Editoriali

Per la Pace in Ucraina e nel Mondo. Nulla di intentato!

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Dalla chat whatsapp del Patto per la Sardegna, riportiamo due contributi al dibattito sulla Pace in Ucraina e nel Mondo che riteniamo di generale interesse
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[Angelo] Cari amici,
mentre sono chiuso a casa per via del Covid, rifletto sulle posizioni sull’ Ucraina: armi si, armi no, disarmo incondizionato, responsabilità della NATO, manifestazioni pacifiste, raccolta firme a sostegno del disarmo ecc. Devo confessare di essere abbastanza frastornato e confuso (e non solo per il Covid) a differenza di molti di voi che (beati voi) avete solo certezze ed abbondanza di iniziative conseguenti. Si afferma che le armi portano solo ulteriori morti e si invitano i contendenti ad una pace immediata che mi pare al momento assai poco verosimile anche col generoso sostegno di alcuni di noi.
Mi chiedo, al di là delle belle parole, che alternative concrete diamo al Popolo Ucraino, brutalmente e pretestualmente invaso: senza le “nostre” armi potrebbe certo arrendersi, ma a quali condizioni e con quali perdite di vite umane e di territori (la vicenda israelo-palestinese dovrebbe quanto meno farci riflettere) e poi, in ogni caso, è una decisione che spetta a loro, a noi nel caso resterebbe il rimorso per un pacifismo sterile che non tiene conto delle vittime e che davanti alla violenta sopraffazione “ sta a guardare “ e quindi la incoraggia o tutt’ al più indice qualche marcia o conferenza.
Certo in un mondo ideale le armi andrebbero bandite e le dispute regolate presso organismi internazionali che, se ancora esistono, sono di fatto ostaggio di veti incrociati, vuotate di ogni potere. Ma il mondo non è (ancora) affatto ideale e pieno di tagliagole.
Putin dice che la Russia si sente minacciata dalla NATO, ma la corsa dei Paesi ex Patto di Varsavia verso la NATO, anche quelli tradizionalmente neutrali, dimostra invece che sono questi paesi a sentirsi minacciati dalla Russia e loro sanno, per passate esperienze, cosa questo voglia dire.
Su queste problematiche mi piacerebbe sentire altri punti di vista “non ideologici” ma liberi e non conformisti. Chiedo troppo ? Un caro saluto.
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[Franco] Caro Angelo e cari amici e compagni. Intanto auguri di pronta guarigione a Angelo, e grazie per le sue riflessioni che portano elementi al vivace dibattito in corso in molte sedi (tra cui le nostre chat, blog e pagine fb). Dico la mia. Credo che tutti noi dobbiamo concordare sull’obbiettivo di fondo, sulla finalità, cioè la Pace tra i popoli e la scelta di sostituire sempre le trattative e i negoziati alla guerra. Pertanto attuando per quanto poco possiamo e richiedendo che si attuino le indicazioni/prescrizioni delle vigenti Carte internazionali e ovviamente ridando spazio, vitalità, potere alle Nazioni Unite. Sappiamo tutti in quale stato di debolezza si trovano l’Onu e gli altri organismi mondiali di gestione della Terra. Il nostro impegno va quindi nella direzione di rafforzarli, anche se allo stato appare un’Utopia. Ma questa Utopia, io penso, sia quanto di più realistico oggi ci possa essere e per cui dobbiamo combattere, sapendo che siamo tornati maledettamente indietro rispetto al dopoguerra. Al riguardo io ho come riferimento il movimento Costituzione della Terra, fondato da Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli e altri (https://www.costituenteterra.it). Sulla finalità che credo debba unificarci (credenti, non credenti e altrimenti credenti, come amiamo definire la nostra aggregazione) mi sembra utile riportare alcune considerazioni di Mario Capanna sul perseguire l’abolizione della guerra, facendone un tabù, come è riuscita a fare l’Umanità per tanti altri terribili comportamenti umani (cannibalismo, incesto, schiavitù, …). A mio parere Capanna, che comunque apprezzo nel bilanciamento complessivo della sua storia e personalità, non sempre dice cose condivisibili, ma in questo caso sì, anche perchè si muove nella linea di illustri pensatori e operatori di pace (Capitini, Dolci, Moravia, Cassola, Pasolini, Sciascia, Strada…, per citare solo intellettuali italiani) [rif. Capanna: https://www.radiondadurto.org/2022/05/11/mario-capanna-vicini-a-una-sorta-di-terza-guerra-mondiale-inviare-armi-significa-piu-morti/?fbclid=IwAR2DcOYVPGCww3ydsiqlUCkOKLiqTu7b2N0ZFebdMn-Uyl4Lkbn03CvMYlA] Veniamo invece alla vexata quaestio: gli ucraini si devono difendere, dunque armi sì o armi no? Io credo che gli ucraini debbano difendersi dalla brutale e ingiustificata aggressione russa, come già fanno, e per questo vanno aiutati. Ma come? Con l’invio di armi, le più efficaci, sofisticate, micidiali possibili, come sta facendo la Nato e come stanno facendo direttamente Usa, Gb, Turchia, e i diversi paesi UE? Comunque la pensiamo – io personalmente sono contrario all’invio di armi – davanti al proseguire della guerra con spaventose distruzioni, morti e feriti (soprattutto tra i civili) e al suo allargarsi, fino al possibile conflitto nucleare mondiale, occorre imporre, per quanto possibile il CESSATE IL FUOCO e costringere le parti da subito, anche in corso di combattimenti, a sedersi intorno a un Tavolo permanente per mettere fine al conflitto armato e accordarsi su intese pacifiche e sostenibili. Le parti quali? Presto detto: Russia e Ucraina, Usa, Ue, Cina e altre eventuali (Turchia) con la presenza dell’Onu. In realtà questo Tavolo, più o meno completo, già esiste, ma il confronto avviene molto sottobanco con evidenza pubblica solo di sparate defatigatorie e/o propagandiste. Occorre invece che il Tavolo sia il più possibile formale e visibile, con il massimo di impegno a valorizzarlo, attraverso il sostegno dei grandi (i presidenti in persona e il segretario generale Onu). Tutto questo va sostenuto in tutti i modi possibili e nelle diverse forme tradizionali e/o nuove: marce, appelli, raccolta di firme, sit-in, flash mob… Non lasciamo niente di intentato. Noi dobbiamo fare la nostra parte, per quanto piccola. Come sappiamo, da sempre, il popolo, i popoli nella stragrande maggioranza delle persone vogliono la PACE. I governanti si muovono con altre priorità (spesso, per non dire quasi sempre, non nobili e inconfessabili). Non possiamo nella gran parte dei casi delegittimarli, ma far sentire la nostra voce sì, perchè si muovano positivamente di conseguenza nell’interesse dei popoli che rappresentano. Per ultimo, per noi credenti, ma anche per quanti comunque lo vogliano: dobbiamo pregare per la PACE, pregare perchè gli uomini (l’Umanità) si ritrovino ad essere e comportarsi come fratelli e sorelle e chiedano a Dio di essere aiutati a salvare se stessi e la Terra. Così ci invita a fare anche Papa Francesco, di cui ammiriamo e sosteniamo l’alto magistero. Salute e saluti!
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)

Trad. it. di Aurelia Martelli
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News

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una Terra
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Costituente Terra Newsletter n. 78 dell’11 maggio 2022
Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n. 262 del 11 maggio 2022

IL MONDO PROSSIMO VENTURO

Cari Amici,
Non c’è bisogno di aspettare l’Apocalisse. Il libro si sta aprendo in questi giorni, in queste ore. Lo dice la NATO: la guerra sarà lunga. Ha dichiarato infatti Jens Stoltenberg che ne è il segretario generale: “I membri della NATO non accetteranno mai (il corsivo è nostro) l’annessione illegale della Crimea e il controllo russo su parti dell’Ucraina orientale” (ovvero i due territori del Donbass). Ha commentato il Corriere della Sera: “L’abbraccio troppo caloroso degli alleati potrebbe alla fine rivelarsi imbarazzante per Zelensky”. Pochi giorni prima, il 26 aprile, nella base americana di Ramstein, su invito degli Stati Uniti i ministri della Difesa di 40 Stati di tutto il mondo (fino alla Nuova Zelanda e all’Australia) avevano stipulato una sorta di Santa Alleanza (come l’ha chiamata Domenico Gallo) “per aiutare l’Ucraina a vincere la battaglia contro la Russia”.
Ancora prima, all’inizio della guerra, Biden annunciando sanzioni contro la Russia quali mai si erano viste prima, le aveva assegnato un futuro da “paria”, che vuol dire di esclusione e di umiliazione, come è in India la condizione degli ultimi che sono ultimi non solo in senso sociale, ma metafisico. A sua volta l’inglese Johnson aveva incoraggiato l’Ucraina a usare l’intelligence e le armi americane, inglesi, polacche, italiane e turche della NATO per ritorcere la guerra di Putin contro di lui e colpire i russi in profondità nel loro stesso territorio, dunque non più solo sul mare. Forse proprio per sfuggire a questo abbraccio mortale dello zelo inglese, Zelensky, stremato per la rovina del suo popolo, parlando in un momento di lucidità, naturalmente per televisione, al pubblico inglese attraverso il Reale Istituto “Chatam House” di Londra, aveva avanzato la disponibilità ad uscire dalla guerra se i russi si fossero ritirati sulle posizioni oltre frontiera del 23 febbraio, anche a dover pagare per questo obiettivo il costo della rinunzia a rivendicare la Crimea (ormai entrata col referendum sotto la sovranità russa) e di non parlare del Donbass; notizia questa che in Occidente veniva dichiarata falsa benché tanto vera da aver suscitato la citata reazione di Stoltenberg; questi, mettendo di traverso la NATO aveva chiarito chi fosse il vero signore della guerra, disponendo dell’Ucraina come se questa già appartenesse alla NATO. E la guerra, secondo il dirigente atlantico, poteva durare anche “per mesi e per anni”, fin quando Zelensky avesse deciso di continuarla; in tal modo egli metteva in mano al presidente ucraino il potere di pace e di guerra, nel momento stesso in cui gli negava il diritto di porre fine al conflitto rinunziando alla Crimea e magari promettendo un’Ucraina inoffensiva e non inclusa nella NATO.
Da questa rapida cronaca risulta che lo scenario allestito o ipotizzato dall’Occidente è quello di una guerra di lunga durata. Ma non è uno scenario improvvisato. In sede di analisi esso era stato descritto già un anno prima, il 12 aprile 2021, in un articolo di Lucio Caracciolo che aveva così illustrato la programmazione in corso in America volta a “liquidare la Russia e isolare la Cina”: “Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale – aveva scritto il direttore di Limes – gli americani si trovano a fronteggiare due grandi potenze, la seconda e la terza del pianeta, in una partita che segue ormai la logica di guerra. Somma zero”. In questo schema triangolare, spiegava, l’America ha “un’opzione che comincia a circolare a Washington. E che Biden sta illustrando ai soci atlantici ed asiatici, perché certo da sola l’America non ce la può fare”; “per i cugini britannici” e per i Paesi della NATO baltica e russofoba, come per gli americani, questa opzione significava “la disintegrazione della Russia. Sulle orme del collasso sovietico del 1991”.
Descrivendo lo stato di avanzamento di questi lavori l’articolo riferiva poi che sul fronte del Mar Nero gli ucraini stavano spostando armi e truppe verso il Donbass, mentre i russi stavano facendo lo stesso in direzione opposta e contraria. “La tensione attorno alla Crimea ma anche nell’area di Odessa sta salendo”. E aggiungeva: “Per terra e/o per mare potrebbero accadere ‘incidenti’ dagli effetti imprevedibili…”
E la Russia? si chiedeva Caracciolo. “Non va troppo per il sottile. In caso fosse alle strette, Mosca sarebbe pronta alla guerra. Perché ne andrebbe della sua stessa sopravvivenza”. E concludeva: “I prossimi mesi ci diranno se questa crescente pressione americana, via Nato, sulla Russia, sarà contenuta o se, magari inavvertitamente, produrrà la scintilla di un conflitto dalle imponderabili conseguenze”
Ora i mesi che sono passati da allora ce l’hanno detto. Ma se Lucio Caracciolo sapeva tutte queste cose è difficile che non le sapesse anche Putin: ciò spiega l’affermazione da lui fatta il 9 maggio sulla piazza Rossa che “il pericolo cresceva ogni giorno” e che perciò quella della Russia era stata una reazione preventiva all’aggressione, “una decisione forzata, tempestiva e l’unica giusta di un Paese sovrano”. Una decisione che è stata però un errore e un crimine.
Tutto questo dice che la guerra sarà lunga. Ma quanto lunga? Secondo Limes il futuro sarà tutto un “percorso di tregue interrotte, non certo di vera pace”; secondo l’analista militare Nicola Cristadori sarà una guerra perpetua perché “la guerra, nostro malgrado, è connaturata all’uomo, ragione per cui non ci si può adagiare sui prolungati periodi di pace”: Lo aveva detto anche Eraclito, ai primordi della nostra cultura che la guerra è “padre di tutte le cose, di tutte re, e gli uni disvela come dèi, gli altri come uomini”. Per questa ragione “show must go on” come canta il quartetto rock dei Queen, cioè lo spettacolo deve andare avanti. La guerra è questo spettacolo, non più solo guerra ma warshow; tale ormai è diventata sui nostri schermi televisivi e tale ormai sempre sarà, tolte le guerre dimenticate e locali, fino all’ultima che, se sarà atomica, non potrà essere filmata da nessuno. né potrà essere interrotta dalla pubblicità in alcuna maratona o talk show televisivo. Del resto oggi tutta la realtà, non solo la guerra, è diventata spettacolo; spectaculum facti sumus, aveva detto profeticamente san Paolo.
Con la parata del 9 maggio sulla piazza Rossa, lo spettacolo doveva raggiungere il suo culmine. Per settimane era stata preannunciata come l’evento del secolo, quando Putin avrebbe esibito la sua forza, svelato le sue mire sui Paesi vicini, annunciato la guerra mondiale, minacciato quella atomica, o celebrato la conquista dell’Ucraina e la vittoria della sua guerra. Qualcosa però ha guastato questo spettacolo, il loggione di quasi tutti i nostri giornali l’hanno fischiato, i titoli di prima pagina hanno giocato con “la malaparata”, che magari era la loro, hanno detto “la festa non c’è”, hanno raccontato di un Putin malato e sconfitto, che aveva abbassato la cresta, che aveva ammesso le perdite, che aveva detto no alla guerra totale, che aveva escluso l’atomica. In effetti Putin non aveva mostrato la forza, non aveva fatto volare gli aerei, la sfilata più imponente era stata quella di un milione di persone che recavano milioni di fotografie dei morti nella seconda guerra mondiale, la “guerra patriottica” contro il nazismo che così veniva celebrata.
E a guastare la festa e interrompere lo spettacolo ci si è messo anche Macron, che ha mandato a dire all’America: “Non siamo in guerra contro la Russia. Abbiamo una pace da costruire con Ucraina e Russia attorno al tavolo, ma non si farà né con l’esclusione né con l’umiliazione’”, ed ha aggiunto che l’Europa è più ampia dell’Unione Europea, che non deve cedere ai revanscismi e alle vendette, che deve diventare una vera comunità politica.
Dunque è posta l’alternativa. La guerra oggi in corso è cominciata con la sfida americana alla Russia (l’abbaiare della NATO al suo confine, evocato anche dal Papa) è continuata con la catastrofica e genocida risposta di Putin. Essa contempla un mondo senza la Russia e contro la Cina. Secondo la previsione di “Limes”, “se l’America vincerà questa semifinale sbarazzandosi di Putin – fors’anche della Russia – potrà concentrarsi sulla partita del secolo contro la Cina privata dello scudo russo , circondata per terra e per mare”.
Questo è il futuro che ci viene prospettato, che spiega le posizioni che sulla guerra abbiamo preso fin qui. Ma noi possiamo accettare questo? Possiamo accettare che la guerra accada non per un artificio della nostra cultura ancora così primitiva, ma per una necessità di natura? Possiamo rinunciare al ripudio della guerra? Possiamo adattarci a un mondo dove, come dicono i cinesi, l’Europa obbedisce alla pulsione che la spinge a volere un solo vincitore definitivo e despota del mondo intero? Possiamo desiderare un mondo senza la Russia e in lotta contro la Cina? Se non lo vogliamo dobbiamo inserirci nel varco aperto da Macron, forse anche dalla Germania di Scholz e della Merkel, e immaginare e lottare per un progetto alternativo. È questo il compito che ci resta da assolvere.
Nel sito pubblichiamo l’articolo di Domenico Gallo sulla “Santa alleanza di Ramstein”, uno di Raniero La Valle “Liberare gli altri per salvare sé stessi”, un appello del premio Nobel per la pace Adolfo Perez Ezquivel “Disarmare la ragione armata”, un articolo di Roberta De Monticelli “La Russia confina con Dio” e la lettera al papa per un’ambasceria da mandare a Biden e Putin integrata con le ultime firme (non coincidenti con quelle registrate da Change.org).
Cordiali saluti,

www.costituenteterra.it
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El mundo en manos de irresponsables?
DISARMARE LA RAGIONE ARMATA

11 MAGGIO 2022 / EDITORE / DICONO LA LORO /
La humanidad vive tiempos de incertidumbre, los avances tecnológicos y científicos han acelerado el tiempo que cambia la realidad, donde el presente condiciona el futuro y tener conciencia que lo que sembramos recogemos. La carrera armamentista desgraciadamente es una realidad, buscan seguridad, cada día más insegura.

Vuelve a desatarse la tragedia de Caín y Abel a través del tiempo sin tiempo. Las sagradas escrituras nos muestran el camino que Dios dio al ser humano, “la libertad” y es éste quien decide el camino a seguir entre luces y sombras. La humanidad sufre 25 guerras en diversas partes del mundo, como la de Ucrania y Rusia en una escalada cada vez más peligrosa y cruenta, con peligro que se desate una guerra nuclear.

La II Guerra Mundial marcó para siempre la vida planetaria, las bombas atómicas arrojadas sobre Hiroshima y Nagasaki fueron determinante para el mundo que dejo de ser lo que era y aún con las heridas sangrantes se sumaron otras guerras y conflictos con total desprecio a la vida humana.

¿Olvidaron lo vivido y sufrido?- es como un espejo roto en mil pedazos – ¿Olvidaron el Holocausto, los campos de concentración, los millones de muertos?-¿Olvidaron la Guerra de Vietnam, la guerra entre Israel y Palestina, como otras más que se sumaron a la tragedia de la humanidad?. Es urgente oír el clamor de los pueblos y llamar a la memoria de las nuevas generaciones.

Hay que optar entre la “bomba o la Vida”, para optar por la Vida los pueblos deben rebelarse y no permitir que los sometan y dominen, asumirse como protagonistas de sus propias vidas y constructores de su historia.

Se apagó el faro de la misericordia y la dignidad, sumergieron la humanidad en el oscurantismo, la incertidumbre y el dolor violando los derechos de la persona y de los pueblos.

Los irresponsables tienen rostros y llevan el sello de la bestia 666 en sus frentes y almas, van destrozando vidas, pueblos, se niegan a ver los rostros de hombres, mujeres, niños/as que cuestionan e interpelan y reclaman un lugar digno para vivir en Paz. Están ciegos por la soberbia del poder y el odio y buscan justificar lo injustificable.

Quienes son los responsables de la guerra entre Ucrania y Rusia? Putin, Zelinsky?-Es necesario ver más profundo y poner al descubierto el manejo siniestro del poder dominación mundial de los EEUU, la UE y la OTAN que en forma directa e indirecta ya están involucrados en la guerra.

Los pueblos de Europa deben despertar y no ser satélite de los EEUU y la OTAN que los arrastra al desastre.

Rusia debe parar la guerra, establecer una tregua conjuntamente con la ONU nombrar una comisión de mediación internacional para lograr fronteras seguras y no ser devorado. Esa decisión no puede ser unilateral, debe ser compartida por las potencias involucradas en la guerra y generar espacios de diálogo y soluciones justas para las partes.

El Orden Mundial actual es el mayor desorden mundial.

Ucrania es el peón en el tablero del poder de las grandes potencias, su pueblo es víctima de la guerra, no les interesa los muertos, los refugiados, la destrucción de las ciudades, hay que alimentar la guerra con más armas y dinero, la Bestia no se sacia con la sangre derramada, exige más y más.

Los EEUU y la OTAN en su voracidad de dominar el mundo buscan imponer su política, económica y militar y destruir a sus oponentes, la realidad enseña que las grandes potencias no tienen amigo ni aliados, tienen intereses, basta ver su accionar en el mundo.

Europa ha perdido identidad y valores y depositado en la OTAN su destino. Los pueblos deben saber que ningún ejército es garante de la Paz.

En esta confrontación las amenazas y peligros crecientes de una guerra nuclear afecta a todos los países grandes y pequeños, ricos y pobres, las distancias no cuentan y ponen al mundo en el límite de la existencia planetaria. Todas las potencias involucradas poseen armas nucleares y están dispuestas a utilizarlas sin medir las consecuencias.

Es un grave error considerar a “Rusia, un Oso con rugido de ratón“ y a China un “Tigre de papel”.

El faro de la ONU permanece apagado, hay que ayudarle a despertar y volver a encenderlo para que ilumine a la humanidad antes que sea tarde. En otras notas señale que: “todos saben cómo comienzan las guerras, nadie sabe cómo terminan”. No es posible que los gobiernos gasten recursos en enviar armas a Ucrania para incrementar el conflicto y no tengan el coraje de presentar alternativas para poner fin a la guerra y que todo dependa de las decisiones de los EEUU.

La Paz no se regala se construye, se necesita mucho coraje y sabiduría para alcanzarla. Es urgente “desarmar la razón armada”, hacer posible lo imposible, “transformar las armas en arados”- (Isaias)

Muchas voces en el mundo reclaman el fin de las guerras que afectan a la humanidad y la urgencia de sumar esfuerzos y recursos para combatir el hambre, la pobreza y la desigualdad social. Voces que no son escuchadas por gobiernos irresponsables y por los medios hegemónicos de comunicación .

La solución es política. Los pueblos sufren la violencia de gobiernos que los arrastra a la guerra. Es urgente la unidad en la diversidad y ser protagonistas, levantar y hacer suyo la proclama de la ONU en 1945: “Nosotros los pueblos del mundo” A preservar a las generaciones venideras del flagelo de la guerra que dos veces durante nuestra vida ha infligido a la humanidad sufrimientos indecibles…”

Es un error acorralar a Rusia con sanciones comerciales , censurar su cultura y a los deportistas y suspender a Rusia en la Comisión de Derechos Humanos de la ONU y guardar silencio de las atrocidades y violaciones de los DDHH y de los pueblos cometidas por quienes votaron las sanciones contra Rusia. El Evangelio dice: Aquel que esté libre de culpa que arroje la primera piedra “

Es necesario que los gobiernos tengan valores éticos y coraje para no degradarse y caer en la hipocrecía.

Los pueblos no pueden ser indiferentes y espectadores de la tragedia que vive la humanidad. Es necesaria la rebeldía para evitar ser arrastrados a otro holocausto.

Como dice el antiguo proverbio- “La noche más oscura es cuando comienza el amanecer”

Adolfo Pérez Esquivel

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Ostinatamente impegnati per la Pace in Ucraina e nel Mondo

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COMMENTI
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La maledizione di Ramstein
06-05-2022 – di Domenico Gallo su Volerelaluna.

Una maledizione grava sulla base NATO di Ramstein in Germania. Da quando il 28 agosto 1988 durante l’Airshow Flugtag ’88, nel corso di un’esibizione della pattuglia acrobatica italiana, si verificò una collisione fra i tre Aermacchi MB 339 delle frecce tricolori, uno dei quali cadde sulla folla causando 67 vittime e 346 feriti tra gli spettatori. Morirono anche i tre piloti, uno dei quali, il tenente colonnello Ivo Nutarelli, era un testimone chiave della strage di Ustica perché la sera del 27 giugno 1980 si trovava in volo sul Tirreno meridionale e aveva assistito alla battaglia aerea che aveva portato all’abbattimento del DC9 in volo da Bologna a Palermo. Il caso ha voluto togliere di mezzo un testimone, ma difficilmente si potevano ipotizzare circostanze più tragiche.

Dopo 34 anni la maledizione di Ramstein ha colpito di nuovo, ma questa volta le conseguenze sono imprevedibili ed enormemente più gravi. Il 26 aprile, su invito degli Stati Uniti, si sono incontrati nella base statunitense di Ramstein, i ministri della Difesa di 40 Paesi per un vertice straordinario sull’Ucraina. Non solo i paesi della NATO, ma anche, fra gli altri, Svezia, Finlandia, Australia, Nuova Zelanda. In apertura del summit il segretario della Difesa statunitense Lloyd Austin ha dichiarato: «Oggi siamo qui riuniti per aiutare l’Ucraina a vincere la battaglia contro la Russia. La battaglia di Kiev entrerà nei libri di storia. Ma ora dobbiamo capire di cosa ha bisogno l’Ucraina per combattere […]. Vogliamo rendere più difficile per la Russia minacciare i suoi vicini e indebolirla in questo senso». Quindi ha ribadito: «Vogliamo essere sicuri che non abbiano più le capacità per bullizzare i loro vicini, quelle che avevano prima che iniziasse il conflitto in Ucraina». Austin, inoltre, ha paragonato la resistenza del popolo ucraino contro i russi a quella degli europei e degli americani contro i nazisti, aggiungendo che proprio quella resistenza «ha ispirato tutto il mondo libero, e ha portato grande determinazione alla NATO e gloria all’Ucraina».

A Ramstein è stata stipulata una sorta di Santa Alleanza dei paesi dell’Occidente con l’obiettivo di fornire una poderosa assistenza militare in grado di consentire all’Ucraina di sconfiggere la Russia e di metterla in condizione di non nuocere per il futuro, costi quel che costi in termini di distruzioni e morti. Contemporaneamente il Presidente Biden ha annunciato lo stanziamento di 20 miliardi di dollari in armamenti, mentre il premier inglese Boris Johnson ha incoraggiato l’Ucraina a esportare la guerra in Russia, dichiarando di considerare «interamente legittimo» l’uso da parte ucraina di armi fornite dal Regno Unito per prendere di mira obiettivi all’interno del territorio della Russia. Poiché la sconfitta di una superpotenza militare come la Russia non è una cosa facile, il segretario della NATO Stoltenberg ha dichiarato al summit della Gioventù della NATO, il 28 aprile, che «questa guerra potrebbe trascinarsi e prolungarsi per mesi o anni».

A questo punto è ormai innegabile che la guerra in corso non è più solo un conflitto fra Russia e Ucraina, ma si è trasformata in una guerra per procura di USA, GB e NATO contro la Russia e che l’obiettivo non è un negoziato con concessioni reciproche per porre fine alla guerra, ma la sconfitta militare della Russia. Cosa intende Kiev per sconfitta della Russia ce lo dice Kirill Budanov, capo del Kgb ucraino, citato da Domenico Quirico (La stampa del 5 maggio): «la disintegrazione della Russia o la rimozione di Putin con una sopravvivenza relativa della Russia».

In un intervista pubblicata dal Corriere della Sera del 1° maggio l’economista americano Jeffrey Sachs, docente della Columbia University, ha dichiarato: «La mia ipotesi è che gli Stati Uniti siano più riluttanti della Russia a una pace negoziata. La Russia vuole un’Ucraina neutrale e l’accesso ai suoi mercati e risorse. Alcuni di questi obiettivi sono inaccettabili ma sono comunque chiari. Gli Stati Uniti e l’Ucraina invece non hanno mai dichiarato i loro termini per trattare. Gli Stati Uniti vogliono un’Ucraina nel campo euro-americano in termini militari, politici ed economici. Qui è la ragione principale di questa guerra. Gli Stati Uniti non hanno mai dato un segno di compromesso né prima che la guerra scoppiasse né dopo. […] Quando Zelensky ha lanciato l’idea della neutralità, l’Amministrazione americana ha mantenuto un silenzio di tomba. Ogni giorno setaccio i media per trovare almeno un caso di un esponente statunitense che approvi l’obiettivo di negoziare un accordo. Non ho visto una sola dichiarazione». Purtroppo più si alza il tono dello scontro e più cresce il rischio di estensione del conflitto, che si avvita in una spirale di violenza della quale non è possibile prevedere l’esito. Nell’intervista citata Jeffrey Sachs mette il dito nella piaga: «Il grande errore è credere che la NATO sconfiggerà la Russia, tipica arroganza e miopia americana. Difficile capire cosa significhi sconfiggere la Russia dato che Vladimir Putin controlla migliaia di testate nucleari. I politici americani hanno un desiderio di morte? Conosco bene il mio paese, i leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino. Meglio fare la pace che distruggere l’Ucraina in nome della sconfitta di Putin».

Dopo Ramstein ci troviamo di fronte a una svolta della guerra e forse della storia. La Santa Alleanza ci porta dritti all’inferno. Per favore niente vittoria, preferiamo la pace!
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CONTROCANTO
Fermiamo i padroni della Terra!
05-05-2022 – di Tomaso Montanari su Volerelaluna.
«Padroni della Terra, / vi scrivo queste righe / che forse leggerete / se tempo avrete mai. […] / Lontano me ne andrò; / sul mare e sulla terra, / per dire no alla guerra / a quelli che vedrò. / E li convincerò / che c’è un nemico solo: / la fame che nel mondo / ha gente come noi». È così che, nel 1962, Luigi Tenco traduce la canzone di Boris Vian dedicata al disertore. La versione originale, cui è fedele la traduzione più recente di Ivano Fossati, si indirizza a un «signor presidente». Ma la versione di Tenco è, purtroppo, ancor più aderente alla realtà di oggi: «Padroni della terra».
Già, perché questa guerra che le nostre democrazie occidentali dicono di stare combattendo – per procura, «fino all’ultimo ucraino»«in difesa della democrazia» è una guerra di padroni, di potenti. Gli stessi che distruggono il clima e condannano a morte il pianeta.
Il capo del governo dei migliori ci ha detto che siamo entrati in una economia di guerra. Bontà sua, che ce l’ha detto. Che siamo entrati in guerra con la Russia, quello no, non ce l’ha detto.
E il Parlamento? Siamo sull’orlo dell’olocausto nucleare, e la nostra Repubblica – che dovrebbe ripudiare la guerra, e cedere sovranità solo in condizioni di parità e per costruire giustizia e pace – è una delle potenze che corrono verso la guerra atomica. Ma il Parlamento non ne discute, il Governo non parla alla nazione: ci dicono che siamo in guerra per la democrazia: ma dov’è la nostra democrazia?
Il papa ha chiesto a tutti noi, di qualunque fede siamo, di continuare a «manifestare che la pace è possibile». E ha supplicato: «I leader politici, per favore, ascoltino la voce della gente, che vuole la pace, non una escalation del conflitto». Ma chi ascolta, nelle nostre famose democrazie, la voce della gente? I padroni della terra decidono, la povera gente muore. Gli ucraini, invasi da un despota sanguinario. I soldati russi, mandati al macello da quel despota.
È sempre stato così, lo sappiamo, in ogni guerra. «Il potere di aprire e far cessare le ostilità è esclusivamente nelle mani di coloro che non combattono», ha scritto Simone Weil. E Trilussa, nella sua Ninna nanna del 1914, ci diceva già che: «domani / rivedremo li sovrani (i padroni della terra: Biden, Putin, ndr) / che se scambieno la stima, / boni amici come prima. / E riuniti fra de loro / senza l’ombra d’un rimorso, / ce faranno un ber discorso / su la Pace e sul Lavoro / pe quer popolo cojone / risparmiato dar cannone!». Ma oggi ci chiediamo: ci sarà un domani? Qualcuno sarà risparmiato?
Tra potenze nucleari non ci sono guerre giuste: perché non ci possono essere vincitori, solo macerie radioattive. E nessuno a piantarci una bandiera sopra.
Nel 1965, don Lorenzo Milani scriveva (nel suo discorso in difesa dell’obiezione di coscienza) che, di fronte alla minaccia nucleare, «la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una “guerra giusta” né per la Chiesa né per la Costituzione». E, nel 2020, papa Francesco dice, in Fratelli tutti, che di fronte «allo sviluppo delle armi atomiche, chimiche, biologiche, […] non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”».
Noi diciamo: l’unica guerra giusta è quella che non si fa. Fermatevi! Oggi, tutti noi gridiamo ai pochi maschi, anziani e ricchi, che sono padroni della terra: fermatevi! Non siamo organizzati, non abbiamo rappresentanza, non abbiamo democrazia: ma sappiamo di essere l’intera umanità.
Ricordate il film Don’t look up? I potenti della terra ci dicono che la cometa non arriverà: ma è già sopra di noi. E quella cometa è la guerra atomica. Fermiamo i padroni della terra, i signori della guerra! Fermiamoli, finché è possibile.

Intervento letto all’iniziativa “Pace Proibita” promossa da Michele Santoro il 2 maggio 2022 a Roma
Ninna nanna di Trilussa contro la guerra: https://www.youtube.com/watch?v=TUb37MlJw9A&ab_channel=Rai
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La soluzione non è militare, ma solo politica
Giulio Marcon
4 Maggio 2022 | Sezione: Editoriale, Politica su Sbilanciamoci!
Si continua a pensare – nei circoli occidentali – che la soluzione alla guerra in corso sia militare (la sconfitta sul campo di Putin), mentre può essere solo politica: intanto la ricerca di un accordo per il “cessate il fuoco”. L’invio delle armi invece prolunga la guerra e rischia di estenderla e di renderla più […]
Ci stiamo avvicinando alla fine del terzo mese di guerra e le cose in questo periodo non hanno fatto che peggiorare. All’intensificazione criminale della aggressione di Putin ha corrisposto un demenziale atteggiamento dei paesi occidentali e della NATO tutto rivolto a conseguire la “vittoria militare” sull’aggressore piuttosto che a raggiungere un “cessate il fuoco” per un compromesso accettabile da tutti.
Si continua a pensare – nei circoli occidentali – che la soluzione alla guerra in corso sia militare (la sconfitta sul campo di Putin), mentre può essere solo politica: la ricerca di un accordo per il “cessate il fuoco” sulla base del quale costruire le condizioni di una pace possibile che dia stabilità e sicurezza all’intera regione. L’invio delle armi invece non accelera la fine della guerra, ma la prolunga, rischia di estenderla e di renderla più feroce.
Ora, gran parte dell’opinione pubblica condivide queste preoccupazioni – come dimostrano alcuni recenti sondaggi – e vuole evitare l’aggravamento e l’estensione della guerra che porterebbe ulteriori sofferenze, distruzioni, perdita di vite umane. Come ricordiamo sempre, e come ha fatto Mauro Biani con l’illustrazione al nostro ebook I pacifisti e l’Ucraina, non si tratta di vincere la guerra, ma di vincere la pace. Con la logica della “guerra giusta” ci sarebbero (dopo 50 anni) ancora combattimenti a Cipro e (dopo 30) in Bosnia: forse gli accordi di pace che hanno messo fine a quelle guerre sono equi e soddisfacenti? Cipro (soprattutto) e la Bosnia Erzegovina sono ancora divise, come volevano gli aggressori, eppure abbiamo condiviso l’impegno a porre fine a quelle guerre e fermare gli eccidi. Meglio una pace ingiusta (gli accordi di pace non sono mai giusti, purtroppo) che una guerra classificata come giusta, ma che è solo un crimine, un massacro di povera gente.
Evitiamo la retorica e il delirio (militarista) di chi vorrebbe continuare la guerra sulla pelle degli altri. Troppi errori ha fatto l’occidente dopo la caduta del muro di Berlino, alimentando i nazionalismi (violenti) ad est, impedendo che si costruissero con il multilateralismo le condizioni di assetti delle relazioni internazionali fondati sulla sicurezza condivisa, alimentando la logica minacciosa delle alleanze militari e dell’unipolarismo.
Evitiamo l’ennesimo errore, che potrebbe essere fatale. La strada – difficile e impervia- è quella della ricerca del negoziato e di una soluzione politica. Quella militare, invece, ci porta verso il baratro.
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c3dem_banner_04L’OSSESSIONE DI PUTIN. L’UE E LA TRAPPOLA DELL’UNANIMITÀ. IL “FATTORE Z” NELLA POLITICA ITALIANA
8 Maggio 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Maurizio Molinari, “Biden-Draghi, un’agenda contro le autocrazie” (Repubblica). IL PUNTO SULLA GUERRA : Lucio Caracciolo mette a fuoco la sua analisi: “L’ossessione imperiale di Putin: evitare alla Russia la fine dell’Urss” (La Stampa). Ferdinando Nelli Feroci, “Putin ha fallito ed è più minaccioso. Ora potrebbe allargare il conflitto” (intervista a Qn). Francesca Mannocchi, “Controffensiva ucraina” (La Stampa). Il punto in due articoli di Giuseppe Sarcina: “Mosca: gli Usa sono in guerra” e “Fin dove si spingerà l’aiuto a Zelensky?” (Corriere della sera). Igor Volobuev (già dirigente di Gazprom): “Così fabbricavamo fake news agli ordini del Cremlino” (intervista a Repubblica). Jens Stoltenberg spiega perché “Gli alleati non accetteranno mai di dare la Crimea ai russi” (intervista tradotta da Repubblica). Sigmund Ginzberg, “Perché alla Cina non conviene la guerra di Putin” (Foglio). Nello Scavo, “La guerra affama il mondo. L’Onu: riaprite i porti. Putin risponde coi razzi su Odessa” (Avvenire). Andres Fogh Rasmussen (ex segretario Nato): “L’embargo al petrolio non basta. E’ il momento di colpire il gas” (intervista a La Stampa). Sergio Romano, “La neutralità mancata di Kiev e i troppi che sfruttano il conflitto” (Corriere della sera). L’utopia di Raniero La Valle: “Liberarci dal ‘warshow’ per poi salvare noi stessi” (Il Fatto). Alberto Melloni, “La pace prima della vittoria” (Repubblica) UNIONE EUROPEA: Romano Prodi, “Questa Europa indebolita dal sistema dell’unanimità” (Messaggero). Sergio Fabbrini, “Come uscire dalla trappola dell’unanimità” (Sole 24 ore). Enzo Moavero Milanesi, “L’Europa ritrovi lo slancio e la concretezza di Schuman” (Corriere della sera). Ferdinando Adornato, “Che cosa significa il 9 maggio per l’Europa” (Messaggero). ITALIA: Antonio Polito, “Il ‘fattore Z’ nella politica italiana” (Corriere della sera). Marcello Sorgi, “Gli sgambetti dell’avvocato del popolo” (La Stampa). Non così la pensano Eugenio Fatigante, “Il dibattito da non rinviare” (Avvenire) e Giovanni Valentini, “Conte, leader laico. 5 punti per vincere” (Il Fatto). Stefano Lepri, “Lo spread oltre quota 200 e il nodo dello scostamento” (La Stampa). INOLTRE: Giuliano Battiston, “Guerra talebana alle donne: burka o restate a casa” (Manifesto). Enrico Franceschini, “L’Irlanda riunita è più vicina ” (Repubblica).
[segue]

Ostinatamente impegnati per la Pace in Ucraina e nel Mondo

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Costituente Terra Newsletter n. 77 del 4 maggio 2022 – ChiesadituttiChiesadeipoveri Newsletter n. 261 del 4 maggio 2022

PACIFISMO OBSOLETO?

Cari Amici,
il cancelliere tedesco Scholz ha detto il 1° maggio a proposito della guerra in corso che il pacifismo è “obsoleto”. Ma, se è obsoleto, vuol dire che prima di andare in obsolescenza era valido. Meno male che c’è andato dopo l’unificazione tedesca, perché se ci fosse andato prima il muro di Berlino non sarebbe caduto, il pacifista Gorbaciov non avrebbe detto a Krenz, il successore di Ulbricht, di aprirlo, e il resto dell’Europa non sarebbe stata così pronta ad accettare l’idea di una grande Germania, quando molti leaders europei, come diceva sia pure scherzando Andreotti, pensavano che molte Germanie sarebbero state meglio di una sola, tanto più se indotta a spendere in armi più del 2 per cento del PIL.
Tanto più grave è liquidare il “pacifismo” quando c’è una tragica incomprensione della natura ultimativa della crisi che stiamo vivendo e dei modi per uscirne. Non parliamo delle persone in malafede, di quanti vogliono la guerra o fanno affari con le armi, ma di quanti, pur con le migliori intenzioni, con le loro analisi e prese di posizione ci spingono verso la catastrofe.
Se ci fosse un pacifismo da buttare, naturalmente obsoleto sarebbe anche il papa che vorrebbe andare a Mosca per far fare la pace a Putin e fare la pace con Putin.
In attesa di ciò, con centinaia di firme tutte di grande valore per le esperienze di vita che esprimono, è stata scritta una lettera al papa per chiedergli di mandare intanto un’ambasceria di pace alla Casa Bianca e al Cremlino non solo per fermare la guerra ma per convincere ambedue quei potenti a progettare un mondo dove tutti possano coesistere in pace.
Qual è il rapporto tra le due ipotesi di intervento, quella a cui si dichiara pronto il Papa stesso, e quella che gli è suggerita dal movimento di base?
Il problema è che ci sono due livelli della crisi; a entrambi, per uscirne, occorre rispondere.
C’è il problema umanitario. La missione del papa a Mosca sarebbe, e speriamo di poter dire “sarà”, una missione umanitaria. Come egli ha detto di se stesso e del patriarca Kirill, “noi non siamo dei chierici di Stato”, siamo pastori di popoli, non possiamo e neanche saremmo in grado di offrire soluzioni politiche. Ma qui il problema non è semplicemente un problema umanitario, che ci trova tutti unanimi, e nemmeno il problema è di dividere, più o meno salomonicamente, i torti e le ragioni tra gli uni e gli altri. Se l’orribile sentenza del generale von Clausewitz fosse vera, la guerra sarebbe la continuazione della politica con altri mezzi, e se fosse vera la tesi di Carl Schmitt la politica sarebbe il regolamento dei conti tra amico e nemico. Ma se queste tesi sono prese per vere (e proprio questo delirio sembra oggi di dominio comune) occorre anche riconoscere che il problema dell’uscita da questa guerra non è solo umanitario, e nemmeno è quello di decidere sentenze e pene, ma è un problema politico. Sia a Washington che a Mosca potrebbero offendersi se si agitasse solo il problema umanitario, come se loro non fossero umani, e ci si appellasse solo al buon cuore, come se fosse scontato che il loro sia un cuore di pietra. In tal caso non ci sarebbe niente da fare.
Ma se il problema è politico lo si può individuare e risolvere. Si potrebbe allora riconoscere che essendo la NATO un’alleanza difensiva e non offensiva, il piano a lungo perseguito ed attuato di allargarla verso Est fino a circondare la Russia, fosse dettato dalla necessità di difendere dalla Russia le nazioni dislocate sul suo confine occidentale. D’altra parte si potrebbe riconoscere che il problema politico di Mosca fosse di sentirsi minacciata dall’ ”abbaiare della NATO alla porta della Russia”, come ha detto il papa, e di voler salvaguardare la lingua e la vita stessa (come si era visto ad Odessa) della gente di tradizione russa nei territori ucraini del Donbass. Ma questi sono problemi politici molto facili a risolversi tra interlocutori anche di media intelligenza e di normale capacità politica, come è normale che sia trattandosi di responsabili di popoli. Perché non scambiarsi le rispettive sicurezze?
Ciò naturalmente se il problema politico non è quello di pretendere il dominio del mondo, o di imprimere la propria impronta su tutta la terra, ipotesi che però, a questo punto della civiltà e del diritto, non si può nemmeno prendere in considerazione..
Se poi fosse la Merkel a fare da catalizzatore tra i due protagonisti per far confluire i loro progetti sull’ordine mondiale in un disegno comune, sarebbe chiaro che ad ispirare tale disegno neppure nella polemica più accesa potrebbe essere evocata l’ombra, a lei ben nota, di Hitler.
Questo è il senso della lettera al papa, quando egli mostra di voler fare tutto il possibile per stabilire la pace. Tocca oggi ai responsabili delle nazioni, sostenuti dalla ideale assemblea di tutti gli abitanti della terra, gettare le basi di un ordine mondiale che chiuda definitivamente l’era dell’internazionalismo selvaggio degli Stati, di un mondo spartito tra i padroni di tutto, di una storia che va da Vestfalia a Campoformio a Versailles e a Yalta, per instaurare un ordine multipolare, comunitario e costituzionale dei popoli, che garantisca i diritti fondamentali e renda liberi gli oppressi.
Pubblichiamo una illuminante intervista dell’economista Sachs sulle responsabilità dell’America nella guerra di Ucraina, la lettera al papa per un’ambasceria di pace, da affidare per esempio alla Merkel, una lettera di Gustavo Zagrebelsky che spiega, come hanno fatto molti altri con le motivazioni più interessanti, con quali sentimenti l’abbia firmata, e un documento dell’associazione “Laudato sì’” che ammonisce come l’ecologia integrale sia il solo orizzonte in cui si possono risolvere i conflitti.
Con i più cordiali saluti,

www.costituenteterra.it

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DRAGHI E IL NUOVO CANTIERE DELLA DEMOCRAZIA
4 Maggio 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem
Luigi Manconi, “La guerra divide famiglie e amici” (Repubblica). Angelo Panebianco, “Una fragile democrazia (noi e Putin)” (mente politica.it). DRAGHI E LA RIFORMA DELL’EUROPA: Lina Palmerini, “L’appello di Draghi alla Ue prima del viaggio in Usa” (Sole 24 ore). Il testo del discorso di Mario Draghi a Strasburgo, “Basta unanimità nella Ue” (Foglio). Andrea Bonanni, “Il nuovo cantiere della democrazia” (Repubblica). Ilario Lombardo, “Dottrina Draghi per l’Europa” (La Stampa). P. V. Dastoli, S. Fabbrini, F. Kastoris, S. MIcossi e V. Termini: “Per l’Europa politica serve un nuovo trattato di Messina” (Sole 24 ore). UCRAINA: il vicepresidente della Duma russa, Pjotr Tolstoy, intervistato da Repubblica: “L’esercito russo si fermerà solo al confine con la Polonia”. Gianfranco Pasquino, “Il regime change in Russia è realistico” (Domani). Stefano Fassina, “E’ chiaro vogliono rovesciare Putin. Tutti a rimorchio dell’America” (intervista al Riformista). Nadia Urbinati, “Gli interessi degli Stati Uniti non sono più quelli dell’Europa” (Domani). Francesco D’Agostino, “Alle radici del consenso per Putin” (Avvenire). Brunetto Salvarani, “Il papa si era illuso. Ora condanna lo zar” (intervista a Qn). GOVERNO E MAGGIORANZA: Paolo Pombeni, “In crisi sulla politica estera?” (mente politica). Barbara Fiammeri, “Il premier boccia il 110%. Scontro fra Draghi e M5S” (Il Sole 24 ore). Marcello Sorgi, “L’alleanza giallorossa torna in bilico” (La Stampa). INOLTRE: Giuseppe De Rita, “L’età del rancore è durata troppo. Sui social declinerà presto” (intervista all’Avanti!). Stefano Ceccanti, “Maritain, filosofo della democrazia” (intervista di Pierluigi Mele per RaiNews.it).
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Lettera al papa. “Mandi la Merkel”
Maggio 2022
di Raniero La Valle e molti altri

La lettera, il cui primo firmatario è Raniero La Valle, dopo aver raccolto alcune decine di firme – tra cui quelle dei due nuovi presidenti della Rosa Bianca – è stata consegnata in Vaticano il 2 maggio
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La lettera al Papa
CHE I RAGAZZI VADANO DAI POTENTI
4 MAGGIO 2022 / EDITORE / DICONO I FATTI / Costituente Terra/ChiesadituttiChiesadeipoveri.
Gustavo Zagrebelsky: i giovani sono il futuro, hanno diritto a un avvenire non avvelenato dalla violenza, dalla distruzione e dalla morte
Pubblichiamo la lettera con cui il prof. Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale, come molti altri firmatari, spiega i motivi della sua adesione alla lettera al Papa
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A un punto di svolta nella storia dell’umanità

ae89a25f-6f44-46be-83c6-bbcaa884966aLa crisi ucraina
SENZA VINCITORI
27 APRILE 2022 / EDITORE / DICONO I FATTI / Costituente Terra
Se si vogliono evitare catastrofi ancora peggiori bisogna capire dove abbiamo sbagliato e come la rotta può essere corretta. Le opzioni necessarie possono non essere gratificanti, ma siamo a un punto di svolta nella storia dell’umanità

Intervista a Noam Chomsky

Sulla guerra in Ucraina pubblichiamo questa intervista di Truthout, organizzazione di notizie non a scopo di lucro fondata nel 2000, al filosofo americano Noam Chomsky:

Domanda: Noam, l’invasione russa dell’Ucraina ha colto la maggior parte delle persone di sorpresa e ha causato una grande agitazione in tutto il mondo, anche se molti elementi indicavano che Putin era abbastanza infuriato per l’espansione verso est della NATO e la determinazione di Washington a non prendere sul serio le sue richieste di sicurezza di non superare la “linea rossa” sull’Ucraina. Perché pensi che abbia deciso di lanciare un’invasione in questo momento?

Noam Chomsky: Prima di rispondere alla domanda, dobbiamo stabilire alcuni fatti che sono incontestabili. Il più cruciale è che l’invasione russa dell’Ucraina è un grave crimine di guerra paragonabile all’invasione statunitense dell’Iraq e all’invasione Hitler-Stalin della Polonia nel settembre 1939, per fare solo due esempi rilevanti. È ragionevole cercare spiegazioni, ma non ci sono giustificazioni o attenuanti.

Tornando alla domanda, sono state fatte numerose speculazioni su come funziona la mente di Putin. La solita narrazione è che è intrappolato in fantasie paranoiche, che agisce da solo, circondato da cortigiani di bassa lega come quelli che conosciamo qui, in ciò che resta del Partito Repubblicano, che vanno a Mar-a-Lago in cerca dell’approvazione del Leader.

Ma forse si dovrebbero considerare altre possibilità. Forse Putin intendeva dire quello che lui e i suoi alleati hanno detto forte e chiaro per anni. Potrebbe essere, per esempio, che “dato che la principale richiesta di Putin è la garanzia che la NATO non accetterà altri membri, e in particolare l’Ucraina o la Georgia, ovviamente non ci sarebbero state motivazioni per la crisi attuale se non ci fosse stata un’espansione dell’Alleanza atlantica dopo la fine della guerra fredda o se l’espansione fosse avvenuta in accordo con la costruzione di una struttura di sicurezza in Europa che includesse la Russia”. L’autore di queste parole è Jack Matlock, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia, uno dei pochi esperti credibili della Russia nel corpo diplomatico statunitense; le ha scritte poco prima dell’invasione. Continua concludendo che la crisi “può essere facilmente risolta con l’applicazione del buon senso”. Da qualsiasi punto di vista, il buon senso suggerisce che gli Stati Uniti hanno interesse a promuovere la pace, non il conflitto. Cercare di levare l’Ucraina dall’influenza russa – l’obiettivo dichiarato dei promotori delle “rivoluzioni dei colori” – era una missione assurda e pericolosa. Abbiamo dimenticato così presto la lezione della crisi dei missili di Cuba?

Matlock non è solo. Le memorie del capo della CIA William Burns, un altro dei pochi veri esperti sulla Russia, raggiungono le stesse conclusioni sulle questioni sostanziali. La posizione [diplomatica] ancora più forte di George Kennan ha ricevuto tardivamente un’ampia copertura, che è stata appoggiata anche dall’ex segretario alla difesa William Perry e, al di fuori dei ranghi diplomatici, dal noto studioso di relazioni internazionali John Mearsheimer, e da numerose figure che difficilmente potrebbero essere più convenzionali.

Niente di tutto questo è sconosciuto. Documenti interni degli Stati Uniti rilasciati da WikiLeaks rivelano che l’incauta offerta di Bush II all’Ucraina di unirsi alla NATO ha immediatamente provocato severi avvertimenti dalla Russia che la minaccia militare in espansione era intollerabile. Comprensibilmente. Per inciso, possiamo anche prendere nota di quello strano concetto della “sinistra” che sembra regolarmente rimproverare “la sinistra” per il suo insufficiente scetticismo sulla “linea del Cremlino”.

Il fatto è che, ad essere onesti, non sappiamo perché la decisione sia stata presa, e nemmeno se sia stata presa da Putin da solo o dal Consiglio di Sicurezza russo in cui lui gioca il ruolo di leader. Ci sono, tuttavia, alcune cose che sappiamo con un discreto grado di certezza, compresi i documenti esaminati in dettaglio dalle persone che ho appena citato, che hanno ricoperto alte posizioni all’interno del sistema di pianificazione. In breve, la crisi è stata preparata per 25 anni, mentre gli Stati Uniti hanno sprezzantemente ignorato le preoccupazioni della sicurezza russa, in particolare le sue chiare linee rosse: Georgia e soprattutto Ucraina. Ci sono buone ragioni per credere che questa tragedia avrebbe potuto essere evitata fino all’ultimo minuto. Ne abbiamo già discusso, ripetutamente. Sul perché Putin abbia iniziato l’aggressione criminale in questo momento, possiamo speculare quanto vogliamo. Ma il quadro generale è chiaro ma viene evitato, non viene discusso.

È facile capire che chi ne subisce le conseguenze trova inaccettabilmente compiacente domandarsi perché è successo e se si sarebbe potuto evitare. È comprensibile, ma sbagliato. Se vogliamo rispondere alla tragedia in un modo che aiuti le vittime ed eviti le catastrofi ancora peggiori che ci aspettano, è prudente e necessario imparare il più possibile su ciò che è andato storto e su come la rotta avrebbe potuto essere corretta. I gesti eroici possono essere gratificanti. Ma non sono utili.

Come spesso accade, mi ricordo di una lezione che ho imparato molto tempo fa. Alla fine degli anni ’60, ho partecipato a una riunione in Europa con alcuni rappresentanti del Fronte di Liberazione Nazionale del Vietnam del Sud (i ‘Vietcong’, nel linguaggio statunitense). Fu durante il breve periodo di intensa opposizione agli spaventosi crimini statunitensi in Indocina. Alcuni giovani erano così infuriati che pensavano che la reazione violenta fosse l’unica risposta appropriata alle mostruosità in atto: rompere le finestre di Main Street, bombardare un centro del Reserve Officers’ Training Corps. Qualsiasi altra cosa equivaleva alla complicità in crimini terribili. I vietnamiti vedevano le cose in modo molto diverso. Si sono fortemente opposti a tutte queste misure. Hanno fatto vedere come una protesta può essere efficace: alcune donne in piedi in preghiera silenziosa sulle tombe dei soldati americani uccisi in Vietnam. Non erano interessati a ciò che gli americani che si opponevano alla guerra facevano per sentirsi giusti e rispettabili. Volevano sopravvivere.

È una lezione che ho sentito spesso, in una forma o nell’altra, dalle vittime di orribili sofferenze nel sud globale, il principale obiettivo della violenza imperiale. Una lezione che dovremmo prendere a cuore, adattata alle circostanze. Oggi questo significa uno sforzo per capire perché questa tragedia è avvenuta e cosa si sarebbe potuto fare per prevenirla, e per applicare queste lezioni a ciò che verrà dopo.

Il problema è profondo. Non c’è il tempo di ripercorrere qui questa questione di vitale importanza ma la reazione a una crisi reale o immaginaria è sempre stata quella di tirare fuori la pistola piuttosto che il ramo d’ulivo. È quasi un’azione di riflesso, e le conseguenze sono state generalmente spaventose per le vittime tradizionali. Vale sempre la pena di cercare di capire, di anticipare un po’ le possibili conseguenze dell’azione o dell’inazione. Queste sono verità, certo, ma vale la pena insistere su di esse perché vengono facilmente liquidate in momenti di giustificato sfogo.

Quali sono le opzioni?

Noam Chomsky – Le opzioni che rimangono dopo l’invasione sono scoraggianti. Il meno peggio è sostenere le opzioni diplomatiche che ancora esistono nella speranza di ottenere un risultato simile a quello che era molto probabile qualche giorno fa: la neutralizzazione dell’Ucraina in stile austriaco, una versione del federalismo di Minsk II. Molto più difficile da realizzare ora. E – necessariamente – con una via di fuga per Putin, o l’esito sarà ancora più terribile per l’Ucraina e il mondo intero, forse oltre l’immaginabile. Ma quando mai la giustizia ha prevalso negli affari internazionali? È necessario elencare ancora una volta gli spaventosi precedenti?

Che piaccia o no, le opzioni ora si riducono a un brutto risultato che premia piuttosto che punire Putin per l’atto di aggressione, o la forte possibilità di una guerra terminale. Può sembrare gratificante mettere l’orso in un angolo da cui affonderà nella disperazione, e si può farlo. Però non è saggio. Nel frattempo, dovremmo fare tutto il possibile per offrire un sostegno significativo a coloro che difendono coraggiosamente la loro patria contro aggressori crudeli, a coloro che sfuggono agli orrori e alle migliaia di russi coraggiosi che si oppongono pubblicamente al crimine del loro stato con grande rischio personale – una lezione per tutti. E dovremmo anche cercare di trovare il modo di aiutare un tipo di vittima più generale: tutte le specie che abitano la Terra. Questa catastrofe arriva in un momento in cui tutte le grandi potenze, e in effetti tutti noi, dobbiamo lavorare insieme per controllare il grande flagello della distruzione ambientale che sta già prendendo un tributo disastroso, e diventerà presto molto peggio se non si fanno rapidamente grandi sforzi. Per portare a casa l’ovvio, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha appena pubblicato l’ultima e più minacciosa delle sue valutazioni periodiche su come ci stiamo dirigendo verso la catastrofe.

Nel frattempo, le misure necessarie sono in stallo, addirittura in ritirata, mentre le risorse necessarie sono destinate alla distruzione e il mondo si muove ora verso l’espansione dell’uso dei combustibili fossili, compreso il più pericoloso e convenientemente abbondante, il carbone. Un demone malevolo difficilmente potrebbe escogitare una congiuntura più grottesca. Non può essere ignorata. Ogni momento è importante. L’invasione russa è una chiara violazione dell’articolo 2(4) della Carta delle Nazioni Unite, che vieta la minaccia o l’uso della forza contro l’integrità territoriale di un altro stato. Tuttavia, durante il suo discorso del 24 febbraio, Putin ha cercato di fornire basi legali per l’invasione e la Russia cita il Kosovo, l’Iraq, la Libia e la Siria come prova che gli Stati Uniti e i loro alleati violano ripetutamente il diritto internazionale.

Può commentare le basi legali di Putin per l’invasione dell’Ucraina e lo stato del diritto internazionale nell’era post guerra fredda?

Noam Chomsky – Non c’è niente da dire sul tentativo di Putin di fornire una base giuridica alla sua aggressione. Non ha alcun merito. Certo, è vero che gli Stati Uniti e i loro alleati violano il diritto internazionale senza battere ciglio, ma questo non offre alcuna attenuazione per i crimini di Putin. Tuttavia, Kosovo, Iraq e Libia hanno avuto un’influenza diretta sul conflitto in Ucraina.

L’invasione dell’Iraq fu un esempio da manuale dei crimini per i quali i nazisti furono impiccati a Norimberga, pura aggressione non provocata. E un pugno in faccia alla Russia.

Nel caso del Kosovo, l’aggressione della NATO (cioè degli Stati Uniti) è stata dichiarata “illegale ma giustificata” (ad esempio dalla Commissione Internazionale sul Kosovo presieduta da Richard Goldstone) sulla base del fatto che i bombardamenti sono stati effettuati per fermare le atrocità che stavano avendo luogo. Un tale giudizio richiedeva l’inversione della cronologia. La prova che l’ondata di atrocità era una conseguenza dell’invasione è schiacciante: prevedibile, prevista, anticipata. Inoltre, le opzioni diplomatiche erano disponibili; come sempre, sono state ignorate a favore della violenza.

Alti funzionari statunitensi confermano che è stato soprattutto il bombardamento della Serbia alleata della Russia – senza nemmeno informarli in anticipo – che ha fatto deragliare gli sforzi russi per collaborare in qualsiasi modo con gli Stati Uniti nella costruzione di un ordine di sicurezza europeo post-Guerra Fredda, una battuta d’arresto che ha accelerato con l’invasione dell’Iraq e il bombardamento della Libia dopo che la Russia ha accettato di non porre il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che la NATO ha prontamente violato. Gli eventi hanno conseguenze; tuttavia, i fatti possono essere nascosti all’interno del sistema dogmatico.

Lo status del diritto internazionale non è cambiato nel periodo successivo alla guerra fredda, nemmeno a parole, figuriamoci nei fatti. Il presidente Clinton ha chiarito che gli Stati Uniti non hanno intenzione di rispettarlo. La Dottrina Clinton dichiarava che gli Stati Uniti si riservavano il diritto di agire “unilateralmente quando necessario”, compreso “l’uso unilaterale del potere militare” per difendere interessi vitali come “garantire il libero accesso a mercati chiave, forniture energetiche e risorse strategiche”. Così come i suoi successori e chiunque possa infrangere impunemente la legge.

Questo non significa che il diritto internazionale non abbia valore. Ha una gamma di applicabilità, ed è uno standard utile per alcuni aspetti. L’obiettivo dell’invasione russa sembra essere quello di rovesciare il governo di Zelensky e installare al suo posto un governo filorusso. Qualunque cosa accada, comunque, l’Ucraina affronta un futuro cupo a causa della sua decisione di diventare una pedina nei giochi geostrategici di Washington.

In questo contesto, fino a che punto le sanzioni economiche possono indurre la Russia a cambiare la sua posizione sull’Ucraina? O le sanzioni economiche mirano a qualcosa di più grande, come minare il controllo di Putin all’interno della Russia e i legami con paesi come Cuba, Venezuela e forse anche la Cina stessa?

Noam Chomsky – L’Ucraina può non aver fatto le scelte più sagge, ma non aveva nulla di simile alle opzioni che avevano gli Stati imperiali. Ho il sospetto che le sanzioni renderanno la Russia ancora più dipendente dalla Cina. A meno che non cambi seriamente rotta, la Russia è uno Stato petrolifero cleptocratico dipendente da una risorsa che deve essere drasticamente diminuita o siamo tutti finiti. Non è chiaro se il suo sistema finanziario possa sopportare un forte attacco, attraverso sanzioni o altri mezzi. Una ragione in più per offrire una via di fuga, anche se con una smorfia. I governi occidentali, i principali partiti di opposizione, compreso il partito laburista nel Regno Unito, e i media corporativi hanno intrapreso una campagna sciovinista anti-russa. Gli obiettivi includono non solo oligarchi russi, ma anche musicisti, direttori d’orchestra e cantanti, e persino proprietari di squadre di calcio come Roman Abramovich del Chelsea FC. In seguito all’invasione, alla Russia è stato persino vietato di partecipare all’Eurovision nel 2022.

È la stessa reazione che i media corporativi e la comunità internazionale in generale hanno mostrato nei confronti degli Stati Uniti dopo la loro invasione e successiva distruzione dell’Iraq, vero?

Noam Chomsky – Il suo commento ironico è molto appropriato. E possiamo continuare su sentieri fin troppo familiari.

Pensa che l’invasione inaugurerà una nuova era di continuo confronto tra la Russia (verosimilmente in alleanza con la Cina) e l’Occidente?

Noam Chomsky – È difficile sapere dove cadranno le ceneri, e questa potrebbe non essere una metafora. Finora, la Cina sta camminando con cautela, ed è probabile che persegua il suo ampio programma di integrazione economica di gran parte del mondo all’interno del proprio sistema globale in espansione – in cui, poche settimane fa, ha incorporato l’Argentina nell’iniziativa Belt and Road – mentre guarda i rivali distruggersi a vicenda. Come abbiamo detto prima, il confronto è una condanna a morte per la specie, senza vincitori. Siamo a un punto di svolta nella storia dell’umanità. Non lo si può negare. Non lo si può ignorare.

Di C.J. Polychroniou, Truthout.org – Traduzione di Manuela Cattaneo da CTXT Contesto y Acciòn, marzo 2022, n. 282

L’ORIGINE DELLA GUERRA E LA LEZIONE DI BERLINGUER

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cost-terra-logo 27 APRILE 2022 / COSTITUENTE TERRA / DISIMPARARE L’ARTE DELLA GUERRA /
Alle radici del movimento d’ispirazione socialistica c’è la critica del modello capitalistico. E rinunciarvi significa rinunciare alla propria missione. Ma Enrico
Berlinguer
pensava a un altro modo di interpretare quella funzione critica

di Aldo Tortorella*

La guerra al centro dell’Europa con la brutale aggressione russa all’Ucraina, fuori da ogni diritto internazionale quali che fossero i motivi dichiarati per giustificarla, ha segnato l’inizio di quest’anno nel quale ci preparavamo a ricordare il centenario della nascita di Enrico Berlinguer non solo per motivi affettivi, ma per riflettere sul suo pensiero e sul secolo che è trascorso. Non più il secolo breve di Hobsbawm (tra la prima guerra mondiale e l’89) ma quello che arriva fino a noi e che viene mostrando ciò che scompare e ciò che rimane o ritorna.

Come è possibile che la guerra sia tornata in Europa sin da quando fu bombardata Belgrado dalla Nato per strappare alla Serbia il Kosovo? E perché continuano le guerre più o meno (apparentemente) concluse nel Medio e Vicino Oriente o in Libia a pochi chilometri dalle coste siciliane? Da dove viene il nazionalismo che dilaga nel mondo? Perché si è tanto estesa la tendenza che viene chiamata “populismo”? E come è possibile che dopo le catastrofi generate da fascismo e nazismo quelle idee siano tornate a fare proseliti e a costruire organizzazioni? E, mentre scrivo questo articolo, ci si chiede angosciosamente come sia nato e che cosa provocherà questo nuovo incubo della guerra russo-ucraina in atto. È un mondo tutto all’opposto della vita di Berlinguer, cioè della sua originale visione di un bisogno e di un ideale di pace, di liberazione umana, di giustizia sociale che percorse il Novecento: un ideale che fu il motivo conduttore e l’oggetto della contesa planetaria nel secolo breve.

Il “socialismo in un Paese solo”, con l’appello alla sua difesa, aveva in parte stravolto ma non aveva soppresso l’ideale internazionalista, quello espresso nel canto che fu comune ai comunisti e ai socialdemocratici novecenteschi dopo che i proletari, anziché unirsi, erano stati indotti a spararsi dalle opposte trincee. Quando, dopo lo stalinismo, dopo Krusciov, dopo il breznevismo e dopo la guerra scatenata e perduta dai sovietici in Afghanistan, venne la speranza, con Gorbaciov, di una radicale riforma democratica del sistema sovietico, la potenza economicamente e politicamente vincente, gli Stati Uniti, volle sopprimere quella speranza, favorendo la grande rapina privatistica dei burocrati, promuovendo e proteggendo il potere di un proprio seguace, quale era Eltsin, affermatosi al potere bombardando il Parlamento liberamente eletto. E sottovalutando la inevitabile rinascita del nazionalismo di una Russia convertita al capitalismo più selvaggio e umiliata oltre misura.

In Italia quella che ho chiamato la originale visione cui era approdato Berlinguer del bisogno e dell’ideale di liberazione sociale – la visione combattuta dai sovietici e dai partiti legati a loro che prese il nome di “eurocomunismo” e divenne poi la possibile traccia di una nuova sinistra – fu tacitamente sepolta con lui dopo la sua morte precoce da gran parte dei suoi compagni che, poi, pensarono fosse necessario cancellare il loro medesimo partito. Il quale si chiamava “comunista” come tanti nel mondo, ma non era assimilabile ai suoi omonimi, eppure scomparve come tanti altri e come l’Unione Sovietica. Per tutto ciò Berlinguer fu definito uno sconfitto, un fallito o, nel migliore dei casi, un sognatore d’illusioni. Ora noi possiamo vedere il seguito della storia dopo la vittoria mondiale, alla fine del secolo scorso, del modello economico capitalistico, pur in difformi versioni politiche e istituzionali.

Il 1922 della nascita di Enrico è l’anno stesso che vide il primo affermarsi al potere del fascismo italiano. Un anno prima si era costituito, nel solco tracciato dalla Rivoluzione russa, il Partito comunista come Sezione italiana della Terza Internazionale, dapprima secondo l’orientamento di Bordiga, poi ripensato da Gramsci, e trasformato da Togliatti nel PCI alla fine della seconda guerra mondiale. A quest’ultima versione Enrico Berlinguer, come molti della sua generazione, si iscrisse e rimase legato per tutta la vita. La versione di Togliatti, come si sa o si dovrebbe sapere, pensava le idee di trasformazione sociale come indispensabili all’inveramento della democrazia e all’avanzamento della nazione: la “via italiana” era la scelta per la democraticità (come dato nazionale, però) e il legame con l’Unione Sovietica una sorta di garanzia di fedeltà alle idee internazionaliste. Era il tempo in cui alla guerra cruenta – promossa, condotta con crimini orrendi (come la Shoah) e infine perduta dai nazisti e dai fascisti e vinta dal fronte antifascista – seguì mezzo secolo di guerra fredda che aveva come posta lo scacco delle idee che avevano motivato la Rivoluzione russa. Dentro questa contesa Berlinguer visse per quarant’anni come precoce dirigente e poi capo del partito cui si era votato. E così come aveva abbracciato da giovane, anche contro la classe sociale cui apparteneva per nascita, le idee di liberazione sociale e umana, pensandole incarnate nello Stato che aveva dato un contributo decisivo alla sconfitta dei nazisti e dei fascisti, in egual modo ne avvertì la mistificazione da parte di coloro – la dirigenza sovietica – che avrebbero dovuto trarne ispirazione per riformare la creatura ereditata da una storia fatta da eroismi e sacrifici inauditi insieme ad atrocità impensabili poi denunciate da uno di loro, Krusciov.

Tuttavia, e fu questa la vera rottura dentro il suo partito ben prima dell’89, opposte erano le idee sul significato del fallimento, sempre più evidente, della esperienza sovietica e cioè della fine, da Berlinguer medesimo proclamata, della “spinta propulsiva” delle esperienze nate a seguito della Rivoluzione d’ottobre. La parte maggioritaria del gruppo dirigente del Pci, come si vide poi, aveva maturato la convinzione che bisognasse aderire senza riserve alla realtà data e dunque rompere totalmente con il proprio passato (cui i più giovani erano ovviamente del tutto estranei) per quanto coraggiosa fosse stata la storia dei comunisti italiani nella ricerca di una propria strada distinta, e alla fine opposta, rispetto a quella sovietica. A partire da Gramsci (la famosa lettera del 1926 sullo scontro interno al partito bolscevico: «…voi state distruggendo l’opera vostra…») e dal suo ripensamento del marxismo. Al contrario dei liquidatori, Berlinguer citava Mitterrand («tagliare le proprie radici pensando di fiorire meglio può essere solo il gesto di un idiota») per dire che non si poteva e non si doveva rinunciare alle proprie ragioni originarie e sostanziali.

Alle radici del movimento d’ispirazione socialistica c’è la critica del modello capitalistico: rinunciarvi significa rinunciare alla propria missione. Ma insieme pensava a un altro modo di interpretare quella funzione critica. Innanzitutto con il rinnovamento dei contenuti fondamentali, data l’usura e il crollo di molta parte dell’edificio antico. Non solo quello costruito nell’ultima parte del XIX secolo nel tempo del capitalismo industriale trionfante, il tempo degli imperi e delle colonie messi a soqquadro dalla prima guerra mondiale e dalla Rivoluzione russa. Ciò che crollava era anche la semplificazione estrema – sino alla negazione di ogni funzione dell’iniziativa degli individui – dell’idea di superare la proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio trasformandola in proprietà statale cioè burocratica (con i burocrati sovietici che ne diventeranno padroni).

E veniva avanti un’altra trasformazione del modo di essere del modello capitalistico da tempo divenuto finanziario (e diffuso: dai fondi pensione, alle public company, alla mobilitazione del risparmio nei fondi azionari e obbligazionari più o meno pieni di qualcosa o di nulla, eccetera) e già allora impegnato a usare a proprio vantaggio gli effetti della rivoluzione tecnologica e informatica pur senza rinunciare alle più antiche forme di sfruttamento del lavoro salariato o presunto autonomo. Una giungla nuova del capitale e del lavoro, accompagnata da nuove forme di dominio sulle menti. Riorientare l’aspirazione a una società volta a realizzare la “libertà di ciascuno e di tutti” pareva un’opera controcorrente non solo improba ma velleitaria e perdente. L’alternativa a questa fatica, però, consisteva nel rendersi subalterni senza riserve alla potenza vincitrice e alla sua visione dell’ordine mondiale a dominanza americana. E significava acconsentire al rovesciamento della parola riformismo originariamente nata con finalità sociali e socialistiche, e ora stravolta per indicare l’opposto. La parola riformismo stava diventando e diventerà sempre di più (da ciò verranno anche i trattati di Maastricht per l’Unione europea) l’affermazione del privatismo come norma assoluta della proprietà e dell’attività di produzione e di scambio. L’adesione al modello dato e la rinuncia a ogni funzione critica, sino all’ubriacatura neoliberista, sembrava cosa ovvia e venne assunta da ogni parte dei movimenti d’ispirazione socialista e democratica (si ricordino Tony Blair e Bill Clinton).

Ma la vittoria del capitale nella lotta di classe (ben dichiarata dal supermiliardario Buffet) non poteva sopprimere le contraddizioni economiche e sociali costitutive del sistema – con le conseguenze note del disastro ambientale con pandemia e della crescita di diseguaglianze paurose. La globalizzazione del mercato dei capitali alla ricerca, secondo la propria natura, del massimo profitto, se giovava ai Paesi a basso prezzo del lavoro e arricchiva a dismisura i finanzieri, penalizzava nei Paesi ricchi i lavoratori abbandonati dalle sinistre divenute amministratrici del sistema ed esperte, non solo in Italia, dei tagli allo Stato sociale, massima creatura del movimento socialistico novecentesco (ivi compreso il PCI). Venivano di conseguenza la rinascita del nazionalismo (negli Stati Uniti e in tanti Paesi del mondo) e l’affermazione del populismo, entro cui trovava posto la ripresa di pulsioni e argomentazioni di tipo fascistico. Ad aggravare la condizione dell’insicurezza nelle società del benessere e nei rapporti internazionali fu la stupidità dei vincitori: nel caso, il sistema militare industriale oltre che gran parte del potere statale, repubblicano o democratico, degli Stati Uniti. Convinti tutti, a dichiarata imitazione dell’Impero romano, della funzione determinante della forza militare – unitamente al monopolio informativo – per l’esercizio del dominio e incapaci di pensare a una egemonia condivisa con altri. Da ciò la tacita insofferenza per il processo di unificazione europea (fino all’inclinazione per la Brexit) e l’umiliazione della Russia, sconfitta nella guerra fredda, circondata di basi militari, combattuta in Serbia e poi in Libia e in Siria in aiuto alle velleità neocoloniali francesi – e con decine di migliaia di morti e milioni di profughi che premono alle porte dell’Europa.

Una umiliazione spinta sino al rinnegamento degli impegni assunti per non infilare nella Nato tutti i Paesi ex sovietici e sino alla volontà di smembrarne le alleanze più naturali e storicamente intime come nel caso dell’Ucraina. Aveva pienamente ragione l’ex Cancelliere socialdemocratico tedesco Helmut Schmidt (capo della destra del suo partito e fiero anticomunista) a sentire aria di 1914, cioè di guerra, quando nel 2014 ci fu il colpo di Stato in Ucraina per instaurare un regime antirusso e Putin attuò l’annessione della Crimea alla Russia. Schmidt iniziò la sua intervista (doveva essere una delle ultime, fu pubblicata da La Repubblica ed è ancora in rete) dicendo: «Fino ai primi anni Novanta nessuno dubitava che l’Ucraina e la Crimea fossero russe». Dello stesso parere fu Michel Rocard, della medesima tendenza socialista iper moderata ed ex Presidente del Consiglio francese. Olaf Scholz era nel giusto quando disse, per poi dimenticarlo, che la sicurezza europea andrebbe costruita «con la Russia e non contro la Russia». Tutto ciò non scarica Putin dalle responsabilità di un’aggressione a un Paese che egli stesso vuole proclamare come fratello volendolo suddito, ma fa capire quale follia sia stata e sia quella di concepire la Nato in funzione offensiva dentro e fuori dell’Europa al contrario della presunta natura difensiva. E quanta ipocrisia si celi dietro la presunta difesa della integrità territoriale degli Stati, quando proprio la Nato aggredì la Serbia per fare del Kosovo, culla originaria della Chiesa ortodossa serba e della Serbia stessa, una base militare USA, ora la maggiore nel Sud Europa. E per dare il potere a una banda ora sotto processo davanti alla Corte europea per crimini contro l’umanità, spaccio di stupefacenti e delitti vari.

Il mondo umano appare adesso un luogo assai poco raccomandabile, tra guerra guerreggiata e crisi climatica, tra rinascita dei nazionalismi e pericoli di ritorni autoritari, tra ascesa dei violenti e diffusione della violenza – ivi compresa quella, la più vigliacca, contro le donne. Tuttavia, ciò non significa una sterile nostalgia del passato: la guerra fredda non fu un tempo raccomandabile. Ma spinge a capire che la condizione attuale è figlia di una cattiva politica, di una sbagliata lettura di quella vittoria. La speranza di un mondo di pace e di benessere posta nel trionfo del modello capitalistico era assurda e sbagliata. Al culmine della sua espansione il modello capitalistico ha mostrato la impossibilità di continuare sulla sua strada che minaccia la sopravvivenza stessa della specie. E la concezione di un rapporto tra gli uomini fondato sulla forza produce guerra infinita.

Il movimento comunista era stato sconfitto in Russia per i suoi tragici errori. Non scomparivano, però, come avvertì anche un papa fieramente anticomunista come Wojtyla, i motivi e le ragioni per cui quel movimento era nato. Ed è venuto a ricordarlo un papa nuovo, quali che siano i limiti determinati dalla sua funzione. La speranza non è morta. Non ricordo mobilitazioni giovanili autonome così vaste come quelle contro il disastro ambientale, cui fanno eco in Italia anche nuove e valide mobilitazioni studentesche. Il nuovo femminismo, che parve d’élite, e sembrò in declino, vede una diffusione inedita. Il movimento per la pace nel mondo ha più ragioni che mai per riprendere e riprende fortemente. Episodi di lotta difensiva contro licenziamenti e bassi salari seppure sporadici segnalano una nuova presa di coscienza. E in Paesi come la Cina, da cui è venuto un duro dumping salariale, si è costretti a migliorare la condizione dei lavoratori.

In Italia, il governo detto di unità nazionale conosce, come fu nel passato, la contraddizione tra interessi diversi e volge, diversamente dalla supposizione secondo cui la pandemia avrebbe significato una sorta di rigenerazione automatica, verso una ripetizione del passato pur se obbligatoriamente addolcita da promesse ecologiche e tecnologiche ora interrotte dalla guerra ma già prima non indicative di un autentico mutamento di rotta. Può essere che la visione dell’ultimo Berlinguer fosse troppo avanzata per i suoi tempi, ma si dimostra ancora oggi come l’unica alternativa percorribile ai disastri del presente. Il dialogo tra diversi per la pace (allora si trattava di sgombrare i missili russi e americani dall’Europa centrale e dall’Italia), il bisogno per la sinistra di mantenere una aggiornata visione critica del modello capitalistico, il dovere di rimanere fedeli alle proprie premesse ideali e morali, l’obbligo di stare sempre a fianco dei lavoratori e degli ultimi, la comprensione dell’esigenza, rivelata dal nuovo femminismo, di contrastare il maschile come valore dominante e di riconoscere (e promuovere) l’autorità femminile, il bisogno di volgere le nuove conquiste tecnologiche e scientifiche alla promozione umana. Non mi fa velo l’affetto nel dire che l’idea di considerare Berlinguer uno sconfitto o un illuso era e rimane un fazioso errore. I suoi “pensieri lunghi” non sono mai stati tanto attuali.

Aldo Tortorella

* Da “Critica marxista”, 7 Aprile 2022
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Buon primo maggio!

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Buon primo maggio condividendo il pensiero dell’Anpi.

Oggi tutta l’ANPI sarà accanto alle lavoratrici e ai lavoratori, alle organizzazioni sindacali, nelle piazze e in ogni angolo del Paese per ribadire con forza che la Repubblica è fondata sul lavoro, sul pieno diritto ad essere esercitato con dignità e in sicurezza. Oggi, anche a causa della crisi, c’è un alto tasso di disoccupazione, un’emergenza salariale, mentre troppi morti sul lavoro continuano a insanguinare le fabbriche e a distruggere famiglie.

L’ANPI, forte dell’attiva memoria delle radici operaie della Resistenza, fa appello alla politica, al Governo affinché, nella piena attuazione dell’art. 1 della Costituzione, vengano messe in campo efficaci misure di tutela e promozione del lavoro in particolare per le giovani generazioni

La SEGRETERIA NAZIONALE ANPI

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Illustrazione tratta dalla pagina fb dell’Azione Cattolica Italiana.
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)

Trad. it. di Aurelia Martelli
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La guerra continua

f35eab37-ce96-4494-9b70-8c28a1952d8bSessanta giorni dopo…

11eee0b8-491e-4aa4-9e1d-9171da9abc1amons. Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi Italia*

29d48787-f451-4e61-a607-79517f9ae616La guerra non nobilita l’uomo, lo fa diventare un cane rabbioso, avvelena l’anima”. All’alba di questo 25 di Aprile, giorno di San Marco Evangelista, ma anche Festa della Liberazione, lettrici e lettori carissimi di Verba Volant, mi sono tornate in mente le parole tratte dal film La sottile linea rossa (film americano del 1998) nell’amara e triste constatazione che sono trascorsi sessanta giorni dall’inizio della guerra russo-ucraina e non si vede all’orizzonte nessun’alba di pace. Anzi, al contrario, ogni giorno di più crescono la “rabbia”, per opposte ragioni, dei due contendenti e l’ ”avvelenamento” di quelle anime, e sono tantissime, che invocano il silenzio delle armi e, allo stesso tempo, la ripresa di un dialogo che riporti i cuori e le menti a più “miti” consigli. Una speranza che nelle parole di Papa Francesco, nelle manifestazioni numerose, ma inascoltate dai governi europei, contrarie all’invio di armi, nella solidarietà che si è fatta accoglienza dei profughi ucraini, non è venuta mai meno e che resterà come fiamma sempre viva perché i due popoli “si stringano la mano”. Certo, dispiace dirlo, ma su questa guerra continua ad aleggiare e predominare, da parte di politici, geopolitici, esperti militari, media, social, dibattiti televisivi, cronisti e inviati di “guerra” (fatta qualche eccezione per delle voci coraggiose ma subito silenziate o comunque emarginate) una narrazione degli eventi a senso unico, uno schierarsi dalla parte di quella logica che continua a ritenere le armi e la guerra come la soluzione di ogni conflitto. Viene da chiedersi dove siano finite, soprattutto per l’Europa, le memorie tragiche e dolorose dei due conflitti mondiali del secolo scorso, dove sia finito il Nobel per la Pace da essa ricevuto, dove sia andato a finire il coraggio di abbandonare la strada della guerra per incamminarsi su un’altra strada e prendere tra le mani una penna e firmare il trattato per la messa al bando delle armi nucleari. Una cultura per la pace (soprattutto nelle scuole e nelle università!), una scelta decisiva per la nonviolenza, un investimento economico per una maggiore equità sociale, una drastica e totale riduzione delle spese militari e conseguente riconversione “degli arsenali di guerra in granai di pane” (Sandro Pertini): scelte tutte di pace per preparare la pace. Il 14 aprile u.s., è uscito il libro scritto da papa Francesco dal titolo: “Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace”, ed è stato bello per me e per noi tutti leggere una citazione riguardante il “nostro” + don Tonino Bello, oggi venerabile, che amava ripetere: i conflitti e tutte le guerre “trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti”. Purtroppo manca il coraggio per una cultura di pace come riflessione antropologica e umana, manca alle comunità ecclesiali un itinerario di educazione e formazione alla pace e indicare tra le priorità pastorali i temi “felici” della mitezza e dell’artigianato della pace, manca alle religioni una più decisa sinfonia nell’abbandonare una volta per tutte il concetto di “guerra giusta” per indicare nella fraternità il terreno fertile per il ripudio della violenza e per una copiosa mietitura di concordia tra i popoli. “La speranza è una cosa buona, forse la migliore della cose, e le cose buone non muoiono mai” (dal film Le ali della libertà), ed è proprio vero, io ci credo, dobbiamo crederci, tutti! Una speranza rappresentata soprattutto dai ragazzi e dai giovani ai quali, soprattutto noi adulti, con cuore e mente rinnovati, abbiamo il dovere di “insegnare la pace”, di educarli a relazioni aperte all’accoglienza delle differenze e delle diversità, di continuare a dir loro che è bello considerarsi cittadini del mondo, non soltanto del proprio paese, di indicare come esempi di vita da seguire quelle donne e quegli uomini che hanno creduto e dato la vita per la nonviolenza e per la pace, di non cedere a logiche di possesso e di conquista di questa terra che è la nostra casa comune e di invitarli a scelte di vita contro la guerra, sempre! Abbiamo trascorso questi giorni di Pasqua facendo memoria della risurrezione di Cristo, vincitore della morte e datore di vita e di speranza, e augurandocela “buona” e portatrice di pace. “La pace – ha detto Papa Francesco – che Gesù ci dà a Pasqua non è la pace che segue le strategie del mondo, il quale crede di ottenerla attraverso la forza, con le conquiste e con varie forme di imposizione. Questa pace, in realtà, è solo un intervallo tra le guerre. Lo sappiamo bene. La pace del Signore segue la via della mitezza e della croce: è farsi carico degli altri”! Tutti noi di Pax Christi, di ritorno dall’assemblea di Fiesole, dove abbiamo ricordato p. Ernesto Balducci e il suo “se vuoi la pace, prepara la pace!”, siamo impegnati a continuare sulla strada segnata dal Vangelo per parole e gesti (comunicati, articoli, interviste, incontri e partecipazioni a trasmissioni televisive) finalizzati a “organizzare” la pace. Un ringraziamento particolare va ai nostri Mimma Dardano, Riccardo Michelucci e Francesco Fedeli per avere rappresentato Pax Christi nella carovana di pace STOPTHEWARNOW nei giorni 2 e 3 aprile uu. ss. a Leopoli e a quanti con la loro generosità ne hanno consentito la partecipazione.

Shalòm, Salàm, Pace!!!

* Da Verba Volant 25 aprile 2022
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)

Trad. it. di Aurelia Martelli
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Costituente Terra. Lo spettro della vittoria

logo76costituente-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

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Costituente Terra Newsletter n. 76 del 27 aprile 2022.
Chiesadituttichiesadeipoveri.it Newsletter n. 260 del 27 aprile 2022.
LO SPETTRO DELLA VITTORIA

Cari Amici,
se non si riesce a porre fine a questa guerra nefasta che ha già distrutto l’anima del mondo prima ancora che le istituzioni che ne assicurano la vita, è perché non è stato esorcizzato lo spettro della vittoria. È un luogo comune, ma del tutto falso, che la vittoria sia la conclusione migliore di una guerra. Si tratta di un mito antico: la vittoria è il premio della guerra; la vittoria alata si libra sul trionfo del condottiero, schiaccia l’elmo del vinto; non è concepibile se non la vittoria come uscita dalla guerra, padre e principio di tutte le cose, come è stata teorizzata da sempre, almeno a partire dal detto di Eraclito.
Perfino Gesù, che amava i nemici, ammetteva che la guerra si fa per vincerla: “quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano gli manda dei messaggeri per chiedergli pace”.
Ma in realtà non è affatto vero che, una volta precipitati nella guerra, la cosa migliore è vincerla. Se oggi celebriamo la vittoria del 25 aprile, è perché avevamo perso la guerra, ed era stata una fortuna, con i Tedeschi in casa! Chi oggi rimpiange di non aver vinto quella guerra? Nemmeno i fascisti. Altri orrori si sarebbero aggiunti agli orrori. E non avremmo avuto la Costituzione, la libertà, l’industria, il denaro, tutte le cose di cui oggi ci gloriamo.
Eppure siamo sempre là. Il segretario di Stato americano Antony Blinken e il capo del Pentagono Lloyd Austin nella loro fuggevole visita a Kiev di qualche giorno fa hanno promesso all’Ucraina di Zelensky di farle vincere la guerra, che poi vuol dire che a vincerla saranno gli Stati Uniti. La stessa cosa aveva promesso qualche giorno prima il presidente Biden in un “tweet” (che sono le nuove dichiarazioni di guerra che una volta si consegnavano agli ambasciatori) enumerando le armi e i soldi che gli Stati Uniti avrebbero fornito all’Ucraina, mentre Lloyd Austin ha aggiunto che bisogna fiaccare la Russia in modo che non possa fare più nessuna guerra. Più vittoria di questa!
Naturalmente anche Putin vuole vincere, tanto più ora quando gli hanno detto in tutti i modi che in gioco c’è non solo la sua sopravvivenza ma quella stessa della Russia; però non sa come fare, perché certo non basta, come ha chiesto al ministro della Difesa Shoigu, non far volare nemmeno una mosca sull’acciaieria Azovstal (che non sembra la metafora di una vittoria).
E vincere vuole soprattutto Zelensky, ben contento che ora le armi, come ha detto, gli arrivino “in tempo reale”, cioè subito e quante ne vuole.
Ma l’Ucraina ha già pagato un alto prezzo al mito della vittoria, questo spettro che viene dal regno dei morti, dagli Stati Uniti attraversa l’Atlantico, da Ramstein si aggira per l’Europa e minaccia il mondo dal mucchio di cadaveri su cui sale in Ucraina. Già una rovina era stata per l’Ucraina aver insistito con puntiglio a volere la NATO, nonostante ci fossero ben più di ventimila russi a premere sulla frontiera del Paese (e chissà per quale inconfessato disegno incoraggiati da Biden ad entrarvi, come sostengono Caracciolo e “Limes”). Ma la catastrofe è venuta per l’Ucraina quando ha cominciato a credere che la guerra poteva vincerla davvero con tutti gli incoraggiamenti e l’altruismo sospetto dell’Occidente, con gli aiuti di ogni genere, politici, militari, economici, sacrali, con il suo straziato popolo narrato come esercito, sia pure con lo stereotipo delle donne che accudiscono e portano in salvo i bambini mentre gli uomini restano o sono mandati indietro a combattere, e oltre cinque milioni di profughi, e le città bombardate e distrutte, e la fama di invitti su tutti i teleschermi e in molti Parlamenti del mondo, compreso il nostro.
In realtà, a questo punto della storia, dopo tutti gli errori che da una parte e dall’altra sono stati fatti, la vittoria, di chiunque essa sia, è la peggiore sciagura che possa capitare. Come dice il papa: che vittoria c’è sulle macerie? E Noam Chomski, nell’intervista a Truthout che gli chiede se siamo all’inizio di una nuova era di continuo confronto tra la Russia e l’Occidente risponde che è difficile sapere dove cadranno le ceneri, “e questa potrebbe non essere una metafora”. Infatti, secondo Chomski, “che piaccia o no, le opzioni ora si riducono o a un brutto risultato che premia piuttosto che punire Putin per l’atto di aggressione, o alla forte possibilità di una guerra terminale”. E questa, secondo Chomski, sarebbe “una condanna a morte per la specie, senza vincitori: siamo a un punto di svolta nella storia dell’umanità. Non lo si può negare. Non lo si può ignorare”.
“Senza vincitori”: perché che cosa sarebbe una vittoria per gli Stati Uniti e la NATO e l’Europa, se davvero essa dovesse consistere nell’accendere la miccia della terza guerra mondiale, mettendo fuori gioco la Russia, provocando la Cina e prospettando all’umanità intera un mondo fatto del solo Occidente?
E che cosa sarebbe una vittoria per la Russia, che andasse al di là della rivendicazione iniziale di un’interdizione della minaccia proveniente dall’Ovest, se ciò volesse dire diventare l’anatema delle nazioni, essere votata alla negazione genocida del suo esserci stesso, che si tratti del rublo, del popolo o del Lago dei cigni?
E che cosa sarebbe una vittoria per l’Ucraina se anche recuperasse la Crimea, e il Donbass, quando pur sempre rimarrebbe lì, a fare da antemurale dell’Occidente contro la Russia che, Putin o non Putin, certamente non sparirebbe e sarebbe pur sempre una grande Potenza ansiosa di rivincita, mentre l’Ucraina sarebbe ancora lì, gloria sì del mondo libero, ma sua prima vittima sul monte Moria? E l’Oscar all’attore protagonista!
In questa situazione è del tutto irresponsabile fare il tifo per la vittoria dell’uno o dell’altro, comunque questa vittoria la si voglia chiamare, difesa della Patria o dominio del mondo; ed è un’insensata complicità voler essere nel campo dei vincitori. Vera sapienza è la ricerca di un’alternativa alla vittoria per mettere fine alla guerra. Tale alternativa sta nel dialogo, nel negoziato, nel riconoscere ciascuno le ragioni dell’altro, nello “scambiarsi con l’altro”, nel sapere che la sicurezza dell’altro è la sicurezza anche propria, perché la sicurezza non consiste in uno “status”, ma in un rapporto, o è di tutti o non è di nessuno, come già aveva realizzato la saggezza dell’ONU.
Tra le macerie di questa guerra c’è l’illusione, o la speranza, che si potesse costruire un nuovo ordine mondiale, fondato non sulla potenza ma sul diritto, non sulla ragion di Stato, ma sulle ragioni dei popoli, non sulle guerre vinte, ma sulla guerra ripudiata. In ogni caso si può sempre ricominciare di nuovo. Come ha scritto in una sua poesia il politico Pietro Ingrao, “leva in alto la sconfitta”. Il vero germe della vocazione spirituale dell’Occidente, sia nella versione greca che in quella cristiana come ci ha suggerito Simone Weil, non è la gloria dei vincitori, ma è il sentimento della miseria umana, che è una condizione della giustizia e dell’amore: in Grecia, sostiene la Weil, per il trauma non rimosso del crimine della distruzione di Troia (l’Iliade!), nella tradizione cristiana perché al patimento della miseria umana neppure uno spirito divino può sottrarsi se unito alla carne (i Vangeli!), ciò che vuol dire non soggiacere al dominio della forza, il rifiuto di tutti i rapporti di dominio. Come ha ricordato papa Francesco celebrando la “resistenza e resa” della Pasqua, “con Dio si può sempre tornare a vivere”.
Pubblichiamo nel sito, oltre all’intervista a Noam Chomski, un articolo di Aldo Tortorella su Enrico Berlinguer e le origini della guerra in Ucraina.
Con i più cordiali saluti
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Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa

Strasburgo, 27/04/2022 (II mandato)

Signor Presidente dell’Assemblea Parlamentare,

Signora Segretaria Generale del Consiglio d’Europa,

Signore e Signori parlamentari,

Ambasciatrici e Ambasciatori,

Signore e Signori,

sono lieto di potermi indirizzare a questa Assemblea che esprime nel modo più largo il sentimento dei popoli d’Europa.

È per me motivo di grande soddisfazione effettuare a Strasburgo – sede di molteplici istituzioni europee – il primo viaggio all’estero da quando il Parlamento italiano e i rappresentanti delle Regioni hanno voluto conferirmi nuovamente l’incarico di Presidente della Repubblica Italiana.

Rendo omaggio al Consiglio d’Europa, alle sue Istituzioni, a voi che siete espressione dei Parlamenti di 46 Paesi membri, in rappresentanza di 700 milioni di cittadine e cittadini europei.

Permettetemi un ringraziamento particolare al Presidente Tiny Kox per questa opportunità che mi offre e mi consente, per le sue parole così gentili; e grazie a tutti voi per l’accoglienza.

Porgo un saluto caloroso alla Segretaria Generale Marija Pejčinović Burić, la cui guida in questa Organizzazione considero preziosa, come ho avuto modo di dirle nel nostro incontro dello scorso novembre, al Palazzo del Quirinale, e di ribadirle nell’incontro che abbiamo avuto questa mattina.

Il Consiglio d’Europa ha sempre avuto la vocazione a essere la “casa comune europea” e ha saputo svilupparla nei decenni che hanno fatto seguito alla sua istituzione, come testimonia anche la sua attuale ampia rappresentatività.

Una casa che, se è stata specchio fedele delle divisioni e delle difficoltà manifestatesi fra le diverse comunità nazionali, ha saputo essere anche, e soprattutto, espressione del coraggio di unità dell’Europa, spesso prefigurando quanto si è potuto successivamente costruire, sotto altri profili e in altri ambiti, come la Unione Europea.

Tanti i traguardi di civiltà conseguiti dal Consiglio d’Europa. Sul terreno della abolizione della pena di morte, della lotta al razzismo, della libertà di espressione, della tutela della diversità culturale, della protezione dei diritti dei bambini, dello sviluppo di politiche per la gioventù.

Inoltre, parafrasando il mugnaio di Potsdam, nel nostro Continente si può dire: “c’è un giudice a Strasburgo”, con l’attività sviluppata dalla Cedu, frutto della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo, sottoscritta a Roma.

Il Consiglio d’Europa ha saputo, cioè, consolidare le prerogative dei cittadini, aggiungendo alla tutela dei singoli ordinamenti statali quella derivante dalla applicazione della convenzione, in casi di violazione di diritti da parte degli Stati. Perché non c’è ragion di Stato che tenga nel caso di violazioni dei diritti della persona.

Più liberi, più sicuri, più coesi. E penso alla Carta Sociale Europea contro le disuguaglianze e le povertà, lanciata in Italia, a Torino, nel 1961.

Questi sono risultati impareggiabili della costruzione tenace di una casa comune quale il Consiglio d’Europa. Progresso per centinaia di milioni di cittadine e di cittadini europei, fieri di ritrovarsi sempre più in un unico demos.

Il Consiglio d’Europa è figlio di quella spinta al multilateralismo che caratterizzò gli anni successivi al Secondo conflitto mondiale, insieme al sistema delle Nazioni Unite. Una spinta basata su una considerazione elementare: la collaborazione riduce la contrapposizione, contrasta la conflittualità, aumentando le possibilità di composizione positiva delle vertenze.

Non fu facile imboccare la strada della riconciliazione. Così come non è stato facile giungere alla condivisione di una comune eredità; avere il coraggio di passare, nel rapporto tra gli Stati, dal diritto della forza alla forza del diritto.

Costruire una pace duratura è stato un processo lento e graduale che ha saputo evitare il rischio di una terza guerra mondiale, sfiorato con la guerra di Corea e il blocco di Berlino, e ha saputo passare, in quegli anni lontani, attraverso la regolazione della condizione dell’Austria sotto clausola di neutralità e il superamento della crisi di Cuba.

Quanto la guerra ha la pretesa di essere lampo – e non le riesce – tanto la pace è frutto del paziente e inarrestabile fluire dello spirito e della pratica di collaborazione tra i popoli, della capacità di passare dallo scontro e dalla corsa agli armamenti, al dialogo, al controllo e alla riduzione bilanciata delle armi di aggressione.

E’ una costruzione laboriosa, fatta di comportamenti e di scelte coerenti e continuative, non di un atto isolato. Il frutto di una ostinata fiducia verso l’umanità e di senso di responsabilità nei suoi confronti.

Come ci ricordava Robert Schuman “la pace non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”.

Se perseguiamo obiettivi comuni, per “vincere” non è più necessario che qualcun altro debba perdere. Vinciamo tutti insieme.

L’esempio è stato contagioso, tanto da far diventare Strasburgo la meta obbligata di quanti raggiungevano libertà e indipendenza, per rafforzarle e consolidarle. E’ stato così in diversi casi; ma, naturalmente, per stare insieme occorre rispettare le regole che ci si è dati.

Si giustifica per questa ragione la parentesi della Grecia dopo il colpo di stato militare.

Decenni dopo, i popoli centro-europei, baltici e del Caucaso poterono scegliere, a loro volta, di aderire al Consiglio d’Europa e, con questa decisione, di schierarsi per la salvaguardia dei diritti umani, la vigenza dello Stato di diritto, lo sviluppo della democrazia.

Come ha sottolineato il Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini – intervenendo dinanzi a questa Assemblea esattamente 39 anni fa, il 27 aprile del 1983 – occorre talvolta saper esercitare il “coraggio della rinuncia”, quando la separazione di un Paese membro del Consiglio d’Europa appare necessaria per non tradire l’ispirazione che ha dato vita a questa istituzione.

L’obiettivo hitleriano che condusse alla Seconda guerra mondiale era quello di fare della Germania la potenza prevalente con un ruolo dominante su altri popoli e altri Paesi.

Fu un disegno che coinvolse regimi di numerose altre nazioni – il Regno d’Italia fra queste – e che fu battuto dalla coscienza civile internazionale.

Ma il registro della storia ci ricorda come stabilità e pace non siano garantite una volta per sempre: ce lo testimoniano drammatiche e tristi vicende nei Balcani, nel Caucaso, nel Mar Nero.

La pace non si impone automaticamente, da sola, ma è frutto della volontà degli uomini.

Viviamo oggi, nuovamente, l’incubo – inatteso perché imprevedibile – della guerra nel nostro Continente.

Si pratica e si vorrebbe imporre l’arretramento della storia all’epoca delle politiche di potenza, della sopraffazione degli uni sugli altri, della contrapposizione di un popolo – mascherato, talvolta, sotto l’espressione “interesse nazionale” – contro un altro.

Imperialismo e neo-colonialismo non hanno più diritto di esistere nel terzo millennio, quali che siano le sembianze dietro le quali si camuffano.

Non è più il tempo di una visione tardo-ottocentesca, e poi stalinista, che immagina una gerarchia tra le nazioni a vantaggio di quella militarmente più forte. Non è più il tempo di Paesi che pretendano di dominarne altri.

L’opzione è stata effettuata da tempo con il passaggio delle relazioni internazionali dalla estraneità agli aspetti giuridici alla civiltà del diritto.

Di fronte a un’Europa sconvolta dalla guerra nessun equivoco, nessuna incertezza è possibile.

La Federazione Russa, con l’atroce invasione dell’Ucraina, ha scelto di collocarsi fuori dalle regole a cui aveva liberamente aderito, contribuendo ad applicarle.

La deliberazione di questa Assemblea parlamentare – del Consiglio d’Europa – di prendere atto della rottura intervenuta è coerente con i valori alla base dello Statuto dell’organizzazione, che indica la strada di una unione più stretta delle aspirazioni comuni dei popoli europei.

La responsabilità della inevitabile sanzione adottata ricade interamente sul Governo della Federazione Russa. Desidero aggiungere: non sul popolo russo, la cui cultura fa parte del patrimonio europeo e che si cerca colpevolmente di tenere all’oscuro di quanto realmente avviene in Ucraina.

Non si può arretrare dalla trincea della difesa dei diritti umani e dei popoli.

Si tratta di principi che hanno saputo incarnarsi nella storia della seconda metà del ‘900 e, a maggior ragione, devono sapersi consolidare oggi.

La ferma e attiva solidarietà nei confronti del popolo ucraino e l’appello al Governo della Federazione Russa perché sappia fermarsi, ritirare le proprie truppe, contribuire alla ricostruzione di una terra che ha devastato, è conseguenza di queste semplici considerazioni.

Alla comunità internazionale tocca un compito: ottenere il cessate il fuoco e ripartire con la costruzione di un quadro internazionale rispettoso e condiviso che conduca alla pace.

Un grande intellettuale, Paul Valery – passato attraverso le due guerre mondiali – richiamava i concittadini europei a prendere coscienza di vivere in un mondo “finito”. “Non c’è più terra libera” – scriveva – nessun lembo del globo è più da scoprire.

Se nessuno è più estraneo a nessuno, si interrogava il Presidente Pertini, non è giunto il tempo che gli uomini apprendano a essere in pace con se stessi?

Potremmo oggi aggiungere: in un mondo sempre più interconnesso, nel quale sono sostanzialmente venute meno le distanze, in cui ciascuna persona può comunicare, e sovente comunica, in tempo reale, con interlocutori in ogni parte del mondo, non c’è posto, è anacronistico parlare di sfere di influenza territoriali.

Il contesto internazionale presenta contraddizioni, a partire dalla stessa Federazione Russa, responsabile della violazione di tutte le principali carte definite nell’ambito degli organismi multilaterali, e che si trova paradossalmente a invocare l’intervento dell’Organizzazione Mondiale del Commercio contro le sanzioni imposte dalla comunità internazionale.

Mentre il conflitto ha ulteriormente indebolito il sistema internazionale di regole condivise – e il mondo, come conseguenza, è divenuto assai più insicuro – la via di uscita appare, senza tema di smentita, soltanto quella della cooperazione e del ricorso alle istituzioni multilaterali.

Sembrano giungere a questa conclusione anche quei Paesi che, pur avendo rifiutato sin qui di riconoscere la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, ne invocano, invece, oggi, l’intervento, affinché vengano istruiti processi a carico dei responsabili di crimini, innegabili e orribili, contro l’umanità, quali quelli di cui si è resa colpevole la Federazione Russa in Ucraina, riconoscendo in tal modo il ruolo necessario di quella Corte.

Se la voce delle Nazioni Unite è apparsa chiara nella denuncia e nella condanna ma, purtroppo, inefficace sul terreno, questo significa che la loro azione va rafforzata, non indebolita.

Significa che iniziative, come quella promossa dal Liechtenstein e da altri 15 Paesi, per evitare la paralisi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu vanno prese in seria considerazione.

La guerra è un mostro vorace, mai sazio. La tentazione di moltiplicare i conflitti è sullo sfondo dell’avventura bellicista intrapresa da Mosca.

La devastazione apportata alle regole della comunità internazionale potrebbe propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermare subito questa deriva. Dobbiamo saper scongiurare il pericolo dell’accrescersi di avventure belliche di cui, l’esperienza insegna, sarebbe poi difficile contenere i confini.

Dobbiamo saper opporre a tutto questo la decisa volontà della pace.

Diversamente ne saremo travolti.

Per un attimo, esercitiamoci – prendendole a prestito dal linguaggio della cosiddetta “guerra fredda” – a compitare insieme parole che credevamo cadute ormai in disuso, per vedere se possono aiutarci a riprendere un cammino, per faticoso che sia.

Distensione: per interrompere le ostilità.

Ripudio della guerra: per tornare allo statu quo ante.

Coesistenza pacifica, tra i popoli e tra gli Stati.

Democrazia – come ci insegna il prezioso lavoro della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa – come condizione per il rispetto della dignità di ciascuno.

Infine, Helsinki e non Jalta: dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali.

Prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione, sull’esempio di quella Conferenza di Helsinki che portò, nel 1975, a un Atto finale foriero di sviluppi positivi. E di cui fu figlia la Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Si tratta di affermare con forza il rifiuto di una politica basata su sfere di influenza, su diritti affievoliti per alcuni popoli e Paesi e, invece, proclamare, nello spirito di Helsinki, la parità di diritti, la uguaglianza per i popoli e per le persone.

Secondo una nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo, condivisa, coinvolgente, senza posizioni pregiudizialmente privilegiate.

La sicurezza, la pace – è la grande lezione emersa dal secondo dopoguerra – non può essere affidata a rapporti bilaterali – Mosca versus Kiiv -. Tanto più se questo avviene tra diseguali, tra Stati grandi e Stati più piccoli.

Garantire la sicurezza e la pace è responsabilità dell’intera comunità internazionale. Questa, tutta intera, può e deve essere la garante di una nuova pace.

Avviandomi alla conclusione, vorrei sottolineare come la possibilità di rivolgermi a voi di persona – potendo così dare manifestazione del bisogno basilare di comunicazione diretta – è sicuramente un vantaggio.

Abbiamo vissuto una lunga fase di difficoltà a causa della pandemia, con momenti drammatici. Il virus non è ancora debellato, ma abbiamo imparato a combatterlo, ad attenuarne gli effetti.

Desidero, in questa sede, rendere omaggio a tutti coloro che, a costo di rischi personali, talvolta con il sacrificio della vita, hanno contribuito a conseguire i risultati di cui oggi possiamo giovarci.

Penso in primo luogo al personale medico e sanitario, cui va tutta la nostra riconoscenza, ai ricercatori e agli scienziati, ma anche ai molti operatori, volontari, professionisti che a vario titolo ci hanno aiutato a superare questa prova.

Una volta di più abbiamo avuto conferma di quanto valga la cooperazione internazionale. La comunità scientifica internazionale ha operato al di sopra dei confini, scambiando dati, conoscenze risultati di esperienze, avanzamenti di ricerca.

Non poteva esservi richiamo più convincente; e si sperava che questo esempio di collaborazione contro un nemico comune dell’umanità fosse recepito dai governi degli Stati, sospingendo verso la ricerca del dialogo, della condivisione, della cooperazione.

Tutto questo non fa dimenticare che, se oggi possiamo sperare che il peggio sia ormai alle nostre spalle, è grazie al civismo dei nostri concittadini, al senso di responsabilità che hanno manifestato, alla loro collaborazione nelle misure per attenuare la diffusione del virus e nel garantire il successo delle campagne vaccinali. Senza il loro contributo non sarebbe stato possibile sconfiggere, oltre al Covid-19, il virus pernicioso della disinformazione e della sfiducia nella scienza.

Le nostre istituzioni hanno dimostrato capacità di saper reagire rapidamente, le nostre società hanno evidenziato una resilienza rassicurante.

Vorrei manifestare apprezzamento per il contributo, fornito dal Consiglio d’Europa agli Stati membri, affinché la risposta alla pandemia si svolgesse entro ambiti rispettosi dei diritti e delle libertà fondamentali; ponendo sempre al centro la persona umana e la sua insopprimibile dignità.

È un aspetto da non dare mai per scontato, un successo europeo del quale possiamo andare giustamente fieri.

Signore e Signori,

la Repubblica Italiana ha convintamente contribuito alla nascita di questa Organizzazione, alla sua crescita e alla sua piena affermazione, quale punto di riferimento imprescindibile nel sistema multilaterale in difesa dei valori di libertà e di affermazione dei principi dello Stato di diritto.

E’ una funzione che continua a manifestarsi preziosa, alla quale tutti gli organi del Consiglio d’Europa, e gli Stati membri, sono chiamati a concorrere.

E’ quanto abbiamo puntato a ribadire responsabilmente in occasione di questa ottava presidenza italiana del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

La generazione dei fondatori ha saputo edificare, su cumuli di macerie materiali, morali e giuridiche, questa comunità multilaterale, guardando al futuro. Confidiamo di avere custodito fedelmente questo patrimonio; di averlo difeso come un bene prezioso.

Ma se il compito non è esaurito, tocca proprio a noi corrispondere alle sfide di oggi, sviluppandone e attuandone i principi.

Auguri di buon lavoro – quindi – a tutti noi e grazie dell’attenzione.

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È possibile ripudiare la guerra? Solo una bella utopia?

31164aa3-d269-4cda-afb3-2aa0142c9843GUERRA, sempre? PACE, mai?
Maria Paola Patuelli​
20 aprile 2022 Democrazia costituzionale.

Poco dopo l’inizio della guerra, mi è stato chiesto di condurre un dialogo fra voci diverse. Chiesi di aprire con una mia personale riflessione dettata dalla cultura femminista che da tempo mi sta facendo rileggere la storia del mondo da un altro punto di vista, il più radicale da me trovato. Sono passate ormai settimane, la guerra continua in forme sempre più tragiche. Riprendo in mano gli appunti stesi in quell’occasione. Il mio addolorato spaesamento continua, e aggiungo considerazioni lunari. Meglio, lunatiche.
Un punto di vista non neutro, il mio, come il maschile che si presume universale. In genere si associa il neutro alla mancanza di estremi. La guerra è l’opposto del neutro, è un estremo, è torrida. E calda lo era anche nei decenni in cui fu definita fredda. Fredda per chi, poi? Per noi casualmente nati in Europa o negli USA. Fredda non lo fu in Corea, anche per molti giovani americani che vi lasciarono la vita. Non fu fredda nel Vietnam, una guerra che coinvolse le passioni di molte e molti giovani della mia generazione. Molti furono i fronti caldi, pure in un mondo che pareva regolato da un ordine bipolare chiaro. In quel tempo non avevo chiavi di lettura femministe. E mi collocavo nella parte che mi pareva la migliore.
Il neutro universale mi fa pensare, oggi, all’estremo abissale di una cultura maschile, radicata fin dall’inizio della storia umana. Spiegherò questo maschile nel corso della riflessione.
In apertura dell’incontro a più voci, sono partita da un libro del 1974, che fu per me di grande nutrimento, La storia. Uno scandalo che dura da diecimila anni, di Elsa Morante. Quale è lo scandalo? La guerra. Non a caso, pensai allora, quando comparve la parola di Gesù, fu considerata uno scandalo ribaltante, perché bandiva la guerra, considerata al tempo di Gesù naturale come la grandine. Fu messa in croce la predicazione della pace. Predicazione presto rimossa. E molte potenze cristiane, anche di cristianesimi fra loro diversi, nel passato e nel presente, guerreggiano. E’ naturale?
Come comincia il racconto di Elsa Morante? Con un soldato ubriaco che stupra una donna. Maschio casualmente tedesco, donna casualmente italiana.
Donne estranee alla guerra, fuori dalla storia per tempi immemorabili, estraniate. Volute fuori, estranee, perché impegnate doverosamente in altri compiti sociali. Ma tracce di estraniamento critico compaiono, quasi dal sen fuggite. Nell’Iliade, Cassandra, Ecuba, Andromaca, tragicamente estranee, lontane dal coraggio dei loro maschi, meglio morire da eroi che essere sconfitti. Simone Weil scrisse L’Iliade le poème de la force, opera fondativa dell’immaginario maschile occidentale ben più dei Vangeli. Omero vince su Gesù. Normale? Guerra, fra forza violenta e maschile piacere, brividi di piacere lungo la schiena, forti emozioni. Christa Woolf, comunista e femminista, in Cassandra fa esplodere il suo urlo femminista. Fossero così pacifiche le esplosioni causate dall’invenzione della polvere da sparo, che ha segnato la nostra storia non meno dell’invenzione della stampa, due invenzioni cinesi arrivate quasi simultaneamente in Europa. E tutto cambiò seppure non con la velocità del tempo presente. Per restare in Grecia, punto di partenza della nostra civiltà, Aristofane ci prende in giro, in Lisistrata, raccontando di donne stanche di guerra che minacciano lo sciopero del sesso. Evidentemente sotto traccia qualcosa ribolliva nel sentire delle donne ateniesi e non solo.
Faccio un salto di millenni, ma in mezzo c’è stata sempre la stessa musica, guerre, donne merce di scambio, stupri. Ed eroi coraggiosi, costi quel che costi.
Virginia Woolf, in Le tre Ghinee, denuncia in modo netto, indiscutibile, il legame fra sistema patriarcale, militarismo, regimi totalitari e il nesso stretto fra potere nella sfera pubblica e nella sfera privata.
Le sue parole.
Il modo migliore di aiutarvi a prevenire una guerra non è ripetere le vostre parole e i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi.
Io in quanto donna non ho patria. In quanto donna, la mia patria è il mondo intero.
Cara sorella Virginia, sorella non perché abbiamo lo stesso sesso, ma perché la pensiamo allo stesso modo. Le tue parole raggiungono, indietro nel tempo, il cosmopolitismo dell’ateo e materialista Democrito – a me fratello – e il radicale pacifismo del cristiano Erasmo da Rotterdam, che, prima che avesse inizio la rivoluzione luterana, scrisse Il Lamento della pace. Dove spiegò, con parole le più radicali, dopo quelle di fratello Francesco – del Duecento – che la guerra non è solo crudele. E’ inutile e stupida. Quello che sta ogni giorno dicendo Francesco, il Papa di oggi. Ascoltato da pacifisti, uomini e donne, quegli ingenui – ma dove vivono? – e da femministe. Ben diverso da Papi del passato, alcuni anche in armi, e da varie chiese, che benedivano armi amiche. Got Mit Uns. La riedizione di un Olimpo patriarcale, un Dio per ogni diverso esercito.
L’unico modo per spiegare la guerra, la vergogna umana per eccellenza, è porsi al di fuori, farsi, almeno per qualche istante, apolidi, guardare la terra dalla luna. Non è un caso, forse, se spesso le donne strane sono definite lunatiche. Virginia Woolf, lunatica, vide le divisioni all’interno dei movimenti pacifisti del suo tempo, e ne fu addolorata. Senza dimenticare che lei stessa fu vittima di guerra. Vedendo, da lontano, i bombardamenti sulla sua amata Londra, decise che al mondo non voleva più starci. E se ne andò.
Sia chiaro. Le donne non sono nate pacifiche e i maschi bellicosi. La spiegazione è nella storia, nella cultura. Disperazione e speranza. Speranza che non avremmo, se fosse faccenda di natura. Se i maschi fossero bellicosi per natura, nulla di buono vedremmo, come possibilità, davanti a noi. Le donne sono pacifiche per natura? Ci sono state regine, all’interno di una cultura patrircale pienamente accolta, che hanno esercitato il potere con guerre – anche donne capo di stato recenti – e, stando ai giorni nostri, vediamo donne che scelgono il mestiere delle armi, un esito della emancipazione che ben poco mi piace. In Irak abbiamo visto donne che partecipavano a torture per umiliare il nemico sconfitto. Arduo spiegare a un eventuale abitante della luna perché gli irakeni fossero nemici di nate e nati in Usa. Lessi, poi, che una di loro era, in quel momento, incinta. Naturale? Quando furono aperte alle donne le porte degli eserciti, non molto tempo fa, pensai che ogni porta chiusa viene prima o poi aperta. Ma cosa sperai? Che le donne dicessero, no, grazie. E invitassero i maschi a fare altrettanto.
Rientro lentamente – in quanto lunatica -, e con fatica, nel mondo comune.
Le stesse analisi di Virginia Woolf le ho trovate in un libro recente di Giorgia Serughetti Il vento conservatore. La destra populista all’attacco della democrazia, uscito prima della guerra. Giorgia Serughetti indica le stesse connessioni: Dio, Patria, Famiglia, da Trump a Putin, passando per Salvini. Una vasta geopolitica. Tutta destra populista, una internazionale di destra, una ferita per me che ho alle spalle una gioventù dove l’internazionalismo era sicuramente di sinistra. O, almeno, così sentivo. La stessa analisi di Virginia in Le Tre Ghinee. La sacra alleanza, fra Putin e Kirill, il patriarca di tutte le Russie. Trono e altare. Vecchia storia. Nostalgia dell’Impero che fu, da riprendere, costi quel che costi. Femmine al loro posto e maschi al loro superiore posto. Minoranze sessuali? Che orrore! Ma c’è una matassa ancora più difficile da districare. Trump disse che non voleva più occuparsi delle disgrazie degli altri popoli. Biden, nello spazio di un mattino si ritira dall’Afganistan. Io, lunare, pensai. Cha abbiano capito che le guerre è inutile farle? Che sia diventato più saggio di Putin, che bombarda in Siria? La democrazia liberale fa un passo in avanti? Invece, cosa scopro, in questi giorni? Che l’Ucraina, martoriata, è stata riempita da tempo di armi occidentali, tantissime, e di ogni tipo. Perché? Che la Cia opera da tempo in Ucraina. Perché? Non ricordo chi, nel passato, disse. L’Orso russo è difficile da stanare dalla sua tana. Ma quando ne è uscito, ancora più difficile è farlo rientrare. Allora chiedo ai grandi esperti di mondo e di guerre. Siete impreparati, non fate bene il vostro mestiere, o vi piace proprio il mestiere della guerra? L’orso lo avete voluto stanare? E l’orso si è fatto stanare e intrappolare? Tutti molto bravi, non c’è che dire, i professionisti del potere e della guerra. Non dico della politica. Perché qui dall’alto, sulla Luna, dove mi trovo, non vedo la politica. Chissà dove si è nascosta. Così come vedo un’Europa che si restringe sempre più, come un tessuto lavato a temperature troppo altre, brucianti.
Io, lunare, pensavo che era la cultura dei diritti umani – la parte migliore della storia europea – che l’Est post sovietico voleva, non le armi e i servizi segreti occidentali. Di nuovo ha ragione Virginia. Se si resta dentro lo stesso schema non di gioco, ma di guerra, le dinamiche sono sempre le stesse. In Occidente, in Oriente, nelle democrazie liberali, nei regimi ancora comunisti (quali?) e post comunisti. Vanno inventate nuove idee, nuove parole, nuovi metodi. Che non trovo né nei filo Putin né nei filo Zelenski. Né a Ovest, né a Est.
Sono equidistante? No, sono sulla Luna.
Femministe, donne e uomini pacifisti hanno manifestato, correndo grande pericolo, contro la guerra, a Pietroburgo, a Mosca. Giorgia Serughetti ha recentemente ricordato le attiviste russe della Feminist anti-war resistans. Generazioni, generi e culture plurali, inedite, si affacciano all’orizzonte. Qui mi ritrovo non più lunare. In un mondo che ancora non c’è.
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)

Trad. it. di Aurelia Martelli
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25 aprile Ora e Sempre Resistenza!

b62757ae-1555-4fb9-b56a-81089d32a884Un 25 aprile di lotta per far sorgere la pace
Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi.

Accanto alla gente di Ucraina, a chi resiste in quella terra aggredita, per evitare il sacrificio ancor più grande di un popolo martoriato e un incontrollato effetto domino del teatro bellico. Nelle piazze come ogni anno perché il fascismo fu violenza e guerra fin dalla sua nascita
25 Aprile Antifascismo Guerra e Pace
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Il Presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo.

Il 25 aprile è un giorno di festa. Ma mai come quest’anno è segnato da una tragedia che si sta svolgendo da due mesi a 2.500 chilometri di distanza e che potrebbe espandersi come una metastasi. Perché la guerra è una metastasi. Sai come comincia, ma non sai se, come e quando si estenderà.

È la tragedia del popolo ucraino che sta soffrendo un tempo di distruzioni, eccidi, bombardamenti a causa di un’invasione sanguinosa. Il primo pensiero non può perciò che essere rivolto a quella gente che ha visto, da un giorno all’altro, sconvolti il lavoro, la quotidianità, la sicurezza, la vita. Non si può essere indifferenti davanti a una tragedia europea che mette in discussione i fondamenti del vivere civile. La domanda che assilla tutti è come uscirne, come far sì che termini il supplizio del popolo e come evitare che la guerra dilaghi. Per questo è giusto dedicare la Giornata della Liberazione alla pace, com’è sempre stato, è e sarà nelle tradizioni dell’Anpi.

Mirella Alloisio, componente del CLN Liguria, partigiana, ha affermato al congresso nazionale dell’Anpi, che “la nostra lotta è stata prima di tutto una lotta per la pace”. Dedicare il 25 aprile alla prospettiva della pace vuol dire farne il giorno della speranza, il giorno della più grande unità contro l’invasione sanguinosa, una guerra alle porte, il rumore delle armi. Non ci sarà pace senza un negoziato, una trattativa. Non ci sarà pace senza una scintilla che rischiari il buio di una notte che è piombata sull’Ucraina e sull’Europa in modo improvviso e imprevisto. Sia chiaro: c’è un aggredito e un aggressore e c’è il diritto morale e giuridico dell’aggredito di difendersi attraverso una lotta di resistenza. Tutto ciò è essenziale. Ma oggi non è più sufficiente davanti alla continua escalation, alla nuova offensiva militare delle armate di Putin, alle parole di fuoco che intercorrono fra i capi di Stato, al riarmo generalizzato che riguarda i Paesi dell’Unione Europea e le grandi potenze.

Ogni guerra è stata peggiore della precedente perché ogni guerra ha visto un armamento sempre più sofisticato dal punto di vista tecnologico. Da più di 70 anni la guerra ha cambiato natura perché prevede la possibilità dell’uso dell’armamento nucleare. Allo scempio di Hiroshima e Nagasaki è seguito il tempo dell’equilibrio del terrore dove il reciproco timore di un attacco atomico ha comportato un altrettanto reciproca dissuasione dall’uso dell’arma letale. Ma quel tempo, il tempo della guerra fredda, non c’è più; invece dell’auspicato nuovo mondo plurale e policentrico si è imposto un disordine mondiale dove ha prevalso la volontà di potenza, aprendo la fase di un terrore senza equilibrio.

Troppe volte in queste drammatiche settimane si è accennato all’atomica, sia pur come ultima difesa, rompendo un tabù che durava dal dopoguerra. Né dimentichiamo che il nostro Paese, per posizione geografica, per numero di basi militari (Nato e americane), per l’armamento atomico, è una potenza militare e perciò, nella stessa misura, vulnerabile. La pace oggi non è quindi una predicazione astratta da anime belle che non si fanno carico delle dure repliche della realtà, ma un obiettivo urgente ed essenziale per evitare un ancor più grande sacrificio del popolo ucraino e una incontrollata esplosione del teatro di guerra con un effetto domino.

In questo scenario il 25 aprile ci ricorda immediatamente, come un grande sospiro di sollievo, la fine del conflitto che insanguinò il nostro Paese e la liberazione dalle armate naziste e dal fascismo. Il fascismo fu guerra per la sua nascita, la sua vita, la sua morte.

Nacque dalla “inutile strage” del Primo conflitto mondiale e da quell’impasto mortale di nazionalismo, irredentismo, mito della violenza che ne seguì. Visse con la missione della guerra: in Africa, in Spagna, in Francia, nei Paesi orientali. Morì nella sua più grande apologia di violenza, la repubblica di Salò.

E fu la violenza che tenne assieme il suo convulso filo cronologico, dagli squadristi del 1919 alle brigate nere saloine. Una violenza che si costituì come stato d’eccezione permanente per cui l’altro italiano era sempre visto come il nemico interno e perciò perseguitato e, se necessario, ucciso come nel caso di Giacomo Matteotti, dei fratelli Rosselli e di tanti altri antifascisti. La Resistenza fu il contrasto armato, pacifico, civile e sociale a tutto ciò e salvò l’Italia da una sconfitta che ebbe ben più gravi conseguenze nella Germania smembrata e nel Giappone annichilito dalle atomiche. E i resistenti, donne e uomini, nel loro andare in direzione ostinata e contraria, gettarono i semi di quell’impianto valoriale che si incardinò pochi anni dopo nella Costituzione della Repubblica: democrazia, libertà, eguaglianza, solidarietà, lavoro, pace.

Qui ed ora queste parole assumono un significato rinnovato, di pregnante attualità su cui è possibile e necessario costruire la più larga unità delle forze democratiche: pensiamo alle diseguaglianze che hanno raggiunto in questi ultimi anni i picchi più alti dall’ultimo dopoguerra; pensiamo al lavoro in un Paese in cui nel 2022 si contano 5 milioni e mezzo di poveri; pensiamo alla solidarietà, dopo una tragedia di due anni – la pandemia – che ha travolto la vita di più di 160mila cittadini; pensiamo alla democrazia, insidiata da un declino non ineluttabile ma segnato da una crescente sfiducia nelle istituzioni, come si vede dall’altissimo numero di astensioni elettorali; pensiamo alla pace che è oggi la più drammatica emergenza. Su tutto ciò ci si può e ci si deve unire contrastando la pericolosissima deriva della demonizzazione, dell’individuazione dell’altro come il nemico interno, della militarizzazione del dibattito pubblico.

Vogliamo che sia un grande 25 Aprile di unità, di lotta contro la guerra, di impegno per l’attuazione della Costituzione. Vogliamo che sia il giorno in cui portare nelle piazze tutta la nostra intelligenza, tutto il nostro cuore, tutta la nostra passione civile perché si affretti a sorgere una nuova alba.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi.
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)

Trad. it. di Aurelia Martelli
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Fermatevi! La guerra è una follia.

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In cammino per la pace. La Marcia di Capitini e la Marcia di oggi
di Daniele Taurino
Azione nonviolenta. Apr 21, 2022

Nella macchina della propaganda bellica è finito pure Aldo Capitini – insieme a Gandhi, Langer e altri ­– tirato in ballo e utilizzato come schermo morale da chi non si vuole assumere la responsabilità delle sue scelte nette per l’invio di armi all’Ucraina e per l’aumento delle spese militari; ma Capitini non può essere un paravento nemmeno per un certo “pacifismo da divano” che si limita a scrivere e lanciare appelli, senza contribuire realmente alla costruzione di politiche attive della nonviolenza. La conseguenza pratica della nonviolenza politica, da Gandhi a Capitini, infatti è l’azione diretta antimilitarista, cioè il rifiuto di collaborare a tutto ciò che tiene in piedi gli eserciti e che prepara le guerre. La nonviolenza dunque è soprattutto prevenzione della guerra, ma anche quando sono solo le armi a prendersi la scena, qualcosa si può fare.

In «Il Mattino del Popolo», del 13 marzo 1948 a questo proposito Capitini scriveva: «In quanti modi si può ostacolare l’invasore senza uccidere nessuno! Ma bisogna imparare, bisogna avere pronti certi mezzi. Una noncollaborazione attivissima di moltitudini non è una terza via oltre la guerra e il cedere? […] L’Italia deve dare l’esempio a sé, all’Europa e agli altri del mondo, insensualiti dal possesso delle armi, di modi diversi nell’affermare la civiltà».

E questi modi (il metodo della nonviolenza) ce li indica lo stesso Capitini:

Rifiuto di prestare il servizio militare (obiezione di coscienza) o di essere considerati membri dell’esercito (restituzione del congedo militare);
Rifiuto di pagare la percentuale delle tasse che vanno al bilancio militare (obiezione fiscale);
Rifiuto di lavorare per ricerche scientifiche destinate all’esercito;
Rifiuto dell’educazione militarista e della propaganda bellica sui giovani;
Rifiuto di trasportare materiale bellico, rifiuto dell’industria bellica
Sono tutte azioni all’immediata portata delle singole persone e sostenibili dall’opinione pubblica. Non vederne la possibilità di attuazione, è già una precisa scelta politica.

La prima Marcia della Pace Perugia-Assisi del 1961 ha partorito il Movimento Nonviolento, l’una e l’altro voluti da Aldo Capitini. La Marcia come presentazione del programma, il Movimento come strumento attuativo. Marcia e Movimento, insieme, per la nonviolenza organizzata. La nonviolenza, quella di Capitini, continua a “produrre onde che vanno lontano”: una di queste onde ha generato la Rete italiana Pace e disarmo, di cui il Movimento Nonviolento è parte fondativa e integrante, che in questi anni ha segnato una piena maturazione del movimento pacifista italiano.

La Marcia per la pace che si conclude ad Assisi (la città del santo della nonviolenza) risponde ad un’esigenza diffusa di sentirsi parte di una mobilitazione più ampia contro la guerra. Una Marcia è utile quando diventa uno strumento finalizzato a sostenere le campagne disarmiste e pacifiste che i movimenti stanno portando avanti da anni.

E a chi ci chiede “dove sono i pacifisti? Cosa fate per aiutare l’Ucraina?” occorrerebbe chiedere invece dov’erano loro mentre noi dal 2014 condannavamo l’invasione Russa di parti dell’Ucraina e scrivevamo su Azione nonviolenta (come già avevamo fatto per la Siria e per tutte le guerre recenti) che “in Europa, la guerra, la sua preparazione e la sua minaccia non sono solo memoria, ma ancora realtà. Poco più di un secolo fa l’Europa ‘scivolava’ nella prima guerra mondiale: anche allora le caste al potere non volevano una grande guerra in Europa, ma neppure volevano rinunciare alla guerra, agli armamenti e alla politica delle minacce come mezzo della politica internazionale. Queste stesse ragioni potrebbero portarci nuovamente a ‘scivolare’ dentro un’altra guerra, perché l’accumulazione attuale di armi in Europa non ha precedenti”. Non si tratta di profetismo, ma della capacità di leggere criticamente la realtà con gli strumenti della nonviolenza capitiniana: le spese militari non servono per accumulare inutili armi nei depositi, ma per realizzare la politica di potenza fondata sulla continua preparazione della guerra. E mentre si è continuato a investire per la guerra, nessuna risorsa è stata destinata per preparare un efficace corpo civile europeo di pace, competente ad intervenire nei conflitti prima che degenerino in guerra e durante di essi con interposizioni, mediazioni, protezione dei civili e azioni di sabotaggio.

Anche durante il periodo tragico della guerra la lezione di Capitini – lui visse la seconda mondiale da antifascista e nonviolento – ci invita a tenere aperti i collegamenti tra i resistenti alla guerra sul piano internazionale, con una specifica attenzione agli attori in guerra: ora quindi è fondamentale dialogare e sostenere gli obiettori e i disertori russi e ucraini. È quello che stiamo facendo con la nostra campagna di “obiezione alla guerra”, coordinata dal Movimento Nonviolento.

Daniele Taurino – Direttivo nazionale Movimento Nonviolento
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93dace1e-cb27-423a-bb6a-fcbe2cc00f4b7c66066f-206f-41a9-b416-3964704d4c3bI nonviolenti di Ucraina, Russia e Italia:
I nostri tre popoli sono contro la guerra perché la conoscono. Siamo fratelli e sorelle.
Una dichiarazione congiunta
La guerra è il più grande crimine contro l’umanità.
Non esiste guerra giusta. Ogni guerra è sacrilega.
Per questo siamo obiettori di coscienza, rifiutiamo le armi e gli eserciti che sono gli strumenti che rendono possibili le guerre.
Il conflitto tra Russia e Ucraina può e deve essere risolto con mezzi pacifici, salvando così molte vite. Sappiamo che l’invasione russa in corso in Ucraina viola il diritto internazionale e che l’Ucraina ha il diritto di difendersi dall’aggressione armata, ma non possiamo accettare alcuna giustificazione della guerra, perché siamo persuasi che l’azione nonviolenta sia la migliore forma di autodifesa. Non possiamo accettare le narrazioni russe e ucraine che ritraggono questi due popoli come nemici esistenziali che devono essere fermati con la forza militare. Le vittime di questo conflitto, civili di diverse nazionalità, muoiono e soffrono a causa delle azioni militari di tutti i combattenti. Ecco perché le armi e le voci dell’odio devono essere messe a tacere per cedere il passo alla verità e alla riconciliazione.
Facciamo parte dell’Internazionale dei Resistenti alla Guerra (W.R.I.) e dell’Ufficio Europeo per l’Obiezione di Coscienza (EBCO), e lavoriamo insieme in un unico grande movimento per la pace. Ci rivolgiamo ai nostri governi (ucraino, russo, italiano) affinché attivino subito ogni strada diplomatica possibile per un tavolo delle trattative per il cessate il fuoco. I nostri popoli sono contro la guerra. I nostri popoli hanno già subito l’immenso dramma della seconda guerra mondiale, hanno conosciuto i totalitarismi, e vogliono un futuro di pace per le nuove generazioni.
Siamo per il disarmo, siamo contro le spese militari; vogliamo che i nostri governanti usino i soldi del popolo per combattere la povertà e per il benessere di tutti, non per nuove armi.
Un inutile sforzo bellico non dovrebbe distrarci dalla risoluzione di urgenti problemi socioeconomici ed ecologici. Non possiamo permettere ai politici di gonfiare la loro popolarità e alle industrie militari di trarre profitto dall’infinito spargimento di sangue.
Conosciamo l’efficacia della nonviolenza come stile di vita e forza più potente dell’ingiustizia, della violenza e della guerra. Stiamo lavorando sia per la resistenza nonviolenta alla guerra che per le trasformazioni sociali, sviluppando una cultura di pace che riporterà i soldati ad essere civili e distruggerà tutte le armi. Crediamo nella libertà, nella democrazia, nei diritti umani e lavoriamo affinché i nostri paesi si rispettino a vicenda.
La coscienza individuale è una tutela contro la propaganda di guerra e può salvaguardare dal coinvolgimento dei civili nella guerra. Faremo tutto il possibile per proteggere il diritto umano all’obiezione di coscienza al servizio militare nei nostri paesi.
Ci sentiamo come fratelli e sorelle, e siamo solidali con coloro che oggi soffrono a causa di questa guerra e di ogni altra guerra nel mondo.
Yurii Sheliazhenko
Ukrainian Pacifist Movement
Elena Popova
Russian Conscientious Objectors Movement
Mao Valpiana
Movimento Nonviolento italiano
Kiev, Sankt Peterburg, Verona, 14 aprile 2022
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)
Trad. it. di Aurelia Martelli

Pace in Ucraina e nel Mondo

Siate realisti: chiedete l’impossibile.
Albert Camus
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«Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile»
San Francesco d’Assisi
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482a39d6-8b28-4eb2-ae4e-12c4c75579b3È possibile una prospettiva di pace in Ucraina?
di Sandro Antoniazzi
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20 Aprile 2022 by c3dem_admin | su C3dem.
La pace non può venire dalla vittoria dell’uno o dell’altro. Può solo scaturire da una mediazione in cui ognuno rinuncia a qualcosa. Ed è l’Unione europea che è la più interessata a prendere un’iniziativa in questo senso. O almeno lo facciano i paesi trainanti, Germania, Francia, Italia, Spagna

La guerra in Ucraina continua con i suoi quotidiani annunci di bombardamenti, uccisioni di civili (quelle dei militari sono segrete oppure i dati hanno un carattere prevalentemente propagandistico), atrocità, esodi e sofferenze infinite.
Ascoltando i resoconti televisivi si parla di armi, di sanzioni, di truppe in movimento, di discorsi di condanna dell’aggressione: l’unica parola che si sente poco pronunciare è la parola pace.
I russi sembrano oggi decisi a continuare la guerra almeno sino alla conquista dell’intero Donbass, per annetterlo definitivamente. D’altra parte, Zelensky afferma che gli ucraini combattono per la vittoria e che non si può trattare con un aggressore criminale.
Anche l’America e la Nato sembrano sulla stessa linea, parlando anche loro di guerra per la vittoria e che la guerra sarà lunga; la recente decisione della Finlandia e della Svezia di chiedere l’adesione alla Nato ha l’ulteriore effetto di gettare benzina sul fuoco del conflitto ( e forse poteva essere evitata, almeno temporaneamente).
Nel caso dell’America è chiaro l’interesse e la volontà che la guerra si trasformi in una sconfitta della Russia, non tanto e non solo sul piano militare, quanto sul piano di un ridimensionamento in quanto potenza.
Da qui anche le ripetute posizioni di Zelensky che tendono a coinvolgere il più possibile il mondo occidentale in una guerra che, a suo parere, non riguarda solo l’Ucraina ma l’intero mondo democratico. Se l’Occidente non partecipasse decisamente e domani l’Ucraina fosse sconfitta, sarebbero enormi i problemi che si creerebbero per l’Europa e l’Occidente stesso. In base a queste convinzioni, Zelensky spinge i suoi discorsi al limite della provocazione chiedendo cose che lui stesso sa bene che sono impossibili e forse tendono a creare almeno un senso di colpa per avere di più e subito: così la non-fly zone, la richiesta di una rinuncia totale al gas russo, l’inutilità dell’ONU, la richiesta di tagliare ogni rapporto coi russi anche sul piano culturale e umano (impressionante a questo riguardo l’intervento relativo alla partecipazione di una donna ucraina e di una russa alla Via crucis di Roma: nemmeno la preghiera può essere fatta insieme).
Se le cose stanno così e ognuno combatte sino al raggiungimento della vittoria, ogni discorso di pace è chiaramente inutile.
E infatti al di là degli appelli inascoltati del Papa, solo il turco Erdogan ha preso un’iniziativa in proposito. Macron, senza poteri, aveva cercato di prendere un contatto, ma poi è stato assorbito dalle elezioni presidenziali.
Ora certamente la pace non può venire dalla vittoria dell’uno o dell’altro; può solo scaturire da una mediazione in cui ognuno rinuncia a qualcosa.
Sembra che sulla neutralità internazionale dell’Ucraina si siano fatti seri passi avanti (e mi si lasci dire che se si fosse dichiarata subito questa disponibilità, le cose avrebbero potuto andare diversamente), mentre le difficoltà maggiori provengono dalle questioni territoriali.
La Crimea è da tempo nelle mani dei russi (e infatti non è un territorio in cui sono in corso combattimenti) e forse questa situazione di fatto potrebbe essere accettata anche da parte ucraina. L’alternativa è che la Crimea rimanga ai russi senza un riconoscimento e quindi materia di contesa anche per il futuro. Ne vale la pena?
Per il Donbass, realtà molto complessa e problematica, si potrebbe individuare una soluzione provvisoria e rinviare quella definitiva a un referendum entro alcuni anni: sia la transizione che le elezioni potrebbero avvenire sotto la regia e la gestione dell’ONU, che in questo caso sarebbe chiamato a svolgere un ruolo effettivo determinante.
Naturalmente è solo un’opinione e non certo da esperto, ma che serve a sostenere che una soluzione può essere trovata.
Ciò che mi preme sostenere – nel confermare il nostro pieno appoggio all’Ucraina – è che si dovrebbe non solo e non tanto parlare di armi e sanzioni, ma decisamente di più di come sia possibile fermare la guerra e arrivare alla pace.
A riguardo sono necessari uno o più soggetti che si assumano questo obiettivo. Data per scontata l’impossibilità di un intervento dell’ONU, il cui Consiglio di Sicurezza è evidentemente bloccato, e data la posizione di neutralità della Cina, il soggetto più interessato è chiaramente l’Europa.
Se l’Unione Europea non ritenesse di assumere questo compito, potrebbero essere alcuni stati significativi (Francia, Germania, Italia, Spagna) a prendere l’iniziativa, con la chiara intenzione di realizzare una trattativa decisiva che porti alla soluzione.
E’ questo l’impegno più significativo e più urgente da affrontare oggi, anche per evitare uno squilibrio che va estendendosi a livello mondiale e non certo a favore dell’Occidente.

Sandro Antoniazzi
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Che succede?
LA PACE DEL PAPA. LA RESISTENZA UCRAINA. L’UCRAINA NELLA UE. CRISI GLOBALE
20 Aprile 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem
La proposta di Enrico Letta: “Una Confederazione europea, il percorso per l’adesione di Kiev” (Corriere della sera). La tesi di Romano Prodi: “Avanti con le sanzioni sul gas. Macron unico leader europeo” (intervista a Qn). I timori, però, per il voto francese in David Carretta, “Quanto rischia l’Ue con Le Pen” (Foglio) e Bernard Guetta, “Una destra da vergognarsi” (Repubblica). L’industriale Riccardo Illy spiega le difficoltà economiche per l’Italia: “Noi e la Germania siamo i più fragili, e la crisi durerà anche dopo la guerra” (intervista a La Stampa). I CRISTIANI, IL PAPA E LA GUERRA: Antonio Spadaro, “La pace del papa cuce e non taglia. Il sacro non è puntello del potere” (La Stampa). Riflettono su vangelo e guerra anche Fabrizio Mandreoli, Giorgio Marcello, “Rileggere oggi Pio Parisi. Note su guerra e cristiani” (Settimana news). Un articolo di Franco Monaco, “Che la guerra non prevalga dentro di noi” (Settimana news). Il presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia, dice la sua su Il Fatto: “Non si può parlare di pace senza essere tacciati di putinismo” (inviare armi, dice, è come mettere benzina sul fuoco). Sulla stessa linea Vannino Chiti su Il Riformista: “Non ampliare la Nato. Non è saggio buttare benzina sul fuoco”. La critica di Angelo Panebianco, “Antiamericanismo. Quando i tic ritornano” (Corriere della sera). L’ANPI E LA RESISTENZA UCRAINA: Salvatore Vassallo, “Senza i partigiani l’Anpi è il feudo di una sinistra senza voti” (Domani). Gianfranco Pasquino, “I partigiani non avrebbero avuto dubbi sull’Ucraina” (Domani). Albertina Soliani (cattolica, già parlamentare Pd e vicepresidente critica dell’Anpi): “Errori sull’Ucraina. L’Anpi cambi rotta” (intervista a Repubblica). Gian Antonio Stella, “Quegli ossequi tutti per Putin” (Corriere della sera). La voce anche di Noam Chomsky, “I resistenti ucraini, come i partigiani, sono eroici” (Corriere della sera). SULLA GLOBALIZZAZIONE: Carlo Bastasin, “La Russia non autosufficiente” (Repubblica). Sabino Cassese, “Ma il mondo ora non è meno globale” (Corriere della sera). Mauro Calise, “Le alleanze variabili nel disordine mondiale” (Mattino). Amedeo Lepore, “L’economia da mondiale a selettiva” (Mattino).
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PACE E DIRITTO ALLA DIFESA. SE I PAESI NEUTRALI TEMONO MOSCA
21 Aprile 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
La rivista “Il Regno” dei dehoniani di Bologna pubblica alcuni interessanti contributi sulla Chiesa e la guerra: Gianfranco Brunelli, “La scelta” (“il male minore è aiutare gli ucraini a difendersi”); il cardinale Pietro Parolin, intervistato dal settimanale Vida Nueva e qui tradotto: ”C’è anche un diritto alla difesa”; Fabio Ruggiero, “Tra cielo e terra” (sul pensiero dei Padri della Chiesa sulla guerra); Daniele Menozzi, “Artigiani di pace” (un’analisi del pensiero dei papi sulla guerra); Maurizio Ambrosini, “Dal cuore alla mente” (sulla positiva svolta nelle politiche migratorie aperta con l’Ucraina, ma che non riguarda tutti gli altri rifugiati). Un bell’intervento di Luigi Manconi su La Stampa: “Perché il papa non deve andare a Kiev”. Don Luigi Ciotti, intervistato dal Manifesto: “Ci accusano di pacifismo? Bene. La vittoria in Ucraina è nelle mani dell’industria delle armi”. L’UCRAINA, L’EUROPA, IL MONDO: Vittorio E. Parsi spiega, sul Mattino, “Perché anche i Paesi neutrali hanno paura” di Putin e dell’allineamento sempre più marcato tra Pechino e Mosca, “nella loro crociata contro le liberaldemocrazie” (vista con favore da “gran parte dei Paesi del cosiddetto Sud del mondo”). Sulla stessa linea lo storico russo Andrey Zubov, intervistato da Repubblica: “Se Putin vince la guerra nessuno sarà più al sicuro”. Di segno opposto il pensiero di Raniero La Valle: “La Nato sogna un mondo senza Russia. E’ una follia” (Il Fatto). Andrea Bonanni mette in luce la posizione sempre più agguerrita dell’Unione europea: “Escalation in Europa” (Repubblica). Lo conferma Marco Bresolin: “La missione di Michel a Kiev: ‘Vi daremo più armi’” (La Stampa). Ma è anche vero che “Scholz frena anche sulle armi. Polemica sui tedeschi riluttanti” (Tonia Mastrobuoni, Repubblica). Quanto all’Italia, il ministro Roberto Cingolani dichiara: “A breve lo stop al metano russo. L’embargo è anche un dovere etico. Italia indipendente in diciotto mesi” (intervista a La Stampa). Stefano Ceccanti replica a Donatella Di Cesare: “Traditori per aver aiutato Kiev? Questa accusa è una medaglia” (intervista a Il Riformista). Gaetano Azzariti, “La Costituzione non legittima il nostro invio di armi all’Ucraina” (intervista ad Avvenire).

No alla guerra per costruire la Pace

c9d50000-8306-4766-96bd-b3effdfff6beLa nonviolenza per Francesco un metodo ispirato al Vangelo
di Giulio Albanese
in “Avvenire” del 14 aprile 2022.
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La pace per il Papa non è una teoria, ma un impegno quotidiano che si gioca nelle relazioni tra persone. Non solo un cessate il fuoco, oggi serve un negoziato multilaterale.
In questi giorni papa Francesco insiste nel chiedere la cessazione delle ostilità in Ucraina, invocando la pace. In effetti non è una novità avendo sempre condannato il ricorso alle armi per dirimere i conflitti tra i popoli. Ad esempio, il 23 gennaio 2020, intervenendo al Forum ecclesiale «Mediterraneo frontiera di Pace» a Bari, ha stigmatizzato il grande inganno citando Giovanni XXIII: «La guerra è una follia perché folle è distruggere case, fabbriche, ospedali, uccidere persone anziché costruire relazioni umane ed economiche», svelando, in una comunicazione a braccio, «il grave peccato, la grande ipocrisia: nelle convenzioni internazionali tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi in guerra».
Il magistero di papa Francesco contro la guerra è incentrato sulla promozione della nonviolenza. Per comprendere però la portata di questo indirizzo, è fondamentale la lettura di due testi dai quali si evince il suo pensiero. Il primo è quello del messaggio per la Cinquantesima Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2017) intitolato «La nonviolenza: stile di una politica per la pace». Ciò che colpisce, innanzitutto, è il fatto che venga utilizzato il vocabolo «nonviolenza», scritto volutamente senza trattino; una scelta lessicale, maturata già da alcuni anni nel contesto della società civile, per porre in risalto il carattere positivo e propositivo della nonviolenza. Non si tratta infatti del semplice rifiuto dell’aggressività e della prepotenza, ma innanzitutto della ricerca di una soluzione metodologica che rimanda inevitabilmente all’assunzione di uno stile di vita evangelico, una forza e una pratica positiva, che costruisce una nuova umanità.
Da rilevare che il messaggio papale del 1° gennaio 2017 era stato preceduto dalla Conferenza internazionale svoltasi in Vaticano dall’11 al 13 aprile del 2016 su «Nonviolenza e Pace giusta: un contributo alla comprensione della nonviolenza da parte dei cattolici». L’assise, promossa dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, da Pax Christi International e da molte altre organizzazioni cattoliche internazionali, aveva visto la partecipazione, oltre che di numerosi vescovi e teologi, di esponenti della nonviolenza, cattolici e non, provenienti da varie parti del mondo. Nel documento finale, riconoscendo che nella storia gli stessi cristiani hanno tradito la nonviolenza di Gesù molte volte, anche «partecipando a guerre, persecuzioni, oppressioni discriminazioni e sfruttamenti», è stato formulato l’auspicio che la Chiesa promuova pratiche e strategie nonviolente (per esempio: resistenza nonviolenta, giustizia riparativa, guarigione dai traumi, protezione non armata dei civili, trasformazione dei conflitti, strategie di costruzione della pace, la prevenzione dei conflitto); che dia avvio a una conversazione globale sulla nonviolenza a partire dalla Chiesa, con persone di altre fedi, e con il mondo più in generale, per dare risposta alle enormi crisi del nostro tempo. Cosa che francamente, molti politici di matrice cattolica in Europa non sembrano aver recepito.
Di questo documento finale, il messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2017 riprese in particolare la conclusione: «Noi proponiamo che la Chiesa cattolica sviluppi e prenda in considerazione il passaggio a un approccio di Pace giusta basato sulla nonviolenza evangelica ». Una frase carica di significati che papa Francesco riformulò in questi termini: «La Chiesa si è impegnata per l’attuazione di strategie nonviolente di promozione della pace in molti Paesi, sollecitando persino gli attori più violenti in sforzi per costruire una pace giusta e duratura», precisando che questo impegno a favore delle vittime dell’ingiustizia e della violenza non è un patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, ma è proprio di molte tradizioni religiose, per le quali la compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita. «Lo ribadisco con forza: nessuna religione è terrorista. La violenza è una profanazione del nome di Dio. Non stanchiamoci mai di ripeterlo: mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!».
Papa Francesco è poi tornato a parlare di nonviolenza a Napoli il 21 giugno 2019 in occasione del convegno «La teologia dopo Veritatis Gaudium nel contesto del Mediterraneo» presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (Napoli). E lo fece scandendo parole cariche di significati che andrebbero integrate nella pastorale ordinaria delle nostre diocesi. In questa circostanza non si è espresso in termini astratti sulla pace, non ha invocato semplicemente la tolleranza fra gli uomini o il rifiuto della violenza. Ha parlato invece di nonviolenza proprio a indicare che questo termine non è l’opposto della violenza, ma una forza e una pratica positiva, che serve a creare le condizioni per una fraternità universale. Papa Francesco anzitutto afferma: «[...] penso alla nonviolenza come orizzonte e sapere sul mondo, alla quale la teologia deve guardare come proprio elemento costitutivo». Questo significa che la nonviolenza deve essere vista come punto di partenza fondamentale per l’impianto teologico, avendo uno spettro estremamente ampio: è «orizzonte e sapere sul mondo». In altre parole essa non può essere intesa come obiettivo, traguardo o punto d’approdo, ma in quanto orizzonte di vita necessario per affermare ogni genere di relazione da cui deve scaturire una conoscenza aperta alla vita, originale «sapere sul mondo».
Il Papa non richiama testi o dogmi che fissano la nonviolenza. Con il suo orizzonte, Francesco guarda da un’altra parte. Pensa infatti, e lo dice espressamente, agli «artigiani di pace». Si tratta di un’espressione che manifesta la nonviolenza come prassi. La pace per il Papa non è dunque una teoria ma un impegno quotidiano che si gioca nelle relazioni tra persone. Per questo al centro della nonviolenza non ci sono grandi teorici, moralisti o dogmatici, ma, appunto, gli «artigiani». Sono artigiani coloro che, dal punto di vista cristiano, rendono intelligibili le beatitudini, reinterpretano, costruiscono e reinventano la nonviolenza quotidianamente in ogni campo della società, dall’economia all’educazione, dalla politica alla mondialità, dal lavoro alle migrazioni. Ecco che allora invece di continuare ad assistere all’inutile strage di civili in Ucraina, sarebbe più salutare promuovere non solo un cessate il fuoco, ma anche e soprattutto un negoziato multilaterale per giungere ad una pacifica soluzione della crisi in atto.
Questo ragionamento evidenzia i limiti imposti dal pregiudizio di coloro i quali ritengono che la nonviolenza sia classificabile come semplice pacifismo o alternativa alla teoria della guerra giusta. Al contrario è un programma costruttivo che si realizza con strumenti adeguati. La nonviolenza a pensarci bene è il modo di «essere cristiani». Soprattutto oggi che soffiano prepotentemente i venti di guerra dall’Europa Orientale.
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Dal “DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DAL CENTRO FEMMINILE ITALIANO

Sala Clementina
Giovedì, 24 marzo 2022
(…)
E ho voluto parlare di questo con voi per ricordare a me stesso e a tutti, a partire da noi cristiani, che questo cambiamento di mentalità riguarda tutti e dipende da ciascuno. È la scuola di Gesù, che ci ha insegnato come il Regno di Dio si sviluppi sempre a partire dal piccolo seme. È la scuola di Gandhi, che ha guidato un popolo alla libertà sulla via della nonviolenza. È la scuola dei santi e delle sante di ogni tempo, che fanno crescere l’umanità con la testimonianza di una vita spesa al servizio di Dio e del prossimo. Ma è anche – direi soprattutto – la scuola di innumerevoli donne che hanno coltivato e custodito la vita; di donne che hanno curato le fragilità, che hanno curato le ferite, che hanno curato le piaghe umane e sociali; di donne che hanno dedicato mente e cuore all’educazione delle nuove generazioni. (…)
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La foto in testa è tratta da Azione nonviolenta.
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No alla guerra, per la Pace. Auguri!

Pasqua di Resurrezione

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Antifona d’Ingresso

Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúia:
posuísti super me manum tuam, allelúia:
mirábilis facta est sciéntia tua, allelúia, allelúia
.

Sono risorto, sono sempre con te;
tu hai posto su di me la tua mano,
è stupenda per me la tua saggezza. Alleluia
.
(Cf Sal 138,18.5-6)
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Resurrezione (Piero della Francesca)
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Veglia Pasquale nella Notte Santa di Pasqua, 16.04.2022

[Sala stampa vaticana B0267]

Alle ore 19.30 di questa sera [sabato 16 aprile], nella Basilica Vaticana, ha avuto luogo la solenne Veglia Pasquale nella Notte Santa alla presenza del Santo Padre Francesco. La Celebrazione Liturgica è stata presieduta dall’Em.mo Card. Giovanni Battista Re, Decano del Collegio Cardinalizio.

Il Rito ha avuto inizio nell’atrio della Basilica di San Pietro con la benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale. Alla processione verso l’Altare, con il cero pasquale acceso e il canto dell’Exultet, sono seguite la Liturgia della Parola e la Liturgia Battesimale, nel corso della quale sono stati amministrati i Sacramenti dell’iniziazione cristiana a 7 neofiti provenienti dall’Italia, dagli Stati Uniti d’America, dall’Albania e da Cuba.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre ha pronunciato nel corso della Veglia, dopo la proclamazione del Vangelo:

Testo in lingua italiana

Molti scrittori hanno evocato la bellezza delle notti illuminate dalle stelle. Invece le notti di guerra sono solcate da scie luminose di morte. In questa notte, fratelli e sorelle, lasciamoci prendere per mano dalle donne del Vangelo, per scoprire con loro il sorgere della luce di Dio che brilla nelle tenebre del mondo. Quelle donne, mentre la notte si diradava e le prime luci dell’alba spuntavano senza clamori, si recarono al sepolcro per ungere il corpo di Gesù. E lì vivono un’esperienza sconvolgente: prima scoprono che la tomba è vuota; quindi vedono due figure in vesti sfolgoranti, le quali dicono loro che Gesù è risorto; e subito corrono ad annunciare la notizia agli altri discepoli (cfr Lc 24,1-10). Vedono, ascoltano, annunciano: con queste tre azioni entriamo anche noi nella Pasqua del Signore.

Le donne vedono. Il primo annuncio della Risurrezione non è affidato a una formula da capire, ma a un segno da contemplare. In un cimitero, presso una tomba, dove tutto dovrebbe essere ordinato e tranquillo, le donne «trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù» (vv. 2-3). La Pasqua, dunque, inizia ribaltando i nostri schemi. Giunge con il dono di una speranza sorprendente. Ma non è facile accoglierla. A volte – dobbiamo ammetterlo – nel nostro cuore questa speranza non trova spazio. Come le donne del Vangelo, anche in noi prevalgono domande e dubbi, e la prima reazione di fronte al segno imprevisto è la paura, «il volto chinato a terra» (cfr vv. 4-5).

Troppo spesso guardiamo la vita e la realtà con gli occhi rivolti verso il basso; fissiamo soltanto l’oggi che passa, siamo disillusi sul futuro, ci chiudiamo nei nostri bisogni, ci accomodiamo nel carcere dell’apatia, mentre continuiamo a lamentarci e a pensare che le cose non cambieranno mai. E così restiamo immobili davanti alla tomba della rassegnazione e del fatalismo, e seppelliamo la gioia di vivere. Eppure il Signore, in questa notte, vuole donarci occhi diversi, accesi dalla speranza che la paura, il dolore e la morte non avranno l’ultima parola su di noi. Grazie alla Pasqua di Gesù possiamo fare il salto dal nulla alla vita, «e la morte non potrà ormai più defraudarci della nostra esistenza» (K. Rahner, Cosa significa la Pasqua, Brescia 2021, 28): essa è stata tutta e per sempre abbracciata dall’amore sconfinato di Dio. È vero, può intimorirci e paralizzarci. Ma il Signore è risorto! Alziamo lo sguardo, togliamo il velo dell’amarezza e della tristezza dai nostri occhi, apriamoci alla speranza di Dio!

In secondo luogo, le donne ascoltano. Dopo che ebbero visto la tomba vuota, due uomini in abito sfolgorante dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto» (vv. 5-6). Ci fa bene ascoltare e ripetere queste parole: non è qui! Ogni volta che pretendiamo di aver compreso tutto di Dio, di poterlo incasellare nei nostri schemi, ripetiamo a noi stessi: non è qui! Ogni volta che lo cerchiamo solo nell’emozione, tante volte passeggera, o nel momento del bisogno, per poi accantonarlo e dimenticarci di Lui nelle situazioni e nelle scelte concrete di ogni giorno, ripetiamo: non è qui! E quando pensiamo di imprigionarlo nelle nostre parole, nelle nostre formule, nelle nostre abitudini, ma ci dimentichiamo di cercarlo negli angoli più oscuri della vita, dove c’è chi piange, chi lotta, soffre e spera, ripetiamo: non è qui!

Ascoltiamo anche noi la domanda rivolta alle donne: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. Non possiamo fare Pasqua se continuiamo a rimanere nella morte; se restiamo prigionieri del passato; se nella vita non abbiamo il coraggio di lasciarci perdonare da Dio, che perdona tutto, il coraggio di cambiare, di rompere con le opere del male, di deciderci per Gesù e per il suo amore; se continuiamo a ridurre la fede a un amuleto, facendo di Dio un bel ricordo di tempi passati, invece che incontrarlo oggi come il Dio vivo che vuole trasformare noi e il mondo. Un cristianesimo che cerca il Signore tra i relitti del passato e lo rinchiude nel sepolcro dell’abitudine è un cristianesimo senza Pasqua. Ma il Signore è risorto! Non attardiamoci attorno ai sepolcri, ma andiamo a riscoprire Lui, il Vivente! E non abbiamo paura di cercarlo anche nel volto dei fratelli, nella storia di chi spera e di chi sogna, nel dolore di chi piange e soffre: Dio è lì!

Infine, le donne annunciano. Che cosa annunciano? La gioia della Risurrezione. La Pasqua non accade per consolare intimamente chi piange la morte di Gesù, ma per spalancare i cuori all’annuncio straordinario della vittoria di Dio sul male e sulla morte. La luce della Risurrezione, perciò, non vuole trattenere le donne nell’estasi di un godimento personale, non tollera atteggiamenti sedentari, ma genera discepoli missionari che “tornano dal sepolcro” (cfr v. 9) e portano a tutti il Vangelo del Risorto. Ecco perché, dopo aver visto e ascoltato, le donne corrono ad annunciare la gioia della Risurrezione ai discepoli. Sanno che potrebbero essere prese per pazze, tant’è che il Vangelo dice che le loro parole parvero «come un vaneggiamento» (v. 11), ma non sono preoccupate della loro reputazione, di difendere la loro immagine; non misurano i sentimenti, non calcolano le parole. Soltanto avevano il fuoco nel cuore per portare la notizia, l’annuncio: “Il Signore è risorto!”.

E com’è bella una Chiesa che corre in questo modo per le strade del mondo! Senza paure, senza tatticismi e opportunismi; solo col desiderio di portare a tutti la gioia del Vangelo. A questo siamo chiamati: a fare esperienza del Risorto e condividerla con gli altri; a rotolare quella pietra dal sepolcro, in cui spesso abbiamo sigillato il Signore, per diffondere la sua gioia nel mondo. Facciamo risuscitare Gesù, il Vivente, dai sepolcri in cui lo abbiamo rinchiuso; liberiamolo dalle formalità in cui spesso lo abbiamo imprigionato; risvegliamoci dal sonno del quieto vivere in cui a volte lo abbiamo adagiato, perché non disturbi e non scomodi più. Portiamolo nella vita di tutti i giorni: con gesti di pace in questo tempo segnato dagli orrori della guerra; con opere di riconciliazione nelle relazioni spezzate e di compassione verso chi è nel bisogno; con azioni di giustizia in mezzo alle disuguaglianze e di verità in mezzo alle menzogne. E, soprattutto, con opere di amore e di fraternità.

Fratelli e sorelle, la nostra speranza si chiama Gesù. Egli è entrato dentro il sepolcro del nostro peccato, è arrivato nel punto più lontano in cui ci eravamo perduti, ha percorso i grovigli delle nostre paure, ha portato il peso delle nostre oppressioni e, dagli abissi più oscuri della nostra morte, ci ha risvegliati alla vita e ha trasformato il nostro lutto in danza. Facciamo Pasqua con Cristo! Egli è vivo e ancora oggi passa, trasforma, libera. Con Lui il male non ha più potere, il fallimento non può impedirci di ricominciare, la morte diventa passaggio per l’inizio di una vita nuova. Perché con Gesù, il Risorto, nessuna notte è infinita; e anche nel buio più fitto, in quel buio brilla la stella del mattino.

In questo buio che voi vivete, Signor Sindaco, Signore Parlamentari e Signori Parlamentari, il buio oscuro della guerra, della crudeltà, tutti noi preghiamo, preghiamo con voi e per voi, questa notte. Preghiamo per tante sofferenze. Noi possiamo darvi soltanto la nostra compagnia, la nostra preghiera e dirvi: “Coraggio! Vi accompagniamo!”. E anche dirvi la cosa più grande che oggi si celebra: Christòs voskrés! [Cristo è risorto!

[00565-IT.02] [Testo originale: Italiano]

[B0267-XX.02]
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