orizzontale di tutti.
14 Il grande fatto della metà di questo secolo è il discorso sul potere. La nonviolenza, meglio di ogni altro atteggiamento, può indicare quanta violenza si annidi nel vecchio potere. Si è constatato che la statalizzazione della proprietà non toglie la durezza del potere. Non basta far cadere le posizioni della proprietà privata perché “il potere operaio” abbia il diritto di tutto costruire. Il problema non è che nuova gente arrivi, in un modo o in un altro, al potere; ma che il potere sia esercitato in modo nuovo; altrimenti è meglio continuare a lottare e formare un terreno più favorevole per arrivare ad un “potere nuovo”, magari cominciando da forme di potere locale, dove è meglio possibile attuare tipi di “potere aperto”, che conta sulla costante collaborazione degli altri e possibilmente di tutti.
15 Che fa la nonviolenza davanti alla legge? La scruta per intenderla, per integrarla con l’animo, per migliorarla, per ridurre la violenza. La legge, come decisione razionale, che riguarda azioni da comandare o da impedire, non può essere respinta senz’altro per sostituirla con la naturale istintività individualistica umana. La legge è una conquista della ragione, e spesso merita di essere aiutata. Ma il nonviolento l’aiuta a modo suo. L’accetta quando è molto buona. Consiglia di sostituire progressivamente alla esclusiva fiducia nei mezzi coercitivi, lo sviluppo di mezzi educativi e di controllo cooperante di tutti. Fa campagne per sostituire leggi migliori, quando le attuali sono insoddisfacenti e sbagliate. Errato è insegnare a ubbidire sempre alle leggi e a non volerle riformare, come se non esistesse la coscienza e la ragione. La nonviolenza aiuta a capire che non basta dire: “Noi siamo autonomi e ci diamo perciò le nostre leggi”. Bisogna aggiungere: “E le nostre leggi hanno l’orientamento di realizzare la nonviolenza come apertura all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo di tutti”.
16 In questo tempo in cui la nonviolenza allarga e approfondisce le sue responsabilità, essa si trova davanti il potere delle autorità religiose, e l’urto è inevitabile. Tali autorità pretendono di decidere su violenza e nonviolenza. La nonviolenza porta una sua prospettiva, di un sacro aperto e non chiuso, del valore di raggiungere l’orizzonte di tutti come superiore al cerchio dei credenti. Il credente nonviolento finisce col trovarsi più volentieri a fianco del nonviolento di un’altra fede che con le “autorità” della propria fede. Lo spirito di autoritarismo che pervade tutto il corpo ecclesiastico cerca di scacciare proprio quello spirito della nonviolenza aperto all’interesse per ogni singolo nel suo contributo e nel suo sviluppo, e impone una assenza di violenza che è passiva obbedienza. Ben altro è la nonviolenza aperta, che non ha paura di nessuna autorità, ed è sicura di farsi valere prima o poi.
17 La nonviolenza non è soltanto una cosa della vita e nella vita. Nel suo sforzo continuo di migliorare il rapporto tra gli esseri, e di congiungere più saldamente la vita del singolo con la vita di tutti, avviene effettivamente un’influenza sulla così detta “natura”, che è la vitalità, la volontà di forza, di vita come vita, come piacere, come guadagno e profitto, come potenza, come riposo utile, come schiacciante energia dal seno stesso della realtà fisica. Il Vesuvio sterminatore osservato dal Leopardi e che uccise tanta gente; l’acqua di un’inondazione, che copre indifferente un sasso e il volto di un bambino, sono aspetti della natura. Ma natura è anche la vitalità che spinge il bambino a nascere e a crescere; la forza che ci affluisce ogni giorno mediante il cibo, il riposo, l’aria. Non si può tagliare da noi tutta la natura; ma si può scegliere: o svilupparci come bruta natura, o svilupparci come crescente nonviolenza verso gli esseri, rimediando la crudeltà della natura e proseguendola nel buono, nel vivo, trasformandola progressivamente.
Perché al limite estremo c’è la sua trasformazione e il suo portarsi al servizio di tutti gli esseri affratellati. Un atto di nonviolenza è perciò anche un atto di speranza in questa trasformazione della cruda forza della natura.
18 Ma la nonviolenza non soltanto progredisce come rapporto. Essa qualche volta ha a che fare direttamente con la morte: è rifiuto di dare quella morte determinata, è constatazione dell’impotenza davanti ad una morte, è l’improvviso trovarsi a dire un tu ad un essere che ci sembra non lo riceva più perché è morto. Il nonviolento, che fonda molto della sua decisione sul rispetto della vita, può anche semplicemente confermare, davanti alla morte, il proposito di non darla, e accomunare i morti in una cara memoria dei singoli e in una generale pietà. Ma può anche considerare ogni morte come una crocifissione che la natura fa di ogni essere, come l’impero di Roma lo faceva per i ribelli; e se ogni morte è una crocifissione, il morto non è spento ma risorge nella compresenza di tutti. Così la nonviolenza può condurre a vivere questo grande mistero della compresenza di tutti, viventi e morti.
19 Vista ora nell’insieme di queste possibili attuazioni e prese di influenza e di azione su una realtà che oggi parrebbe così contraria ad essere penetrata dalla nonviolenza, essa mostra il suo posto, l’aggiunta che fa al mondo presente. È facile la profezia che ancora gli imperi militari-industriali del mondo concentreranno forze immani. Ma la nonviolenza ha cominciato ad aprire in ogni paese un conto, in cui ognuno può depositare via via impegni e iniziative. Se si pensa alla creatività teorica e pratica di pochi decenni, si sente la crescita potenziale di una Internazionale della nonviolenza. Bisogna riconoscere che, indipendentemente dalle altre sue teorie, Gandhi, con la formazione del metodo di azione nonviolenta, ha dato il più grande contributo all’era della nonviolenza; e così ogni altro grande attuatore del metodo nonviolento, e suo testimone, ci è fratello e padre. Nessuna paura e nessuna fretta, nessuna gelosia e nessuna presunzione, per l’organizzazione: possono sorgere innumerevoli centri per l’addestramento alle tecniche del metodo nonviolento
20 E se da questo largo quadro torniamo al semplice e singolo individuo che prende interesse per la nonviolenza, che prova a sceglierla, che vede di poter resistere al pensiero della violenza come soluzione, che non si impiglia nella casistica dello schiaffo e del non schiaffo, del bambino ucciso e non ucciso, perché non tutto sta lì, e bisogna rifarsi al quadro generale, vediamo che lo stesso processo di sviluppo c’è in grande come c’è in piccolo, nel mondo e nel singolo individuo. Noi abbiamo ancora molta violenza addosso, come ce l’ha il mondo. Se uno per togliersela si isolasse da eremita, sbaglierebbe, perché si priverebbe di tutte le occasioni per far progredire in sé e nel mondo la nonviolenza, che è amore concreto, e per riprenderla, se l’avesse trascurata.
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Pace vo cercando…

4e9f5f91-80e2-44dc-874d-7279cf660cd4UE sempre più schierata nel conflitto russo/ucraino. Favorisce una giusta soluzione diplomatica? Salva l’Ucraina dai massacri e dalle devastazioni?
9 Aprile 2022

democraziaoggi-loghettoAndrea Pubusa su Democraziaoggi.

Chi non sente un impulso istintivo a far qualcosa di fronte agli esiti tragici della guerra in Ucraina? Chi non s’indigna di fronte ai massacri quotidiani? Certo la Von der Leyen è stata mossa da questi sentimenti quando ha deciso di recarsi a Kiev, ma questo schierarsi della UE con l’Ucraina aiuta la pace? Chi lavora a una vittoria di Zelensky su Putin lo pensa e plaude. E tuttavia si può pensare che se la Von der Leyen fosse andata anche a Mosca a proporsi come mediatrice fra le parti, avrebbe aiutato di più, anzitutto l’Ucraina e la pace?
E’ tutta la politica della UE ad essere debole sia nei rapporti con gli Usa sia in quelli con la Russia e l’Ucraina. Non riesce a convincere quest’ultima a entrare nella UE e non nella Nato, e non riesce a convincere Zelensky che per il Donbass e dintorni ci vuole uno statuto speciale di autonomia garantito da un trattato internazionale.
Accantonata quests prospettiva, tutto precipita ed oggi addirittura si parla con disinvoltura di una possibilità di guerra atomica, della quale fino a poco tempo fa era vietato persino il pensiero. Una deriva folle, come dice Francesco.
L’Italia in questo contesto è una misera comparsa. Si accoda al diktat dell’invio di armi, anzichè buttare sul tavolo la linea della trattativa. Trattativa con al primo posto il ritiro della Russia dall’Ucraina, dando a quell’area un assetto stabile e condiviso, garantito dalle organizzazioni internazionali.
Questa è una resa o una ragionevole difesa del popolo ucraino oggi sotto tiro?
Finora la linea muscolare ha prodotto morti e stragi e ne procurerà altre anche peggiori; perchè non provare la linea del confronto? L’UE perché non lancia l’idea di una grande conferenza di pace? E lavora con tenacia per farla? Perché invece impegna le sue energie per elaborare sanzioni complicate che, in fondo, puniscono noi stessi e affamano le nostre fasce sociali più deboli? Che senso ha privarsi del gas russo che arricchisce anche noi e la stessa Ucraina? Messe in ginocchio le imprese e ridotte alla fame le masse popolari che sorte avrà il nostro Paese e come finiranno i governi europei? Si vedono crescere, perfino in Francia, pericolosi umori elettorali di destra. Biden rilancia l’invio massiccio di armi. Aiuta la pace? Vogliamo seguire questa linea? Con quale utilità?

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Serve strategia Ue. Più spese militari senza bussola non sono priorità né sono capite
Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi.
sabato 9 aprile 2022 su Avvenire
Gentile direttore,

la discussione attorno all’aumento del budget militare del 2% del Pil, depotenziata dalla scelta di giungere a tale obiettivo nel 2028, lascia perplessi da molti punti di vista. Si è da tempo aperto un dibattito sul sistema di difesa europeo. Romano Prodi ha giustamente affermato che «questi aumenti di spesa si debbono fare quando si ha una politica estera comune della Ue». Occorrerebbe perciò un’accelerazione, ora assente, dell’unità politica dell’Unione. Per di più gli armamenti nazionali oggi non sono reciprocamente congruenti. In altre parole ciascun esercito ha un armamento diverso dall’altro. Al fine della creazione di una difesa comune – che sia davvero ‘difesa’, e non strumento di avventure africane o mediorientali – non serve, anzi, è dannoso il fai-da-te. Si spenderebbe di più, mentre occorre spendere meglio. Aggiungo che una corsa agli armamenti nazionali stimolerebbe la mai sopita bestia del nazionalismo che, come dimostra proprio la crisi ucraina, è di per sé portatore di venti di guerra.

C’è inoltre un grande rimosso in questo dibattito, e cioè la presenza nel nostro Paese di un incredibile numero di basi militari Usa e Nato. La prima cosa da fare sarebbe predisporre una maggiore trasparenza di questo ginepraio in grandissima parte secretato da tempo immemorabile e riguardante basi in altrettanto grandissima parte soggette a extraterritorialità. Perché non mettiamo il valore di tutto ciò in conto al mitico 2% di cui si parla?

Non solo: la presenza di testate nucleari in tante di queste basi, a cominciare da Aviano in Friuli, fa del nostro Paese una testa di ponte avanzata della Nato, e perciò nella stessa misura lo destina a essere il primo potenziale bersaglio di un conflitto su larga scala. Ed è altrettanto evidente che tanto più andrà avanti la logica degli armamenti nazionali e del rafforzamento della Nato, tanto meno si potrà ragionevolmente operare per un autonomo sistema di difesa europeo. Diciamo la verità: il comando effettivo della Nato non risiede a Bruxelles, ma a Washington. Questo crea una dipendenza non necessaria a fronte di una forza di difesa europea autonoma, reale e non simbolica, a garanzia della sicurezza del continente. Alleanza non può voler dire subalternità.

È una riduzione del danno aver rinviato al 2028 la data di completamento del 2%, ma non basta: sarebbe opportuno che qualsiasi discussione relativa all’aumento del budget militare sia connessa a una chiara strategia, che oggi non si vede, e anche alla pragmatica presa d’atto per cui l’Italia è già adesso una gigantesca base militare e un’altrettanta gigantesca santabarbara nucleare, le cui chiavi non sono necessariamente nelle mani del nostro Paese.

Insomma, qualsiasi riflessione sul ‘militare’ deve partire dal principio costituzionale del ripudio della guerra e della esclusiva difesa dei confini, e dall’idea che missione essenziale della Ue è quella di promuovere una nuova coesistenza pacifica.

Qui va colto uno straordinario differenziale tra le decisioni del governo Draghi e la maggior parte dell’opinione pubblica. Tutti i sondaggi attestano che, ferma rimando la condanna generalizzata dell’invasione militare russa, la maggioranza degli intervistati era contraria all’invio di armi in Ucraina ed è contraria all’aumento delle spese militari. Questi dati, pervicacemente ignorati o sminuiti da troppi, segnalano una pericolosa scollatura fra società politica e società civile che forse è una delle radici dell’imbarbarimento in una deriva binaria (amico-nemico) bellicista del dibattito pubblico.

Colgo infine una pesantissima sottovalutazione dell’emergenza sociale che ci aspetta che richiederà misure straordinarie contro la povertà e la disoccupazione e per un nuovo welfare. Infatti, all’impennata dell’inflazione che ha raggiunto a marzo il 6,7% si aggiunge la previsione di un vero e proprio crollo del Pil atteso, alla luce degli effetti indotti dalle sanzioni alla Russia. Non è pensabile qualsiasi incremento di spesa senza considerare la drammatica crisi che ci aspetta. Certo, c’è il Pnrr. Ma quanto sarà in grado di risolvere la futura emergenza causata dalla guerra in corso?

Comitato Nazionale Anpi

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costituente-terra-logoINFELICE TRAGUARDO
6 APRILE 2022 / COSTITUENTE TERRA / DISIMPARARE L’ARTE DELLA GUERRA /
La decisione di incrementare le spese militari fino al 2% del PIL non è un vincolo imposto da trattati internazionali. È una scelta di obbedienza atlantica. Come al solito, sovranità limitata

Domenico Gallo

«Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!».

I versi del canto VI del Purgatorio di Dante Alighieri sono il commento più adeguato alla decisione di incrementare ulteriormente le spese militari fino a portarle al 2% del PIL (3,5% del bilancio dello Stato), preannunciata dal presidente del consiglio Draghi il 1° marzo e approvata dalla Camera con un ordine del giorno votato a stragrande maggioranza. Non è un impegno da poco, si tratta di passare dai circa 25 miliardi l’anno attuali (68 milioni al giorno) ad almeno 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno). Aumentare di 13 miliardi all’anno le spese per l’acquisto di armamenti (li chiamano investimenti per la difesa) quando è già stato previsto un taglio di sei miliardi di euro per la spesa sanitaria per gli anni 2023 e 2024, non è il modo migliore per tutelare gli interessi del popolo italiano, eppure i principali mass media hanno fatto a gara nel censurare Conte che si opponeva a una scelta così deleteria. D’altro canto Draghi è stato irremovibile e si è rischiata una crisi di governo fino a quando non è stato trovato il compromesso di spostare al 2028 il raggiungimento di questo infelice traguardo.

La tesi di fondo avanzata dal coro degli atlantisti è che l’Italia deve rispettare gli obblighi assunti in sede NATO, in particolare nel vertice dei capi di Stato e di governo, svoltosi il 4-5 settembre 2014 nel Galles in cui fu concordato che i Paesi europei avrebbero dovuto aumentare la spesa militare con l’obiettivo di portarla al 2% del PIL entro il 2024. Su questo punto occorre fare chiarezza. A norma dell’art. 117 della Costituzione: «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento e dagli obblighi internazionali». I vincoli che il legislatore deve rispettare sono quelli che derivano dal diritto internazionale consuetudinario e quelli che derivano del diritto internazionale pattizio, cioè dai trattati internazionali. Le dichiarazioni d’intenti espresse nei vertici NATO, ovviamente non rientrano nel diritto internazionale generale, né sono dei trattati internazionali. Qualora – in via d’ipotesi ‒ in sede NATO fosse stato firmato un trattato internazionale con l’impegno ad effettuare determinati “investimenti” nella difesa, questo trattato, prevedendo oneri alle finanze, avrebbe dovuto essere sottoposto all’approvazione da parte del Parlamento, con legge di autorizzazione alla ratifica, ai sensi dell’art. 80 della Costituzione. Naturalmente in sede di ratifica il Parlamento sarebbe stato libero di dire no. Il fatto che Renzi abbia promesso a Obama nel 2014 di raddoppiare le spese militari è un evento politico che non può in alcun modo pregiudicare la libertà del Parlamento di allocare le risorse del bilancio pubblico, se l’Italia è ancora uno Stato sovrano. Ma il punto è proprio questo: la sovranità.

Nell’agosto del 1968 il Segretario del PCUS, Leonid Breznev, giustificò l’invasione della Cecoslovacchia enunciando la dottrina della “sovranità limitata” dei Paesi aderenti al Patto di Varsavia. Nell’ambito della NATO la dottrina della sovranità limitata non è stata mai enunciata, nondimeno è stata praticata in forma occulta ma efficace. Quando in Italia si profilava un cambiamento politico rispetto agli assi tradizionali della guerra fredda, il segretario della DC Aldo Moro, nel corso del suo viaggio negli USA, il 25 settembre del 1974, ricevette una esplicita minaccia di morte da parte di Henry Kissinger, personaggio non aduso a parlare a vanvera. Dalla morte di Moro in poi, l’Italia adempie agli “obblighi” dell’Alleanza atlantica, senza discutere, sia che si tratti di collaborare alle extraordinary renditions (sequestri di persone, vedi vicenda Abu Omar), sia che si tratti di partecipare a delle manovre militari nei Paesi baltici o nel Mar Nero, sia che si tratti di inviare armi letali all’Ucraina, sia che si tratti di raddoppiare le spese militari, malgrado il disastro economico-finanziario provocato dalla pandemia. Poiché l’epoca della costrizione violenta attraverso la strategia della tensione è terminata con la fine della prima guerra fredda, tutto questo atlantismo d’assalto dei vertici istituzionali e dei leader politici non può trovare altra spiegazione che in una libidine di servilismo, l’antica vocazione al servaggio di cui parla Dante.

Del resto non può essere un caso che l’Italia, qualunque sia il governo in carica, in sede di Consiglio atlantico non abbia mai detto no, sappia solo dire sempre e soltanto sì, anzi: signorsì. All’obbedienza atlantica noi preferiamo l’obbedienza alla coscienza, che è illuminata dalle parole di papa Francesco che ha dichiarato: «Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali».

Domenico Gallo
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Pace in Ucraina e nel Mondo

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Newsletter n. 73 del 6 aprile 2022

UCCIDETE IL SOLDATO PUTIN

Cari Amici,
quando gli uomini erano alle prime armi si interrogavano per capire cosa fosse la giustizia. E Socrate, come racconta Platone nella “Repubblica”, parlando con Glaucone, che dello stesso Platone era fratello, disse che la giustizia consiste nel fatto che “ciascuno faccia la cosa propria”, cioè, in un senso più filosofico, che ciascuno sia se stesso, che le cose si svolgano secondo la loro natura. Il cinema rappresenta. ma non cambia le cose. La Televisione invece ha oggi il potere di cambiare la natura delle cose e assegnare a suo piacere agli uomini i ruoli che vuole. In ciò sta un grande pericolo. Si pensi ad esempio che cosa sarebbe stato se il “grande dittatore” impersonato da Charlot, come era chiamato Charlie Chaplin, fosse diventato davvero il Fuhrer dei Tedeschi, o se il dottor Stranamore dal suo ufficio al Pentagono avesse davvero preso in mano i destini del mondo. Oggi viviamo un incubo. C’è un attore-Presidente che diventa Presidente-attore che chiede lo scioglimento dell’ONU, per il caso che ancora si opponga al rischio di una guerra nucleare, e abbiamo il mondo intero trasformato in un immenso studio televisivo in cui avvengono le cose più estreme, se non più incredibili.
Il racconto è che la Russia, dopo essersi seduta al tavolo dei negoziati a Istanbul, per allentare la tensione decide di ritirarsi da Bucha. Però organizza una clamorosa prova della propria crudeltà, con una strage efferata che cosparge le strade di vittime non solo uccise ma in tutti i modi straziate. Il sindaco di Bucha, tutto contento per la liberazione della città, rilascia un’intervista in cui appare sorridente e orgoglioso per la vittoria ottenuta, e il giorno dopo dei filmati della polizia ucraina mostrano le strade devastate come sono in ogni dopoguerra ma senza tracce di massacri. Intanto però si sta preparando un gigantesco set satellitare e quattro giorni dopo tutto il mondo, attonito, vede una strada dove una quantità di cadaveri sono disposti a intervalli regolari, con la stessa postura, la faccia in giù, con i più fantasiosi segni di violenza e di sfregio. Putin nel racconto viene denunciato al tribunale dell’Aja, perché si pensa che come Re soldato abbia direttamente dato ai suoi soldati gli ordini del genocidio (che è come dire: uccidete il soldato Putin) e così il capo russo non solo fa la figura di un dittatore sanguinario, criminale e assassino, ma anche incredibilmente stupido, autolesionista e utile idiota a vantaggio dei suoi nemici, e tuttavia responsabile di una grande Nazione della Terra e di centinaia di milioni di persone.
Il racconto prosegue con la esecrazione universale, e come potrebbe non essere così se si tratta di un racconto vero? Ma se vero, in che mondo saremmo, con quale uomo, con quali fratelli, con quale Dio?
Noi non abbiamo parole. Solo un lieve sospetto che la realtà adattata a spettacolo, e lo spettacolo fatto esso stesso realtà, ci porti, sotto la spinta della visione a distanza detta Televisione, alla fine del mondo.
Chi scrive ricorda quando nei suoi giovani anni lavorava in Televisione per un programma giornalistico che si chiamava TV 7. Eravamo con Barbato, Furio Colombo, Giuseppe Fiori, Fabiani, Mimmo Scarano e altri grandi giornalisti, tutti desiderosi di dare al giovane Servizio pubblico che era la RAI un’informazione avvincente, fedele, non obbediente a censure. Un giorno arrivò dal Brasile un filmato che raccontava di una manifestazione di operai su cui la polizia aveva sparato – come purtroppo talvolta accadeva anche da noi – e aveva fatto un morto. E quel corteo di meravigliosi operai aveva preso il cadavere e in processione lo aveva portato fin sulla soglia del Parlamento a Rio de Janeiro (che era allora la capitale) e l’aveva lasciato lì, come a restituirlo al potere che l’aveva ucciso. Stavamo per mandarlo in onda ma Ettore Bernabei, che aveva capito prima di noi l’ambivalente onnipotenza del mezzo, ce lo impedì, pensando che in quel modo alla prossima tragedia avremmo dato l’idea di scaricare il morto sulla porta di Montecitorio. Era una censura. Ma adesso penso che avesse ragione. Allora però si trattava solo del piccolo teatro italiano. Adesso la scena è tutto il mondo, e anche le bugie che la ragion di Stato suggerisce ai potenti, hanno un effetto diverso se il mondo è cambiato. Il falso incidente del golfo del Tonchino, poi ammesso dai “Pentagon Papers”, servì solo a legittimare la guerra del Vietnam, la falsa fialetta dello sterminio agitata all’ONU da Colin Powell, di cui lui stesso poi si pentì, servì solo a fare la guerra all’Iraq e a mandare a morte Saddam Hussein, della discussa strage di Račak fu fatto uso solo per motivare la guerra della NATO per il Kosovo punire la Serbia e far morire in carcere Milosovic: ma oggi lo spettacolo è universale, una propaganda servile può servire a dilaniare il mondo, oggi gli attori protagonisti compaiono in diretta su tutti gli schermi di casa e in molte aule parlamentari del pianeta, possono eccitare all’odio e alla vendetta, far credere che non ci sia più niente da fare, che la guerra sia un fatto di natura e la pace un artificio, far cadere il tabù della bomba, sopprimere, insieme con l’ONU, il diritto e la sua giustizia, comunque fosse definita da Socrate o da Platone.
Ma in realtà non c’è in ballo la Televisione. In causa è il cuore, il “chi è dell’uomo”.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Enrico Peyretti che ripropone il valore della nonviolenza per il disarmo dell’odio, un articolo di Domenico Gallo sul raddoppio delle spese militari, un parere del costituzionalista Mario Dogliani sull’accettazione del rischio della guerra nucleare e un’intervista del presidente di Pax Christi sul superamento del modello della Nato.
Con i più cordiali saluti

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Newsletter n. 257 del 6 aprile 2022

Pace in Ucraina e nel Mondo

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Newsletter n. 72 del 4 aprile 2022

L’UCRAINA NON HA BISOGNO DI ARMI

Cari Amici,
nel suo discorso del 2 marzo a Malta papa Francesco ha citato la voce “controcorrente” di Giorgio La Pira, che in un mondo minacciato dalla distruzione oppose alla “ferrea logica degli schieramenti” un sussulto profetico in nome della fraternità universale. Un’altra voce ancora più pertinente nel culmine della tragedia attuale, è quella di Giuseppe Dossetti che dal cimitero di Casaglia (Marzabotto), dove è sepolto, ci rivolge un ineludibile monito contro la guerra e la perversa idea che l’unico modo per uscirne sia armarsi, propagarla e vincerla. Anche, aggiungiamo, per recuperare la Crimea. Lo ripropone dalla Giordania, dove ora si trova, Paolo Barabino attuale superiore della famiglia monastica di Monteveglio, da Dossetti fondata, con la lettera che qui vi trasmettiamo:

Carissimi tutti,
la notizia della marcia a Monte Sole con termine al Cimitero di Casaglia, così simbolico e portatore di tanti moniti, mi interpella sulla posizione da prendere di fronte a fatti così gravi.
Per la natura degli organizzatori della marcia, cioè i comuni dove vivo e le organizzazioni a me care e sorte attorno alla memoria della strage, intendo queste righe come condivisione di una riflessione e di una preoccupazione che credo presente anche in voi. Si tratta soprattutto del ricordo di don Giuseppe Dossetti e di alcune sue convinzioni profonde per cui ha speso la vita.

Il dramma che si compie. Alla fine del 1990, mentre la Prima guerra del Golfo era imminente e lo schieramento occidentale stava preparando un’avventura che avrebbe segnato in modo funesto gli anni a venire, don Giuseppe Dossetti riuscì a venire qui in Giordania, per essere nel luogo a lui più vicino possibile al dramma che si consumava e per sottrarsi all’aria mediatica irrespirabile di quei giorni occidentali. Dossetti contrastò con tutte le forze, fisiche e spirituali, quella guerra in cui anche l’Italia si schierò.
Il ricordo di quei suoi mesi mediorientali mi è molto caro ma anche mi accusa perché, a differenza sua, la guerra mi è lontana e tutto perciò è più ipocrita.
Inoltre questo ricordo mi rende evidente il grande errore dopo la caduta del Muro: che la superpotenza sopravvissuta si sia creduta la vincitrice e arbitra del mondo. Come abbiamo potuto perdere in questi decenni l’opportunità di ricostruire un rapporto pacifico con la Russia?
A titolo personale, con il ricordo di don Giuseppe, vorrei aggiungermi alle voci che, di fronte
all’invasione russa della Ucraina e a tutte le preoccupazioni conseguenti, vogliono contrastare il clima militante e bellicista per fare leva su alcuni punti fermi e sperare, dal moltiplicarsi delle voci popolari, di premere sui governi per una via alternativa all’innalzamento della tensione e del conflitto.

Da dove viene l’art. 11.
Dossetti, ha chiesto di riposare in questo cimitero per onorare le vittime dell’eccidio del ‘44. Era un legame antico. La coscienza del dramma della guerra lo aveva portato a volere fortemente l’art. 11 della nostra Costituzione. Questo è il primo punto che voglio affermare: l’art. 11 non è un testo superabile per la nostra democrazia.
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati,
alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”
.
Dossetti ha tante volte protestato per come si è eluso questo articolo importantissimo, mentre esso
costituisce un programma per impostare un’ azione di politica nazionale e internazionale.

Finché c’è tempo.
Per essere effettivo, questo articolo esige soprattutto una politica preventiva e, come è scritto
nell’Introduzione a “Le querce di Monte sole”, di operare “finché c’è tempo”.
Tempo ne abbiamo perso senza misura e la guerra è molto avanti ma non si può sperare di frenare ed
evitare ulteriori conseguenze rovinose se non si ammette una corresponsabilità, oltre che denunciare
l’iniziativa pure colpevole dell’altro.
Come molti ricordano in questi giorni, ci si deve riferire all’allargamento della NATO ai Paesi della ex Unione Sovietica e al dispiegamento militare. Russia e blocco occidentale si sono contesi anche l’Ucraina per averla nei rispettivi campi di influenza anziché accompagnarla in un’autonomia nazionale indipendente dai due blocchi. Ci sono due imperialismi militari, economici e culturali da fermare, non uno solo impazzito. E anche altri vogliono visibilmente imporsi. Ma anche le Chiese cristiane nella loro divisione e lontananza dal Vangelo sono corresponsabili.
Questo è il secondo punto a cui do voce anch’io: solo dal riconoscimento di una corresponsabilità possono venire un dialogo e delle trattative.

Anziché inviare armi
Occorre escludere la guerra dai mezzi di risoluzione delle contese. L’articolo 11 della Costituzione ci impone di escludere la guerra come strumento di soluzione e per questo dovremmo cercare il blocco immediato di ogni escalation militare, sostenere le forme di difesa non violenta degli ucraini e dare spazio alle crescenti realtà russe di protesta e dissociazione, anziché mandare armi.
So bene che su questi monti si è combattuto e si sono aspettati invano rifornimenti di armi e munizioni, ma proprio nella riflessione uscita dal conflitto mondiale è nata la certezza costituzionale che bisogna seguire una via tutta nuova. Invece poi abbiamo dilapidato le risorse del pianeta nella costruzione di armi e nella corsa agli armamenti, per non dire che abbiamo visto tante volte come le armi vendute si siano ritorte contro.

Gli organismi sovranazionali. Dossetti si sdegnò, nella Prima guerra del Golfo, anche per il colpo mortale che fu inferto all’ONU in quei primi anni dalla caduta del Muro. In questa nuova ora drammatica della storia dobbiamo chiedere ancora che si restituisca dignità ed efficienza alle organizzazioni sovranazionali per limitare i nazionalismi e non smettere di sperare nell’integrazione fraterna e paritaria dei popoli. Come dice papa Francesco, sognare un cammino sinodale dei popoli in cui ognuno riconoscendo il proprio limite e la parità con gli altri sia accolto col suo contributo e desideri offrire la sua responsabilità e possibilità di bene.
Serve un grande sforzo esteriore e ancor più interiore e spirituale per perseguire la pace e sperare nel futuro. Ho pregato nei giorni scorsi per la pace con dei bambini e ho ascoltato di recente drammatiche testimonianze della condizione degli adolescenti e giovani intrappolati tra due anni di Covid e una guerra così minacciosa. Guardando all’indietro ai morti di questi monti e in avanti alle nuove generazioni con la loro fatica devastante, mi dico che dobbiamo soprattutto a loro uno sforzo interiore rinnovato e determinato, che faccia uscire ognuno dall’indifferenza e dallo sconforto e rinnovare l’impegno per la pace.

Anche i migliori non sanno vedere che la guerra. Per finire, riprendo ancora una parola di Dossetti:
“Ma è nell’anima che si sente, soprattutto nel cuore, questo grande dramma, purtroppo sempre più senza possibilità di soluzione sul piano umano. Ogni giorno si hanno nuove, dolorosissime prove che gli uomini – tutti, anche i migliori – non sanno vedere altro mezzo che questo, la guerra, mentre dovrebbe apparire chiarissimo a ognuno che questo mezzo è, al contrario, il solo che non risolve e non risolverà mai nulla e che lascerà tutto non come prima, ma infinitamente peggio di prima, con mali ancora più esasperati e con difficoltà ancora più insormontabili. Questa è una cosa tremendamente triste, che veramente pone un enorme peso sul cuore, quando ad ogni passo ci si incontra, anche nelle persone più rette e generose, in questa nefanda superstizione…” (don Giuseppe Dossetti, Lettere dalla Terra Santa, 10 Ottobre 1973, pochi giorni dopo lo scoppio della guerra dello Yom Kippur).

Paolo Barabino

Ma’in (Giordania), 6 marzo 2022.

Vi ringraziamo dell’attenzione e inviamo i più cordiali saluti

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Newsletter n. 256 del 4 aprile 2022

Pace in Ucraina e nel Mondo

8195c7d4-4f59-48cc-891c-95e03086c118L’opinione di un grande giurista sulla guerra in Ucraina.
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Contro la catastrofe, i doveri della comunità internazionale
di Luigi Ferrajoli

Crisi ucraina. Il vero aiuto ai civili ucraini bombardati non è l’invio di armi – prolunga il conflitto e le stragi – ma la partecipazione alla trattativa Kiev-Mosca delle potenze occidentali a cominciare dagli Stati Uniti

C’è una grande ipocrisia alla base delle politiche del nostro governo e degli altri governi europei e del dibattito pubblico sulla guerra di aggressione della Russia e sulla solidarietà all’Ucraina. Tutti sanno, ma tutti fanno finta di non sapere che dietro questa guerra, della quale l’Ucraina è soltanto una vittima, il vero scontro è tra la Russia di Vladimir Putin e i Paesi della Nato. Sono perciò gli Stati Uniti e le potenze europee che dovrebbero trattare la pace, o quanto meno affiancare l’Ucraina nelle trattative, anziché lasciarla a trattare da sola con il suo aggressore.

Sarebbe questo il vero atto di solidarietà dell’Occidente nei confronti del popolo ucraino. Il vero aiuto alla popolazione ucraina, bombardata e massacrata ormai da un mese, non è l’invio di armi, che ha il solo effetto di prolungare il conflitto e le stragi, bensì la partecipazione alla trattativa delle grandi potenze occidentali a cominciare dagli Stati Uniti.
Sarebbe questo il vero sostegno all’Ucraina: il raggiungimento dell’immediata cessazione dell’aggressione e, a tal fine, un negoziato con la Russia che veda, a fianco dell’Ucraina, i Paesi membri dell’Alleanza atlantica, dotati di ben altra forza e di ben maggiore capacità di pressione.

A questi fini non servono gli insulti a Putin, che rischiano solo di rendere ancora più difficile il negoziato o peggio, trattandosi di un autocrate irresponsabile, di provocarlo e di indurlo ad allargare il conflitto, fino a farlo precipitare in una terza guerra mondiale nucleare.
Ancora meno serve – anzi è benzina sul fuoco – la corsa alle armi degli Stati europei, dal riarmo della Germania all’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil deciso dall’Italia e da altri Stati europei: “pazzi”, li ha chiamati papa Francesco, dichiarando di essersi per loro “vergognato”. Serve, al contrario, che le maggiori potenze – Stati Uniti ed Unione europea in peimo luogo – affrontino il pericolo di un allargamento incontrollato della guerra e si assumano la responsabilità di fare di tutto per ristabilire quanto prima la pace.

Per questo la sede appropriata della trattativa dovrebbe essere non già una sconosciuta località della Bielorussia, ma l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Per due ragioni. In primo luogo perché le Nazioni Unite sono l’organizzazione la cui finalità istituzionale, come dice l’articolo 1 del suo statuto, è mantenere la pace e conseguire con mezzi pacifici la soluzione delle controversie internazionali. In secondo luogo perché nel Consiglio di Sicurezza siedono, come membri permanenti, tutti i Paesi dotati di armamenti nucleari, esattamente le potenze che hanno la forza e il potere per trattare la pace: la Russia, gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna e la Cina.

La trattativa si svolgerebbe così sotto gli occhi dell’intera umanità, all’interno di un’istituzione che ha per ragione sociale il conseguimento della pace e i cui organi, a tal fine, ben potrebbero essere convocati in seduta permanente fino a quando non riusciranno a porre termine alla guerra.

Potrebbe uscirne non solo la fine dell’aggressione all’Ucraina, ma anche una seria riflessione sul pericolo, mai così grave, dell’olocausto nucleare che sta correndo il genere umano e quindi la decisione razionale di riprendere il progressivo disarmo atomico del mondo pattuito nel 1987 da Gorbaciov e Reagan e interrotto da Trump nel 2019.
L’alternativa è l’escalation della guerra, con il rischio sempre maggiore della sua deflagrazione in una guerra nucleare. Ma anche al di là di questa terrificante prospettiva, la continuazione di questa guerra, oltre a produrre massacri e devastazioni nella povera Ucraina, non potrà che far crescere e stabilizzare la logica bellica dell’amico/nemico.

La decisione quasi unanime del nostro Parlamento di aumentare quasi del doppio le spese militari, la terribile decisione tedesca di finanziare con 100 miliardi di euro il proprio riarmo, il progetto di dar vita in modo più che precipitoso a un esercito europeo, l’opzione del presidente statunitense Joe Biden per il rafforzamento militare della Nato anziché per il confronto diplomatico, il compiacimento generale per la «compattezza» dell’Occidente in armi raggiunta in questa logica di guerra, la crescita dell’odio verso il popolo russo e l’informazione urlata e settaria sono tutti segni e passi di una corsa folle verso la catastrofe. È il trionfo della demagogia e dell’irresponsabilità, il cui costo è pagato oggi dal popolo ucraino e domani, se la corsa non si fermerà, dall’intera umanità e in particolare dall’Europa.

È un’ingenua illusione pacifista sperare ancora in un risveglio della ragione delle potenze occidentali, animato da una vera volontà di fermare, nell’interesse di tutti, la follia di questa guerra?

LUIGI FERRAJOLI
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No all’aumento delle spese militari! Aderiamo alla campagna di Sbilanciamoci!

sbilanciamoci-20Comunicato stampa – 29 marzo 2022
Non si aumentino le spese militari!
Nelle prossime settimane sarà licenziato dal governo il nuovo Documento di Economia e Finanza (DEF) che ha il compito di fissare le previsioni macroeconomiche, di indirizzo della spesa pubblica e degli obiettivi di bilancio, programmatici e di riforma.
Dopo l’approvazione dell’ordine del giorno di alcuni giorni fa alla Camera dei deputati che impegna il governo a portare al 2% del PIL le spese militari, abbiamo la forte preoccupazione che questo obiettivo possa essere recepito nel DEF.
“Invece di chiedere – dopo il dramma della pandemia- di portare la spesa per la sanità pubblica all’8% o gli investimenti per l’istruzione al 7 % (siamo il fanalino di coda in Europa per la spesa in scuola e università) il parlamento chiede di aumentare del 30% le spese per le armi”, sottolinea Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci!.
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Riteniamo questa, una scelta sbagliata e strumentale, demagogica e propagandistica, di fronte alla guerra drammatica in Ucraina.

Una scelta, tra l’altro, generica, in cui non si tiene conto delle implicazioni della destinazione della spesa e delle scelte in ambito europeo, che al momento non prevedono la costituzione di un esercito comune.

“In questi anni – continua Marcon- le spese militari sono aumentate significativamente in Italia quando nello stesso periodo le spese per la sanità, la scuola, il welfare sono rimaste le stesse e in alcuni casi sono diminuite.
Nel 2021 le spese militari nel mondo sono aumentate di 50 miliardi di dollari (superando i 2000 miliardi di dollari), 10 volte di più di quanto si è stanziato per il COVAX per assicurare gratuitamente i vaccini ai paesi poveri.

Nel mondo non ci sono poche armi, ce ne sono troppe.

La guerra in Ucraina e i rischi e le tensioni per il mondo, non si fermeranno aumentando le spese per le armi, ma con politiche di pace e di sicurezza comune e condivisa. Non bisogna fare gli stessi errori della guerra fredda e del riarmo nucleare degli anni ‘80.

“Per questo – ha concluso Marcon – chiediamo al governo e al parlamento di escludere dalle previsioni del prossimo DEF un aumento delle spese militari: chiediamo invece politiche di prevenzione dei conflitti, di cooperazione e di rafforzamento di una sicurezza comune fondata sulle Nazioni Unite”.

Gli aderenti alla Campagna Sbilanciamoci!:
ActionAid, ADI–Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani, Altreconomia, Altromercato, Antigone, ARCI, ARCI Servizio Civile, Associazione Obiettori Nonviolenti, Associazione per la Pace, Beati i Costruttori di Pace, CESC Project, CIPSI–Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale, Cittadinanzattiva, CNCA–Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Comitato Italiano Contratto Mondiale sull’Acqua, Comunità di Capodarco, Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia, Crocevia, Donne in Nero, Emergency, Emmaus Italia, Equo Garantito, Fairwatch, Federazione degli Studenti, Federazione Italiana dei CEMEA, FISH–Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, Fondazione Finanza Etica, Gli Asini, ICS–Consorzio Italiano di Solidarietà, Legambiente, LINK Coordinamento Universitario, LILA–Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids, Lunaria, Mani Tese, Medicina Democratica, Movimento Consumatori, Nigrizia, Oltre la Crescita, Pax Christi, Reorient Onlus, Rete Universitaria Nazionale, Rete degli Studenti Medi, Rete della Conoscenza, Terres des Hommes, UISP–Unione Italiana Sport per Tutti, Unione degli Studenti, Unione degli Universitari, Un ponte per…, WWF Italia, Aladinpensiero online, CSS Confederazione Sindacale Sarda, …

Campagna Sbilanciamoci!, c/o Lunaria
Via Buonarroti, 39 – 00185 – ROMA 06 8841880

info@sbilanciamoci.org
www.sbilanciamoci.info
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CSS loghettoL’adesione all’appello della CSS Confederazione Sindacale Sarda.
La Confederazione Sindacale Sarda-CSS aderisce e firma l’Appello promosso da Sbilanciamoci! contro la folle corsa al riarmo dell’Italia e dell’Europa.
Più armi significa allargare ed allungare le guerre e non solo quella in Ucraina invasa dall’esercito russo di Putin in risposta anche alle provocazioni NATO che sta tutta dietro la coraggiosa Ucraina.
Restituire il ruolo di pace all’ONU e all’Europa dei Popoli.

Giacomo Meloni Segretario Generale della Confederazione Sindacale Sarda-CSS
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papa-francesco-pazziaCHE VERGOGNA IL DUE PER CENTO DEL PIL ALLE SPESE MILITARI
30 MARZO 2022 / COSTITUENTE TERRA / LA CONVERSIONE DEL PENSIERO / su Costituente Terra e Chiesadituttichiesadeipoveri.
Pazzia! La vera risposta non sono altre armi, sanzioni, alleanze politico-militari ma un modo diverso di governare il mondo di impostare le relazioni internazionali. Le donne dalla Costituzione all’impegno per custodire l’umano. Giustizia è il diritto ad adempiere la propria natura e la propria vocazione

Papa Francesco ha tenuto il 24 marzo scorso questo discorso alle partecipanti all’Incontro promosso dal Centro Femminile Italiano sul tema: “Identità creazionale dell’uomo e della donna in una condivisa missione”.

Care sorelle, buongiorno e benvenute! Ringrazio la Presidente, Renata Natili Micheli, per le parole con cui ha introdotto il nostro incontro. È coraggiosa questa ragazza! È coraggiosa! Siete venute a Roma per celebrare il vostro Congresso elettivo, il cui tema va ben al di là delle scadenze associative, è un tema ampio, di ampio respiro: “Identità creazionale dell’uomo e della donna in una condivisa missione”. Bel lavoro. Vi ringrazio perché offrite il vostro contributo al dialogo su questa tematica dell’identità dell’uomo e della donna. Una questione molto attuale, non solo e non tanto in senso teorico, ma in senso esistenziale, nella vita delle persone; penso specialmente ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze che, nella loro crescita, hanno bisogno di punti di riferimento, di figure adulte con cui confrontarsi. Uomini e donne.

Soprattutto però voglio ringraziarvi perché ci siete, perché in Italia esiste e va avanti questa vostra associazione di donne, che è animata dal Vangelo e vuole dialogare con tutti per il bene comune della società. E questo non è scontato. Grazie.

Il Centro Italiano Femminile è nato in un contesto di difesa della dignità e dei diritti della donna, in quel periodo così ricco, così fecondo per l’Italia che ha fatto seguito alla seconda guerra mondiale. In quel contesto fortemente polarizzato in senso ideologico, il CIF nasce come scelta della responsabilità, dell’impegno per custodire l’umano. Era la scelta per quella che oggi chiamiamo cultura della cura, alternativa alla cultura dello sfruttamento e del dominio. Tornerò su questo.

maria-federici-agambenNell’Assemblea Costituente, Maria Federici Agamben, prima presidente nazionale del CIF, insieme alle altre rappresentanti femminili e trasversalmente agli schieramenti partitici, partecipò alla stesura di alcuni Articoli della Costituzione e influì sulla “filosofia” costituzionale riguardo ai temi della solidarietà, della sussidiarietà e della laicità dello Stato.

Per voi, la partecipazione alla vita politica, come sottolineava Pio XII, non risponde semplicemente alla rivendicazione della piena cittadinanza delle donne, no, vuol essere un atto di giustizia nei confronti della comunità e una valorizzazione della politica considerata come forma di carità, la forma più alta, forse, della carità. Un impegno che si attua non nell’agone politico, ma sul versante dei diritti e della cultura. Il CIF, allora come oggi, esprime questa visione della politica intesa come servizio al bene comune animato dalla carità. A tale proposito, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che la giustizia consiste nel realizzarsi delle «condizioni che consentono alle associazioni e agli individui di conseguire ciò a cui hanno diritto secondo la loro natura e la loro vocazione» (n. 1928).

Care amiche, è ormai evidente che la buona politica non può venire dalla cultura del potere inteso come dominio e sopraffazione, ma solo da una cultura della cura, cura della persona e della sua dignità e cura della nostra casa comune. Lo prova, purtroppo negativamente, la guerra vergognosa a cui stiamo assistendo.

Penso che per quelle di voi che appartengono alla mia generazione sia insopportabile vedere quello che è successo e sta succedendo in Ucraina. Ma purtroppo questo è il frutto della vecchia logica di potere che ancora domina la cosiddetta geopolitica. La storia degli ultimi settant’anni lo dimostra: guerre regionali non sono mai mancate; per questo io ho detto che eravamo nella terza guerra mondiale a pezzetti, un po’ dappertutto; fino ad arrivare a questa, che ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero. Ma il problema di base è lo stesso: si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri.

La vera risposta dunque non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che non so, un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento, credo, o il due per mille del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. Il modello della cura è già in atto, grazie a Dio, ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare.

Perché ho voluto fare con voi questa riflessione? Perché voi siete un’associazione di donne, e le donne sono le protagoniste di questo cambiamento di rotta, di questa conversione. Purché non vengano omologate dal sistema di potere imperante. Sempre che mantengano la propria identità di donne. A questo proposito vorrei riprendere un passaggio del Messaggio di San Paolo VI alle donne, al termine del Vaticano II. Dice così: «Viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. È per questo, in questo momento nel quale l’umanità sperimenta una così profonda trasformazione, che le donne imbevute dello spirito del Vangelo possono tanto per aiutare l’umanità a non decadere» (nn. 3-4). È impressionante la forza profetica di questa espressione. In effetti le donne, acquistando potere nella società, possono cambiare il sistema. Voi potete cambiare il sistema, le donne possono cambiare il sistema se riescono, per così dire, a convertire il potere dalla logica del dominio a quella del servizio, a quella della cura. C’è una conversione da fare: il potere con la logica del dominio, convertirlo in potere con la logica del servizio, con la logica della cura.

E ho voluto parlare di questo con voi per ricordare a me stesso e a tutti, a partire da noi cristiani, che questo cambiamento di mentalità riguarda tutti e dipende da ciascuno. È la scuola di Gesù, che ci ha insegnato come il Regno di Dio si sviluppi sempre a partire dal piccolo seme. È la scuola di Gandhi, che ha guidato un popolo alla libertà sulla via della nonviolenza. È la scuola dei santi e delle sante di ogni tempo, che fanno crescere l’umanità con la testimonianza di una vita spesa al servizio di Dio e del prossimo. Ma è anche – direi soprattutto – la scuola di innumerevoli donne che hanno coltivato e custodito la vita; di donne che hanno curato le fragilità, che hanno curato le ferite, che hanno curato le piaghe umane e sociali; di donne che hanno dedicato mente e cuore all’educazione delle nuove generazioni.

È grande la forza della donna. È grande! C’è un detto – più che un detto è una riflessione: se un uomo piuttosto giovane rimane vedovo, difficilmente da solo se la cava. L’uomo non può tollerare una solitudine così grande. Se una donna rimane vedova, se la cava: porta avanti la famiglia, porta avanti tutto. Spiegate voi la differenza, dov’è? Il genio femminile: è questo il genio femminile. Questo esempio illumina abbastanza questa realtà.

La cultura della cura, dell’accoglienza, la cultura del farsi prossimo. Voi la vivete attingendo dal Vangelo. L’avete imparata nella Chiesa, madre e maestra, e formandovi a coltivare prima di tutto in voi stesse la vita spirituale, ad avere cura le une delle altre, nell’amicizia, nell’attenzione reciproca, specialmente nei momenti di difficoltà, pregando le une per le altre, non chiacchierando le une delle altre, no, questo non va! Ma voi non lo fate, sono sicuro.

Care amiche, per tutto questo vi ringrazio e vi incoraggio ad andare avanti. Come altre associazioni cattoliche storiche, anche la vostra è cambiata con il mutare della società italiana. Fa bene per questo anche “alleggerirsi” di strutture diventate insostenibili, per dedicarsi meglio alla formazione e all’animazione culturale e sociale. Vi accompagni sempre la Vergine Maria, che domani contempleremo nell’Annunciazione. Benedico di cuore voi qui presenti e tutte le socie, specialmente quelle più fragili. E anche, voi, per favore, pregate per me. Grazie!
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Sul sito web della Santa Sede: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/march/documents/20220324-centro-femminile-italiano.html
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Foto tratta dal quotidiano Avvenire

Che succede in Ucraina e nel Mondo?

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Fermo posta

La seguente lettera indirizzata agli iscritti alla scuola “Costituente Terra” ed ai parlamentari italiani e pubblicata sul “Manifesto on line” di oggi non è stata tuttavia inviata ai suoi destinatari per le ragioni che sono chiarite nel P:S. che si trova in calce dopo la firma

LETTERA SUL RICORSO ALLA POLITICA E LA SOSPENSIONE DELLA GUERRA

Carissimi, poiché c’è la guerra, vi scrivo urgentemente perché ognuno non può che usare i mezzi che ha per arginare il fiume di sangue e di lagrime che sgorga da lì, e cercare di tenere in piedi le antiche pietre e le mura e le case e le chiese che cadono bruciate e in rovina.
Vi scrivo perché ancora non possiamo parlarci di persona come potremmo fare in una vera assemblea in cui speriamo di incontrarci nei primi giorni di maggio, non appena verranno meno i limiti imposti dalla pandemia; ma ora non possiamo aspettare perché la storia è perentoria, non tiene conto dei nostri calendari.
Scrivo a voi che idealmente rappresentate i mille e mille uomini e donne di buona volontà che se lo sapessero e potessero si unirebbero a noi per farsi costituenti di una Costituzione del popolo della Terra, per garantire a tutti diritti, sicurezza e pace.
La sempre inevasa domanda è: che fare per uscire dalla distretta, per cercare salvezza? Se fosse per la natura ci sarebbero infinite possibilità, tanto il creato è ricco di varietà, di fantasia e di specie, ma nell’artificio della nostra cultura ci sono solo due possibilità: o la guerra o la politica. Se non vogliamo la guerra, o la vogliamo finire, ci vuole la politica; se rinunziamo alla politica ci vuole, come altro mezzo, la guerra.
Purtroppo oggi tutti, e proprio tutti con poche eccezioni, non facciamo che aggiungere fascine ai fuochi di guerra e lo facciamo anche noi, che siamo pacifici, ma siamo ricattati dai nostri stessi buoni e nobili sentimenti e amiamo il popolo ucraino tanto più perché aggredito, lo ammiriamo dicendo che combatte anche per noi e con ciò ne facciamo una vittima come dei suoi governanti anche nostra, e con la nostra solidarietà, le nostre armi, i nostri servizi di intelligence lo aiutiamo a resistere, a patire, a fuggire, a morire; per i suoi capi questa è una politica, certo intenta al bene, come ad esempio sarebbe per loro la riconquista della Crimea, ma non adeguata al bene comune, come sarebbe suo ufficio; ma per noi non è una politica, è un olocausto.
A noi tocca invece, per la nostra vocazione e anche per la nostra responsabilità come democrazia e come Occidente e anche come Europa, di trovare una politica, di indicare una strada alternativa alla guerra, dignitosa ma politicamente efficace, in pari col suo scopo, non grondante sangue e idealismi, e forse solo integrismi e fonemi.
La politica ci porterebbe naturalmente a far conto sull’ONU, perché quella era la grande risorsa che mettemmo in campo, dopo la tragica esperienza, come alternativa al flagello della guerra che già aveva portato indicibili afflizioni all’umanità. Ma l’ONU si è messa fuori gioco, affrettandosi a prendere parte, a condannare, a emettere giuste ma inutili grida, quando in guerra sempre sono almeno in due, che attacchino o si difendano, e compito dell’ONU non è, come di altre Istituzioni, di dire la giustizia, ma di fare la pace, e farla tra “le nazioni in conflitto”, come dice il Papa non potendo fare altro che invitare a pregare per loro. Del resto l’ONU è mancata in molte altre imprese; ha avuto la caduta di far fare in suo nome la guerra del Golfo, la prima grande guerra riscattata dal ripudio non appena caduto l’ostacolo della deterrenza nucleare, ha risparmiato più caschi blu che veti, non è riuscita, ad oltre 70 anni dalla catastrofe, a risolvere la questione palestinese secondo il principio, ammesso anche da Israele, di due popoli in due Stati. È per questa inadeguatezza parastatale dell’ONU, e proprio nelle crisi più gravi, che nel settantesimo anniversario della Costituzione italiana abbiamo lanciato il nostro appello per una Costituzione della Terra “perché la storia continui”.
È difficile in realtà passare dalla guerra alla politica. Eppure è oggi necessario. Come ha gridato la povera vedova di Marmeladov in “Delitto e castigo”, e non lo citiamo per caso, “C’è una giustizia e io la troverò”, così noi dobbiamo dire: “C’è una politica e noi la troveremo”. È difficile passare alla politica perché di solito la guerra finisce con la vittoria degli uni e la sconfitta degli altri; nei casi più efferati con la resa imposta dagli uni ai danni degli altri. Perciò è quanto più lontana possibile, se non del tutto impossibile, per i belligeranti la pace, e irrispettoso e non neutrale potrebbe sembrare perfino invocarla da parte di tutti quelli che ne sono fuori.
Però c’è un passaggio possibile tra la guerra e la politica che può essere attraversato senza oltraggio per nessuno. Questo passaggio è un armistizio.
Dunque chiediamo un armistizio immediato, perché almeno tutto si fermi, fino a un nuovo sbocco, tra la pace e la guerra, in cui possa tornare ad aver voce la politica.
L’armistizio si fa tra i veri nemici. Questi non sono l’Ucraina e la Russia, perché anzi si dichiarano fratelli, se non addirittura un popolo solo. Non sta a noi giudicarlo, anche se sappiamo che non si è fratelli per il sangue, se non si è fratelli nel cuore e nei gesti.
I veri nemici sono gli Stati Uniti e la Russia. Non ci sarebbe niente di nuovo o cedevole se, anche nella bufera, accedessero a una tregua tra loro, tanto è evidente che si combattono. Glielo ha detto anche la Cina. Del resto lo hanno fatto Kennedy e Krusciov per Cuba, Reagan e Gorbaciov a Reykjavik, e poi i due Bush fino ad Obama. Ma ci rendiamo conto che in questo momento è più di quanto possiamo chiedere. Ma resta una strada. Può sembrare paradossale, ma non per questo meno ragionevole e responsabile. Che l’armistizio lo facciano la NATO e la Russia, che si incontrino e parlino tra loro.
Il paradosso sta nel fatto che proprio per tener fuori la NATO si è fatta la guerra, l’aggressione, l’invasione, l’operazione speciale o come altro la si voglia chiamare. Ma proprio per questo, proprio perché causa di guerra la NATO può essere una via per la pace, invece che entrare ancora più nelle dinamiche della guerra come è apparsa voler fare a Bruxelles. Di per sé se così facesse non cambierebbe natura, perché per sua stessa espressione ha cambiato natura quando, finita la guerra fredda e sciolto il Patto di Varsavia, è rimasta in vita ed anzi ha esercitato un diritto sovrano di guerra contro la Jugoslavia e nell’aprile del 1999, a 50 anni dalla sua fondazione nel vertice di Washington, quando già aveva incluso la Repubblica ceca, l’Ungheria e la Polonia a prova del fatto, come dissero, che non c’erano più divisioni in Europa, si diede nuovi fini e avanzò un nuovo concetto di sicurezza universale, proponendosi addirittura come succedanea dell’ONU ben oltre i confini atlantici menzionati nel suo nome e nella sua ragione sociale.
Invece di promettere a Zelensky di fargli vincere la guerra con la Russia, la NATO dovrebbe pertanto fermare con un armistizio la guerra, facendo sì che immediatamente cessi di pagarne le spese l’Ucraina che con il vero conflitto, in cui avrebbe potuto non essere coinvolta, non c’entra per niente.
Così reintrodotta la politica, NATO e Russia potrebbero concordare un sistema di sicurezza reciproca, riprendere i negoziati per gli scudi spaziali e l’interdizione anche tra loro delle armi nucleari, decidere una graduale riduzione degli eserciti e degli armamenti o mediante una riduzione delle forze sul campo o mediante una diminuzione delle spese militari in assoluto o nel loro rapporto col PIL.
Questo è proponibile ed è del tutto possibile, a meno che l’una o l’altra non abbiano nel loro progetto, palese od occulto, il dominio del mondo. In questo caso a noi tutti non resterebbe che esserne vittima.
Con immutata speranza

Raniero La Valle

P. S. Come detto all’inizio, la lettera qui sopra riprodotta non è stata spedita perché divenuta irrealistica nella sua proposta di un intervento pacificatore della NATO, dopo alcuni eventi occorsi negli ultimi giorni. Ci riferiamo a dei comportamenti irresponsabili nel nostro campo – quello dell’Ucraina e dei suoi alleati – che hanno reso palesemente infondato l’appello a quel residuo di ragione e di umana capacità di convivenza su cui si basava la proposta di un armistizio da raggiungersi tra la NATO e la Russia. Gli eventi che hanno reso irrealistica (o ancora più utopistica) questa proposta sono: 1) il discorso a Varsavia del presidente pro brevi tempore degli Stati Uniti e capo supremo della NATO in cui Joe Biden ha incitato a togliere Putin dal potere, cosa che qualche giorno prima in Italia secondo “La Stampa” sarebbe potuta avvenire attraverso “l’unica via d’uscita” di uccidere Putin mediante tirannicidio; mentre alla denuncia dell’ambasciatore russo alla Procura di Roma per “istigazione a delinquere e apologia di reato” Draghi e altri assertori dei valori dell’Occidente avevano risposto che la libertà di stampa comprende la libertà che si era espressa nell’ istigare ad uccidere. Nello stesso discorso Biden si era appellato al Papa, ma non al papa Francesco che aveva invocato la pace contro le armi e la guerra, ma al papa Wojtyla inteso come forza spirituale legittimante la guerra, dimenticando che Giovanni Paolo II si era espresso contro la guerra americana all’Iraq, ciò per cui era stato oscurato e censurato, esattamente come si fa oggi con papa Francesco. 2) L’irresponsabile discorso di Zelensky che ha accusato l’Occidente di “giocare a ping pong” invece di mandare carri armati, aerei e altre armi soavi all’Ucraina, e la corrispondente accusa del ministro della cultura ucraina recepita senza repliche nella trasmissione televisiva “In onda” de “La 7”, secondo la quale l’insufficiente invio delle armi dipenderebbe dalla “paura” che l’Italia ha di Putin; 3) la decisione attribuita alla NATO dopo il vertice di Bruxelles e in altre occasioni di partecipare alla guerra in tutti i modi coperti possibili, evitando l’accusa di una cobelligeranza diretta.
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petizione-costituente-terra-per-ucrainaAppello di Costituente Terra per fermare la guerra
È un dovere della comunità internazionale fermare la guerra e impedire la strage degli innocenti.
Trattare è quanto chiedono milioni di manifestanti in tutto il mondo.
Questo imperativo spetta all’ONU che per statuto ha il compito di “mantenere la pace (…) e, a questo fine, (…) conseguire con mezzi pacifici e in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie internazionali”.
Occorre una convocazione degli organi dell’Onu, l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza, in seduta permanente fino a che non sia raggiunto un accordo di pace tra quanti hanno la forza e il potere di trattare.
All’ordine del giorno non può porsi la decisione di interrompere la guerra, poiché la Russia opporrebbe il suo veto, ma deve porsi la trattativa. Oggetto di tale trattativa possono essere l’assicurazione che l’Ucraina non entrerà nella NATO e l’autonomia, sulla base di un voto popolare nell’esercizio del diritto dei popoli all’autodeterminazione, delle piccole regioni russofone.
Il dovere di trattare è in questo caso urgente, anche perché la guerra può degenerare e allargarsi all’intera Europa. È anzi in gioco il destino stesso dell’Europa, il cui indebolimento è fra le conseguenze di questa guerra.
La propaganda militarista in corso e l’informazione a senso unico spingono irresponsabilmente a soluzioni devastanti per il popolo ucraino e, con motivata preoccupazione, anche per altre nazioni.
Paragoni con episodi della passata storia europea sono inammissibili, sia per la mutata realtà geopolitica, sia perché viene sistematicamente dimenticata la minaccia nucleare.
Appellarsi alla retorica dell’onore e allo spettro del nemico non si addice agli uomini e alle donne del XXI secolo, che riconoscono questi slogan come strumenti di morte e di rovina nell’interesse di pochi.
Solo l’esercizio della politica e l’avvio di un processo costituente globale possono salvarci.
Il diritto alla pace è un diritto fondamentale di tutti gli esseri umani ovunque si trovino, e così pure lo è il diritto alla cittadinanza.
Che l’Italia, in virtù della sua Costituzione (art.10), dia prova concreta di costruzione della pace fra i popoli dando asilo e prospettando una​ possibilità di cittadinanza a tutti coloro che fuggono dalle guerre a cominciare dagli ucraini e dai naufraghi del Mediterraneo.
Un gesto dirompente di fratellanza umana e politica nella crisi armata di tutti i conflitti in corso.

Costituente Terra
Raniero La Valle; Luigi Ferrajoli; Domenico Gallo; Francesco Carchedi; Raul Mordenti; Paola Paesano; Grazia Tuzi; Marco Romani.
www.costituenteterra.it
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Per la pace le Nazioni unite in seduta pubblica e permanente sull’Ucraina
Crisi Ucraina. Per l’art. 1 dello Statuto costitutivo la sua finalità è “mantenere la pace…e, a questo fine conseguire con mezzi pacifici la soluzione delle controversie internazionali”
Luigi Ferrajoli
Su il manifesto, EDIZIONE DEL 16.03.2022

Quando un bandito minaccia di sparare su una folla se non saranno accolte le sue richieste, o peggio ha già cominciato e continua a sparare, il dovere di quanti hanno il potere di farlo – in questo caso la comunità internazionale – è quello di trattare, trattare, trattare la cessazione della strage. Poco importa se il bandito sia considerato un criminale, o un pazzo, o un giocatore d’azzardo oppure un capo politico irresponsabile che non ha visto accogliere le sue giuste ragioni e rivendicazioni. La sola cosa che importa è la cessazione dell’aggressione e della strage degli innocenti.
Trattare è ciò che chiedono milioni di manifestanti in tutto il mondo allorquando domandano di “cessare il fuoco”: innanzitutto per porre fine alla tragedia dei massacri, delle devastazioni e della fuga di milioni di sfollati ucraini; in secondo luogo perché la continuazione della guerra non può che produrne un’escalation, fino alla sua possibile deflagrazione in una guerra mondiale nucleare senza vincitori e soltanto con sconfitti. Proprio i più accaniti critici di Putin non dovrebbero dimenticare che ci troviamo di fronte a un autocrate fornito di oltre seimila testate nucleari, e che l’insensatezza di questa guerra, anche dal punto di vista degli interessi della Russia, non consente di escludere ulteriori, apocalittiche avventure.
Ma chi ha il potere e, aggiungerò, il dovere di trattare? Forse ci stiamo dimenticando che esiste un’istituzione, le Nazioni unite, la cui ragione sociale e la cui finalità statutaria, dice l’articolo 1 del suo Statuto, è “mantenere la pace… e, a questo fine,… conseguire con mezzi pacifici e in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie internazionali”. Esiste dunque una responsabilità istituzionale della comunità internazionale di fare tutto ciò che è possibile fare per ristabilire la pace.
Non si tratta certo di mettere all’ordine del giorno la decisione di porre fine alla guerra, cui la Russia opporrebbe il suo veto.
Si tratta del dovere dell’Onu di fare tutto ciò che è possibile al fine di ottenere la pace. E ciò che è possibile, e perciò doveroso, è non lasciare la debole Ucraina a trattare da sola – prima o poi la resa – con il suo aggressore, bensì offrire i suoi organi istituzionali, l’Assemblea generale e il Consiglio di Sicurezza, come i luoghi e i soggetti della trattativa, convocati e riuniti in maniera permanente.
C’è insomma, come scrivemmo in un appello di “Costituente Terra”, il dovere della comunità internazionale di fermare la guerra a qualunque, ragionevole costo: dall’assicurazione che l’Ucraina non entrerà nella Nato all’autonomia, sulla base di un voto popolare nell’esercizio del diritto dei popoli all’autodeterminazione, delle piccole regioni dell’Ucraina russofone e russofile. E non c’è modo più efficace, per raggiungere un simile risultato, che riunire in seduta pubblica e permanente, finché non sia raggiunta la pace, gli organi supremi dell’Onu, per dar vita a un confronto nel quale tutti, a cominciare dalle maggiori potenze, dovranno assumersi le loro responsabilità di fronte al genere umano.
Sarebbe un’iniziativa eccezionale, senza precedenti, dotata di un enorme valore politico e simbolico, che varrebbe a segnalare la gravità dei pericoli che incombono sull’umanità e a impegnare tutti gli Stati del mondo a prendere sul serio il principio della pace stabilito dallo Statuto dell’istituzione della quale sono membri. Sarebbe un merito storico se a proporla fosse l’Italia, in omaggio al ripudio della guerra espresso dall’articolo 11 della sua Costituzione esattamente con le stesse parole appena ricordate della Carta dell’Onu. Ancor meglio sarebbe se a proporla fosse l’Unione Europea.
Potrebbe uscirne non soltanto la fine della guerra, ma anche una riflessione comune sulla necessità di rifondare il patto di convivenza pacifica stipulato, senza le necessarie garanzie, con la creazione dell’Onu. Il pericolo nucleare che stiamo correndo potrebbe quanto meno indurre i paesi che ancora non l’hanno fatto ad aderire al Trattato sul disarmo nucleare del 7 luglio 2017, già sottoscritto da ben 122 paesi, cioè da più dei due terzi dei membri dell’Onu.
Potrebbe, soprattutto, convincere gli Stati Uniti ad annullare il loro ritiro, deciso il 2 agosto 2019 dal presidente Trump, dal trattato del 1987 sul progressivo disarmo nucleare, e indurre tutti gli Stati dotati di armamenti atomici a riprendere questo graduale processo, fino al disarmo nucleare dell’intero pianeta.
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Guerra in Ucraina e nel Mondo. Che fare?

petizione-costituente-terra-per-ucrainaAppello di Costituente Terra per fermare la guerra
È un dovere della comunità internazionale fermare la guerra e impedire la strage degli innocenti.
Trattare è quanto chiedono milioni di manifestanti in tutto il mondo.
Questo imperativo spetta all’ONU che per statuto ha il compito di “mantenere la pace (…) e, a questo fine, (…) conseguire con mezzi pacifici e in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie internazionali”.
Occorre una convocazione degli organi dell’Onu, l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza, in seduta permanente fino a che non sia raggiunto un accordo di pace tra quanti hanno la forza e il potere di trattare.
All’ordine del giorno non può porsi la decisione di interrompere la guerra, poiché la Russia opporrebbe il suo veto, ma deve porsi la trattativa. Oggetto di tale trattativa possono essere l’assicurazione che l’Ucraina non entrerà nella NATO e l’autonomia, sulla base di un voto popolare nell’esercizio del diritto dei popoli all’autodeterminazione, delle piccole regioni russofone.
Il dovere di trattare è in questo caso urgente, anche perché la guerra può degenerare e allargarsi all’intera Europa. È anzi in gioco il destino stesso dell’Europa, il cui indebolimento è fra le conseguenze di questa guerra.
La propaganda militarista in corso e l’informazione a senso unico spingono irresponsabilmente a soluzioni devastanti per il popolo ucraino e, con motivata preoccupazione, anche per altre nazioni.
Paragoni con episodi della passata storia europea sono inammissibili, sia per la mutata realtà geopolitica, sia perché viene sistematicamente dimenticata la minaccia nucleare.
Appellarsi alla retorica dell’onore e allo spettro del nemico non si addice agli uomini e alle donne del XXI secolo, che riconoscono questi slogan come strumenti di morte e di rovina nell’interesse di pochi.
Solo l’esercizio della politica e l’avvio di un processo costituente globale possono salvarci.
Il diritto alla pace è un diritto fondamentale di tutti gli esseri umani ovunque si trovino, e così pure lo è il diritto alla cittadinanza.
Che l’Italia, in virtù della sua Costituzione (art.10), dia prova concreta di costruzione della pace fra i popoli dando asilo e prospettando una​ possibilità di cittadinanza a tutti coloro che fuggono dalle guerre a cominciare dagli ucraini e dai naufraghi del Mediterraneo.
Un gesto dirompente di fratellanza umana e politica nella crisi armata di tutti i conflitti in corso.

Costituente Terra
Raniero La Valle; Luigi Ferrajoli; Domenico Gallo; Francesco Carchedi; Raul Mordenti; Paola Paesano; Grazia Tuzi; Marco Romani.
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Per la pace le Nazioni unite in seduta pubblica e permanente sull’Ucraina
Crisi Ucraina. Per l’art. 1 dello Statuto costitutivo la sua finalità è “mantenere la pace…e, a questo fine conseguire con mezzi pacifici la soluzione delle controversie internazionali”
Luigi Ferrajoli
Su il manifesto, EDIZIONE DEL 16.03.2022

Quando un bandito minaccia di sparare su una folla se non saranno accolte le sue richieste, o peggio ha già cominciato e continua a sparare, il dovere di quanti hanno il potere di farlo – in questo caso la comunità internazionale – è quello di trattare, trattare, trattare la cessazione della strage. Poco importa se il bandito sia considerato un criminale, o un pazzo, o un giocatore d’azzardo oppure un capo politico irresponsabile che non ha visto accogliere le sue giuste ragioni e rivendicazioni. La sola cosa che importa è la cessazione dell’aggressione e della strage degli innocenti.
Trattare è ciò che chiedono milioni di manifestanti in tutto il mondo allorquando domandano di “cessare il fuoco”: innanzitutto per porre fine alla tragedia dei massacri, delle devastazioni e della fuga di milioni di sfollati ucraini; in secondo luogo perché la continuazione della guerra non può che produrne un’escalation, fino alla sua possibile deflagrazione in una guerra mondiale nucleare senza vincitori e soltanto con sconfitti. Proprio i più accaniti critici di Putin non dovrebbero dimenticare che ci troviamo di fronte a un autocrate fornito di oltre seimila testate nucleari, e che l’insensatezza di questa guerra, anche dal punto di vista degli interessi della Russia, non consente di escludere ulteriori, apocalittiche avventure.
Ma chi ha il potere e, aggiungerò, il dovere di trattare? Forse ci stiamo dimenticando che esiste un’istituzione, le Nazioni unite, la cui ragione sociale e la cui finalità statutaria, dice l’articolo 1 del suo Statuto, è “mantenere la pace… e, a questo fine,… conseguire con mezzi pacifici e in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie internazionali”. Esiste dunque una responsabilità istituzionale della comunità internazionale di fare tutto ciò che è possibile fare per ristabilire la pace.
Non si tratta certo di mettere all’ordine del giorno la decisione di porre fine alla guerra, cui la Russia opporrebbe il suo veto.
Si tratta del dovere dell’Onu di fare tutto ciò che è possibile al fine di ottenere la pace. E ciò che è possibile, e perciò doveroso, è non lasciare la debole Ucraina a trattare da sola – prima o poi la resa – con il suo aggressore, bensì offrire i suoi organi istituzionali, l’Assemblea generale e il Consiglio di Sicurezza, come i luoghi e i soggetti della trattativa, convocati e riuniti in maniera permanente.
C’è insomma, come scrivemmo in un appello di “Costituente Terra”, il dovere della comunità internazionale di fermare la guerra a qualunque, ragionevole costo: dall’assicurazione che l’Ucraina non entrerà nella Nato all’autonomia, sulla base di un voto popolare nell’esercizio del diritto dei popoli all’autodeterminazione, delle piccole regioni dell’Ucraina russofone e russofile. E non c’è modo più efficace, per raggiungere un simile risultato, che riunire in seduta pubblica e permanente, finché non sia raggiunta la pace, gli organi supremi dell’Onu, per dar vita a un confronto nel quale tutti, a cominciare dalle maggiori potenze, dovranno assumersi le loro responsabilità di fronte al genere umano.
Sarebbe un’iniziativa eccezionale, senza precedenti, dotata di un enorme valore politico e simbolico, che varrebbe a segnalare la gravità dei pericoli che incombono sull’umanità e a impegnare tutti gli Stati del mondo a prendere sul serio il principio della pace stabilito dallo Statuto dell’istituzione della quale sono membri. Sarebbe un merito storico se a proporla fosse l’Italia, in omaggio al ripudio della guerra espresso dall’articolo 11 della sua Costituzione esattamente con le stesse parole appena ricordate della Carta dell’Onu. Ancor meglio sarebbe se a proporla fosse l’Unione Europea.
Potrebbe uscirne non soltanto la fine della guerra, ma anche una riflessione comune sulla necessità di rifondare il patto di convivenza pacifica stipulato, senza le necessarie garanzie, con la creazione dell’Onu. Il pericolo nucleare che stiamo correndo potrebbe quanto meno indurre i paesi che ancora non l’hanno fatto ad aderire al Trattato sul disarmo nucleare del 7 luglio 2017, già sottoscritto da ben 122 paesi, cioè da più dei due terzi dei membri dell’Onu.
Potrebbe, soprattutto, convincere gli Stati Uniti ad annullare il loro ritiro, deciso il 2 agosto 2019 dal presidente Trump, dal trattato del 1987 sul progressivo disarmo nucleare, e indurre tutti gli Stati dotati di armamenti atomici a riprendere questo graduale processo, fino al disarmo nucleare dell’intero pianeta.
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cost-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

Newsletter n. 69 del 23 marzo 2022

LA DIRETTA

Cari Amici,
“Presidente Zelensky, come ho avuto modo di manifestare al Presidente del Parlamento ucraino in una recente videoconferenza, confidiamo nell’efficacia del sostegno internazionale offerto con convinzione al suo Paese e incoraggiamo lo sforzo incessante della diplomazia come unica via d’uscita dal conflitto. Rinnovo dunque l’auspicio che l’azione sinergica nel perseguire una conclusione negoziale, favorita anche dalle occasioni di incontro come quella odierna, possa consentire all’Ucraina di ritrovare al più presto una prospettiva di pace e di libertà”.
Sono queste le parole con cui la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha dato inizio alla diretta televisiva del presidente Volodymyr Zelensky. È stata la sola a dirlo, quella mattina del 22 marzo scorso; secondo lei il negoziato è l’unica via, come anche noi diciamo in ogni forma educata possibile, e lo ha detto con vero sprezzo del pericolo perché come anche noi sappiamo fin dalla guerra del Vietnam, quando c’è una guerra tanto sentita e si dice che non c’è che il negoziato per uscirne, quanto meno si rischia il posto, perfino se si è cardinali.
Zelensky è stato molto lodato perché non ci ha chiesto le armi; non sappiamo se gli è stato fatto presente che non sarebbe stato gradito, ma in verità sarebbe stato un errore dal punto di vista professionale se in eurovisione ci avesse chiesto una cosa che già gli abbiamo dato, come subito dopo Draghi ha confermato, e come risulta dall’articolo di Antonio Mazzeo sulla partecipazione italiana alla guerra contro la Russia che pubblichiamo nel sito. È stato bravo anche ad evitare visioni apocalittiche, fatta eccezione per Genova e per l’idea di un Armageddon dove i popoli stessi sono gli eserciti della battaglia finale; ed è stato nel tema quando ha aggiunto di aver parlato col papa, che infatti il giorno prima aveva detto ai volontari che lottano per l’acqua che “destinare gran parte della spesa alle armi, vuol dire toglierla ad altro, continuare a toglierla ancora una volta a chi manca del necessario”, rendendo vano l’impegno che pur solennemente prendiamo “tutti insieme, a livello internazionale, nelle campagne contro la povertà, contro la fame, contro il degrado del pianeta” e, appunto, contro la crisi dell’acqua. “E questo è uno scandalo – aveva spiegato il papa – Si spende nelle armi per fare le guerre, non solo questa, che è gravissima, che stiamo vivendo adesso, e noi la sentiamo di più perché è più vicina, ma in Africa, in Medio Oriente, in Asia, le guerre, continue. Questo è grave. Bisogna creare la coscienza che continuare a spendere in armi sporca l’anima, sporca il cuore, sporca l’umanità. …. Sempre una guerra ti riporta all’indietro, sempre. Camminiamo indietro. Si dovrà ricominciare un’altra volta”.
Intanto il “Corriere della Sera” ha pubblicato le “cinque richieste russe” per un’intesa, e per fortuna tra queste non c’è la ricostituzione dell’Unione Sovietica, la riedizione dell’Impero di Pietro il Grande, l’installazione di un governo fantoccio a Kiev, il passaggio attraverso “il cancello” dell’Ucraina per conquistare la Polonia, e poi la Germania, l’Italia e tutta l’Europa, la distruzione dei valori occidentali di libertà e democrazia, cose tutte che erano state sospettate come obiettivo dell’aggressione; così l’accordo è più facile, per far cessare la tragedia che sta vivendo il popolo ucraino, a meno che non sia reso impossibile dalla rivendicazione ucraina della Crimea.
Per parte nostra speriamo che accogliendo il suggerimento cinese entrino in scena gli Stati Uniti, decidendosi alla pace, dato che “il compito di chi ha messo il sonaglio al collo della tigre è toglierlo” come ha detto Xi Jinping a Biden; tanto più che, come informa sempre il “Corriere della Sera” lo stesso 22 marzo, “gli Usa guidano le mosse degli ucraini” e partecipano al conflitto anche passando agli ucraini “coordinate precise, avvertimenti, dettagli” sicché “secondo alcuni analisti è possibile che numerosi attacchi di precisione” delle forze ucraine siano avvenuti “grazie alle imbeccate preziose arrivate da Washington”; mentre alla “ricognizione elettronica” partecipano “velivoli di diversi Paesi, Italia inclusa”, e “numerosi ufficiali russi caduti al fronte “ sarebbero stati centrati “dai cecchini locali addestrati in passato dai paramilitari della Cia”; se queste notizie sono vere, sarebbe fondata la tesi degli ucraini secondo i quali questa guerra è già la terza guerra mondiale, ragione di più per metterle fine.

Nel sito oltre all’articolo di Antonio Mazzeo e al discorso del papa, pubblichiamo degli “appunti” di Enrico Peyretti sull’indirizzo di Zelensky ai nostri parlamentari (350 assenti), un’analisi di Riccardo Petrella sui fattori geopolitici che stanno dietro alla crisi ucraina, una nota di Vincenzo Vita sulla disinformazione di guerra e un documento sulla trattativa di Costituente Terra con molte firme a cui se ne possono aggiungere altre al link https://chng.it/ZhLpMRdq. Segnaliamo anche tre articoli del “Manifesto”, uno del 16 marzo di Ferrajoli per un ruolo dell’ONU e uno di La Valle del 19 marzo per un negoziato Putin-Biden, che si aggiungono a quello di Domenico Gallo del 14 marzo per una nuova Helsinki, ciò a prova del fatto che molte sono le vie per mettere fine alla guerra.
Con i più cordiali saluti
Costituente terra www.costituenteterra.it
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PERCHÉ FARCI LA GUERRA INVECE DI PARLARCI DA UOMINI?
23 MARZO 2022 / COSTITUENTE TERRA / L’UNITÀ UMANA /
Spendere in armi sporca l’anima, sporca il cuore, sporca l’umanità. A che serve impegnarci tutti insieme, solennemente, a livello internazionale, nelle campagne contro la povertà. Uno scandalo non solo per la guerra attuale
Pubblichiamo il saluto rivolto lunedì 21 marzo 2022 da papa Francesco ai volontari dell’organizzazione “Ho avuto sete”.
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logo76Newsletter n. 254 del 23 marzo 2022

IL NEGOZIATO

Cari Amici, (segue)

Pace

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Newsletter n. 68 del 16 marzo 2022

NO NATO

Cari Amici,
un barlume di speranza si è aperto a seguito della dichiarazione del presidente Zelenski sul casus belli che ha portato lui e Putin a gettare l’Ucraina nella tragedia. Parlando alla Joint Expeditionary Force di Londra egli ha detto infatti a proposito della NATO: “Abbiamo sentito per anni parlare di porte aperte, ma abbiamo anche sentito dire che non possiamo entrarci, e dobbiamo riconoscerlo”. Lo ha detto dopo un messaggio che i presidenti di Polonia, Repubblica ceca e Slovenia gli hanno portato personalmente a Kiev da parte dell’Europa e, probabilmente degli Stati Uniti. Se si tratta di una vera rinunzia del regime ucraino ad aprire le porte alla NATO, è probabile che le ragioni che hanno spinto Europa e Stati Uniti a cambiare la loro scelta politica sulla guerra in corso siano state le sanzioni, che in tal modo si sono dimostrate efficaci contro di loro più o prima ancora che contro la Russia.
Nel sito pubblichiamo un’intervista a Riccardo Petrella con una sua analisi sulla crisi e i fattori che l’hanno determinata, un articolo di Domenico Gallo sulla possibile via d’uscita, e un messaggio proveniente dal segretario del movimento pacifista ucraino.
Con i più cordiali saluti.
www.costituenteterra.it
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LA NATO STA GIÀ IN UCRAINA
16 MARZO 2022 / COSTITUENTE TERRA / LE FRONTIERE DEL DIRITTO /
Usa la base di Yavoriv. Ci vuole una nuova Conferenza di Helsinki che rilanci la cooperazione e la sicurezza comune in Europa

Domenico Gallo

Scenari. Il conflitto ucraino assume ora la veste di un scontro diretto Russia-NATO per interposta Ucraina come dimostra l’attacco contro la base militare di Yavoriv, a 25 km dal confine polacco.

Siamo arrivati al ventesimo giorno di guerra d’aggressione all’Ucraina e ancora non sappiamo se e quando arriverà il cessate il fuoco. Quello che sappiamo è che ogni giorno, ogni ora di guerra semina fiumi di sangue e di lacrime, provoca morte, distruzioni e miseria. Col passare del tempo il conflitto diventa più feroce e rischia di espandersi.

L’attacco contro la base militare di Yavoriv, situata a 25 km dal confine polacco, ha spinto il conflitto ai confini della NATO ed ha evidenziato la presenza di personale militare straniero che collabora attivamente con le forze armate ucraine. La fornitura di armi da parte di paesi dell’Alleanza atlantica e la presenza di «addestratori», fa crescere il rischio di escalation del conflitto. La richiesta incessante del presidente Zelenski di istituire una no fly zone esprime un chiaro disegno di coinvolgere nel conflitto armato i Paesi europei e gli USA. Dal suo punto di vista è comprensibile perché è l’unica chance che potrebbe consentire all’Ucraina di sconfiggere un esercito invasore molto più potente.

Eppure gli stessi USA e i Paesi membri della NATO sono riluttanti a farsi coinvolgere direttamente nel conflitto armato poiché si rendono conto che in questo modo si innescherebbe la terza guerra mondiale. «Altro che vincere facile, in Iraq in Bosnia e Libia le superpotenze la adottarono contro Paesi di bassa capacità militare, lasciando poi solo miseria e instabilità. Proporla contro la Russia sarebbe una catastrofe», scrive il generale Fabio Mini. Così la via verso il disastro di una nuova guerra mondiale è aperta e ogni giorno che passa cresce il pericolo.

Basti pensare alla questione delle armi chimiche, come possiamo escludere che qualcuna delle parti non vi faccia ricorso per poi attribuirne la responsabilità alla controparte allo scopo di provocare un’ulteriore escalation del conflitto?

Un conflitto che sempre più assume la veste di un scontro diretto fra la Russia e la NATO per interposta Ucraina. In medicina si ritiene che fare la diagnosi giusta è il primo passo per la guarigione. Questo vale anche per la politica. Se non si guarda ai processi di logoramento delle relazioni internazionali e alla sfide che hanno preceduto, anche in senso causale, l’aggressione della Russia, non si hanno gli strumenti per fermare il massacro ed avviare un processo di ristabilimento della pace. Dobbiamo renderci conto che sia gli Stati Uniti, sia i principali Paesi dell’Unione Europea, fornendo le armi, stanno partecipando alla guerra contro la Russia, mostrandosi disponibili a combattere fino all’ultimo uomo (ucraino). Secondo Carl von Clausewitz, la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi.

Questo è quello che ha inteso fare Putin che, accecato da un delirio di potenza, ha cercato di tagliare con la spada il nodo dei conflitti politici e d’interesse che lo dividono dall’Ucraina. Così facendo ha infilato il collo dentro il cappio, consentendo a USA e Gran Bretagna di avviare una dura campagna contro la Russia, di isolarla dall’economia mondiale e logorarla militarmente, col proposito di trasformare l’Ucraina nel suo Vietnam. In realtà l’assioma di von Clausewitz si può rovesciare nel suo contrario: la politica può essere la prosecuzione della guerra con altri mezzi.

Purtroppo dobbiamo riconoscere che la politica condotta da Stati Uniti e Gran Bretagna di espansione ad est della NATO, fatta di continue sfide politiche e militari rientra in una competizione fra potenze in fondo alla quale c’è la capitolazione dell’avversario o la guerra. Non dobbiamo stancarci di chiedere il cessate il fuoco, però è evidente che non si potrà mai ristabilire la pace se non si pone mano alla soluzione dei nodi politici che hanno innescato la guerra.

Ci vuole una visione del futuro. Come la ebbero Churchill e Roosevelt che nel 1941 con la Carta Atlantica delinearono lo scenario di un nuovo ordine mondiale pacifico, ripreso nel 1945 dalla Carta delle Nazioni unite, che annunciava l’ambizione di liberare l’umanità dal flagello della guerra. È preoccupante, invece lo scenario che ci fanno intravedere i principali attori internazionali all’uscita da questa guerra: si prefigura un’Europa armata fino ai denti e divisa da una perenne ostilità. È impressionante il silenzio dell’Unione europea e dei principali Paesi europei su come risolvere le questioni politiche che hanno originato il conflitto ed è assurdo che non abbiano detto una parola sul tema della neutralità dell’Ucraina.

Si irrogano sanzioni sempre più dure e si rilancia la corsa agli armamenti con il riarmo della Germania, ma quale soluzione viene proposta per ricucire questa frattura dolorosa che si è aperta fra una potente nazione europea (la Russia) e le altre nazioni? Come si può favorire una trattativa che ponga fine alla guerra, se non si fa intravedere un futuro accogliente per tutte le nazioni europee, dall’Atlantico agli Urali, in cui la cooperazione prevalga sull’intimidazione e la sicurezza sia collettiva?

Si uscirà dalla guerra con una nuova Conferenza di Helsinki che rilanci la cooperazione e la sicurezza comune in Europa o si proseguirà la guerra contro la Russia con altri mezzi, cercando di metterla in ginocchio con le sanzioni, come si fece con l’Iraq, di sfiancarla con la corsa al riarmo e di rendere perpetua la nuova cortina di ferro? Quale futuro dobbiamo aspettarci? Dipende anche da noi.

Domenico Gallo
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UNA GUERRA CHE VIENE DA LONTANO
16 MARZO 2022 / COSTITUENTE TERRA / DISIMPARARE L’ARTE DELLA GUERRA /
L’immensa complessità di ciò che sta attorno alla guerra in Ucraina e la difficoltà di trovare una soluzione. Molti fattori precedenti all’esplosione del conflitto fra Russia e Ucraina. Intervista a Riccardo Petrella

Simone M. Varisco

La guerra in corso in Ucraina è una violenza inaccettabile. Si può dire il frutto di quasi un secolo di responsabilità incrociate, diffidenze reciproche, impegni disattesi e differenti interpretazioni delle relazioni internazionali. Eppure, per molti versi, è anche la conseguenza di un pensiero sorprendentemente comune ai due schieramenti: la guerra contro l’uomo. Fra aspirazioni imperiali, pace imposta con le armi e un mondo che sta cambiando. È «l’immensa complessità di ciò che sta attorno alla guerra in Ucraina e la difficoltà di trovare una soluzione».

Ne parlo con Riccardo Petrella, economista e politologo, professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio e dell’Accademia di Architettura di Mendrisio. Dal 1978 al 1994 ha diretto il programma FAST (Forecasting and Assessment in the Field of Science and Technology) alla Commissione delle Comunità europee a Bruxelles. Nel 1993 ha fondato il Gruppo di Lisbona e nel 1997 l’Associazione internazionale per il Contratto mondiale dell’acqua. È presidente dell’Institut Europeen de Recherche sur la Politique de l’Eau (IERPE) di Bruxelles e dell’Università del Bene Comune (UBC), fondata ad Anversa e poi in Italia e in Francia. È dottore honoris causa di 8 università in Svezia, Danimarca, Belgio, Francia, Canada e Argentina. Collabora, fra l’altro, con il Wall Street International Magazine ed è autore di pubblicazioni sull’economia e il bene comune.

Prof. Petrella, si è detto che questo conflitto è la continuazione di quello iniziato nel 2014. È davvero così?

La crisi russo-ucraina non è all’origine di tutto quello che sta succedendo. Ci sono ragioni obiettive per avercela con Putin, sia chiaro! Ma non è solo l’agire di Putin che è determinante in questa situazione. Ci sono tanti fattori precedenti all’esplosione del conflitto fra Russia e Ucraina. Dopo l’indipendenza dell’Ucraina, nel 1991, sono iniziate pressioni forti, locali e internazionali, soprattutto da parte di Stati Uniti ed Europa affinché l’Ucraina diventasse parte dell’economia occidentale e del sistema militare Nato. La crisi del 2014, con l’occupazione russa della Crimea e l’appoggio alla secessione – se si può dire così – delle province di Donetsk e Luhansk è una continuazione di qualcosa di molto più grande, di molto più lontano. L’attuale guerra in Ucraina non è, fondamentalmente, una guerra tra russi e ucraini. All’origine ci sono due grandi fenomeni, insieme ad un terzo raramente trattato dagli analisti.
Il primo è il grande errore commesso dagli Stati Uniti, dagli europei e da alcuni gruppi in Russia – gli amanti della visione pan-zarista di Putin – di non aver ascoltato quanto sostenuto nel 1991 da Michail Gorbaciov, cioè che il crollo dell’Unione sovietica non fosse avvenuto a causa della vittoria degli Stati Uniti o del capitalismo, bensì per ragioni interne, per una società mal strutturata, ingiusta, per un potere inegualitario ed oligarchico.
Il secondo fenomeno è lo scontro fra due “imperi”. Dopo la seconda guerra mondiale il mondo era governato da due grandi potenze: da un lato l’URSS, con la potenza militare e soprattutto la potenza ideologica, anche se in declino, e dall’altro gli Stati Uniti, con un’egemonia mondiale in tutti i campi. La Guerra Fredda era questo, l’opposizione fra due potenze mondiali imperiali. Con la crisi dell’URSS gli Stati Uniti hanno pensato di poter approfittare della debolezza della Russia per metterla fuori gioco sul piano della geopolitica e dei rapporti di potere mondiali. E da allora hanno fatto di tutto per ottenere questo. È chiaro, ormai, che la Nato non serve a difendere l’Atlantico. La Nato è uno strumento mondiale. Per gli Stati Uniti cedere sulla Nato, ritirarsi, è una bestemmia. Non lo faranno mai, se non obbligati.
Il terzo fenomeno: anche se non ne siamo sempre coscienti, c’è un profondo razzismo nella convinzione occidentale che sia “naturale” per la nostra società dominare il mondo. Noi pensiamo, come Churchill, che la democrazia, pur imperfetta, sia il sistema politico meno peggiore di tutti gli altri. Che la nostra democrazia sia the ultimate form, la forma definitiva di organizzazione politica buona, anche solo perché meno peggiore delle altre. Ogni altro sistema politico è dal nostro punto di vista antidemocratico, totalitario. “cattivo”. Spesso il “difendere la democrazia nel mondo” si traduce nel difendere il potere che rappresenta oggi il nostro sistema politico. Un’altra convinzione occidentale è che il capitalismo non sia buono, ma che non ci sia alternativa al capitalismo, al mercato, alla competitività, all’ineguaglianza. Finché queste due convinzioni regoleranno l’agire dei nostri governanti non ci sarà pace nel mondo. Sono idee talmente metabolizzate in noi, che ad esempio durante la pandemia abbiamo ritenuto ovvio non fidarci dei vaccini russi o cinesi, perché non fatti dalle nostre università, non fatti dalle nostre imprese. Ancora meno potremmo dare fiducia al prodotto di un popolo ritenuto da sempre soltanto sottomesso: i vaccini cubani. Ancora, non pensiamo che l’Africa o il Vicino Oriente siano luoghi dove possono emergere nuove idee, nuovi stili di vita, nuovi sistemi economici.

In effetti, è un fatto che in 8 anni di tensione non si è fatto abbastanza per evitare una nuova escalation. La sensazione è che gli organismi sovranazionali, a cominciare dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, siano incapaci di evitare l’innescarsi di conflitti armati e crisi umanitarie. È così?

Perché non si è fatto nulla per fermare i conflitti fra Russia e Ucraina, che sono anche antistorici rispetto alla storia plurisecolare dei due Paesi? Perché, per l’appunto, non è solo una questione russo-ucraina. Si tratta, invece, dell’accentuazione negli ultimi anni di quel conflitto fra due potenze imperiali, con esiti sempre più a favore degli Stati Uniti. Ricordiamo sempre il concetto tipicamente statunitense di peace through strength, pace attraverso la forza militare, secondo alcuni attraverso la guerra. Per questo non si è fatto nulla, soprattutto non ha fatto nulla l’Occidente, per evitare la guerra. I politici europei si sono dimostrati subalterni, senza una visione a lungo termine del loro ruolo, anche come Unione Europea.
Beninteso, non si è fatto nulla non solo da parte occidentale: Putin fa parte di quella categoria di russi che rimpiange il crollo dell’Unione Sovietica, non perché rimpianga il crollo di una società che si diceva socialista e comunista – e che invece era autocratica, classista e ineguale – ma perché l’URSS rappresentava, in certo senso, una continuità con la Grande Russia, la Madre Russia, la Russia messianica, la Russia dell’ortodossia, della tradizione slava, dello zarismo. Da parte sua, Putin non può permettersi un ulteriore indebolimento.

Dal canto loro, Nato e Unione Europea non hanno trovato di meglio che armare uno dei due contendenti, l’Ucraina. Da un lato, è evidente l’intenzione di circoscrivere il conflitto ad una “trincea” lontana dal cuore dell’Europa, dall’altro la presunta soluzione non può che suscitare interrogativi. Con tutte le differenze del caso, non si può fare a meno di pensare all’Afghanistan di Osama Bin Laden e del Maktab al-Khidmat o all’Iraq del regime baathista di Saddam Hussein contro i Curdi iracheni e l’Iran. Come la vede?

In Ucraina si fa fare ad altri la guerra, così come si è fatta fare ad altri in Iraq, in Afghanistan, in Vietnam e nelle decine di altri interventi militari diretti o indiretti in America Latina, secondo la dottrina Hoover di America is ours, tutta l’America è nostra. Il pericolo è che, in fondo, sia World is ours, il mondo intero è nostro. Per questo, oggi, dobbiamo avere paura tanto di Putin come degli europei occidentali e degli Stati Uniti. L’invio di armi è una pazzia, una follia. Sanno benissimo che questo metterà alle corde Putin e lo costringerà a continuare ad essere presente in Ucraina. Armare gli ucraini significa anche creare l’accadibilità dell’incidente nucleare.
Spero che per gli Stati Uniti non sia il colpo di coda del coccodrillo ferito, che sta morendo. Trump è quello: un “visionario” alla Putin, che rimpiange la perdita del potere egemonico degli Stati Uniti. La forza imperiale statunitense non è più così forte come lo era all’epoca della Guerra Fredda, sia per motivi interni sia per l’opposizione di altri Paesi e soprattutto per l’emergere della Cina, una potenza certamente ambigua, ma che dà fastidio soprattutto sul piano economico.

Alcuni analisti hanno indicato il presidente russo Putin come psicologicamente instabile e più di una volta le dichiarazioni del presidente ucraino Zelensky sono sembrate sopra le righe. C’è molta propaganda da ambo le parti, ma la situazione non fa ben sperare. Sono elementi che hanno un peso in questa guerra?

Qualche giorno fa ho ascoltato il ministro dell’Europa e degli affari esteri francese, Jean-Yves Le Drian, che ha detto sorridendo che “soffocheremo” l’economia russa. Ridendo, come se parlasse di un gioco. Far morire economicamente la Russia significa condannare 144 milioni di persone. È pazzia, pazzia “sana”, non malattia. Si punta ad ottenere la morte economica e militare della Russia e l’inabilitazione della Cina a continuare la sua crescita sul piano economico. Biden, come Trump, vuole la fine della Russia. Biden, come Trump e come gli europei occidentali, vuole l’indebolimento della Cina.
Siamo educati a pensare ad un nemico: oggi la Russia di Putin, ieri l’Unione Sovietica, i movimenti islamisti. E già si delinea il nemico del futuro, la Cina, considerata un “rivale sistemico” dall’Unione Europea. Con in parte delle verità, in questo, ma dev’essere chiaro il motivo per cui siamo educati a questo pensiero: difendere l’egemonia dell’Occidente. Noi occidentali crediamo che il nostro potere, la nostra supremazia mondiale siano un fatto naturale, inevitabile, giusto e buono. Ogni minaccia alla mono-supremazia del mondo occidentale, e in particolare degli Stati Uniti, diventa il nemico.

Da una pandemia globale ad una guerra che rischia di esserlo. In entrambi i casi, al di là della retorica, sembra mancare una risposta comunitaria, realmente condivisa, agli eventi. Ci sono aspetti che accomunano queste due tragedie?

Intanto, l’economia oggi spesso si traduce in guerra. L’economia dominante, il capitalismo di mercato ad alta tecnologia e ad alta finanziarizzazione, è sostanzialmente un’economia di dominio, un’economia di potenza, dell’ineguaglianza, un’economia della guerra: guerra per conquistare il mercato dei vaccini, guerra per la proprietà e i brevetti, guerra per conquistare il mercato delle intelligenze artificiali. Viviamo un continuo stato di guerra: i contadini ai quali a decine e decine di migliaia nel mondo è sottratta la terra o i lavoratori ai quali è tolta l’occupazione sono vittime della guerra dell’economia contro di loro.
La totale digitalizzazione della nostra società è anch’essa una guerra, una guerra contro gli esseri umani. C’è una grande priorità, teorica e pratica, in molte attività scientifiche e tecnologiche oggi: l’autonomizzazione dei sistemi artificiali. Si arriverà al dominio degli esseri umani attraverso il dominio delle macchine? La tecnologia non potrà che aumentare le guerre di potere. Il militare, oggi, è tecnologie di reti e gestione dei dati, come l’economia.
E poi c’è l’individualismo. Putin, anche se non è vero, è considerato “comunista”. E noi, società occidentale, siamo fondamentalmente educati all’interesse individuale, all’io, non al noi. Lo si vede con la guerra e lo si è visto con la pandemia: il principio multilaterale non funziona. È un fallimento, solo che è difficile andare al di là del multilateralismo. Lo si vede con il Consiglio di Sicurezza: anche allargato è impotente.
Questo per dire l’immensa complessità di ciò che sta attorno alla guerra in Ucraina e la difficoltà di trovare una soluzione. Per questo dobbiamo favorire tutte le forme di trattativa: se quelle attualmente in corso falliranno, si dovrà ricominciare fino ad arrivare ad un cessate il fuoco. Dobbiamo preservare il concetto di trattativa, vivo e forte. C’è una speranza se continuano le manifestazioni in tutte le città. Non solo contro Putin: contro Putin, contro gli Stati Uniti, contro il regime capitalista e l’occidentalismo individualista ed esclusivista.

Da politologo, come interpreta l’atteggiamento finora mostrato da papa Francesco? Si condanna il peccato – la guerra – ma non si vuole interrompere il dialogo con i molti “peccatori” di questo conflitto?

Papa Francesco è una delle poche personalità al mondo che sia a livello istituzionale che per sue scelte personali sta tentando di fare ciò che può. Non possiamo attribuire al Papa poteri che non può avere. Può tentare di sensibilizzare un miliardo di cattolici, peraltro non tutti praticanti. E certo non può mobilitarli come fosse una polizia politica. Ma ha un enorme potere morale e di influenza. Spero che nella Chiesa cattolica si spinga sempre di più per le trattative. Lì papa Francesco può giocare un ruolo molto importante. Non parla per i propri interessi, gli altri sì e si accusano a vicenda di essere miscredenti. Papa Francesco è tra le poche persone che non sta parlando con la testa in mano né con il cuore in mano, ma con l’umanità in mano.

14 Mar 2022

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Costituente Terra per la Pace universale

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Newsletter n. 67 dell’11 marzo 2022

SOTTO I CIELI DELLA GUERRA

Carissimi,
siamo arrivati al sedicesimo giorno di guerra e ancora non sappiamo se e quando arriverà il cessate il fuoco. Quello che è certo è che il linguaggio della guerra si fa sempre più duro e coinvolge l’opinione pubblica, i media e la cultura ancor più che i governi che da questa e dall’altra sponda dell’Atlantico reagiscono agli eventi. La reazione prevalente non è quella della condanna della Russia per aver sollevato l’ascia di guerra che la Carta dell’ONU voleva definitivamente sepolta, ma quella della partecipazione al conflitto, sia pure con mezzi diversi dal ricorso alla violenza bellica.
I giornali e le TV hanno indossato l’elmetto e arruolano l’opinione pubblica in una guerra di parole contro il nemico, mentre i governi studiano sanzioni sempre più pesanti per affondare l’economia e isolare la Russia dal resto del mondo.
Il governo italiano, adeguandosi a decisioni prese altrove, ha (non solo simbolicamente) arruolato il nostro Paese nella guerra, decidendo la fornitura di armi letali (il cui elenco è stato rigorosamente secretato) all’Ucraina. L’invio di armi ad un Paese in guerra è una violazione della neutralità. In effetti sia gli USA, sia i principali Paesi dell’Unione Europea, fornendo le armi, stanno partecipando alla guerra contro la Russia, mostrandosi disponibili a combattere gli invasori fino all’ultimo uomo (ucraino). Il Presidente Zelensky, nei suoi continui collegamenti video con l’Occidente, l’ultimo con il Parlamento inglese, ricattandoci con le sofferenze del suo popolo ed esaltandone la volontà di resistenza sino all’estremo, cerca di coinvolgerci direttamente nello scontro armato chiedendo che la NATO istituisca una “no fly zone” sui cieli dell’Ucraina. Vale a dire che si impegni in una guerra aerea con l’aviazione della Russia. La via verso il disastro è aperta, se avessimo seguito i consigli di Zelensky la terza guerra mondiale sarebbe già scoppiata. Non è ancora successo, ma siamo ancora seduti sull’orlo dell’abisso.
Secondo Carl von Clausewitz, la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi. Questo è quello che ha inteso fare Putin, cercando di tagliare con la spada il nodo dei conflitti politici e d’interesse che lo dividono dall’Ucraina. Però questo assioma si può rovesciare nel suo contrario: la politica può essere la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Nel suo articolato saggio pubblicato su Limes il generale Fabio Mini spiega con dovizia di particolari che la guerra non solo era prevedibile, ma era anche prevenibile. Non si è voluto fare niente per prevenirla, anzi fino all’ultimo non si è arretrato di un passo sul principio “non negoziabile” della libertà dell’Ucraina di scegliersi le alleanze che vuole, né si è fatto nulla per fermare le continue violazioni della tregua nel Donbass. Non dobbiamo stancarci di chiedere il cessate il fuoco, però è evidente che non si potrà mai ristabilire la pace se non si pone mano alla soluzione dei nodi politici che hanno innescato la guerra. Ci vuole una visione del futuro. Il 14 agosto del 1941, quando le armate naziste dilagavano dall’Atlantico agli Urali, il Presidente degli Stati Uniti, Roosevelt e il primo ministro inglese Churchill sentirono l’esigenza di tracciare un nuovo scenario prefigurando il mondo che sarebbe venuto fuori dopo la guerra. Per questo rilasciarono una dichiarazione comune, nota come Carta Atlantica, che preconizzava un nuovo ordine mondiale pacifico e divenne la base per la nascita dell’ONU.
Quale futuro ci prefigurano il riarmo della Germania e l’accanimento di USA e GB per l’irrogazione di sanzioni sempre più soffocanti nei confronti della Russia? In particolare continueranno le continue provocazioni allo scontro della Gran Bretagna, volte ad annullare il ruolo internazionale dell’Unione Europea e a destabilizzare l’Euro?
Si uscirà dalla guerra con una nuova Conferenza di Helsinki che rilanci la cooperazione e la sicurezza comune in Europa o si proseguirà la guerra contro la Russia con altri mezzi, cercando di metterla in ginocchio con le sanzioni, come si fece con l’Iraq, di sfiancarla con la corsa al riarmo e di rendere perpetua la nuova cortina di ferro?
Quale futuro dobbiamo aspettarci? Dipende anche da noi.
Nel sito pubblichiamo oltre un estratto dell’articolo del generale Mini (“La via verso il disastro”), un articolo sull’impatto delle sanzioni e un altro di Vincenzo Vita sulla censura di guerra.
Con i più cordiali saluti
www.costituenteterra.it (Domenico Gallo)
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Newsletter n. 252 dell’11 marzo 2022

APOLOGIA DELLA GUERRA

Carissimi,
Dopo sedici giorni di guerra si fanno rare le speranze (ma spes contra spem bisogna sempre sperare) di un’uscita non catastrofica dalla crisi per il futuro del mondo. Vince il più forte: ma il più forte non è la Russia, perché il suo Nemico non è l’Ucraina, ma sono gli Stati Uniti e il rapporto di potenza (secondo i dati del SIPRI) è di 66 miliardi e 838 milioni di dollari di spesa militare della Russia contro 766 miliardi degli Stati Uniti, 1.103 miliardi di tutta la NATO mentre alla Germania si consente di superare il vincolo del 2 per cento del PIL che le era stato imposto dopo Hitler. La vera guerra che si sta combattendo è infatti tra queste Potenze e a vincere è la vittima creata da loro, l’Ucraina, che si è sentita la più forte grazie alla solidarietà che le è stata offerta da tutti; ma questa, abilmente gestita dal complesso militare-mediatico dell’Occidente e dall’esperto regista e attore televisivo che dell’Ucraina è diventato il presidente, si è risolta in una unanimità violenta che ha eletto la Russia come unico Nemico. Il crimine di guerra (la guerra come crimine) commesso da Putin passando il Rubicone dei confini con l’Ucraina, anche se per impedirle di installarvi la NATO, si è ritorto contro di lui, che non ha capito come in tal modo avrebbe fatto scattare una facile identificazione con il più debole aggredito, da parte degli attori non protagonisti del dramma e di tutti gli spettatori che lo fanno a buon mercato. “Gli ucraini combattono anche per noi”, titola il Corriere della Sera riprendendo la teoria del domino che fu usata dagli Stati Uniti per esaltare la guerra del Vietnam che insieme al dittatore golpista di Saigon dicevano di combattere per evitare che, Stato dopo Stato, tutto il mondo diventasse comunista; l’identificazione sollecitata dal giornale milanese non è peraltro solo con le vittime, ma con i “coraggiosi combattenti” che al posto nostro riscattano “il pacifismo istintivo, puerile, miope, ipocrita, egoista” al quale si sarebbe ridotto l’Occidente europeo che ha “smarrito il senso della lotta” e se ne sta seduto a guardare la televisione. Un’apologia della guerra in piena regola.
Tutto ciò avviene nel quadro di una guerra mondiale virtuale (“a pezzi” come da tempo diagnosticata dal Papa) giunta sulla soglia di diventare reale e totale. Questo rischio è all’origine del panico e del coinvolgimento generale che, al di là delle propagande, questa guerra suscita nell’opinione pubblica, al contrario di quanto fanno o hanno fatto altre guerre trascurate o ignorate nelle quali altre vittime sono sacrificate, e piangono e soffrono, altri bambini si perdono, popoli negati combattono – ci voleva un generale, Mini, per ricordarcelo – e altre guerre provocano fuggiaschi e profughi poi discriminati e respinti non meno di questa.
Questo rischio è stato spregiudicatamente assunto come se si fosse giunti al giudizio finale nel conflitto apertosi dopo la guerra fredda per decidere l’assetto del potere nel futuro del mondo . L’Ucraina ha rivendicato la libertà di mettercisi in mezzo per prima, gli Stati Uniti hanno deciso di approfittarne e di correre questo rischio perché paradossalmente hanno fatto conto sul fatto che Putin, da loro definito “un killer” e dagli altri considerato pazzo, riesumatore dell’Unione Sovietica e uno zar aspirante al trono di Pietro il Grande, sarebbe stato tuttavia ancora umano e non avrebbe fatto ricorso all’arma nucleare. Speriamo che così sia. Ma il rischio è che l’uscita dalla guerra in corso sia comunque catastrofica, se non per l’uso della bomba, perché il dominio del vincitore estendendosi a tutto il mondo (chi non ricorda il progetto del “nuovo secolo americano”?) per lungo tempo impedirebbe la pace e la giustizia sulla terra, che è anche l’ultimo tempo utile per salvarla scongiurandone il collasso politico, climatico e ambientale.
Ma, appunto, “speriamo contro ogni speranza”, secondo il detto paolino ripreso da La Pira per auspicare da Firenze, dopo l’elezione di papa Giovanni, un futuro di pace e fraternità ecumenica per tutto il mondo.
Nel sito pubblichiamo il grido di dolore di papa Francesco all’”Angelus”, un articolo sull’impatto delle sanzioni sulle persone più deboli e un altro che illustra precedenti e conseguenze della guerra in Ucraina.
Con i più cordiali saluti

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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Che succede? Che succederà!

0b34b23c-85ab-4a5c-9ed8-f2d8a23d3596Conseguenze economiche e finanziarie della guerra in Ucraina
Vincenzo Comito su Sbilanciamoci!
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7 Marzo 2022 | Sezione: Apertura, Mondo
Nel reticolo di interessi dato dalla globalizzazione non è semplice definire chi è destinato a guadagnare e chi a perdere dalla guerra. Alcuni elementi però iniziano a delinearsi: l’Europa ha da perderci più di chiunque altro. E la Russia viene costretta a una alleanza più stretta con la Cina.

Questo articolo non vuole coprire tutte le tematiche economico-finanziarie legate alla guerra in Ucraina e alle sanzioni occidentali, ma guardare soltanto ad alcuni dei temi relativi, con particolare riferimento al ruolo della Cina nella crisi e, in misura minore, alle possibili conseguenze del tutto per il quadro europeo. Parte delle note che seguono, vista anche la situazione di grande confusione in atto e l’urgenza di informare, saranno dunque soggette a imprecisioni ed incertezze.

E’ ben noto che con le guerre c’è sempre chi ci guadagna, anche molto e nel nostro caso faranno certamente salti di gioia i produttori di armi (anche noi ne abbiamo qualcuno; così, mentre la Borsa italiana crollava, il titolo Leonardo guadagnava il 15%). Macron ha già dichiarato che i 50 miliardi di euro stanziati in bilancio dalla Francia per il 2022 non bastano più, mentre, il cancelliere Scholz ha annunciato la creazione di un fondo di 100 miliardi di euro per il settore della difesa; attendiamo con impazienza un qualche annuncio italiano in proposito. Intanto partono dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti grandi carichi militari per l’Ucraina. Non mancheranno certo di arricchirsi anche i trader di prodotti energetici e agricoli, nonché di qualche minerale, oltre che, come sempre, gli speculatori di Borsa.

Un difficile equilibrio

Anche se le opinioni in merito divergono molto, la Cina per alcuni aspetti potrebbe essere danneggiata dagli avvenimenti, mentre per altri forse risulterà avvantaggiata. Il bilanciamento tra i due punti dipenderà molto da come si metteranno le cose in futuro.

Il paese asiatico si trova in una situazione molto complessa e delicata. E’ noto come Pechino sia molto amica di Mosca, mentre meno noto è che essa intrattiene rapporti cordiali anche con l’Ucraina, essendo, tra l’altro, il primo paese importatore ed esportatore del paese europeo ora invaso, che ha anche aderito al progetto di nuova Via della Seta. Sullo sfondo c’è anche il rapporto con gli Stati Uniti, che minacciano sanzioni se la Cina aiuterà la Russia.

Il governo cinese ha dichiarato a più riprese di essere favorevole ad un meccanismo di sicurezza europeo “equilibrato”, sottolineando come appaia necessario rispettare le legittime preoccupazioni in materia di sicurezza di tutti i paesi (compresa quindi, è sottinteso, la Russia), ma nello stesso tempo ha sottolineato come bisogna anche rispettare l’integrità territoriale di tutti i paesi (compresa quindi l’Ucraina). Ricordiamo che la Cina non si intromette in generale negli affari interni di altri paesi, accusando invece i paesi occidentali di farlo continuamente.

Quindi la Cina cerca di sostenere un ruolo di moderatore, è per una soluzione negoziale del conflitto (la stessa Ucraina le ha chiesto di provare ad aiutare il processo) e cercherà di spingere i due contendenti a trovare un’intesa, mentre ancora non è chiaro quale sia alla fine il suo reale potere negoziale. In ogni caso Pechino si trova, come al solito e ormai da tempo, al centro della scena suo malgrado e lo sarà presumibilmente ancora di più in un prossimo futuro.

Russia-Cina: un matrimonio di convenienza e le analogie con il caso iraniano

Le apparentemente dure sanzioni Usa ed europee spingono necessariamente la Russia, come è già stato scritto, nelle braccia della Cina, anche se non è assolutamente chiaro, viste anche le minacce statunitensi e i tentativi di equilibrismo dello stesso paese asiatico, dove tale alleanza potrà arrivare operativamente e quanto la Cina vorrà e potrà fare.

Intanto le sanzioni incideranno certamente sul livello del Pil del paese. L’Iran, sottoposto a suo tempo alle sanzioni di Trump, in un primo tempo – nel 2018 e 2019 – ha visto il suo Pil pro-capite scendere del 15%, il che non è poco per un paese non sviluppatissimo, mentre l’inflazione è andata alle stelle. Poi l’economia non è collassata e si è stabilizzata ad un nuovo livello. Teheran ha continuato, tra l’altro, a esportare ogni giorno 1 milione di barili di petrolio grazie alla Cina e ad altri paesi. Un destino in qualche modo simile si potrebbe configurare per il caso russo. Qualcuno prevede per quest’anno e per la Russia una caduta del Pil in qualche modo inferiore a quella dell’Iran e che si dovrebbe aggirare intorno al 7-9%, mentre il livello di inflazione potrebbe raggiungere, secondo alcune agenzie economiche, il 17%.

Quello tra la Russia e la Cina appare in ogni caso un matrimonio di convenienza (i due paesi non si amavano troppo, tradizionalmente), un legame nel quale i rapporti di forza sono comunque tutti a favore del secondo attore citato, che possiede una forza economica dieci volte più grande di quella russa e un livello tecnologico e finanziario almeno altrettanto superiore, anche se in alcuni settori le tecnologie russe non sono certo trascurabili. Per altro verso si tratta però di due economie complementari.

La situazione nei vari comparti

Sul piano finanziario l’esclusione sia pure parziale dalla rete swift, considerata “l’arma nucleare” dal punto di vista finanziario, non può che portare la Russia a inserirsi nella rete autonoma cinese, la Cips, che stentava a decollare e che potrebbe ora trovare nuova linfa. La crisi potrebbe anche contribuire ad aumentare gli sforzi cinesi di rendersi sempre più autonomi dal dollaro, attivando tra l’altro ancora più velocemente il renmimbi virtuale. Ma si tratta di uno sforzo di lunga lena, che necessita tempo per essere portato a compimento. Intanto la moneta cinese continua in questi giorni a rivalutarsi contro tutte le aspettative, mentre ovviamente aumenta il suo ruolo.

Ricordiamo che l’UE è il principale partner commerciale della Russia, con quest’ultima che esporta quasi tre volte tanto verso la UE che verso la Cina, anche se gli accordi tra i due paesi mirano a portare presto l’interscambio a 250 miliardi di dollari all’anno contro i 147 miliardi del 2021.

L’Ue è oggi il principale acquirente del gas russo, anche se proprio in queste settimane Cina e Russia si sono messe d’accordo per la costruzione di un nuovo gasdotto che porterà il gas in Cina dagli stessi giacimenti da cui esso parte oggi per l’Europa.

Come la Russia se la potrebbe cavare con l’aiuto della Cina

Le entrate derivanti dalla vendita del gas in Occidente non sono certo trascurabili, ma la Russia continuerà a vendere il suo gas e il suo petrolio anche in molti altri paesi del mondo. Di fatto, nonostante diverse dichiarazioni contrarie, tra cui anche quelle della sempre meno credibile Ursula von der Leyen, l’UE non può fare a meno del gas russo, se non in un’ottica di medio termine e gli Stati Uniti non sono in grado di sostituirlo.

Ricordiamo incidentalmente che l’Occidente non è il mondo e che molti Stati in Asia, Africa, America Latina non hanno condannato l’invasione dell’Ucraina, o lo hanno fatto in modo blando. Per quanto riguarda direttamente la Cina, essa può assorbire, volendo e potendo (ricordiamo sempre le minacce Usa), grandi quantità di prodotti energetici.

La Russia possiede inoltre, tramite la sua banca centrale e una banca di sviluppo, circa 140 miliardi di dollari in obbligazioni del paese asiatico, circa un quarto delle sue riserve valutarie, denaro che può utilizzare per far fronte alle sue necessità. I giornali raccontano che presso le filiali moscovite delle banche cinesi già centinaia di imprese russe sono arrivate chiedendo di aprire dei conti in yuan, mentre diverse imprese dello stesso paese cominciano ad accettare pagamenti nella stessa valuta. Si racconta di una fabbrica di cioccolato russa che ha esaurito le sue scorte grazie all’acquisto on-line da parte di cinesi che simpatizzano per la causa del paese amico. E ora anche un’impresa ucraina di cioccolato sta cercando di fare lo stesso tipo di operazione, ma i giornali non dicono se e con quale successo.

In questi giorni gli scambi commerciali procedono abbastanza regolarmente nei due sensi, con qualche eccezione: alcune imprese cinesi che hanno incorporato nei loro prodotti componenti statunitensi, si stanno ritirando dalla Russia (vedi il caso Lenovo).

Va segnalato che molti investitori cinesi si stanno precipitando ad acquistare titoli azionari di una decina di imprese del loro paese che hanno rapporti d’affari rilevanti con la Russia, nell’aspettativa di un aumento delle attività tra Mosca e Pechino. Una scelta azzardata? Il valore di tali titoli per il momento sta salendo fortemente.

Va poi registrato che la grande banca AIIB, formata a suo tempo su iniziativa di Pechino per fornire finanziamenti a progetti nei paesi emergenti, della quale i tre principali azionisti sono Cina, India e Russia, con la Russia che dunque in teoria giocherebbe in casa (anche l’India è un paese amico), ha sospeso per il momento le operazioni per quanto riguarda i finanziamenti a Russia e Bielorussia, ma non all’Ucraina. La mossa, giustificata ufficialmente con l’aumento del rischio di credito, non ha alcun effetto pratico, perché in questo momento non c’è nella sostanza in ballo nessun progetto importante, ma segnala una certa attenzione e un certo messaggio del paese del dragone. La notizia potrebbe servire alla Cina per rimarcare come ci sia un’autonomia della banca rispetto al paese asiatico e sempre della Cina rispetto alla Russia.

Aspetti della situazione economica dell’Europa dopo lo scoppio della guerra

Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’UE ha mancato sul piano politico l’ennesima occasione per mostrare una sua voce autonoma rispetto a quella degli Stati Uniti, anzi ha indicato a tratti un volto persino più oltranzista, nonostante a Bruxelles ci sia un clima di grande preoccupazione per le forniture di gas e di petrolio. Le centrali a carbone europee hanno ancora oggi un ruolo chiave per assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti del continente. Nel breve termine non si saprebbe come sostituire il carbone russo con quello proveniente da altre fonti. Intanto le fabbriche di auto europee, soprattutto quelle tedesche, si devono fermare perché mancano i cavi elettrici, prodotti in Ucraina. Di queste imprese, la più importante impiegava 7.000 persone. Tale difficoltà si aggiunge alla chiusura delle fabbriche di auto europee in Russia, mentre continua la carenza di semiconduttori.

Per quanto riguarda i minerali, segnaliamo in particolare il caso del palladio, di cui la Russia produce il 40% del totale mondiale e i cui prezzi sono aumentati di quasi il 50% da gennaio ad oggi (il metallo è utilizzato anche in Europa nella produzione dei catalizzatori delle marmitte delle auto a benzina, nonché in quella dei semiconduttori). I due paesi sono produttori importanti anche di altri minerali e gas importanti, utilizzati nella produzione di chip, smartphone e veicoli elettrici. L’Ucraina vende in particolare circa il 90% del gas neon usato in particolare negli Stati Uniti per la produzione di semiconduttori. Sempre l’Ucraina produce il 40% del kripton, altro gas raro. Anche i prezzi di alluminio e nickel, di cui la Russia è un importante produttore, appaiono sotto tensione.

La Russia e l’Ucraina sono poi grandi produttori ed esportatori di cereali. C’è da ricordare che, con i processi di riscaldamento climatico, la Russia in un paio d’anni ha sviluppato prodigiosamente i suoi raccolti e oggi è il primo produttore ed esportatore mondiale di grano, mentre l’Ucraina non è da meno. I due paesi rappresentano oggi il 30% degli scambi mondiali e da quando è scoppiata la guerra i prezzi, che erano già prima in rilevante salita, sono aumentati intorno al 40%, anche perché le esportazioni dai due paesi in guerra verso l’Europa e verso anche gli altri continenti appaiono bloccate. Anche ammesso che il mercato possa reggere il colpo grazie alle riserve, la riduzione delle consegne da parte dei due paesi belligeranti sta portando i prezzi dei cereali alle stelle. I francesi si preoccupano già per la loro sacra baguette, mentre si scopre che l’Italia importa ogni anno il 50% del suo consumo di grano tenero e il 40% di quello duro (una volta almeno, la pasta si faceva nel nostro paese con il grano dell’Est). Incidentalmente si può segnalare infine il fatto che l’Ucraina è anche il più grande mercato nero di armi in Europa.

A parte ciò, il Vecchio continente è destinato in ogni caso a perdere parecchio in questa crisi.

Appendice

Note su inflazione e recessione

Le conseguenze della crisi ucraina sull’economia globale potrebbero ovviamente essere molto rilevanti.

I primi mesi del 2022 non segnano un raffreddamento del tasso di inflazione in Occidente, ma anzi registrano una sua crescita ulteriore, anche se va comunque sottolineato che le ragioni dell’aumento dei prezzi sono in parte diverse tra Stati Uniti e UE. In febbraio nella UE essa ha raggiunto il 5,8% e si pensa che essa potrebbe superare il 7% da qui alla fine dell’anno se il conflitto dovesse durare. In particolare, come abbiamo già sottolineato, i problemi toccano i prodotti energetici, le altre materie prime e i cereali, cui si aggiungono ovviamente il panico e la speculazione, oltre forse all’ulteriore aggravamento delle questioni logistiche.

In questi giorni il prezzo del gas ha così raggiunto i 200 dollari per megavattora, mentre il petrolio è ormai oltre i 110 dollari sempre al barile e mentre i prezzi del carbone sono aumentati in poco tempo del 42% e quelli del grano del 38,6% in una sola settimana. Tra l’altro si vanno fermando in Europa fonderie, acciaierie ed altre imprese in settori energivori. Ricordiamo poi, come aggravante, che l’euro si va indebolendo contro il dollaro e che quindi i prezzi, che sono normalmente espressi in dollari, risulteranno alla fine nei paesi dell’euro ulteriormente in salita.

I prossimi aumenti dei tassi di interesse negli Stati Uniti dovrebbero avere presumibilmente l’effetto di portare ad un calo nelle quotazioni delle Borse, alimentate a suo tempo dal denaro facile. Ma si teme e a ragione soprattutto per quelle europee, che hanno peraltro già preso una china pericolosa, mentre in tale situazione quanto potrà resistere la BCE nel tenere i tassi di interesse fermi? Ad un certo punto, come afferma qualcuno, le banche centrali potrebbero preferire causare una recessione piuttosto che perdere la battaglia contro l’inflazione.

Ci si può così chiedere comunque se seguirà anche una forte caduta dell’economia. Molto dipenderà dalla durata della guerra e dai risvolti economici e politici della stessa. In ogni caso per il 2022 si può prevedere come minimo una forte riduzione dei tassi di crescita se non una vera e propria recessione in Occidente, in particolare in Europa, recessione che appare comunque sempre più probabile man mano che passano i giorni e i complessi fili che legano tra di loro tutte le economie si dipanano. In ogni caso gli Stati Uniti sembrano più protetti con il loro isolamento geografico, l’abbondanza delle risorse energetiche, il relativamente basso livello di scambi commerciali con il resto del mondo. Molto più gravi i problemi in Europa.

Cosa succederà ai salari? Nel 2021 in tutti i paesi del G-7 essi sono rimasti, ed anche di molto, indietro rispetto all’inflazione, mentre molti “esperti” economici, a cominciare dal governatore della Banca d’Inghilterra, chiedono moderazione ai sindacati, mentre non fanno lo stesso con le imprese.

Una situazione molto complicata e dagli esiti imprevedibili.

Che succede?

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costituente-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

Newsletter n. 66 del 5 marzo 2022

TRATTARE, TRATTARE, TRATTARE

Care amiche ed amici,
«È un dovere della comunità internazionale fermare la guerra a qualunque costo. La sola cosa che conta è la cessazione del fuoco e della strage degli innocenti. È necessario trattare, trattare, trattare per giungere alla pace. Oggetto di questa trattativa non può non essere l’assicurazione che l’Ucraina non entrerà nella NATO, la cessazione delle sanzioni economiche, l’accettazione della Crimea russa e, nel rispetto del diritto dei popoli all’autodeterminazione, il riconoscimento, sulla base di un voto popolare, dell’autonomia delle piccole regioni secessioniste russofone o russofile.
Il dovere di trattare è in questo caso assolutamente urgente, anche perché la guerra può degenerare e allargarsi all’intera Europa. Non dimentichiamo che chi ha iniziato a sparare è un autocrate che dispone di armamenti nucleari, e che proprio l’insensatezza imprevedibile e imprevista della sua iniziativa, rende possibili gli scenari più spaventosi di una possibile terza guerra mondiale. I soggetti e la sede della trattativa devono essere anzitutto gli organi dell’ONU che hanno come compito istituzionale di garantire la pace e fronteggiare le minacce di guerra: dunque l’Assemblea generale e, soprattutto, il Consiglio di Sicurezza. Il dovere di questa iniziativa ricade su tutti gli Stati direttamente coinvolti nella crisi. L’Italia stessa potrebbe proporre l’avvio di questa trattativa.
Costituente Terra vede in questa guerra, dopo la pandemia, l’ennesima drammatica conferma della necessità che a sfide e a catastrofi globali vengano date risposte politiche globali alla loro altezza: la rifondazione del patto di convivenza pacifica che fu stipulato con la Carta dell’ONU, e poi con le tante Carte dei diritti umani, attraverso la stipulazione di una Costituzione della Terra che, oltre ad affrontare i problemi del riscaldamento globale e della crescita delle diseguaglianze, metta al bando le armi e gli eserciti. Naturalmente non ci illudiamo che la ragione prevalga fino a questo punto. Ci auguriamo tuttavia, considerato che il mondo si trova già sul baratro di una terza guerra mondiale, che venga quanto meno sottoscritto da tutti il Trattato sul disarmo nucleare del 7 luglio 2017, votato da ben 122 Paesi, cioè dai due terzi dei membri dell’ONU, il quale fa divieto di “sviluppare, testare, produrre, acquisire o possedere armi nucleari”, nonché di trasferirle a qualsiasi destinatario e perfino di “consentire qualsiasi dislocazione, istallazione o diffusione di armi nucleari sul proprio territorio”. Sarebbe un primo passo verso la convivenza pacifica e civile dell’umanità».
Questo è l’appello diffuso oggi da “Costituente Terra” alla manifestazione per la pace di Roma.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Jonathan Ng Truthout sul tripudio delle industrie delle armi per le guerre in corso, un articolo di Domenico Gallo contro la partecipazione dell’Italia alla guerra mediante l’invio di armi, un articolo di Rafael Poch sui morti lasciati sul terreno da tutti gli Imperi in declino e la relazione “Guerra e Costituzione” tenuta giovedì 3 marzo al Comitato direttivo di “Costituente Terra” dal suo presidente Raniero La Valle.
Con i più cordiali saluti

www.costituenteterra.it
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Newsletter n. 251 del 5 marzo 2022

I “SE” ED I “MA” DELLA GUERRA

Carissimi,
l’invasione russa dell’Ucraina ha suscitato una condanna senza se e senza ma, cosa giustissima perché come aveva detto Giovanni XXIII nella “Pacem in Terris” è “fuori della ragione che in questa età, che si gloria della potenza atomica (vi atomica gloriatur), la guerra sia atta a risarcire i diritti violati”. E la Carta dell’ONU vieta l’uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di qualsiasi Stato.
Ma se non per la guerra stessa, i “se” possono essere invocati riguardo ai suoi precedenti e i “ma” riguardo ai modi con cui ad essa si è risposto.
Riguardo ai precedenti è chiaro che non ci sarebbe stata guerra se non si fosse negata qualsiasi alternativa all’ingresso dell’Ucraina nella NATO. In effetti non erano in gioco gli interessi vitali di nessuno, perciò sarebbe bastato un accordo sulla sicurezza senza far entrare la NATO in Ucraina. Se poi questo era, come suonano le accuse, solo un pretesto colto da Putin per assecondare le sue pulsioni neoimperiali, sfogare la sua fobia antiamericana, ricostituire l’Unione Sovietica e restaurare addirittura il millenario impero di Pietro il grande e di san Pietroburgo, allora perché non metterlo alla prova togliendogli tale pretesto?
D’altra parte gli Stati Uniti prima hanno spinto l’Ucraina fino alla linea del fuoco, e poi dichiarato che nemmeno un soldato americano sarebbe andato sul suo suolo per difenderla nella guerra da loro provocata.
In tal modo l’Ucraina è stata presa dagli uni e dagli altri come vittima sacrificale, e come spesso accade con la vittima sacrificale, almeno secondo l’analisi di René Girard (fatta eccezione di Gesù che ne ha smascherato il meccanismo) l’Ucraina stessa ha provocato il suo sacrificio attraverso un’insensata e letale politica di intransigenza.
Riguardo alle risposte alla crisi, alla Russia sono state irrogate sanzioni capaci di provocare al suo popolo il massimo dolore, di metterla fuori del sistema monetario e del commercio mondiale, e in sintesi di precipitarla nella condizione di paria. Tutto ciò letteralmente annunciato da Biden, e poi fatto proprio dal corteggio dell’Europa e di tutto l’Occidente.
Ora, a parte l’efficacia e l’autolesionismo di queste sanzioni, sottrarre a qualcuno l’uso del denaro e del commercio può sembrare una misura non militare e moderna, ma è in realtà una misura apocalittica ed antica. Nell’apocalisse di Giovanni si descrive infatti la guerra finale nella quale la bestia che raffigura i poteri mondani mette sulle mani e sulla fronte di tutti, “piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi” un marchio che per così dire li accredita, in modo che nessuno che non abbia tale marchio possa “comprare e vendere”, cioè possa vivere. Dunque se la guerra è una realtà apocalittica, la messa al bando e l’esclusione dal circuito del denaro è l’altra faccia della violenza apocalittica. Il messaggio che in tal modo era mandato alla Russia, insieme alla cacciata dal Consiglio d’Europa, dalle competizione sportive e tutto il resto era che la Russia deve sparire dalla faccia della terra.
In tal modo si è fatto il tragico errore di non lasciare a Putin, preso per pazzo e come nemico assoluto, altra via d’uscita che la guerra.
È un miracolo che di azione in reazione non si sia arrivati alla guerra nucleare, ma tutto ciò dimostra la catastroficità della politica e dell’attuale ordine globale del mondo che ci hanno portato fin qui. È tutto questo che dobbiamo cambiare.
Nel sito pubblichiamo le parole del Papa all’Angelus, con la citazione dell’art.11 della Costituzione italiana, e un lungo articolo sul tripudio delle industrie delle armi per il dilagare delle guerre e la distruzione dei popoli in corso.
Con i più cordiali saluti
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L’ITALIA RIPUDIA LA GUERRA, L’ITALIA SPOSA LA TERRA
5 MARZO 2022 / COSTITUENTE TERRA / LA CONVERSIONE DEL PENSIERO /
RELAZIONE DEL PRESIDENTE
AL COMITATO DIRETTIVO DI “COSTITUENTE TERRA” SUL CONFLITTO IN UCRAINA

Pubblichiamo la relazione sul conflitto in Ucraina tenuta il 3 marzo 2022 da Raniero La Valle al Comitato Direttivo di “Costituente Terra” dal titolo “Guerra e Costituzioni”

NOI ABBIAMO SBAGLIATO quando prendendo posizione nelle newsletter e nei nostri siti non abbiamo creduto alla guerra che ogni giorno i dirigenti politici e la stampa di tutto il mondo davano per imminente o già iniziata. La domenica davano la guerra per martedì, come se avessero fretta di vedere confermate le proprie previsioni.
NOI ABBIAMO SBAGLIATO e ce ne scusiamo con coloro che abbiamo criticato e deplorato.
Abbiamo sbagliato perché ritenevamo inverosimile che la Russia, conoscendo la protervia dei propri antagonisti, avrebbe assunto il rischio di provocare una guerra che poteva degenerare in una guerra mondiale.
Abbiamo sbagliato nonostante che tutte le motivazioni della guerra fossero già note, e non perché questa notitia criminis fosse ossessivamente amplificata dai Servizi segreti, ma perché bastava leggere i giornali.
Né esiste per noi l’alibi che la politica internazionale sia di difficile interpretazione. Lo aveva detto proprio Putin nella lunga intervista del 2015 al regista americano Olivier Stone: “la logica che guida le dinamiche del mondo sono sotto gli occhi di tutti. Non è necessario accedere a documenti segreti. Se la gente seguisse regolarmente quanto succede nel mondo – aveva aggiunto – non sarebbe facile manipolarla e confonderla”.
E poiché i giornali, e non solo, hanno personalizzato questa guerra facendone la guerra di Putin, additandolo come il nuovo Hitler, sarebbe bastato tenere conto della psicologia di Putin per sapere come si sarebbe comportato. Lui stesso l’aveva rivelato in quell’intervista a Olivier Stone, quando aveva raccontato la storia del topo. Aveva detto che quando era ragazzo aveva attaccato un topo con un bastone, e quello aveva cercato di saltargli addosso. Allora lui era scappato, e benché fosse piccolo correva più veloce del topo. Allora scese la scale, il pianerottolo e ancora scale. E il topo cosa fece? Saltò dritto da una rampa di scale all’altra. L’aveva fatto proprio arrabbiare, commentò Stone. Ma la morale che lui ne ha tratto è che non bisogna mai intrappolare un topo in un angolo. Ed è esattamente – ha detto Putin – quello che avevo fatto io. Ed ha concluso: nessuno deve essere messo all’angolo. Nessuno deve essere portato fino al punto in cui non ha più vie d’uscita.
Ora, nella valutazione di Putin la NATO, estendendosi fino comprendere l’Ucraina, aveva messo la Russia nell’angolo. I missili nucleari schierati in Ucraina sarebbero a 30 secondi da Mosca, e da Mosca l’Ucraina è considerata la porta di casa della Russia, e anzi la Russia stessa, così come da Washington l’America Latina è considerata il cortile di casa degli Stati Uniti, se non gli Stati Uniti stessi.
Con la NATO in Ucraina si sarebbe chiuso l’accerchiamento della Russia perché a Ovest la NATO si era già allargata inglobando la Romania, la Bulgaria, la Polonia, la Repubblica ceca, la Slovacchia, l’Ungheria, l’Albania, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, oltre naturalmente l’ex Germania dell’Est, Paesi tutti che erano stati membri del Patto di Varsavia; a Nord e ad Est incrociano poi le flotte nucleari, sottomarine e di superfice, dell’Oceano Artico e del Pacifico; solo a Sud il cerchio non si chiude. Lo ha fatto vedere nella trasmissione “Atlantide” Andrea Purgatori che aveva preso l’iniziativa di riproporre, sia pure con la precauzione di prenderne le dovute distanze, l’intervista di Putin a Stone, offrendo elementi di giudizio pur nel quadro dell’unanime condanna senza se e senza ma indirizzate alla Russia da tutta la classe politica e dalla stampa italiane.
Indubbiamente essa si merita questa condanna senza se e senza ma, condanna che non deve trovare eccezione per alcuna guerra, che in nessun modo può essere considerata giusta. Semplicemente la Russia di Putin non avrebbe dovuto ricorrere alla guerra per farsi giustizia da sé; è “fuori della ragione”, come aveva detto Giovanni XXIII nella “Pacem in Terris” (n. 67), che “in questa età, che si gloria della potenza atomica (vi atomica gloriatur), la guerra sia atta a risarcire i diritti violati”. Abbandonando il sistema di sicurezza collettiva e tornando al vecchio sistema della sicurezza degli uni al prezzo della rovina degli altri, la Russia è uscita dalla legalità internazionale. Come ha scritto subito Domenico Gallo “l’intervento militare della Russia contro l’Ucraina non costituisce un’azione legittima di difesa delle due Repubbliche del Donbass” (questa ne è stata solo la motivazione formale) “ma costituisce una violazione del divieto dell’uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, interdetta dall’art. 2 comma 4 della Carta dell’ONU. Quali che siano le controversie tra gli Stati, e quali che siano le ragioni dell’uno o dell’altro, queste non possono essere risolte affidandosi al giudizio delle armi”.
Ma invadendo l’Ucraina Putin oltre che un crimine di diritto internazionale ha commesso un gravissimo errore, passando dalla parte del torto e cambiando nemico, non più identificato con la NATO ma divenuto l’Ucraina. Ma se la NATO era un nemico plausibile, non così l’Ucraina, ridotta dagli uni e dagli altri al rango di vittima.
La NATO non è una semplice entità politica, ma è una forza militare sovrana, Ferrajoli la chiamerebbe una persona artificiale, che ha infatti direttamente condotto la guerra contro la Jugoslavia a sostegno del Kossovo, riuscendo a disgregarla e distruggerla. È una cosa che ho vissuto personalmente quando, con una delegazione del “Ponte per” (l’antico “Ponte per Bagdad”) con cui mi ero recato a Belgrado per portarvi degli aiuti, siamo scampati per miracolo al bombardamento degli aerei della NATO la notte in cui distrussero la torre della televisione jugoslava (in tutte le guerre si distruggono le torri della TV) e investirono con i missili l’ambasciata cinese e l’albergo Jugoslavia che avevamo appena lasciato. Fu la povertà che allora ci salvò, perché avevamo trovato che l’albergo Jugoslavia era troppo caro per noi ed eravamo andati a dormire altrove. Ma la Russia non è la Jugoslavia e avrebbe meritato una diversa considerazione strategica, almeno nell’interesse dello stesso Occidente.
Ciò detto si deve però anche dire, contro l’opinione comune, che i “se” possono essere invocati riguardo ai precedenti e allo scoppio stesso della guerra, ed i “ma” riguardo a quanto ne è seguito e ai modi con cui ad essa si è dato risposta.
Quanto ai “se”, non ci sarebbe stata guerra se non si fosse negata qualsiasi alternativa all’ingresso dell’Ucraina nella NATO. In effetti non erano in gioco gli interessi vitali di nessuno, perciò sarebbe bastato un accordo sulla sicurezza senza far entrare la NATO in Ucraina. Se poi questo era, come suonano le accuse, solo un pretesto colto da Putin per assecondare le sue pulsioni neoimperiali, sfogare la sua fobia antiamericana, ricostituire l’Unione Sovietica e restaurare addirittura il millenario impero di Pietro il grande e di san Pietroburgo, allora perché non metterlo alla prova togliendogli tale pretesto?
Quanto ai “ma”, gli Stati Uniti prima hanno spinto l’Ucraina fino alla linea del fuoco, e poi dichiarato che nemmeno un soldato americano sarebbe andato sul suo suolo per difenderla nella guerra da loro provocata, come del resto era prevedibile già prima.
La decisione americana di non intervento è stata naturalmente giustissima sia per il rischio estremo di una guerra mondiale e addirittura nucleare che sarebbe stato provocato da uno scontro dei grandi eserciti nel cuore dell’Europa, sia per lo spettro delle precedenti guerre sbagliate e perdute.
Questo però ha fatto sì che l’Ucraina si sentisse tradita e abbandonata dal principale alleato e perciò in credito verso di esso, mentre nel contempo veniva attaccata dalla sua ex madrepatria da cui veniva usata come ultimo baluardo e messa alla prova della propria sicurezza.
In tal modo l’Ucraina è stata presa dagli uni e dagli altri come vittima sacrificale, e come spesso accade con la vittima sacrificale, almeno secondo l’analisi di René Girard (fatta eccezione di Gesù che ne ha smascherato il meccanismo) l’Ucraina stessa ha provocato il suo sacrificio attraverso l’insensata e letale politica della sua classe dirigente golpista.
Poi alla Russia sono state irrogate sanzioni capaci di provocare al suo popolo il massimo dolore, di metterla fuori del sistema monetario e del commercio mondiale, e in sintesi di precipitarla nella condizione di paria. Tutto ciò letteralmente annunciato da Biden, e poi fatto proprio dal corteggio dell’Europa e di tutto l’Occidente.
Ora, a parte l’efficacia e l’autolesionismo di queste sanzioni, sottrarre a qualcuno l’uso del denaro e del commercio può sembrare una misura non bellicosa e moderna, ma è in realtà una misura apocalittica ed antica. Nell’apocalisse di Giovanni si descrive infatti la guerra finale nella quale la bestia che raffigura i poteri mondani mette sulle mani e sulla fronte di tutti, “piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi” un marchio che per così dire li accredita, in modo che nessuno che non abbia tale marchio possa “comprare e vendere”, cioè possa vivere. Dunque se la guerra è una realtà apocalittica (si ricordi il film di Coppola sulla guerra del Vietnam, non a caso intitolato “Apocalypse now) la messa al bando e l’esclusione dal circuito del denaro è l’altra faccia della violenza apocalittica. Il messaggio che in tal modo era mandato alla Russia, insieme alla cacciata dal Consiglio d’Europa, dalle competizione sportive e tutto il resto era che la Russia deve sparire dalla faccia della terra, sicché non ci si può meravigliare che dalla Russia sia poi arrivato il messaggio uguale e contrario della messa in allerta dell’arma nucleare, monito però tanto poco plausibile che nessuno, a cominciare dal Pentagono, l’ha preso sul serio. [segue]

Contro la guerra cambia la vita, dai una possibilità alla Pace. A Roma sabato 5 marzo 2022.

5777dff6-8236-4230-8b12-15791d18b622 Manifestazione nazionale a Roma sabato 5 marzo 2022.
Bisogna fermare la guerra in Ucraina.
Bisogna fermare tutte le guerre del mondo.
Condanniamo l’aggressione e la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. Vogliamo il “cessate il fuoco”, chiediamo il ritiro delle truppe.
Ci vuole l’azione dell’ONU che con autorevolezza e legittimità conduca il negoziato tra le parti.
Chiediamo una politica di disarmo e di neutralità attiva.
Dall’Italia e dall’Europa devono arrivare soluzioni politiche e negoziali.
Protezione, aiuti umanitari, diritti alla popolazione di tutta l’Ucraina, senza distinzione di lingua e cultura.
Diamo segnali concreti di solidarietà. Ognuno contribuisca all’accoglienza e al soccorso degli Ucraini in fuga.

Costruiamo ponti e solidarietà tra i popoli con la democrazia, i diritti, la pace.
Basta armi, basta violenza, basta guerra!
Vogliamo un’Europa di pace.
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Commenti
Non indossiamo l’elmetto!
04-03-2022 – di: Domenico Gallo su Volerelaluna.
«Ecco gli elmi dei vinti / e quando un colpo / ce li ha sbalzati dalla testa / non fu allora la disfatta / fu quando obbedimmo / e li mettemmo in testa». Questa poesia di Bertold Brecht è il miglior commento possibile al momento drammatico che stiamo vivendo in perfetta incoscienza.

Da quando è iniziata la tragedia della guerra, il 24 febbraio, non è esploso soltanto un conflitto fondato sulla violenza delle armi. È dilagato in tutt’Europa lo spirito nefasto della guerra, si è materializzata l’immagine del nemico ed è iniziata una mobilitazione bellica della comunicazione, della cultura, delle coscienze. La condanna secca e senza appello dell’aggressione russa all’Ucraina si è trasformata velocemente nell’acritica accettazione della logica della guerra. Di fronte a questo disastro, segno tangibile del fallimento della politica di sicurezza e cooperazione in Europa, le principali forze politiche, non solo in Italia, con il conforto del fuoco di sbarramento unanime dei mass media, hanno assunto il linguaggio della guerra e si sono esercitate in una guerra delle parole contro il nemico. Lo spirito di guerra comporta una divisione manichea dell’umanità, per cui tutto il male sta dalla parte del nemico e tutto il bene dall’altra. Il dissenso non è tollerato perché giova al nemico. Così l’ex deputata europea Barbara Spinelli è stata additata come filoputiniana per aver scritto su Il Fatto Quotidiano che «il disastro poteva forse essere evitato, se Stati Uniti e Ue non avessero dato costantemente prova di cecità, sordità, e di una immensa incapacità di autocritica e di memoria» e il corrispondente della RAI Marc Innaro è stato oggetto dei fulmini del PD per aver osservato: «Basta guardare la cartina geografica per rendersi conto che chi si è allargato negli ultimi trent’anni non è stata la Russia, è stata la NATO». Ma il linciaggio mediatico più velenoso è quello effettuato contro l’ANPI e il suo Presidente, Gianfranco Pagliarulo, reo di aver scritto – in un comunicato precedente all’invasione russa – che «l’allargamento della Nato a Est è stato vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia». Non sono ammesse critiche sugli indirizzi di ordine politico che ci hanno fatto passare dallo smantellamento della guerra fredda, frutto delle scelte di disarmo e di distensione della politica di Gorbaciov, a una nuova corsa al riarmo e al confronto politico militare con la Russia di Putin, adesso drammaticamente sfociato in una guerra “calda” con l’invasione dell’Ucraina. Anzi non solo non sono ammessi ripensamenti, ma addirittura c’è la consacrazione di quelle scelte al punto che il segretario del PD, Enrico Letta, in una recente intervista a La Stampa ha dichiarato: «Quello che è successo dimostra che la Nato doveva fare entrare l’Ucraina prima. E che l’alleanza atlantica serve perché la democrazia va difesa».

Insomma la politica ha indossato l’elmetto ed è scesa simbolicamente in guerra. Però questa settimana è stata superata un’ulteriore soglia, col passaggio dalle parole alle azioni di guerra. Il presidente del Consiglio Draghi nelle sue comunicazioni alle Camere, il 1 marzo, ha motivato la decisione di inviare armi al Governo ucraino, con queste parole: «L’Italia ha risposto all’appello del presidente Zelensky, che aveva chiesto equipaggiamenti, armamenti e veicoli militari per proteggersi dall’aggressione russa. È necessario che il Governo democraticamente eletto sia in grado di resistere all’invasione e difendere l’indipendenza del Paese. […] La minaccia portata oggi dalla Russia è una spinta a investire nella difesa più di quanto abbiamo mai fatto finora». In sostanza la lezione che il Governo trae da questi fatti è che bisogna incrementare la corsa agli armamenti. L’unica opzione esistente – secondo Draghi – è «scegliere se farlo a livello nazionale oppure europeo». Lo scenario che si prefigura è quello della costruzione di un’Europa come potenza militare, armata fino ai denti, che costruisce le relazioni con i suoi vicini fondate sull’intimidazione invece che sul dialogo e la cooperazione: insomma la guerra fredda permanente.

Quello che non è stato spiegato al Parlamento e all’opinione pubblica è che la legge italiana sulla neutralità (regio decreto n. 1415 del 1938, All. B, art. 8) vieta di fornire armi ai paesi in guerra. La ragione è semplice: chi fornisce armi a un paese in guerra partecipa al conflitto e quindi non può essere più considerato neutrale. Con l’invio di uno stock imprecisato e secretato di armamenti e di mezzi bellici, l’Italia abbandona la neutralità e diviene un paese belligerante, sia pure per interposta persona. Insomma, armiamoci e partite! Queste forniture – ha scritto la rivista militare Analisi Difesa – ci rendono a tutti gli effetti “belligeranti” contro la Russia. Si tratta di un atto di ostilità in senso tecnico, che come tale è stato percepito dalla Russia. In nota ripresa dalla Tass il ministero degli Esteri russo dichiara: «Coloro che sono coinvolti nella fornitura di armi letali alle forze armate ucraine saranno responsabili delle conseguenze di queste azioni».

Come si vede si tratta di una scelta gravida di conseguenze imprevedibili. Dalla doverosa condanna dell’ingiustificabile aggressione russa, siamo passati – sia pure ambiguamente – alla partecipazione al conflitto armato. Quasi senza accorgercene ci hanno calato in testa l’elmetto e arruolato nella guerra contro la Russia. In questo modo si alimenta il conflitto e si rende più impervia la strada per una soluzione negoziata. E quel che è ancora più grave si crea un’ulteriore pericolo di escalation della guerra, rendendo più probabile il coinvolgimento della NATO. E allora togliamoci gli elmetti prima che un colpo fatale ce li sbalzi dalla testa.
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Controcanto
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Armi all’Ucraina?
02-03-2022 – di: Tomaso Montanari
su Volerelaluna

È purtroppo evidente che, di fronte all’invasione russa, ogni scelta sembra sbagliata: e quel che resta della coscienza democratica occidentale non sopporta di non fare nulla di fronte alle immagini delle città devastate dalla guerra.

Ma il problema è cosa fare: mentre le tanto annunciate sanzioni economiche avanzano con troppa lentezza, l’Occidente, e con lui l’Italia, decide il riarmo di Kiev. Il fantasma dell’Unione Europea, colpevolmente assente nella gestione politica della crisi che ha condotto alla guerra, si materializza così nel peggiore dei modi: nel ruolo, cioè, di fornitrice di armi. L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Josep Borrell ha detto che armeremo le forze ucraine per sostenerle «nella loro eroica battaglia». Così, dopo essere stati incapaci di fare la pace, gli europei vogliono provare a fare la guerra, naturalmente attraverso i corpi dei soldati e dei civili ucraini.

Dal discorso di Draghi a un Parlamento come al solito di fatto esautorato, alla retorica bellica di Enrico Letta, all’editoriale del Corriere della sera che lamenta che «noi occidentali stiamo perdendo la potenza delle armi perché non sopportiamo più di subire perdite in una guerra convenzionale. All’epoca dei nostri nonni un caduto in famiglia era motivo d’orgoglio, oggi è considerato inaccettabile»: ci stiamo mettendo l’elmetto, e spediamo migliaia di soldati al confine ucraino.

Se è giusto, oltre che compatibile con la nostra Costituzione, inviare in Ucraina «equipaggiamenti militari non letali di protezione», e cioè mezzi di difesa, è invece un grave azzardo aver deciso di mandare armi letali di offesa. Perché dall’Unione Europea, e dall’Italia, ci si aspetta ora che lavorino ventre a terra per la pace, non che alimentino anch’esse la guerra. Si dice che dobbiamo aiutare la resistenza ucraina: anche qua, è difficile e penoso provare ad articolare un pensiero a migliaia di chilometri di distanza e nelle nostre case (per ora) sicure. Ma siamo sicuri che, se riguardasse l’Italia, vorremmo armi per prolungare di qualche giorno l’ineluttabile resa a una potenza così più grande? I maschi paramilitari che da giorni gongolano in tv con la bava alla bocca (perché finalmente vedono una guerra vera da vicino) ci dicono che non è il momento del dialogo, perché bisogna rendere a Putin il boccone più indigesto, per poi strappare di più ai negoziati. Ma tacciono sul prezzo: migliaia (forse decine o centinaia di migliaia) di militari e civili ucraini straziati, con in mano le nostre armi: per guadagnare un po’ di tempo. Chiederemmo per noi stessi quel che stiamo offrendo agli ucraini che diciamo di voler aiutare? Non lo so, me lo chiedo: ma è davvero inquietante la ferrea sicurezza guerriera dei nostri politici di cartone.

Di sicuro c’è che dare armi all’Ucraina senza fare anche più diplomazia, senza dialogare subito, senza immaginare e compiere anche gesti clamorosi è contro lo spirito, se non contro la lettera, dell’articolo 11 della Costituzione: non possiamo abbracciare la guerra come unico rimedio alla guerra.

Lo stesso Governo con l’elmetto ha evacuato l’ambasciata italiana da Kiev a Leopoli: ma invece in quell’ambasciata doveva volare lo stesso ministro degli Esteri, con tutti i suoi colleghi europei. È lì che – oggi stesso – dovrebbe riunirsi la stessa Commissione Europea in carne ed ossa, con i capi di Stato e di governo: come segno potente di vicinanza e di interposizione simbolica. Ma i capi dell’Occidente pensano di cavarsela più a buon mercato, e senza rischiare direttamente: e senza terremotare più di tanto un’economia globale legata mani e piedi alla Russia di Putin, fino a ieri ottimo partner di affari.

Armare il popolo ucraino è un calcolo cinico travestito da solidarietà, un gesto irresponsabile che rischia di essere drammaticamente sbagliato: perché prolungare e aggravare una guerra dall’esito purtroppo scontato, può aprire la strada a esiti che non lo sono per nulla. Buttare benzina su questo fuoco, infatti, può condurre – quasi meccanicamente, senza che nessuno davvero si renda conto di ciò che sta innescando – a una terza guerra mondiale, e al conflitto nucleare. Cioè alla fine della vita sulla terra. Fino a mercoledì scorso i nostri onnipresenti esperti di geopolitica giuravano che l’invasione non ci sarebbe stata: ora gli stessi santoni giurano che non c’è rischio nucleare. Vorrei potermi fidare, di loro e del ceto politico occidentale: ma l’impressione è quella di essere guidati da ciechi che seguono altri ciechi. Tutti rigorosamente con l’elmetto.

In testa all’articolo di Montanari: Pieter Paul Rubens, “Conseguenze della guerra” (1637-1638), Firenze – Galleria Palatina
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No alla Guerra. Siamo sempre e comunque per la PACE!

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Ucraina, guerra sbagliata, inaccettabile, pericolosa per tutti, va fermata subito

di Alfiero Grandi

Non è vero che la guerra non ha alternative. Le alternative sono le soluzioni diplomatiche, le trattative per raggiungere accordi, le reciproche rassicurazioni per stemperare e risolvere i conflitti (anche quando sembra impossibile), l’impegno a cercare accordi per costruire una pace duratura nel tempo. Un cattivo accordo è sempre meglio della guerra migliore che, come è ben noto, è una realtà che non esiste perché porta morti, feriti, distruzioni, bambini segnati dagli orrori che trascina con sé.
La responsabilità di Putin nell’aggressione all’Ucraina è fuori discussione.
L’attacco all’Ucraina è un grave errore politico ed umano, che indebolirà anche la forza dell’azione militare, e non è certo una giustificazione che il governo ucraino abbia continuato a ribadire posizioni come entrare nella Nato che quello russo considerava inaccettabili. L’aggressione non si giustifica nemmeno con le posizioni della Nato e dei suoi membri che hanno incoraggiato l’Ucraina a non cercare le modalità per individuare le garanzie per la sicurezza della Russia. Non ci sono giustificazioni per la scelta di Putin di dare il via all’invasione dell’Ucraina e questo purtroppo aprirà un solco profondo politico, umano, culturale, che sarà molto difficile colmare. Eppure occorre provarci, non ci sono alternative, a partire dal cessate il fuoco e dall’avvio di trattative tra le parti coinvolte.
A questo punto è inevitabile che vengano adottate misure di isolamento e pressione verso Putin e il suo governo, come si sta facendo, ma debbono essere finalizzate a risalire dall’abisso della guerra, non ad approfondire il solco. Per cortesia, evitiamo di definire alcune di queste misure di isolamento come “nucleari”, come è per l’esclusione della Russia dallo Swift finanziario mondiale, il sistema mondiale dei pagamenti. Nucleare è un termine che dovrebbe sempre essere preceduto dalla sua negazione, ad esempio da un mai. Nucleare è un termine che va evocato solo per ribadire senza ambiguità che mai si dovrà ricorrere all’olocausto che porterebbe a distruggere gran parte del genere umano. L’evocazione delle tragedie di Nagasaki e Hiroshima deve sempre accompagnarci. Attenzione alle parole che usiamo.
L’unica posizione possibile sull’uso delle armi nucleari è: MAI! Putin ha fatto un altro grave errore dichiarando l’allerta degli armamenti nucleari della Russia, non avrebbe mai dovuto evocare questa possibilità, nemmeno come ventilata minaccia. Questo va chiarito perché nella ricerca delle misure per contrastare l’aggressione all’Ucraina mai si dovrà nemmeno pensare di ricorrere a queste armi.
Questa situazione drammatica ci impone di comprendere che per troppo tempo il tema degli armamenti nucleari è stato sottovalutato, mentre è indispensabile rilanciare una iniziativa di riduzione bilanciata degli armamenti. Trump ha la responsabilità di avere abbandonato la via degli accordi per controllare e ridurre le armi nucleari. Ora questo obiettivo deve tornare al centro delle nostre iniziative. Rischia di essere incomprensibile che sia in corso una lunga e complicata trattativa con l’Iran per evitare che arrivi all’arma atomica e non venga ripreso il percorso di un disarmo bilanciato e controllabile degli armamenti più potenti al mondo.
Per di più le risorse risparmiate nel fermare la corsa agli armamenti potrebbero avere un utilizzo ben diverso, positivo per tutta la società umana. Non è un discorso di circostanza visto che in Italia, come in altri paesi europei membri della Nato, nei prossimi mesi verranno installate – seguendo un programma stabilito da tempo – nuove versioni di armi atomiche, ancora più micidiali. La Nato ha perseguito dallo scioglimento del patto di Varsavia, con diversi Presidenti Usa, il suo allargamento verso est in Europa, contraddicendo promesse ed impegni a non farlo. Alcuni documenti sono stati pubblicati e delle testimonianze lo hanno confermato.
Si è perso di vista che il (lontano) successo politico di Gorbaciov e Reagan fu quello di avviare un processo di controllo e riduzione delle armi atomiche, che avvenivano in un quadro di una nuova fiducia reciproca, ed eravamo ancora in presenza di due blocchi militari contrapposti. Con la fine dell’Urss anche il patto di Varsavia si sciolse e gran parte dei paesi europei che facevano parte di questo patto si resero indipendenti, come fecero anche repubbliche europee interne all’Urss. Sembrava possibile superare la contrapposizione tra i blocchi e creare condizioni di reciproca garanzia. Basta ricordare gli affidamenti forniti quando ci fu il via libera alla riunificazione tedesca, anch’essa resa possibile da un clima di maggiore fiducia.
La Russia, uscita ridimensionata dall’implosione dell’Urss, aveva bisogno di distensione e collaborazione per affrontare una difficile e complessa evoluzione democratica, ma ha prevalso in occidente un atteggiamento che – giustamente – è stato paragonato a quello dell’umiliazione della Germania dopo il primo conflitto mondiale che creò le premesse per il nazionalismo e il risentimento tedesco che favorirono le condizioni per la seconda, tragica, guerra mondiale. L’Occidente, vincitore di fatto sul piano politico ed istituzionale, non ha saputo gestire con lungimiranza la sua vittoria e ha ignorato le preoccupazioni russe per la sicurezza.
La Nato a trazione americana ha scelto di puntare all’isolamento della Russia allargando le sue file a paesi ex sovietici e ad altri della ex Jugoslavia. L’allargamento della Nato ai paesi dell’est Europa che prima erano parte dell’Urss o membri del patto di Varsavia ha realizzato una cintura che ha creato allarme e insicurezza per la Russia, rafforzando la tentazione di risposte di natura militare come ora con l’aggressione dell’Ucraina.
La prospettiva di fare entrare l’Ucraina nella Nato poteva essere evitata ed essere discussa ad un tavolo per cercare garanzie di sicurezza per tutti sul modello neutrale della Finlandia, perfino la situazione nel Donbass poteva essere affrontata con modelli di autonomia che esistono già in Europa. La proposta di una neutralità dell’Ucraina garantita da un accordo internazionale, per garantirne la sovranità, poteva essere considerata da Nato e Ucraina e probabilmente avrebbe contribuito ad evitare questa guerra, le cui conseguenze già visibili dovrebbero consigliare a tutti di arrivare rapidamente ad un tavolo di trattative per risolvere il conflitto, con un immediato cessate il fuoco, come avvenne 8 anni fa con gli accordi di Minsk che posero fine agli scontri nel Donbass.
Il conflitto non può essere rappresentato come potenze democratiche contro il nemico perché ad esempio, ricordiamolo, la guerra in Iraq fu decisa con un’invasione non legittima, che aveva tra gli obiettivi la fine del regime di Hussein e che ha portato ad un conflitto durato decenni, con tantissimi morti, anche italiani (essendo tra i militari presenti), per di più inventando le prove di armi chimiche inesistenti, come riconobbe Powell più tardi. Né possiamo dimenticare che la Nato ha iniziato ad agire fuori da quadranti europei diventando il braccio operativo di scelte politiche diverse da quelle costitutive, a volte senza un mandato legittimo.
È prevalso un atteggiamento di forza dei paesi della Nato, sottovalutando che alla distensione, alla cooperazione e alla reciproca comprensione non ci sono alternative. È in questo spazio politico che Putin ha fatto le sue “fortune” politiche cavalcando nazionalismo e frustrazioni, arrivando a questa terribile e orribile scelta di invadere l’Ucraina per imporre con la forza i suoi obiettivi. Resistere è il modo per impedire che la via delle armi sia vincente, ma bisognerà tornare a trattare, a confrontarsi e ci si troverà di nuovo di fronte al problema di prima, con in più un carico di morti e distruzioni che renderanno tutto ancora più difficile. Eppure non c’è alternativa a discutere, trattare, trovare soluzioni di reciproca garanzia, mentre in troppe occasioni usare i muscoli è sembrato prevalere.
Sarà un lavoro difficile, lungo, ma che non ha alternative.
Anche le sanzioni vanno scelte attentamente e appena sarà possibile dovranno lasciare il campo alla creazione di una nuova realtà politica comune di fiducia che va reinventata. Nell’immediato la proposta di rinviare i tempi del patto di stabilità di fronte ai contraccolpi che creeranno le sanzioni e alle difficoltà energetiche è assolutamente necessario diventi realtà per evitare che geli una ripresa economica insufficiente e che ha bisogno della distensione nel mondo. Le sanzioni possono essere inevitabili ma i loro effetti non vanno sottovalutati. Sono scelte che colpiscono, almeno in parte, anche chi le fa e quindi vanno usate quando è inevitabile e solo per il tempo necessario. Tra le sanzioni la più forte è certamente l’esclusione delle banche russe dal sistema Swift dei pagamenti che consente le transazioni, le attività bancarie.
Altro aspetto rilevante è la confusione sulle questioni energetiche. Certo il gas naturale e il petrolio sono da tempo con prezzi in rialzo, creando problemi rilevanti alle economie più dipendenti come l’Italia. È chiaro che la guerra in Ucraina crea ulteriori tensioni. Se venisse coinvolto il gasdotto che attraversa l’Ucraina ci sarebbero gravi preoccupazioni per i rifornimenti. Riprendere e rafforzare l’estrazione di gas fossile nel nostro paese può essere al massimo utile transitoriamente, ma non è certo una risposta risolutiva, né strutturale per sostituire il 40% dell’approvvigionamento di gas dalla Russia.
Così sarebbe una sconfitta scegliere di rilanciare il carbone per produrre energia elettrica al di là di una congiuntura straordinaria come questa. L’asse fondamentale della politica energetica deve restare quello di procedere verso il mantenimento dell’aumento della temperatura entro 1,5 gradi, quindi occorre più che mai procedere a tappe forzate verso le rinnovabili, incrementando la loro crescita con piani precisi, con incentivi e con iter di approvazione veramente veloci. Anzitutto fotovoltaico ed eolico ma senza trascurare gli altri settori, usando tutti gli spazi possibili.
L’autonomia energetica dell’Italia non può che fondarsi sulla scelta strategica, che la guerra in corso non deve farci dimenticare.
Dover fronteggiare la guerra in Ucraina e le sue conseguenze, comprese le sanzioni, non può essere la giustificazione per cambiare scelte politiche come quelle ambientali ed energetiche.
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Cessate il fuoco!
3 Marzo 2022
di Domenico Gallo

Ogni giorno, ogni ora di guerra comportano sofferenze indicibili e rendono sempre più difficile la convivenza futura fra le popolazioni coinvolte nel conflitto. Per questo da ogni angolo d’Europa, da ogni quartiere, da ogni città, si deve levare concorde una sola voce: cessate il fuoco!

L’incubo di una nuova guerra in Europa si è materializzato nella notte fra il 23 e 24 febbraio. Gli spettri che si agitavano sull’Europa orientale hanno scoperchiato per l’ennesima volta quell’abisso che era stato chiuso dopo la seconda guerra mondiale con la promessa che le nazioni vincitrici avevano fatto all’umanità intera, attraverso la Carta dell’ONU, di risparmiare le future generazioni dal flagello della guerra. Adesso le forze infernali, sbarrate dal ripudio della guerra, sono ritornate in campo e stanno realizzando la loro mietitura di distruzione e morte. Noi siamo convinti che la guerra sia un male in sé stessa e che nessuna ragione politica può rendere questo male conveniente o giustificabile. Tanto più nel teatro dell’Ucraina dove l’esasperazione e la strumentalizzazione politica di opposti nazionalismi ha provocato già un conflitto doloroso che si è trascinato per otto anni senza soluzione. Ogni giorno, ogni ora di guerra comportano sofferenze indicibili e rendono sempre più difficile la convivenza futura fra le popolazioni coinvolte nel conflitto. Per questo da ogni angolo d’Europa, da ogni quartiere, da ogni città, si deve levare concorde una sola voce: cessate il fuoco!
Mentre l’incarnazione dell’incubo della guerra ci scuote dall’indifferenza con cui abbiamo assistito al deteriorarsi delle relazioni internazionali, dobbiamo guardare con lucidità agli eventi per non diventare, a nostra volta, agenti o vittime dell’isteria di guerra.
Deve essere ben chiaro che l’intervento militare della Russia contro l’Ucraina, non costituisce un’azione legittima di difesa delle due Repubbliche del Donbass, ai sensi dell’art. 51 della Carta dell’ONU, come preteso da Putin, ma costituisce una violazione del divieto dell’uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, interdetta dall’art. 2, comma 4, della Carta dell’ONU. Quali che siano le controversie fra gli Stati e quali che siano le ragioni dell’uno o dell’altro, queste non possono essere risolte affidandosi al giudizio delle armi. L’azione della Russia costituisce un’ingiustificabile violazione del diritto internazionale, simile all’aggressione perpetrata dagli Stati Uniti contro l’Irak il 20 marzo 2003, diretta ad abbattere il regime politico di quel paese e sostituirlo con un altro governo. Non possiamo ignorare che differenti erano le motivazioni che hanno dato origine ai due eventi bellici. Nel primo caso gli USA sono stati spinti ad aggredire uno Stato distante diecimila chilometri dai suoi confini col pretesto – palesemente falso – della presenza di armi di distruzione di massa; nel secondo caso la Russia ha agito con il pretesto di tutelare la sua sicurezza nei confronti dell’Ucraina, paese confinante che ambiva ad assicurarsi la protezione delle armi di distruzione di massa della NATO.
Però dobbiamo interrogarci come è stato possibile che il clima di distensione, di smilitarizzazione e di pacificazione in Europa, introdotto da Gorbaciov con l’abbattimento del muro di Berlino, il ritiro delle truppe dell’Unione sovietica dall’Europa orientale e lo scioglimento del patto di Varsavia, sia stato rovesciato nel suo contrario, con l’identificazione della Russia come nuovo nemico da sostituire alla dissolta Unione Sovietica. La fine della guerra fredda è stata interpretata come una vittoria che avrebbe consentito ai vincitori di umiliare perennemente i vinti, come fecero insensatamente le Potenze dell’Intesa nei confronti della Germania uscita sconfitta dalla prima guerra mondiale. Gli Stati Uniti hanno coinvolto l’Europa attraverso la camicia di forza della NATO, in una insensata politica di scontro con la Russia, che ha sostituito la cooperazione all’emarginazione, il dialogo all’intimidazione, col risultato di provocare una pericolosa rinascita dell’orgoglio nazionale russo. Se il Vangelo qualifica come beati i costruttori di pace, noi siamo dannati per aver lasciato liberi i costruttori di guerra di capovolgere l’orizzonte di pace balenato nell’indimenticabile ‘89. A questo ci ha portato la pretesa di trasformare l’Ucraina nella lancia della NATO nel costato della Russia a questo ci ha portato. Lo scoppio del conflitto segna in modo drammatico il fallimento della NATO come sistema che dovrebbe garantire la sicurezza in Europa. Mettere il coltello alla gola di una grande potenza non è il modo migliore per assicurarsi la convivenza pacifica.
A questo punto non basta gridare pace, pace perché le armi si fermino, inoltre la minaccia di sanzioni particolarmente umilianti rischia di gettare benzina sul fuoco, se non si affrontano i nodi politici reali.
Ha scritto Andrea Tornielli sull’Osservatore romano: “La responsabilità della guerra è sempre di chi la fa invadendo un altro Paese. C’è però da domandarsi: qual è la strada per trovare una soluzione pacifica? Va ricercata dentro gli schemi bellici delle alleanze militari che si espandono e si restringono o piuttosto in qualcosa di nuovo in grado di farsi anche carico degli errori del passato (che non stanno da una parte sola) restituendo una prospettiva realistica alla speranza di una diversa convivenza fra i popoli?”
Le classi politiche europee intraprendano una seria azione per la pace, rovesciando gli schemi bellici in cui siamo rimasti intrappolati. Questa è l’unica prospettiva realistica che noi invochiamo con voce alta per superare il fragore delle armi.
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f33ee5b4-97f6-4343-83f1-eb8d4f768415ANPI appello per la pace in Ucraina

di Gianfranco Pagliarulo – Pres. Naz. ANPI

Nell’ambito della riflessione sulla invasione dell’Ucraina ci sembra molto importante condividere la seguente lettera-appello del Presidente nazionale dell’ANPI. Un vero manifesto dei democratici in questa complessa vicenda.

In questa situazione così difficile e complessa ma specialmente drammatica, occorre avere una visione molto chiara ed approfondita, cioè non propagandistica, ed aprire una battaglia su obiettivi di progresso e assieme realistici.

LE ORIGINI

L’invasione russa è il punto di arrivo di tensioni e polemiche, alle volte molto violente, non solo fra Stati Uniti e Federazione russa, ma specificamente fra l’Unione Europea e la Federazione russa, in particolare da quando sono entrati nell’Unione Europea (e nella Nato) i Paesi dell’Est. È essenziale sottolineare inoltre la giustificata preoccupazione della Russia per il proliferare della presenza della Nato nei Paesi dell’Est a fronte di un accordo definito verbale (ma di cui sembra che si ritrovino anche tracce ufficiali), in base al quale dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica ci si impegnava a non far entrare nella Nato i Paesi dell’ex blocco dell’Est.

STRENUA DIFESA DEL MULTIPOLARISMO
Il mondo disegnato dalla caduta del muro di Berlino in poi è un mondo multipolare dove dovevano andare in frantumi le rigide divisioni segnate dai due blocchi della guerra fredda e doveva prevalere un clima di coesistenza pacifica. Non c’è solo la Cina come Paese emergente e potenzialmente leader dell’economia mondiale; ci sono altri soggetti come l’India, l’Africa del Sud, i Paesi dell’America Latina, la stessa Unione Europea. Un mondo ridisegnato non più alle dipendenze delle due superpotenze. Questo mondo multilaterale, policentrico, pacifico, già minato da un trentennio di tensioni e di nuova guerra fredda di cui non si vede traccia autocritica nei comportamenti e nelle dichiarazioni degli States, dell’UE e della Nato, viene messo definitivamente in discussione dall’invasione dell’Ucraina guidata da una logica oggettivamente imperiale, se si considerano le parole di Putin relative alla storia plurisecolare della Russia. Dobbiamo a maggior ragione rivendicare oggi, al tempo della globalizzazione e nel pieno di una pandemia che ha rivelato la fragilità del genere umano davanti all’attacco invisibile del virus, la necessità di un mondo davvero multipolare, in cui le alleanze politiche e militari non siano più imperniate sull’idea dell’amico-nemico, ma siano strumento di collaborazione politica ed economica fra i popoli del mondo. Non va dimenticato che sullo sfondo rimane un’altra area di grave tensione: Taiwan.

LA NATO

Perciò la Nato deve essere profondamente riformata limitando rigorosamente i suoi compiti all’azione di difesa dei Paesi membri, contestando la sindrome di onnipotenza di cui da tempo soffre, criticando il doppiopesismo che ha assunto in varie circostanze, come quando davanti all’aggressione di Erdogan nei confronti dei curdi siriani (ottobre 2019) il Segretario generale della Nato Stoltenberg, invece di una chiara condanna, utilizzò imbarazzate e imbarazzanti parole di comprensione verso la Turchia. La Nato nacque nel 1949 contro il blocco dell’est. La sua funzione storica si è obiettivamente esaurita, e la sua permanenza è diventata fattore di destabilizzazione e di freno alla coesistenza pacifica. Ma la richiesta di uscita dalla Nato nel mondo attuale, dati i reali rapporti di forza, è obiettivamente utopistica. La Nato va quindi vincolata ai suoi compiti esclusivamente difensivi.

L’ONU

L’Onu è da tempo un gigante impotente, come è evidente anche davanti alla crisi ucraina. Va riformata la sua struttura a cominciare dal Consiglio di Sicurezza che, rappresentando le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, è costantemente bloccata dai veti reciproci limitandosi, quando riesce, ad approvare risoluzioni che non trovano poi pratica applicazione nei rapporti internazionali. Oggi non hanno di fatto voce grandi Paesi come l’India, il Brasile, l’Africa del Sud e più in generale l’ONU non ha un ruolo significativo né come deterrente verso i focolai di guerra né come strumento per contrastare le diseguaglianze nel mondo. L’obiettivo è far sì che l’ONU diventi la struttura sovranazionale garante di una nuova coesistenza pacifica alla base del nuovo ordine mondiale.

I NAZISTI E L’UCRAINA

Perché Putin parla di denazificazione? In premessa c’è da dire che non sempre Putin ha tenuto le debite distanze da personaggi ambigui o esplicitamente dell’estrema destra russa, come per esempio (ma si potrebbero fare molti altri esempi) il “filosofo” Alexander Dugin, oscurantista, esoterico, ammiratore di Julius Evola e teorizzatore della fondazione di un impero euro-asiatico con al centro Mosca. Detto questo, la preoccupazione di Putin corrisponde ad una presenza vera, reale e molto consistenti organizzazioni naziste in Ucraina.
La storia dell’Ucraina dal colpo di forza successivo a Maidan (2014) non corrisponde affatto, comevuole la narrazione dominante, allo stereotipo delle democrazie occidentali, ma è profondamente inquinata da forze e comportamenti esplicitamente nazisti: la presenza spesso determinante anche nel governo di diverse organizzazioni nazifasciste come Svoboda (il cui primo nome era Partito Socialnazionalista Ucraino), Pravji Sector, organizzazione paramilitare organicamente connessa col famigerato Battaglione Azov, e altre organizzazioni. Sono stati rivalutati criminali di guerra collaborazionisti e responsabili di efferate stragi in particolare di ebrei, come Stepan Bandera, oggi eroe nazionale dell’Ucraina. Queste forze sono le responsabili del massacro e dell’incendio della sede dei sindacati di Odessa (2014). Il Battaglione Azov, prima formato da volontari di estrema destra e poi assorbito nelle Forze Armate ucraine, è una organizzazione militare nazista, come attestato dai suoi simboli che riproducono in modo fedele o lievemente deformato la svastica e il sole nero fortemente voluto da Himmler, da tante dichiarazioni dei suoi esponenti, dalle sue azioni violentissime e criminali. Tale battaglione, famigerato per le sue efferatezze e crudeltà, è stato mandato all’attacco dalle autorità di Kiev nel corso della vera e propria guerra contro il Donbass che dura da otto anni e che ha causato decine di migliaia di vittime. Il fondatore del battaglione Andriy Biletsky, intervistato da Repubblica il 23 febbraio e in quella sede dichiaratosi assolutamente non antisemita, né nazista, né fascista, è noto come il “Fuhrer bianco” avendo sottolineato (parole sue) “la purezza razziale della nazione Ucraina, impedendo che i suoi geni si mischino con quelli di razze inferiori”, svolgendo così “la sua missione storica di guida della Razza Bianca globale nella sua crociata finale per la sopravvivenza”. Vanno rimarcate le gravissime responsabilità degli Stati Uniti nel sostegno al colpo di forza del 2014 e ai governi successivi e la grave miopia dell’Unione Europea che ha sempre sostenuto acriticamente Kiev senza mai mettere a fuoco la pesantissima infiltrazione nazifascista nei gangli del potere ucraino, le sue decisioni discriminatorie come l’abolizione dell’insegnamento della lingua russa in una terra russofona, in una più generale rimozione, da parte dell’UE, del crescere del fenomeno neonazista e neofascista in Europa.

PER UNA NUOVA DEMOCRAZIA

Tutto ciò va denunciato e condannato con la massima chiarezza, ma non può giustificare un’invasione militare motivata da una sorta di nuovo irredentismo che viola il principio dell’autodeterminazione dei popoli e l’idea stessa di un mondo multipolare che è tale se si regge sulla non ingerenza negli affari di un altro Stato, sul contrasto a qualsiasi visione imperiale e a qualsiasi divisione del mondo fra grandi potenze.
Da ciò deriva l’assoluta nettezza della posizione della Segreteria Nazionale che ha condannato fermamente l’invasione dell’Ucraina in base a un principio di legalità internazionale che va sempre rispettato e la cui violazione va sempre aspramente denunciata. La difesa dei princìpi di democrazia e di autonomia dei popoli non può essere un espediente retorico e tanto meno un’affermazione ipocrita, ma deve essere una regola rigorosa, valida sempre e per tutti, a oriente e occidente, nella prospettiva sostenuta dall’ANPI di un’espansione della democrazia e dei diritti civili e sociali. Va promosso l’orizzonte di una nuova, piena democrazia, dove si valorizzi il nesso fra rappresentanza e partecipazione popolare, contrastando la deriva plebiscitaria delle cosiddette “democrature” e superando lo stallo presente oggi nelle stesse democrazie occidentali e nella UE.

LE PROPOSTE PER LA PACE

In questo scenario l’unica via d’uscita è, anche attraverso un (per quanto difficile) auspicabile e rinnovato ruolo dell’ONU, l’immediato cessate il fuoco, il ritiro delle forze armate russe, l’indipendenza e la neutralità dell’Ucraina al di fuori della Nato e dell’Unione Europa in base a una ragionevole e urgentissima trattativa diplomatica, l’autonomia (prevista dagli accordi di Minsk ma mai realizzata da Kiev) delle regioni del Donbass, l’isolamento e la condanna delle formazioni nazifasciste, in un clima di costruzione di una concordia nazionale assente dai tempi del colpo di forza del 2014. C’è da aggiungere l’avvio di trattative per la progressiva smilitarizzazione dei confini fra i Paesi dell’est (Estonia e Lettonia confinano con la Federazione russa, la Lituania confina con la Bielorussia a pochi chilometri dalla frontiera russa) e la Russia da entrambe le parti in forme e modalità concordate. Ed infine, per quanto riguarda il nostro Paese, il rispetto assoluto e incondizionato dell’art. 11 della Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra….”), il che vuol dire evitare ad ogni costo il coinvolgimento dell’Italia negli eventuali sviluppi militari del conflitto. Non dimentichiamo mai che l’Italia è piena di basi militari USA e NATO e che da giorni dall’aeroporto di Sigonella decollano i droni di ricognizione sull’Ucraina.
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Il Forum delle Associazioni antifasciste e della Resistenza: “L’attacco all’Ucraina va condannato senz’appello”

24 Febbraio 2022

La presa di posizione del Forum. “Uomini donne e bambini, a cui va tutta la nostra solidarietà, tornano a temere per loro vite mentre dopo 77 anni una guerra di grandi proporzioni sembra riaffacciarsi in Europa”

Con l’attacco all’Ucraina, che condanniamo senza appello, uomini donne e bambini, a cui va tutta la nostra solidarietà, tornano a temere per loro vite mentre dopo 77 anni una guerra di grandi proporzioni sembra riaffacciarsi in Europa.

Questa tragedia richiama tutti al più grande senso di responsabilità e di fermezza.

Come Forum delle Associazioni antifasciste e della Resistenza, eredi di coloro che in tempi e con modi diversi si opposero alle politiche nazionaliste del nazismo e del fascismo, aspirando a un mondo di Pace Libertà e Giustizia, sentiamo l’obbligo di richiamare tutti al pieno rispetto dell’art. 11 della Costituzione, con il quale le Madri e i Padri Costituenti ben conoscendo gli orrori della guerra, vollero sottolineare il perenne dovere al ripudio della guerra e alla ricerca di soluzioni negoziali.

Ci rivolgiamo dunque alle forze politiche, associative, sindacali, ai singoli cittadini perché alzino la loro voce in difesa della Pace e dei princìpi del diritto internazionale contro risorgenti nazionalismi e nuovi sovranismi.

Ci rivolgiamo all’Unione Europea perché in modo unitario prenda l’iniziativa per riaffermare un’Europa libera, unita e di pace come immaginata a Ventotene e come impostata e faticosamente costruita dai suoi Padri fondatori.

24 febbraio 2022

Il Forum delle Associazioni antifasciste e della Resistenza:

ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia

AICVAS – Associazione Italiani Combattenti Volontari Antifascisti in Spagna

ANED – Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti

ANEI – Associazione Nazionale Ex Internati

ANFIM – Associazione Nazionale Famiglie Italiane Martiri

ANPC – Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

ANPPIA – Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti

ANRP – Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia

FIAP – Federazione Italiana Associazioni Partigiane

FIVL – Federazione Italiana Volontari della Libertà
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