Editoriali
Per la Pace, ostinatamente. Ripudiare la Guerra: come? Il Dibattito
La guerra è spesso usata come metafora della malattia – la prevenzione della malattia, invece, non è usata come metafora per la prevenzione della guerra. Ma la guerra è una questione di salute planetaria e, come mostra Paolo Vineis, i modelli di prevenzione derivati dalle politiche di promozione della salute potrebbero essere utili per affrontare la guerra. nelle sue diverse fasi e prevenirla. [Paolo Vineis*] Ma come si previene principalmente la guerra? Questo è il campo della diplomazia, che non affronto non essendo un esperto. Tuttavia, la diplomazia può probabilmente imparare dalla prevenzione primaria delle malattie: come per avviare quest’ultima si raccolgono prove scientifiche, in particolare sull’efficacia dei diversi approcci. Da Scienza in rete, diffuso anche da Sbilanciamoci!
Prevenire la guerra? Ci vorrebbe una scienza
di Paolo Vineis*
PACE
La guerra è stata spesso usata come metafora della salute e della malattia, come quando si parla della “guerra al cancro”. A mia conoscenza, invece, non è vero il contrario: le modalità di prevenzione della malattia non sono usate come fonte di metafore per prevenire la guerra. In questo breve articolo sostengo che i modelli di prevenzione derivati dalle politiche di promozione della salute possono essere utili per affrontare la guerra nelle sue diverse fasi, e per prevenirla.
Voglio iniziare con un’affermazione forte, cioè che la guerra è intrinsecamente immorale e lo è diventata ancora di più se consideriamo i massicci investimenti in armi estremamente potenti. Tali armi hanno aumentato enormemente il numero di vittime tra i civili. Le armi dovrebbero essere trattate come entità tossiche, proprio come la chemioterapia, che è necessaria in certe circostanze ma è intrinsecamente tossica. Rifiutare la chemioterapia quando sarebbe benefica per un malato di cancro è irrazionale; allo stesso modo, ci sono circostanze in cui le armi diventano inevitabili, ma la tossicità intrinseca non dovrebbe mai essere dimenticata.
Una questione di salute planetaria
La guerra è una questione di salute planetaria: mette in pericolo la salute umana e animale, ma anche le risorse del pianeta, per esempio rispedendoci indietro all’approvvigionamento di energia dai combustibili fossili.
La prevenzione delle malattie si suddivide in tre fasi: primaria, secondaria e terziaria. Recentemente è stata aggiunta un’altra fase, la cosiddetta prevenzione primordiale, volta a rimuovere le cause dell’esposizione a fattori di rischio.
Partiamo dalla prevenzione terziaria perché questa è la situazione che stiamo vivendo ora con l’Ucraina. I tentativi di prevenire la guerra non hanno avuto successo e il mondo si trova nella situazione di dover limitare i danni.
La prevenzione terziaria delle malattie consiste in tutti gli interventi che mirano a prevenire le sequele di una malattia già diagnosticata, comprese le ricadute, le metastasi nel caso del cancro, o la disabilità. La prevenzione terziaria include la cura e la riabilitazione e spesso interviene troppo tardi per essere veramente efficace. Ci sono molte ragioni per cui altre forme di prevenzione sono preferibili alla terziaria: 1) il trattamento può non essere efficace; 2) in generale, più la diagnosi è tardiva, meno i trattamenti sono efficaci; 3) quasi tutte le terapie hanno effetti collaterali di un tipo o di un altro; 4) il trattamento è molto specifico per la malattia (addirittura personalizzato), mentre altre forme di prevenzione hanno uno spettro più ampio. Anche nel caso della guerra la prevenzione terziaria è la meno efficace: si traduce nel prevenire il più possibile i danni ai civili e ha gravi effetti collaterali. Anche nei casi in cui la “cura” è personalizzata (si pensi all’uccisione dei terroristi) è comunque improbabile che non abbia effetti collaterali, per esempio le ritorsioni che si protraggono nel tempo.
E la prevenzione secondaria, che in sanità è la diagnosi precoce e lo screening delle malattie latenti o dei loro precursori? Il presupposto della prevenzione secondaria – non sempre rispettato – è che il trattamento è più efficace se usato nelle prime fasi della malattia. Ma ci sono degli svantaggi anche nella prevenzione secondaria, per esempio i tassi di falsi positivi e falsi negativi che sono intrinseci nei test di screening in uso. I falsi negativi significano false rassicurazioni, mentre i falsi positivi significano ansia e trattamenti inutili.
Nel caso della guerra tutte le nazioni e le entità sovranazionali (come la Nato) hanno le loro ampie e potenti reti di intelligence per cogliere i primi segni di un potenziale conflitto. L’invasione dell’Ucraina, per esempio, è stata preceduta da avvertimenti precoci e ripetuti, nonostante le rassicurazioni di Putin che si trattasse solo di esercitazioni. Tuttavia, è estremamente delicato stabilire se un segnale precoce debba essere considerato un vero positivo o un falso positivo: le conseguenze, in quest’ultimo caso, possono essere immense. Si pensi, per esempio, a un falso allarme nucleare.
La prevenzione secondaria è probabilmente migliore di quella terziaria, ma ha dei limiti e la sua efficacia deve essere dimostrata caso per caso. Uno dei rischi è quello che in medicina chiamiamo “medicalizzazione”, cioè la moltiplicazione dei test e degli esami, molti dei quali hanno i loro falsi positivi. Nel caso della prevenzione della guerra, questo può portare a un controllo esteso della società, per esempio attraverso i social media (pericolo che si è evocato riguardo alla lotta al terrorismo).
La prevenzione primaria opera ad ampio spettro
Inutile dire a questo punto che prevenire è meglio che curare. Questo è letteralmente vero sia per le malattie che per la guerra, ma il parallelo va oltre questa ovvia affermazione. Per esempio, lo screening ha successo per il cancro alla cervice uterina, al seno o al colon-retto, ma è un disastro per il cancro alla tiroide, portando a un gran numero di diagnosi di condizioni benigne che non progredirebbero in patologie maligne clinicamente evidenti.
Perché la prevenzione primaria è migliore di quella secondaria e terziaria? Non solo per la banale ragione che una terapia può non esistere o non essere efficace, o perché la diagnosi precoce non è fattibile. Ci sono altre ottime ragioni. In primo luogo, la prevenzione primaria delle malattie ha un ampio spettro: i fattori di rischio per il cancro sono in gran parte in comune con le malattie cardiovascolari, il diabete o le malattie neurologiche: con singole iniziative preventive come le campagne antifumo o l’attività fisica si prevengono numerose malattie. In secondo luogo, gli effetti della prevenzione durano nel tempo: mentre le terapie devono essere rinnovate a ogni nuova generazione di pazienti (con i relativi costi ed effetti collaterali), contrastare il fumo o le cattive abitudini alimentari e migliorare l’ambiente hanno un effetto duraturo. Il lato negativo di questo impatto ampio e duraturo della prevenzione sta nel fatto che non è immediatamente visibile, proprio perché impedisce l’insorgere delle malattie. Per questo motivo la prevenzione primaria non è molto attraente per i politici: un ospedale è più facilmente visibile di una malattia che non si è verificata. Ma con la guerra può essere diverso: la gente ama sicuramente la pace, e un politico che assicura una pace duratura senza militarizzare la società può avere successo, tanto più se questo implica la riduzione del budget per le armi, che può essere reinvestito in attività più produttive.
Sradicare le cause del rischio
Ma come si previene principalmente la guerra? Questo è il campo della diplomazia, che non affronto non essendo un esperto. Tuttavia, la diplomazia può probabilmente imparare dalla prevenzione primaria delle malattie: come per avviare quest’ultima si raccolgono prove scientifiche, in particolare sull’efficacia dei diversi approcci (educazione sanitaria, tassazione, incentivi, promozione dei comportamenti virtuosi, ecc.), anche la diplomazia può essere più sistematica nell’indagare i modi più efficaci di prevenire la guerra, con studi sul campo e forse piccoli esperimenti.
Tuttavia, la prevenzione primaria basata sull’educazione sanitaria e sulla politica dei cosiddetti “nudges”, “i gentili suggerimenti”, è largamente inefficace in un mondo in cui le persone sono esposte a forti pressioni per consumare, con comportamenti differenziati a seconda della classe sociale: nel caso del cibo, per esempio, c’è una chiara relazione tra basso costo di quello che si mangia, bassa qualità, bassa classe sociale e propensione all’obesità. La prevenzione primaria è inefficace senza lo sradicamento delle condizioni che portano all’esposizione ai fattori di rischio, tra cui la povertà, le disuguaglianze sociali e la pressione dei mercati (le “cause delle cause”). Nel caso della guerra, il vero enigma è se e in che misura siamo in grado di fermare la proliferazione delle armi. Come ci ha ricordato più volte Papa Francesco, il livello di questa proliferazione è insopportabile e crea una situazione di pericolo costante. La questione è se l’umanità e i suoi leader sono abbastanza saggi da percepire che limitare sostanzialmente (“totalmente” è utopia?) lo stock di armi sarebbe una scelta win-win: meno pericolo per tutti, minore necessità di prevenzione secondaria, più fondi disponibili per investimenti migliori e più produttivi.
L’emergenza Covid-19 ha portato molti a capire l’importanza della prevenzione. Considerato che ci sono migliaia di virus in agguato, che non possiamo semplicemente contrastare con i mezzi di diagnosi e terapia, mettere in atto la prevenzione primordiale significa fermare la deforestazione e l’allevamento estensivo di animali che creano grandi serbatoi di patogeni e aumentano il contatto con la specie umana.
È pensabile che l’invasione dell’Ucraina ci apra gli occhi sulla necessità di avviare rapidamente non solo la risposta abituale in termini di prevenzione terziaria e secondaria, ma anche quella primaria e la primordiale? Il motto romano Si vis pacem para bellum (“se vuoi la pace prepara la guerra”) è stato estremamente fuorviante per secoli, corrispondendo a una soluzione lose-lose, in cui tutti perdono. La prevenzione primordiale dovrebbe essere attuata in tempo di pace. In tempo di guerra le scelte diventano drammatiche, e non restano molte alternative, come ha sottolineato Jeffrey Sachs in una recente intervista, ricordando: «all’indomani della prima guerra mondiale, invece di imporre al popolo tedesco il pagamento di dure riparazioni, Europa e Stati Uniti avrebbero dovuto impegnarsi nella cooperazione per una ripresa di tutta l’Europa, che avrebbe contribuito a prevenire l’ascesa del nazismo». Ma arrivati a un certo punto – cioè in assenza della prevenzione – per combattere il nazismo non restava che la guerra, compresa quella partigiana.
Infine, la prevenzione primordiale e primaria comprendono l’educazione. Non si fa abbastanza nelle scuole per contrastare la cultura della violenza, che è endemica in certe zone del mondo. L’odio contro le minoranze e le nazioni adiacenti dovrebbe essere fortemente contrastato con programmi educativi efficaci. Il risorgere del nazionalismo e del pregiudizio etnico sono particolarmente preoccupanti in aree calde come l’ex Jugoslavia. Questa non è solo la responsabilità delle singole nazioni ma della comunità internazionale.
La traduzione inglese di questo articolo è in corso di pubblicazione in Frontiers Policy Labs.
Per chi vuole commentare l’articolo può sottoporre un testo alla mail info@scienzainrete.it
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Un commento di Pirous Fateh-Moghadam
Paolo Vineis fa precedere la sua riflessione da una importante premessa affermando che secondo lui “la guerra è intrinsecamente immorale”. Nel ragionamento che segue non mi sembra, però, che tragga le conclusioni logiche da questa affermazione impegnativa. Propone invece una serie di metafore e paragoni sanitari che a mio parere rischiano di essere fuorvianti e in contraddizione con la sua affermazione iniziale. La chemioterapia, che menziona in analogia alla guerra, è un trattamento farmacologico con elevata tossicità, ma non ha nulla di “intrinsecamente immorale”. Altri potevano essere paragoni più appropriati: le sperimentazioni cliniche su persone senza il loro consenso, per fare un solo esempio. Si pensi al Tuskegee Study, nell’ambito del quale negli USA fino al 1972 uomini di colore affetti da sifilide non furono curati per studiare l’evoluzione naturale della malattia. Questo, non la chemioterapia, rappresenta un esempio di intervento medico “intrinsecamente immorale” e quindi inammissibile. Utilizzando paragoni medici appropriati diventa chiaro che se si considera la guerra “intrinsecamente immorale”, sul piano logico non c’è altra scelta che aderire ad una posizione di rifiuto categorico e quindi di pacifismo assoluto.
Il concetto si chiarisce ulteriormente provando a sostituire nel testo di Vineis la parola “guerra” con altre pratiche senza dubbio da considerare “intrinsecamente immorali”, per esempio la schiavitù oppure la tortura. Insomma, risulta evidente che si rischia di assumere una posizione di cinismo puro e semplice definendo una pratica “intrinsecamente immorale” e dichiarare subito dopo che all’occorrenza se ne ammette l’uso.
Solo partendo dal presupposto che la guerra non sia intrinsecamente immorale diventa lecito ragionare su come fare per valutare se possa essere considerata una scelta non solo legittima ma anche quella migliore nel contesto dato. Si tratta quindi di individuare dei criteri di valutazione e di applicarli alla realtà dei fatti. Ho cercato di fare un tentativo in questa direzione, pubblicato sulla rivista Epidemiologia & Prevenzione, dal quale risulta che i due approcci, quello pacifista assoluto e quello pragmatico “possibilista”, portano al medesimo risultato di rifiuto della guerra (almeno nella sua forma istituzionalizzata con ricorso a moderni eserciti).
Conviene inoltre tenere presente il ragionamento sui mezzi e fini che Hannah Arendt fa nel suo saggio Sulla violenza. “Dato che il fine dell’azione umana (…) non può mai essere previsto in modo attendibile, i mezzi usati per raggiungere degli obiettivi politici il più delle volte risultano più importanti, per il mondo futuro, degli obiettivi perseguiti”.
Un ulteriore elemento critico nell’articolo di Vineis è l’affermazione che l’Ucraina rappresenti un caso in cui ormai si possa fare solo della prevenzione terziaria, vale a dire cercare di gestire al meglio le conseguenze della guerra. Una guerra che a questo punto deve essere accettata come un fatto compiuto e non più modificabile. La necessità della prevenzione di un’ulteriore escalation del conflitto e il compito di fermare una guerra in atto scompaiono quindi completamente dalle considerazioni di Vineis. Mentre a mio avviso fermare un conflitto ed evitare l’escalation, non sono solo dei compiti importanti, ma vanno anche inquadrati come una forma di prevenzione primaria o almeno in un’area molto più vicina alla prevenzione primaria che alle altre forme di prevenzione .
Sulla prevenzione primordiale (eliminare i fattori determinanti delle guerre, gli armamenti ecc) Vineis fa delle considerazioni ottime e largamente condivisibili, ma poi sottolinea che questi tipo di prevenzione può essere realizzato solo in tempo di pace. Insomma, al primo colpo di cannone il pacifismo dovrebbe capire che la sua esistenza non ha più molto senso. In ultima analisi si tratta quindi di un invito alla rassegnazione, al silenzio, al pensiero TINA (there is no alternative) e quindi alla delega a quello che Papa Francesco ha chiamato il “potere economico-tecnocratico-militare”. Un invito a posticipare l’impegno antimilitarista a favore del disarmo a tempi migliori (che di questo passo non arrivano mai), mantenendolo però a parole. Un invito già accolto con favore da molti.
Ultima considerazione per proporre un’area di possibile convergenza. Possiamo avere opinioni diverse su molti aspetti ma credo che su un punto possiamo tutti concordare: siamo ancora in tempo per mettere in atto la prevenzione primaria di una guerra nucleare che sarebbe devastante per l’intera umanità. Per raggiungere questo obiettivo la comunità internazionale ha a disposizione uno strumento formidabile: il Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW). Come gruppo di lavoro di promozione della pace dell’Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE), insieme al Consiglio direttivo dell’AIE, abbiamo scritto una lettera aperta nella quale esortiamo il Governo italiano a garantire la propria presenza alla prima riunione internazionale sul TPNW, che si svolgerà a Vienna dal 21 al 23 giugno 2022, con il fine ultimo di firmare e ratificare il trattato . Scienza in rete ha pubblicato un podcast che illustra nel dettaglio le ragioni e gli obiettivi dell’iniziativa. Confido sul fatto che questa lettera aperta incontri l’interesse, l’approvazione e il sostegno attivo anche di Paolo Vineis e di chi non trova convincenti le mie argomentazioni sugli altri punti affrontati in questo commento.
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*Paolo Vineis
È professore ordinario di Epidemiologia Ambientale presso l’Imperial College di Londra e responsabile dell’Unità di Epidemiologia Molecolare ed Esposomica presso l’Italian Institute for Genomic Medicine – IIGM (Torino). Svolge ricerca nel campo dell’epidemiologia molecolare e le sue attività più recenti si concentrano sull’analisi di biomarcatori di rischio di malattia, su esposizioni complesse e su marcatori intermedi derivati dall’uso di piattaforme omiche in ampi studi epidemiologici. Tra le sue attività si annoverano anche ricerche sull’effetto del cambiamento climatico sulle malattie non trasmissibili in Bangladesh. È coordinatore di due grandi progetti finanziati dalla Commissione europea: Exposomics (sugli effetti molecolari dell’inquinamento atmosferico) e Lifepath (H2020, su disuguaglianze socioeconomiche ed invecchiamento), entrambi basati sull’utilizzo di tecnologie omiche; è inoltre coordinatore o co-investigator in altri progetti internazionali. Ha al suo attivo più di 950 pubblicazioni su riviste come Nature, Science, Lancet e Lancet Oncology (H-index 121), nonché autore del libro : “Health without Borders. Epidemics in the Era of Globalization” (Springer ed, 2017).
Ostinatamente per la Pace – Dibattito/Opinioni
C’è un’alternativa alla guerra: ora
13-06-2022 – di: Gianni Tognoni
Sembra tanto tempo fa quando su queste pagine (Volerelaluna https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/03/07/e-permesso-immaginare-la-pace/) domandavo se era proprio proibito pensare in termini di pace, come unico modo di non far “scoppiare” la guerra. Come nelle vecchie filastrocche, la guerra è più che scoppiata. Ha invaso tutto. E tutti.
Strana esperienza: in fondo non c’è nulla, ma proprio nulla di nuovo. Come quando si vedono o vedevano film di guerra. O le cronache in diretta di Iraq, Yemen, Sudan e via elencando. Cambiano fotogrammi, inquadrature, colori: ma il contesto e i racconti profondi sono uguali: tra cinema e storia reale cambiano solo le immagini degli umani: comparse vs umani veri morti e feriti, profughi… Del resto non si sa nulla, al di là delle cronache fattuali, più o meno ripetute, e le tante opinioni e interpretazioni. È vero che l’Ucraina è più vicina (ma non tanto di più se soltanto si pensa alla Libia, a Gaza, alla Siria) e c’è di mezzo l’immaginario del nucleare, ma non tornano i conti: né concreti, né nell’immaginario. Nell’articolo citato avanzavo una proposta talmente banale da apparire scontata: «La follia di un Putin che rappresenta soprattutto se stesso e cancella il diritto in tutte le sue forme si dovrebbe confrontare, in questo scenario, non con un nemico, ma con un progetto di futuro, nel quale le armi siano a priori escluse, e si dia il tempo di sperimentare forme democratiche di decisione, senza pericolo di interferenze militari. La ovvietà della proposta è pari all’apparente ingenuità della sua percorribilità».
Forse la guerra “in” Ucraina toglie, come la pandemia, il velo a qualcosa: a una nostalgia dei “poteri” di giocare a essere nemici sul campo: sul serio: con armi vere: come negli antichi duelli: appena fuori le mura: per sapere chi è più bravo. Perché nel mondo globale queste emozioni non sono più personalizzabili: sono impersonali. Sistemiche. Hanno le cose e le merci come protagonisti. E i morti, tanti tanti tanti, per fame o migrazione o repressioni-guerre “locali”, hanno l’accortezza di essere presenti solo nei racconti, come al cinema. Era da tempo evidentemente che “giocare” alla guerra in diretta covava: il mercato delle armi tirava, ma aveva bisogno di una scossa, che togliesse le resistenze psicologiche. Ed è meraviglioso l’accordo pieno e rapido sulle spese/competizioni al riarmo dei governi, delle industrie: avere l’emozione di “mandare” armi: non di nascosto, travestite da doveri di difesa.
Il racconto si potrebbe trascinare: come si trascina la guerra (o meglio: le trattative segrete tra dittatori armati fino ai denti), senza sapere qual è l’oggetto reale del contendere, e ancor meno chi e quanto e come e se deve uscire come vincitore o vinto: e tra chi? Russia vs Ucraina? Non è questa, e tutti lo sappiamo o lo sanno, la partita vera. Che svela anche che l’intenzione è quella di ridare formalmente alla guerra un suo diritto di cittadinanza da tempo messo in dubbio, e ridotto a essere un capitolo del mercato, o un evento per tutte le periferie… Che fare? La risposta è vecchia: TINA. Come per l’economia negli anni Ottanta, che rese obbligatorio il colonialismo dei sempre più pochi, perché il capitalismo classico non era più sufficiente. TINA – quasi superfluo ricordarlo – è l’acronimo della frase in inglese: “there is no alternative”. In italiano significa “non c’è alternativa”. Un’espressione cara alla prima ministra conservatrice britannica Margaret Thatcher. Se è vero che le decisioni nelle democrazie vengono assunte secondo percorsi trasparenti e condivisi, la retorica di “non c’è alternativa” (TINA) solleva non pochi interrogativi. Nella storia recente, il metodo TINA ha mostrato di poter facilitare e giustificare decisioni politiche sgradevoli e normativamente complesse, ostacolando però le procedure democratiche e deliberative
La guerra “periferica-centrale” (è questa la novità) ha svelato (come TINA) che il fattore più critico è l’assenza di un’ipotesi forte, alternativa, motivata, documentata di pace. Che è diversa da “movimenti per” la pace. L’Europa, luogo di una guerra di non si sa chi contro chi, ma certo profondamente sua, per la storia e per il presente, è l’assenza più drammatica e riassuntiva: non per scelte politiche. Per tante, frammentate alleanze con tutti gli attori: e un bagaglio di guerre di interessi che la rendono paralitica nel pensiero prima ancora di immaginarsi in una trattativa. La guerra ha svelato che il fattore più critico è l’assenza di un’ipotesi forte, alternativa, motivata, documentata di pace.
TINA è la dichiarazione di guerra. Non l’accetterò mai. Speriamo di essere in tanti. Nei tanti quotidiani. Magari non discutendo, nelle diverse, piccole o grandi, sinistre ed etiche, chi è, come e se si è pacifisti, più o meno invisibili e impotenti. Prendendo eventualmente un obiettivo politico-economico, concreto per le sue implicazioni molto dirette: non accettare TINA per le spese militari: spostare le spese già previste ora per il riarmo, in Italia, all’ambiente, alle aree della sanità che escludono e non includono, allo ius soli.
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CONTROCANTO
«Sia il vostro parlare sì, sì; no, no»
06-06-2022 – di: Tomaso Montanari
Non sappiamo perché sia trapelato solo ora, ma il motivato rifiuto di papa Francesco di partecipare ai convegni intrecciati di sindaci e vescovi del Mediterraneo, nello scorso febbraio a Firenze (Volerelaluna https://volerelaluna.it/commenti/2022/02/23/firenze-tradisce-la-pira/), è davvero clamoroso. Allora, non solo il papa non venne a Firenze, ma non mandò nessuno a rappresentarlo, e all’Angelus da San Pietro non mandò nemmeno un saluto all’iniziativa fiorentina, benché in piazza Santa Croce a Firenze ci fossero i vertici della Cei e dello Stato (incluso Mattarella) ad ascoltarlo in diretta.
Il franco scambio di opinioni tra il pontefice e l’arcivescovo di Firenze – avvenuto al recente convegno della Cei, in questi giorni filtrato sui giornali e non smentito dalla Santa Sede – è illuminante: ai grigi equilibrismi politici del cardinal Betori (che cerca di spiegare al papa che Marco Minniti era stato invitato da Nardella e non dai vescovi) si contrappone la luminosa parresia, cioè il dire la verità, di Francesco. Il quale sa benissimo che, se avesse accettato di chiudere quei lavori, il risultato mediatico sarebbe stata una “benedizione” della politica rappresentata dalla figura di Minniti: autore di quella legislazione securitaria sull’immigrazione che conduce, senza soluzioni di continuità, ai decreti sicurezza di Salvini, e ora volto del soft power della fondazione Med-Or, espressione della Leonardo, che è la principale fabbrica di armi italiana. Dopo l’appello nel quale una parte dei cattolici fiorentini (tra i quali anche chi scrive) chiedevano a Firenze di dire “no” a Minniti esattamente per questo motivo, Nardella rispose che «la politica non può limitarsi al giudizio morale». Del resto, il sindaco di Firenze è un convinto sostenitore della “linea Minniti”, sgomberi e DASPO urbani inclusi, in nome della “legalità”. Ed è tutta qui la differenza tra papa Francesco e i politicanti italiani (inclusi alcuni vescovi): per il papa il piano morale non può mai essere messo tra parentesi. Per Francesco la persona umana non è mai un mezzo, ma sempre e solo il fine ultimo: dunque la tortura nelle carceri libiche non può essere un accettabile danno collaterale di una politica di “contenimento” della migrazione. E le armi sono sempre e comunque strumenti di morte: per il papa la pace si prepara costruendo la pace, non la guerra.
Le durissime parole del pontefice trapelate in questi giorni hanno lasciato sconcertati coloro che sono abituati a guardare al Vaticano come una potenza terrena, con la sua diplomazia e la sua politica. Ma è evidente che quella diplomazia e quella politica con Francesco sono cambiate: perché sono ispirate al Vangelo non solo nei contenuti, ma anche nelle forme. A cominciare, appunto, dalla parresia: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Matteo 5, 37).
Che questo tratto così rivoluzionario, in un pontefice, sia emerso proprio in un’occasione legata a Firenze è straordinariamente suggestivo. Francesco è stato il primo papa a recarsi a Barbiana, sulla tomba del fiorentino don Lorenzo Milani, che della parresia, della franchezza del parlare cristiano, è stato il profeta più luminoso del Novecento. Milani ha pagato un prezzo altissimo per la sua fedeltà al parlare solo con l’evangelico «sì, sì; no, no»: nonostante la sua struggente fedeltà alla Chiesa, i predecessori di Betori lo hanno punito con l’esilio; ed egli fu anche processato in tribunale per aver osato difendere l’obiezione di coscienza contro l’amore per la guerra dei cappellani militari. La chiesa fiorentina, del resto, è stata ricolmata del dono della parresia: da Giorgio La Pira (sindaco santo che requisiva le case sfitte per dare un tetto ai poveri) a padre Balducci, da padre Turoldo a don Bruno Borghi, dalla Comunità dell’Isolotto a quella delle Piagge. Una tradizione che oggi continua con Alessandro Santoro, Andrea Bigalli, responsabile di Libera Toscana, e con l’abate di San Miniato Bernardo Gianni: tutti sacerdoti che hanno firmato l’appello contro Minniti. Tutte figure più o meno esplicitamente condannate e isolate dai vescovi di Firenze: tutte figure che oggi le parole di papa Francesco risarciscono.
In un’Italia sempre più lontana dalla franchezza della sua Costituzione (una «polemica contro lo stato delle cose», la definiva Piero Calamandrei), la franchezza del papa, così vicina a quella di Gesù nel Vangelo, è un raggio di sole che squarcia le tenebre. E don Milani, che sui banchi di Barbiana teneva Costituzione e Vangelo, da qualche parte del paradiso oggi sorride.
Che confusione! Fenomeni e deliri della propaganda
Goffredo Bartocci su Patria Indipendente
L’antico e spesso troppo labile confine tra l’informazione e le tecniche di persuasione, soprattutto in tempo di guerra, alla lente della psichiatria culturale: puntare sull’emotività semplicistica e viscerale rischia di “disorientare” le giovani generazioni e produce incertezza e fragilità anche nelle persone adulte e più consapevoli
A partire dal 24 febbraio di quest’anno ho seguito con attenzione le informazioni provenienti da articoli dei quotidiani, da talk show, servizi speciali, interventi di veri o presunti esperti sulla guerra in corso fra Russia e Ucraina. L’incoerenza tra le comunicazioni inerenti il terreno di guerra e il ribaltamento delle notizie diffuse nel nostro Paese mi ricorda il fenomeno già osservato da psicologi dell’infanzia e dell’adolescenza che individuano il potere patogeno del doppio messaggio: la percezione contemporanea di una discordanza fra la cascata di emozioni e i concetti cognitivi provenienti da adulti significativi confonde la mente.
Tra gli avvenimenti che hanno goduto di tale infausta contrapposizione emergono non solo l’elargizione e l’incoerenza di pacchetti emozionali preformati, ma anche le numerose e accanite dispute valoriali. A questo punto entriamo nel vivo dell’interazione fra fede e concetti cognitivi provenienti da ottiche materialistiche. Nel momento in cui adoperiamo lo strumento adatto per osservare la fenomenologia interculturale al fine di legare climi culturali ed espressioni comportamentali manifeste, è doveroso guardare con attenzione anche ai fenomeni di casa nostra. Colpisce, ad esempio, lo sguaiato attacco proveniente da più parti, da giornalisti o personaggi politici, contro il presidente dell’Anpi nazionale.
Eppure mi è sembrato che questi avesse espresso un dubbio, uno scrupolo, sull’opportunità dell’invio di massicce forniture di armi all’esercito ucraino. Mi era sembrato un invito a riflettere su ciò che nel lungo termine poteva comportare e non l’abbandono di un popolo che sta resistendo all’invasore. Inoltre mi era sembrato anche un invito ad analizzare fenomeni geopolitici così decisivi tenendo presente la concatenazione delle cause che li hanno determinati e che ne sostengono la perpetuazione.
Guerre nel mondo
Per solito è buona norma in psichiatria culturale evitare di intervenire in ambito politico o militare, in quanto tale competenza è depositata nelle mani di esperti di affari internazionali o direttamente in quelle delle intelligence. Ma questa volta, avendo colto un livore da parte degli addetti ai lavori istituzionali – un livore esacerbato da una certa prosopopea del tipo “fatevi gli affari vostri” – non ho potuto fare a meno di esprimermi su una stonatura: quando una guerra è ai nostri confini diventa di per sé un “affare nostro”, tanto più perché non avremmo dovuto dimenticarci le innumerevoli guerre combattute alla fine del secolo scorso e dall’inizio di questo millennio sulle sponde del Mediterraneo.
Mi è sembrato, poi, che le accuse di partigianeria putiniana o di ingenuità pacifista rivolte contro una voce uscita dal coro non rispettassero un’associazione nata da una storia di persone non irreggimentate ideologicamente e che contribuirono a rendere libera l’Italia. Ora, per evitare analisi predicatorie, mi sembra possibile se non doveroso chiamare in causa la competenza della disciplina di cui mi occupo, la psichiatria culturale, statutariamente mirata a individuare, nella pletora di manifestazioni psicoculturali osservabili, la presenza di punti di inciampo che ostacolano lo sviluppo virtuoso della comunità.
Un primo esempio “tecnico” di uso dell’arte argomentativa fenomenico/culturale nel corso della nostra storia, è quello che documentava l’epidemia di isteria in Inghilterra durante il boom dell’industrializzazione, collegandolo ai turni massacranti delle donne che lavoravano nelle fabbriche. Qualora preferiate un esempio più attuale, basta soffermarsi a considerare la frequenza con cui nel Nord America un ragazzo decide di entrare in un supermercato o in una scuola con armi d’assalto per sterminare un numero imprecisato di persone indifese. Anche in questo caso, oltre a circoscrivere il problema a una patologia del singolo e individuare le conseguenti terapie, sarebbe opportuna un’interpretazione psicoculturale dinamica. Importeremo in Italia anche questi fenomeni, come abbiamo importato l’anoressia e le personalità multiple e con esse la griglia interpretativa che viene normalmente proposta?
Ma torniamo a noi. Ovvero ai fatti dell’Anpi. Non vi sembra stupefacente osservare che poco tempo dopo le invettive contro una voce fuori dal coro, e senza apparente cambio di passo nelle modalità di rapportarsi agli iscritti all’associazione, una sempre più consistente componente politica e sociale si è schierata sulla stessa linea precedentemente considerata oltraggiosa?
Cosa voglio sottolineare? Ebbene, in questo periodo di enorme confusione mi sembra proliferi una induzione alla confusione stessa. Ci troviamo di fronte alla famosa goccia che fa traboccare il vaso della resilienza identitaria. Mi riferisco alla resilienza di quel contenitore identitario, individuale o di massa, atto a preservare la capacità di orientarsi per chi si trova a seguire (e possibilmente a capire) quali siano le cause di una schermaglia sconsiderata su valori di cui l’Italia è portatrice e che dovrebbero essere patrimonio di tutti.
Il termine confusione, da cui qui sopra ho preso le mosse, è di uso comune. Allo stesso tempo caratterizza nella terminologia psichiatrica un preciso stato di coscienza. Gli stati di coscienza non sono oggetti con cui si possa impunemente giocare. L’ampiezza di contenuti dello stato di coscienza può essere rapportata, come importanza, alla infinitudine della teologia dello Spirito dell’homo sapiens. È opportuno sapere che lo stato di coscienza altri non è che il luogo da cui si possono intraprendere cammini diversi, alcuni dei quali possono sfociare in quelle manifestazioni che in psichiatria chiamiamo psicopatologie.
Un secondo termine che in vari modi denota traballanti stati di coscienza è il disorientamento. Sebbene anche questa connotazione di uno stato psichico sia di uso comune, è doveroso sottolineare che la perdita dell’orientamento è certamente il primo passo verso una degradazione della percezione della realtà esterna, la quale diventa, nel bene e nel male, “perturbante”, come sottolineato da Freud e ripreso attualmente dalla psichiatria culturale. Questo può accadere a chi, con pazienti di altre culture, nega la sua difficoltà a ricevere comunicazioni estreme, che potremmo dire stranianti, da parte di una persona evidentemente sana, non riuscendo a fare quel necessario “salto culturale”. Fu l’interprete Bantu che mi assisteva nel condurre lunghi discorsi con pazienti di questa etnia che mi fece esperire un chiaro momento di disorientamento. Un giorno non venne a svolgere il suo lavoro. Mi stupii dato che per mesi aveva dimostrato una assoluta puntualità agli appuntamenti. Il giorno dopo mi disse: “Scusi Doctor per non essere venuto ieri, ma mentre camminavo lungo il sentiero per venire qui, la pietra mi ha parlato. Erano i miei antenati che mi dicevano di svolgere con più cura i sacrifici rituali. Sono corso nel luogo dove sono nato per rimediare”.
Ebbene, fu grazie a questo schiaffo involontario da parte dell’interprete che intrapresi la carriera di transculturalista. In quel momento capii quanto fosse difficile non reagire a quanto di estraneo ascoltavo dal mio interprete, e quanto fossero ingombranti le credenze preformate che mi portavo appresso come bagaglio a mano. Non solo. Riavutomi dallo schiaffo riuscii a comprendere un altro aspetto di quel giorno fatidico: nel raccontami della pietra parlante l’interprete Bantu si era fidato di me, aveva affidato a mani estranee i fatti più intimi del suo essere devoto alla sua storia religiosa, quella del rispetto per gli antenati. Siamo noi capaci di fare lo stesso? Ascoltare senza anteporre immediatamente all’altro le nostre più rigide convinzioni?
Ora, ritorniamo in Europa. Non c’è alcun dubbio sugli effetti confusivi generati da un’informazione cattiva e parziale. È impossibile non rendersi conto che tale attitudine genera incertezza e fragilità anche nelle persone interessate a riflessioni che derivino da punti di vista consapevoli.
Inoltre, accade che ai discorsi a sfondo sociale che ci inondano sulle motivazioni geopolitiche e geoeconomiche della guerra in atto, si siano aggiunte con sempre maggiore frequenza dichiarazioni a sfondo psicologico: termini quali delirio, follia, megalomania, narcisismo, paranoia, sono all’ordine del giorno. Troppo facile usare surrettiziamente questi termini per definire il Bene e il Male, la norma e la deformazione psichica, la giusta fede o l’eresia. Attenti. Il tentativo di suscitare nella popolazione una emotività semplicistica e viscerale è un vecchio trucco. Ma i trucchi non fanno crescere le funzioni dell’Io. L’adolescente di oggi, e non solo lui, mostra di aver maturato una negazione, un distacco dal desiderio di conoscenza dei fatti. Alla mancanza di elaborazione si sostituisce l’obbligo a prendere posizioni immediate e indiscutibili. Basta dare un’occhiata al dilagare del bullismo, al proliferare di movimenti ascientifici che insinuano la piattezza della Terra o, peggio, all’insorgere di fenomeni di fanatismi religiosi a fini di terrorismo. In fondo non è così difficile trovare la linfa che alimenta credenze e comportamenti abnormi e definire con termini tecnici dinamiche capaci di produrre forme più o meno palesi di dissociazione.
Sono tentato di agganciare questo discorso a un tema, quello dei deliri culturali, che riguarda molte popolazioni. Basti per ora smascherare e opporsi a forme di comunicazione su basi dissociative prima che queste si conformino in un delirio. Anche qui è opportuno portare un esempio, fra gli altri, di dissociazione nella comunicazione, a sua volta dissociante: il momento della pubblicità televisiva. È un momento sovraccarico di potenza: si parla, si vedono morti per le strade, madri in lacrime, uomini pronti a combattere, lo stesso Papa, detentore del primato della paternità spirituale, quando ecco: il conduttore interrompe qualunque oratore. Pubblicità! Poi, quasi non bastasse, ecco i visi tenerissimi di infanti che muoiono per malnutrizione, polmonite, sete. Scorrono i corpicini denutriti, il sorriso al primo sorso di latte in polvere. Poi, senza soluzione di continuità, cambia la scena: si reclamizza il cibo per gatti. Tirati a lucido, il pelo morbido per l’uso di shampoo raffinato, mangiano il salmone sotto lo sguardo tenero di una donna, di un ragazzo, di chi capita. Ecco, questo è un invito alla dissociazione. Qui è in atto una ginnastica dissociante, caratterizzata dal passaggio repentino dalla richiesta di una empatia interumana intensa a una situazione emotiva effimera.
State attenti uomini adulti, ragazzi, madri, pensionati, forse – lo spero – immigrati che portate gli odori della vostra terra mentre vi accostate a diventare cittadini di una nuova patria. Tutti voi fate attenzione alle pozioni dell’incantamento. Non vi fate abbindolare. Non chiedo di più. Non ho soluzioni in grado di sciogliere gli inganni della propaganda, le malie di chi promette vita eterna o la necessità di una bibita zerocalorie. Troppo ci sarà da dire.
Concludo con una citazione a cui sono affezionato. L’ho usata come incipit in più di una pubblicazione (almeno sino a quando un editore mi fece notare l’eccesso di ripetizione). Ebbene, anche stavolta fruisco delle parole pronunciate dal senatore Simmaco quando, nel 384, il vescovo di Milano Ambrogio ordinò la rimozione da una sala del Campidoglio dell’altare dedicato alla dea Vittoria: “Uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum” [non si può raggiungere un mistero così grande per una sola via]. Sì, non è possibile sciogliere un mistero così grande come l’appartenenza a un credo togliendo a forza le fattezze di una donna alata. Attenti sia al potere esplicito che alle tecniche raffinatissime di incantamento. In tal guisa ammoniva il grande antropologo italiano Ernesto De Martino, quando sottolineava come conseguenza della fascinazione la possibilità della perdita della presenza e il furto dell’Io.
Cari lettori, esercitate ancora una volta la vista per scorgere non più solo le camicie nere del fascismo o le bandiere nere dei terroristi. Quelli siamo riusciti a smascherarli. Attenti però all’inganno leggero, impalpabile di ogni falso sorriso, ogni teatrale discorso dal balcone di vetusti palazzi o dagli schermi televisivi. Eviteremo con ciò di essere mandati a morire su un campo di battaglia per interessi altrui.
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Gli autori (segue)
Ostinatamente per la Pace!
Pace, ripartire dall’alfabeto
Editoriale di Mariano Borgognoni su Rocca 12/2022*
Abbiamo messo in copertina una bellissima foto della marcia per la pace del 1961. Giusto 61 anni fa. Vuol essere una scommessa sulla speranza di cui quelle donne e quegli uomini sono immagine. Un’immagine che arriva dal passato ma che, in un certo senso, ci viene incontro dal futuro: dal desiderio e dal diritto di vivere delle generazioni giovani e di quelle venture. In quei cartelli così essenziali c’è scritta l’idea di un mondo altro rispetto a quello che fonda la sicurezza sulle armi e sugli imperi (del bene o del male). Non so quanti fossero i cristiani presenti a quella prima marcia [Perugia-Assisi] ispirata da Aldo Capitini, forse non molti, eppure quelle persone col vestito della festa, annunciavano un regno nuovo. E dai giardini del Frontone di Perugia alla Rocca di Assisi erano davvero «belli i piedi dei messaggeri che annunciano la pace». Dopo 61 anni è ancora il tempo che parlino i popoli. La situazione è troppo seria per lasciarla alla decisione degli esperti! Già i grandi greci ci avvertivano che ogni aretè, ogni virtù, ha bisogno di competenti, ma l’aretè di governare la polis deve essere arte comune, affinché non giunga polemos, il demone della guerra, a sconvolgere la convivenza della città. In una celebre battuta il grande e disincantato scrittore russo Anton Cechov sostiene che «l’ottimista è un pessimista male informato». Il tempo che viviamo sembrerebbe dargli ragione. Eppure quelle immagini di copertina ci parlano di un ottimismo della volontà portatore di un nuovo realismo. Dopo tante guerre, ultima quella afghana, che hanno lasciato problemi irrisolti e anzi aggravati, come si fa ancora a rilanciare la via del riarmo come orizzonte di sicurezza e di pace? Una via che divora risorse necessarie a garantire condizioni di vita, d’istruzione, di salute dignitose per una parte enorme del umanità; che sottrae possibilità di orientare la ricerca e la scienza verso obiettivi capaci di accrescere la vita buona dei viventi e riparare i guasti inferti al pianeta; che limitano le opportunità di assicurare giustizia e uguaglianza sociale. Per questo armi, sfruttamento e fame stanno insieme, come insieme stanno disarmo, emancipazione e benessere. Su questo l’umanesimo cristiano, quello socialista e la nuova istanza ambientale, rappresentano una proposta attuale ed urgente per il rilancio di un’Europa protagonista in un mondo multipolare che ritrovi nell’Onu e nel suo rinnovamento quel soggetto istituzionale, già sognato da Kant, per evitare che la guerra di tutti contro tutti si trasferisca dagli individui agli Stati e la «pace perpetua» continui ad essere quella dei cimiteri. Molti articoli ed interviste, da M. Salvi a La Valle a Vignarca, parleranno in questo numero della guerra in corso (delle guerre in corso). Per parte mia ho voluto offrire una cornice all’avvio di un Alfabeto della Pace cui abbiamo deciso di fare spazio nella nostra rivista e di cui il pezzo di Giannino Piana sul versante etico è il primo contributo. Vorremmo ritrovare e inventare le parole chiave della convivenza, della cooperazione, della ricchezza delle differenze, per lavorare, nel nostro piccolo, a quella che, nell’ultimo numero, abbiamo chiamato «la prossima rivoluzione»: quella della nonviolenza. La rivoluzione più ardua, che non è assenza di conflitto ma capacità di umanizzarlo; che non è resa al sopruso ma resistenza di massa alla barbarie; che non vive nell’apatia e nel risentimento ma richiede una cittadinanza consapevole e attiva. Una sfida difficile che nella storia ha visto alternarsi rovesci e vittorie. Un cammino sempre da ricominciare, che viaggia sul filo del paradosso e che troverà sempre di fronte a sé l’obiezione del due più due fa quattro del «realismo reale», attraverso il quale è trascorso il tempo degli uomini da una guerra all’altra. E nel tempo della guerra, come è stato detto, la ragione si mette al servizio della follia. È possibile e necessario, nel deserto ideale e politico che sembra caratterizzare questa stagione, organizzare un pensiero e un’azione che non siano solo schiacciati sull’amministrazione del presente, secondo il catechismo dell’ultima teo-ideologia rimasta, ma che abbiano la tentazione di organizzare da capo la speranza. La speranza che liberté ed égalité possano davvero vivere insieme. E lo potranno solo se il terzo non verrà più escluso: la fraternité. Forse può essere questa la chiave di volta attraverso cui riprendere il cammino di emancipazione di individui e società da dove i fallimenti storici lo hanno lasciato.
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*ROCCA 15 GIUGNO 2022 l’editoriale
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ChiesadituttiChiesadeipoveri: Newsletter n. 266 del 8 giugno 2022.
LE ARMI SOLE AL COMANDO
Cari Amici,
“Ne cives ad arma veniant” (affinché i cittadini non corrano alle armi) è una massima latina (peraltro mai usata dai latini, o perlomeno non se ne trova traccia negli antichi scritti) che con mirabile concisione definisce ciò che è alternativo alla violenza e alla guerra. Per questa ragione è atta soprattutto ad indicare il diritto e secondo Luigi Ferrajoli definisce la ragione profonda del monopolio statale del ricorso alla forza, quel monopolio che in sede internazionale dovrebbe ora essere esclusivo delle Nazioni Unite e gestito dal Consiglio di Sicurezza.
Il merito di questa formula sta in ogni caso nell’indicare le armi non solo come protagoniste della guerra, ma addirittura come l’altro nome della guerra, il che spiega perfettamente, ad esempio, perché la condanna delle armi, della loro produzione e del loro commercio, si accompagni sempre, nel ministero pastorale di papa Francesco, alla condanna della guerra, fino a dire che la spesa per le armi, e “armi, armi, armi”, sporchi l’anima e sporchi l’umanità; ed è stata questa anche la ragione della sua rinunzia ad andare alla recente assemblea fiorentina che, pur intitolata a La Pira non si era accorta di una sua possibile strumentalizzazione ad uso dei fabbricanti d’armi.
Nel caso della guerra d’Ucraina le armi non solo ne sono protagoniste, ma anche sono le sole al comando; sono loro che l’hanno decisa, provocata, che la governano e che ne decidono la durata. Non si è creduto che le armi ammassate ai confini della Russia fossero un invito alla guerra. Non si è creduto che le armi fossero la vera ragione della guerra da parte della Russia, facilissima perciò ad essere rimossa con un accordo sulla reciproca sicurezza. Si è preferito farsi vittime dell’aggressione, adducendo una miriade di altre ragioni occulte dell’invasione, tali per cui il negoziato diventava impossibile; e quando all’Ucraina sono mancate le armi non si è fatto altro che andarle a chiedere a mezzo mondo e quello che chiamiamo Occidente ha fatto a gara per fornirle, a cominciare dagli avanzi delle guerre precedenti, virtuali o reali, col vantaggio collaterale di svuotare i propri arsenali e renderli accoglienti per altri più moderni e costosi armamenti. In tal modo si è prodotta una cobelligeranza generale contro la Russia, di cui ora con sadico sprezzo del pericolo si discute se debba essere “umiliata” o no (Zelensky dice di sì) come se fosse il Principato di Monaco e non una grande Potenza che si sente messa alla gogna, scacciata e ferita. E sono ancora le armi che, sostituendosi ai capi responsabili, decidono quanto debba estendersi la guerra, perché quelle del dono occidentale sono via via a gittata più lunga e i russi rispondono che quanto aumenta la gittata delle armi che li minacciano, altrettanto aumenterà la distanza alla quale sospingeranno gli aggressori (singolare inversione delle parti!), cioè la profondità cui si spingerà l’invasione.
Le armi, divenute così padrone e signore della guerra, saranno anche padrone del nostro destino; ma di quelle che abbiamo mandato noi, non sappiamo nemmeno come si chiamano, perché sono state secretate; certo non sono quelle festosamente d’epoca col bandierone volante mostrate nella spettacolare parata ai Fori Imperiali del 2 giugno scorso; Amato, che sarebbe il tutore giurisdizionale della Costituzione, le considera extra legem, sbagliando Costituzione come se la Costituzione non le avesse ripudiate insieme alla guerra che ne è l’altro nome, forse scambiando la nostra Costituzione con quella americana per la quale a ogni cittadino corrisponde un’arma e anzi, stando alle statistiche, più armi ad ogni cittadino.
Ce n’è abbastanza per rovesciare le armi dal trono, come la democrazia impone di fare con i falsi sovrani.
Nel sito pubblichiamo una recensione di Vittorio Bellavite del libro di Giuseppe Deiana “Io sono la Terra di tutti”, un libro che fin dal titolo propone una felice intuizione, assumendo la Terra non nel senso dei geografi quale si trova nella carte o dei teologi quale creazione divina o degli astronauti che la guardano da lontano come la Luna, ma come un Io collettivo, cioè come la comunità di tutti gli esseri umani che la popolano, nel senso stesso cioè in cui è intesa come il soggetto costituente di “Costituente Terra”.
Pubblichiamo anche un articolo di Vincenzo Vita sul maccartismo all’italiana riguardante le liste dei ”putiniani” diffuse dal “Corriere della Sera”, e una lettera di una coppia di obiettori di coscienza ucraini. Al seguente link potete trovare inoltre il saggio di Marina Graziosi sulla donna nell’immaginario penalistico.
Con i più cordiali saluti.
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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una Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola
Costituente Terra. Newsletter n. 82 dell’8 giugno 2022
LE ARMI SOLE AL COMANDO
Cari Amici,
Che succede?
ChiesadituttiChiesadeipoveri: Newsletter n. 266 del 8 giugno 2022.
LE ARMI SOLE AL COMANDO
Cari Amici,
“Ne cives ad arma veniant” (affinché i cittadini non corrano alle armi) è una massima latina (peraltro mai usata dai latini, o perlomeno non se ne trova traccia negli antichi scritti) che con mirabile concisione definisce ciò che è alternativo alla violenza e alla guerra. Per questa ragione è atta soprattutto ad indicare il diritto e secondo Luigi Ferrajoli definisce la ragione profonda del monopolio statale del ricorso alla forza, quel monopolio che in sede internazionale dovrebbe ora essere esclusivo delle Nazioni Unite e gestito dal Consiglio di Sicurezza.
Il merito di questa formula sta in ogni caso nell’indicare le armi non solo come protagoniste della guerra, ma addirittura come l’altro nome della guerra, il che spiega perfettamente, ad esempio, perché la condanna delle armi, della loro produzione e del loro commercio, si accompagni sempre, nel ministero pastorale di papa Francesco, alla condanna della guerra, fino a dire che la spesa per le armi, e “armi, armi, armi”, sporchi l’anima e sporchi l’umanità; ed è stata questa anche la ragione della sua rinunzia ad andare alla recente assemblea fiorentina che, pur intitolata a La Pira non si era accorta di una sua possibile strumentalizzazione ad uso dei fabbricanti d’armi.
Nel caso della guerra d’Ucraina le armi non solo ne sono protagoniste, ma anche sono le sole al comando; sono loro che l’hanno decisa, provocata, che la governano e che ne decidono la durata. Non si è creduto che le armi ammassate ai confini della Russia fossero un invito alla guerra. Non si è creduto che le armi fossero la vera ragione della guerra da parte della Russia, facilissima perciò ad essere rimossa con un accordo sulla reciproca sicurezza. Si è preferito farsi vittime dell’aggressione, adducendo una miriade di altre ragioni occulte dell’invasione, tali per cui il negoziato diventava impossibile; e quando all’Ucraina sono mancate le armi non si è fatto altro che andarle a chiedere a mezzo mondo e quello che chiamiamo Occidente ha fatto a gara per fornirle, a cominciare dagli avanzi delle guerre precedenti, virtuali o reali, col vantaggio collaterale di svuotare i propri arsenali e renderli accoglienti per altri più moderni e costosi armamenti. In tal modo si è prodotta una cobelligeranza generale contro la Russia, di cui ora con sadico sprezzo del pericolo si discute se debba essere “umiliata” o no (Zelensky dice di sì) come se fosse il Principato di Monaco e non una grande Potenza che si sente messa alla gogna, scacciata e ferita. E sono ancora le armi che, sostituendosi ai capi responsabili, decidono quanto debba estendersi la guerra, perché quelle del dono occidentale sono via via a gittata più lunga e i russi rispondono che quanto aumenta la gittata delle armi che li minacciano, altrettanto aumenterà la distanza alla quale sospingeranno gli aggressori (singolare inversione delle parti!), cioè la profondità cui si spingerà l’invasione.
Le armi, divenute così padrone e signore della guerra, saranno anche padrone del nostro destino; ma di quelle che abbiamo mandato noi, non sappiamo nemmeno come si chiamano, perché sono state secretate; certo non sono quelle festosamente d’epoca col bandierone volante mostrate nella spettacolare parata ai Fori Imperiali del 2 giugno scorso; Amato, che sarebbe il tutore giurisdizionale della Costituzione, le considera extra legem, sbagliando Costituzione come se la Costituzione non le avesse ripudiate insieme alla guerra che ne è l’altro nome, forse scambiando la nostra Costituzione con quella americana per la quale a ogni cittadino corrisponde un’arma e anzi, stando alle statistiche, più armi ad ogni cittadino.
Ce n’è abbastanza per rovesciare le armi dal trono, come la democrazia impone di fare con i falsi sovrani.
Nel sito pubblichiamo una recensione di Vittorio Bellavite del libro di Giuseppe Deiana “Io sono la Terra di tutti”, un libro che fin dal titolo propone una felice intuizione, assumendo la Terra non nel senso dei geografi quale si trova nella carte o dei teologi quale creazione divina o degli astronauti che la guardano da lontano come la Luna, ma come un Io collettivo, cioè come la comunità di tutti gli esseri umani che la popolano, nel senso stesso cioè in cui è intesa come il soggetto costituente di “Costituente Terra”.
Pubblichiamo anche un articolo di Vincenzo Vita sul maccartismo all’italiana riguardante le liste dei ”putiniani” diffuse dal “Corriere della Sera”, e una lettera di una coppia di obiettori di coscienza ucraini. Al seguente link potete trovare inoltre il saggio di Marina Graziosi sulla donna nell’immaginario penalistico.
Con i più cordiali saluti.
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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una Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola
Costituente Terra. Newsletter n. 82 dell’8 giugno 2022
LE ARMI SOLE AL COMANDO
Cari Amici,
“Ne cives ad arma veniant” (affinché i cittadini non corrano alle armi) è una massima latina (peraltro mai usata dai latini, o perlomeno non se ne trova traccia negli antichi scritti) che con mirabile concisione definisce ciò che è alternativo alla violenza e alla guerra. Per questa ragione è atta soprattutto ad indicare il diritto e secondo Luigi Ferrajoli definisce la ragione profonda del monopolio statale del ricorso alla forza, quel monopolio che in sede internazionale dovrebbe ora essere esclusivo delle Nazioni Unite e gestito dal Consiglio di Sicurezza.
Il merito di questa formula sta in ogni caso nell’indicare le armi non solo come protagoniste della guerra, ma addirittura come l’altro nome della guerra, il che spiega perfettamente, ad esempio, perché la condanna delle armi, della loro produzione e del loro commercio, si accompagni sempre, nel ministero pastorale di papa Francesco, alla condanna della guerra, fino a dire che la spesa per le armi, e “armi, armi, armi”, sporchi l’anima e sporchi l’umanità; ed è stata questa anche la ragione della sua rinunzia ad andare alla recente assemblea fiorentina che, pur intitolata a La Pira non si era accorta di una sua possibile strumentalizzazione ad uso dei fabbricanti d’armi.
Nel caso della guerra d’Ucraina le armi non solo ne sono protagoniste, ma anche sono le sole al comando; sono loro che l’hanno decisa, provocata, che la governano e che ne decidono la durata. Non si è creduto che le armi ammassate ai confini della Russia fossero un invito alla guerra. Non si è creduto che le armi fossero la vera ragione della guerra da parte della Russia, facilissima perciò ad essere rimossa con un accordo sulla reciproca sicurezza. Si è preferito farsi vittime dell’aggressione, adducendo una miriade di altre ragioni occulte dell’invasione, tali per cui il negoziato diventava impossibile; e quando all’Ucraina sono mancate le armi non si è fatto altro che andarle a chiedere a mezzo mondo e quello che chiamiamo Occidente ha fatto a gara per fornirle, a cominciare dagli avanzi delle guerre precedenti, virtuali o reali, col vantaggio collaterale di svuotare i propri arsenali e renderli accoglienti per altri più moderni e costosi armamenti. In tal modo si è prodotta una cobelligeranza generale contro la Russia, di cui ora con sadico sprezzo del pericolo si discute se debba essere “umiliata” o no (Zelensky dice di sì) come se fosse il Principato di Monaco e non una grande Potenza che si sente messa alla gogna, scacciata e ferita. E sono ancora le armi che, sostituendosi ai capi responsabili, decidono quanto debba estendersi la guerra, perché quelle del dono occidentale sono via via a gittata più lunga e i russi rispondono che quanto aumenta la gittata delle armi che li minacciano, altrettanto aumenterà la distanza alla quale sospingeranno gli aggressori (singolare inversione delle parti!), cioè la profondità cui si spingerà l’invasione.
Le armi, divenute così padrone e signore della guerra, saranno anche padrone del nostro destino; ma di quelle che abbiamo mandato noi, non sappiamo nemmeno come si chiamano, perché sono state secretate; certo non sono quelle festosamente d’epoca col bandierone volante mostrate nella spettacolare parata ai Fori Imperiali del 2 giugno scorso; Amato, che sarebbe il tutore giurisdizionale della Costituzione, le considera extra legem, sbagliando Costituzione come se la Costituzione non le avesse ripudiate insieme alla guerra che ne è l’altro nome, forse scambiando la nostra Costituzione con quella americana per la quale a ogni cittadino corrisponde un’arma e anzi, stando alle statistiche, più armi ad ogni cittadino.
Ce n’è abbastanza per rovesciare le armi dal trono, come la democrazia impone di fare con i falsi sovrani.
Nel sito pubblichiamo una recensione di Vittorio Bellavite del libro di Giuseppe Deiana “Io sono la Terra di tutti”, un libro che fin dal titolo propone una felice intuizione, assumendo la Terra non nel senso dei geografi quale si trova nella carte o dei teologi quale creazione divina o degli astronauti che la guardano da lontano come la Luna, ma come un Io collettivo, cioè come la comunità di tutti gli esseri umani che la popolano, nel senso stesso cioè in cui è intesa come il soggetto costituente di “Costituente Terra”.
Pubblichiamo anche un articolo di Vincenzo Vita sul maccartismo all’italiana riguardante le liste dei ”putiniani” diffuse dal “Corriere della Sera”, e una lettera di una coppia di obiettori di coscienza ucraini. Inoltre nella “Biblioteca di Alessandria” pubblichiamo una “guida” redatta da Domenico Gallo per la conoscenza e comprensione dei quesiti del referendum sulla giustizia di domenica prossima e il saggio di Marina Graziosi sulla donna nell’immaginario penalistico.
Con i più cordiali saluti.
www.costituenteterra.it
Che succede? Un Mondo nuovo è possibile. Riprendiamo il percorso della Pace!
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GUERRA CIVILE
di Raniero La Valle, su fb
A questo punto della guerra d’Ucraina se ne può forse avanzare una lettura diversa da quella vigente fin qui. Nulla di ciò che con tanta sicurezza è stato affermato è infatti avvenuto. Quella che è in corso è in effetti una guerra efferata ma circoscritta, messa in scena come uno spettacolo, dove a contare non sono le tragiche moltitudini delle vittime, tranquillamente immolate da una parte e dall’altra, ma i primi attori solitari, i Putin, gli Zelensky, i Biden, gli Stoltenberg; è una guerra combattuta con altri mezzi, l’economia, l’Intelligence, le fake news, più ancora che con le armi; una guerra in cui le armi girano da un Paese all’altro, ma sono più propagandate come offerta di omertà e promemoria di sterminio, che destinate alla difesa e alla conquista; una guerra intesa a fiaccare un antagonista che si oppone a un potere mondiale esclusivo e a cacciarlo tra i paria, ma senza arrivare a distruggere tutto; una guerra preventiva fatta da un lato per fermare un cane al confine che abbaia ma non morde e dall’altro per rassicurare Paesi che nessuno minaccia.
Questi sono i fatti. Ciò che invece non è avvenuto è che l’Ucraina, gestita dalla NATO, riuscisse a difendersi e a vincere la guerra. Non è avvenuto che la Russia, accusata di voler invadere l’Europa dopo l’Ucraina, fosse sconfitta, umiliata ed esclusa dal mercato globale e dal mondo civile. Non è avvenuto che Putin, mezzo zar e mezzo pazzo, fosse rovesciato dai suoi e che la Russia fosse balcanizzata, ridotta a ranghi subalterni e pressoché dissolta. Non è avvenuto che Biden, dopo aver dettato la sua legge all’Europa, si volgesse a giocare il finale di partita con la Cina. Non è avvenuto che la guerra mondiale a pezzi diagnosticata dal papa si trasformasse in una guerra mondiale intera e totale, fino al ricorso alle armi nucleari, a cominciare dalle ormai demitizzate atomiche tattiche e di teatro.
Tutto questo non è avvenuto e non avverrà, perché questa non è una guerra tra due mondi estranei e nemici, ma è una guerra civile interna all’Occidente di cui la Russia di Putin, approdata al mercato neoliberale e sfigurata dagli oligarchi, ormai fa parte. In questo senso è una buona notizia: non è una guerra senza chiaroscuri e senza speranze, come ce l’hanno venduta gli analisti e i crociati nostrani, ma una guerra che ancora possiamo prendere in mano, arginare, far finire, riportare alla ragione.
Il precedente per capire questa guerra non è infatti la guerra nascosta nell’equilibrio del terrore del secolo scorso, ma è la guerra del Golfo in cui abbiamo dissipato il dividendo della pace che ci era stato offerto dalla caduta, o rimozione, del Muro di Berlino. Fu allora che perdemmo il patrimonio degli ideali e i frutti della rinascita seguiti ai conflitti mondiali del Novecento.
Quando la guerra del Golfo fu intentata ci volle molta fatica e un gran uso di menzogne perché le opinioni pubbliche, ormai persuase del ripudio e della irrazionalità della guerra ne accettassero il ripristino e il ritorno come indissolubile compagna dell’uomo nella storia. Padre Ernesto Balducci di cui a ragione si celebra ora il centenario della nascita, disperato al vedere lo scacco delle speranze di un mondo nuovo, scrisse che essa annunciava “il declino, anzi la fine dell’età moderna”, che voleva dire per lui “la fine dell’età dell’egemonia mondiale euro-atlantica”, cioè di quel sistema di legge e di mercato identificato con la coalizione occidentale che – diceva – “ha reciso nella coscienza profonda dei popoli del Sud la speranza di una conquista pacifica del diritto a prendersi in mano la propria storia”. Quei popoli che anche allora il conflitto in Medio Oriente aveva messo ai margini del sistema sono quelli stessi che oggi si sono rifiutati di schierarsi nella guerra che si combatte in Europa, gli 82 Paesi che non hanno votato per l’esclusione della Russia dal Consiglio dei diritti umani dell’ONU; tra loro c’è tutta l’Asia, escluso il Giappone, gran parte dell’Africa, dell’America Latina, del Medio Oriente, una parte preponderante cioè della popolazione della Terra, che la Terra vorrebbe salvaguardare, conservare, difendere, il vero mondo che non va umiliato ed escluso, come invece l’America atlantica vuole fare della Russia.
A maggior ragione si può dire che la riesumazione della guerra in Ucraina chiude l’età moderna; ciò significa andare oltre un mondo fatto a misura dell’Occidente, secondo il modello economico, culturale, politico che per secoli si è imposto come normativo, eccelso ed atroce nello stesso tempo. La Chiesa cattolica, che a lungo l’ha fatto proprio , è giunta a prenderne le distanze: da quando nel Concilio Vaticano II il cardinale Lercaro e Dossetti sostennero che la povertà della Chiesa dovesse consistere anche nel distacco dalle ricchezze dell’ “organon” culturale dell’Occidente, fino a papa Bergoglio che ha messo la Chiesa “in uscita”. L’altro grande esodo in corso dalle strettoie dell’ideologia storicamente egemone, è quello dell’universo femminile, discriminato nella realtà e nel diritto dal privilegio maschile, come ci ha ricordato la lezione di Marina Graziosi che ci ha lasciato in questi giorni.
E allora è questo il vero cimento a cui siamo chiamati: chiudere la parentesi infausta che abbiamo aperto ripristinando la guerra dopo la fine dei blocchi, uscire dal mondo che con ottusità e violenza abbiamo costruito fin qui e intraprendere la ricostruzione della storia quale avevamo cominciato a concepirla nel Novecento: dalla Carta atlantica di Roosevelt e Churchill in piena guerra mondiale (niente a che fare col Patto atlantico) al pensiero politico nuovo di Gorbaciov; dalla Dichiarazione di Nuova Delhi per “un mondo libero dalle armi nucleari e non violento” alla Carta di Abu Dhabi che attribuisce il pluralismo delle religioni alla stessa volontà divina; dalle Costituzioni postbelliche all’ “uscita dal sistema di dominio e di guerra” dei convegni della Sinistra cattolica a Cortona; dal Progetto per un’etica mondiale di Hans Kung alla Carta di Algeri per il diritto e la liberazione dei popoli, dal Concilio ecumenico Vaticano II alla “Fratres omnes” di papa Bergoglio. Questo è il futuro, al netto della Bomba , a condizione cioè che la Bomba sia licenziata e interdetta, come già stabilisce il Trattato più importante e profetico che l’ONU abbia mai partorito.
(da “Il fatto quotidiano” del 4 giugno)
DONNE E POLITICA: PENNY WONG. ITALIA: SALARIO MINIMO, PNRR, REFERENDUM
5 Giugno 2022 su C3dem
Paolo Lepri, “Penny Wong: Alt alla Cina” (Corriere della sera). ITALIA/SALARIO MINIMO/PNRR: Paolo Gentiloni, “In Italia serve il salario minimo” (intervista a La Stampa). Ignazio Visco, “Tasse e salario minimo, è ora di agire. I partiti devono attuare il Pnrr” (intervista a La Stampa). Fabio Savelli, “La grande sfida del salario minimo. Sì di Letta. Brunetta: non per legge” (Corriere della sera). Emanuele Felice, “La nostra ultima occasione per fermare il declino” (Domani). ITALIA/LAVORO: Paolo Pombeni, “Se il lavoro non è più un obiettivo per i giovani” (Messaggero). Chiara Saraceno, “Quando il lavoro non dà più dignità” (La Stampa). Niccolò Zancan, “Poveri, con lo stipendio” (La Stampa). Maria Cecilia Guerra, “Basta lavori usa e getta, disboschiamo la giungla dei contratti” (intervista a Repubblica). Marco Bentivogli, “Partiamo dalla produttività” (Repubblica). PARTITI: Alessandro Campi, “Perché oggi i leader politici si bruciano rapidamente” (Libero). Franco Monaco, “Il partitone americano per l’asse Letta-Meloni” (Il Fatto). Francesco Verderami, “Manovre al centro, ma bisogna trovare il ‘papa straniero’” (Corriere della sera). Emilia Patta, “Incognita Conte. Letta blinda il Pd. Ipotesi renziani e bersaniani in lista” (Sole 24 ore). Marcello Sorgi, “Se al Pd non conviene l’alleanza” (La Stampa). REFERENDUM: Guido Salvini (magistrato), “Voterò ma senza entusiasmo. Il referendum abrogativo è un’arma sbiadita. Si ripensi la democrazia partecipativa” (Il Dubbio). Michele Ainis, “L’ignoranza sui referendum” (Repubblica). Giulia Merlo, “Cosa dicono i referendum. Le ragioni del sì e del no” (Domani). Luciano Violante, “Voto Sì sull’abrogazione della legge Severino” (intervista a Il Dubbio). Armando Spataro, “Perché votare No al referendum” (Repubblica). SULLA LETTERA DI ZUPPI AI PUBBLICI DIPENDENTI: Roberto Napoletano, “La Chiesa di Zuppi attore della nuova coesione sociale” (Il Quotidiano). Franco Monaco, “La lettera di Zuppi. Mai disprezzare chi serve la cosa pubblica” (Avvenire). MIGRANTI: Don Mattia Ferrari, “Le rotte dei migranti. Io minacciato perché aiuto. L’Europa smetta di tradirci” (intervista a La Stampa). Francesco Grignetti, “Le nuove rotte dei migranti” (La Stampa).
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LA VIOLENZA CONTRO L’INFANZIA UCRAINA. LA “REALTA’ PARALLELA” IN RUSSIA
4 Giugno 2022 su C3dem
Raffaele K. Salinari, “Nella guerra la violenza dei crimini contro l’infanzia ucraina” (Manifesto). Gianfranco Pasquino, “La gradualità delle sanzioni è la strada giusta su cui continuare” (Domani). Massimo Villone, “Mattarella sul 2 giugno: parole nette sulla Costituzione e sulla pace” (Manifesto). UCRAINA/RUSSIA: Andrej Gromyko, “La base di un negoziato? Ucraina neutrale” (intervista al Corriere della sera). Marta Ottaviani, “’Nessuna guerra, tutto va bene’. 100 giorni nella realtà parallela” (Avvenire). Oleg Brindak, vice sindaco di Odessa, “Le navi devono salpare entro 20 giorni o i cereali marciranno” (intervista a Repubblica). Vittorio Da Rold, “La crisi del grano estende la guerra al resto del mondo” (Domani). Daniele Raineri, “Le prime critiche, le epurazioni, s’incrina il fronte del leader ucraino che però resta insostituibile” (Repubblica). Lucio Caracciolo, “Guerra senza vincitori” (La Stampa). Marek Halter (scrittore), “Caro Vladimir, sorprenda i suoi nemici: accolga a Mosca la carovana della pace” (La Stampa). Rosalba Castelletti, “Il filo rosso tra Putin e Kirill” (Repubblica). Graziella Melina, “La migrazione per fame preoccupa anche l’Italia. Flussi aumentati del 30%” (Messaggero). Sergio Ventura, “Il nuovo cristianesimo dell’Ucraina” (La Lettura). EUROPA: Beda Romano, “L’Unione cede a Budapest. Al via le sanzioni senza Kirill” (Sole 24 ore). IDEE: Enrico Morando, “La terza via tra socialismo reale e socialdemocrazia? Non esiste” (intervista a Il Riformista). Sigmund Ginzberg, “I nazionalismi, sempre necessari ma spesso letali” (Foglio). Dani Rodrik, “E’ ora che l’economia globale torni al servizio di prosperità, equità e piena occupazione” (Sole 24 ore).
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MATTARELLA: IL NOSTRO IMPEGNO È PER “IL RITIRO DELLE TRUPPE OCCUPANTI”
3 Giugno 2022 su C3dem
Sergio Mattarella, intervento alla vigilia della festa della Repubblica. Lina Palmerini, “Italia impegnata per ritiro delle truppe e ricostruzione” (Sole 24 ore). Ugo Magri, “Il ritiro dei russi, poi la pace” (La Stampa). Marcello Sorgi, “Re Sergio e i valori della Repubblica” (La Stampa). Moises Naim, “Così Biden prolunga la guerra. L’Ucraina non deve cedere territori” (intervista a La Stampa). Davide Maria De Luca, “Zelensky: tra morti e feriti perdiamo 600 soldati al giorno” (Domani). Paolo Valentino, “Nella Ue c’è un caso Berlino e si chiama Olaf Scholz, il cancelliere che sussurra” (Corriere della sera). Stefano Stefanini, “L’indecenza di Orban” (La Stampa). REFERENDUM GIUSTIZIA: Giovanni Guzzetta, “Referendum del 12 giugno. Non è un voto contro la magistratura” (Il Riformista). Stefano Ceccanti, “Votare no ai referendum significa contraddire la riforma Cartabia” (intervista a Il Tempo). Elisa Calessi, “Letta boicotta i quesiti, ma è solo” (Libero). INOLTRE: Un’acuta riflessione di Mario Del Pero, “Quello che la geopolitica non dice” (treccani.it). L’ironia amara di Adriano Sofri, “Arrendersi alla pace” (Foglio). La lucida sintesi di Sabino Cassese, “I partiti servono ancora, ma devono cambiare” (Corriere della sera). Il racconto di Maurizio Stefanini, “Salvini ostaggio di Putin” (Foglio). Angelo Panebianco, “Manca la capacità di parlare chiaro” (Corriere della sera 30/5). Alessandro Cappelli, “Come i giornali stranieri raccontano la propaganda filorussa nei media italiani” (linkiesta). Marcello Pera, “Cattolici che stanno dalla parte di Putin” (Foglio, 30/5). Dario Di Vico, “Le culle vuote e il costo di un figlio” (Corriere della sera). Matteo Zuppi, “Grati a chi lavora nelle istituzioni” (lettera per il 2 giugno – Avvenire).
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LA NATO E IL 2 GIUGNO. L’IGNORANZA ATTIVA. LA SEDUZIONE SOVIETICA
1 Giugno 2022 su C3dem
Antonio Polito, “La Nato e il 2 giugno, doppia lezione” (Corriere della sera). Giancarla Codrignani, “Ragazzi, ragazze, è il 2 giugno!” (Confronti). Natalino Irti, “I pericoli dell’ignoranza attiva” (Sole 24 ore). Massimo Recalcati, “La seduzione sovietica” (Repubblica). Giuseppe De Rita, “Il cinismo di un conflitto nel silenzio dei valori” (Corriere della sera). UCRAINA/RUSSIA: Ian Bremmer, “Le armi più potenti arriveranno. La priorità resta fermare Putin” (intervista a La Stampa). Ampia intervista a Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri ucraino: “Sui cereali accordo entro 14 giorni se Mosca garantirà di non attaccare Odessa” (Repubblica). La testimonianza di Oleksandr Struck, sindaco di Severodonetsk: “La mia gente è in ginocchio. Ma siamo forti, ci sapremo rialzare” (intervista al Corriere della sera). Irina Flige (della ong Memorial), “Dall’Urss a un regime fascista. Ma il dissenso sta crescendo” (intervista ad Avvenire). Federico Fubini, “Il decreto di Mosca che autorizza la russificazione dei bambini rapiti” (Corriere della sera). Micol Flammini, “Imprigionati nei confini russi” (Foglio). Paola Peduzzi, “Prigionieri di Erdogan” (Foglio). Paolo Lambruschi, “Bielorussia, violenza contro i profughi, e ricatto” (Avvenire). Nello Scavo, “La Corte penale: Mezza Europa darà la caccia ai criminali di guerra” (Avvenire). PER CONOSCERE: Giordano Cavallari, “La Russia vista da Anna Zafesova” (ampia intervista su Settimana news).
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IL LAVORO DI DRAGHI IN EUROPA. LO STATO DELL’ECONOMIA ITALIANA
1 Giugno 2022 su C3dem
Claudio Tito, “Petrolio. L’Ue trova l’accordo: stop al 90% del greggio russo”. Marco Galluzzo, “Draghi: tetto al prezzo del gas, siamo stati accontentati. Tra i grandi solo noi per l’Ucraina nell’Unione” (Corriere della sera). Alberto Gentili, “Draghi: ascoltata l’Italia, ma ora debito comune” (Messaggero). Davide Tabarelli, “La Russia colpita al cuore, ma non sarà facile fare a meno del loro petrolio” (Sole 24 ore). Claudio Cerasa, “Le sanzioni che funzionano” (Foglio). L’ECONOMIA ITALIANA: Gianni Trovati, “Visco: no alla rincorsa prezzi-salari e a nuovo debito. Recovery permanente” (Sole 24 ore). Paolo Balduzzi, “Gli stipendi e l’eterna fuga del costo della vita” (Messaggero). Alberto Orioli, “Il patto che manca per evitare la spirale prezzi-salari” (Sole 24 ore). Stefano Lepri, “Ma il male italiano è la produttività” (La Stampa). Stefano Cingolani, “Bankitalia e quella ricchezza media netta aumentata del 2%” (Foglio). Francesco Guerrera, “La lotta contro l’Apocalisse” (Repubblica). Enzo Risso, “La politica deve prendere sul serio il divario italiano tra inclusi ed esclusi” (Domani). Chiara Saraceno, “I veri nemici del lavoro” (Repubblica). Marcello Clarich, “La sfida non è modificare la struttura del Pnrr ma attuarlo bene” (Milano Finanza). GOVERNO/PARTITI: Marcello Sorgi, “I partiti e l’economia di guerra” (La Stampa). Stefano Folli, “Il dopo Salvini? E’ già iniziato” (Repubblica). Federico Capurso, “Conte-Draghi, scontro finale” (La Stampa). Lina Palmerini, “Dall’Umbria alle comunali, patto Pd-M5s ad un nuovo test” (Sole 24 ore). Susanna Turco, “Pd-5stelle, l’alleanza dei tardigradi” (Espresso). Salvatore Vassallo, “Il compromesso possibile tra Pd e Fratelli’d’Italia è solo sul bipolarismo” (Domani). Enzo Cheli, “Rosatellum o nuova legge elettorale?” (rivistailmulino). Filippo Barbera, “Va al voto il paese della provincia profonda, dove la politica annaspa” (Manifesto).
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SCONFIGGERE L’UOMO FORTE
28 Maggio 2022 su C3dem
Paolo Lepri, “Noi e la guerra. Una battaglia ideale per la difesa dei diritti” (Corriere della sera). Frans Timmermans, “Basta mettere i soldi in tasca a Mosca. La resistenza inizia nelle nostre case” (intervista a La Stampa). Siegmund Ginzberg, “Cent’anni di antiamericanismo” (Foglio). Rony Hamaui, “Sconfiggere l’uomo forte è il primo obiettivo” (lavoce.info). UCRAINA/RUSSIA: Vittorio E. Parsi, “La Ue non reggerà all’infinito. Bisogna farlo capire a Kiev” (intervista a Qn). Paola Peduzzi, “L’impatto dei negoziati prematuri, mentre Mosca ribalta il conflitto” (Foglio). Micol Flammini, “Le domande a Kiev” (Foglio). Gianandrea Gaiani, “Donbass, la tenaglia russa. A Mosca il 25% dell’Ucraina” (Mattino). Cecilia Sala, “I russi arrivano a Severodonetsk prima dei razzi americani” (Foglio). Paolo Mastrolilli, “Gli Usa si interrogano sui nuovi obiettivi” (Repubblica). Massimo Gaggi, “Perché Biden rischia di essere isolato” (Corriere della sera). Mattia Diletti, “Biden ha ereditato un paese polarizzato e paralizzato” (Scenari/Domani). Tommaso Ciriaco, “Il negoziato di Draghi per liberare il grano” (Repubblica). Vittorio Da Rold, “Quello che non torna nella strategia di Draghi sull’Ucraina” (Domani). Francesca Basso, “Le vie del grano: i treni o il Bosforo” (La Stampa). Marco Bresolin, “Per salvare l’embargo Ue sul petrolio, si va verso l’esenzione all’Ungheria” (La Stampa). David Carretta, “L’Europa è divisa su come deve finire la guerra” (Foglio). Barbara Spinelli, “Sulla guerra la Russia ha due linee diverse, e anche l’Europa” (Il Fatto). Franco Monaco, “Per la pace servono concessioni reciproche, non soltanto a Kiev” (Il Fatto). Carlo Galli, “Un abbaglio chiamato Putin” (Repubblica). Salvatore Bragantini, “Le contorsioni intellettuali dei ‘realisti’ e ‘complessisti’ sulle mosse di Putin” (Domani). Nadia Urbinati, “La guerra in Ucraina sta cambiando l’Occidente” (Domani). INOLTRE: Jeffrey Sachs, “Finalmente abbiamo capito che crescita e sviluppo non sono la stessa cosa” (Sole 24 ore).
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Charles de Foucauld, l’uomo del dialogo con i musulmani e della fraternità universale
1 Giugno 2022
[Franco Meloni, su il manifesto sardo]
Martedì 7 giugno, alle ore 18, nei locali della Parrocchia di S. Anna, in via Fara 19 piano terra a Cagliari si svolgerà un convegno sulla figura di Charles de Foucauld.
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Ostinatamente per la Pace. Nulla di intentato
Mosaico dei giorni
La guerra come abitudine
3 giugno 2022 – Tonio Dell’Olio
Ci siamo arrivati. Ormai con la guerra ci conviviamo. Assuefatti inconsapevoli guardiamo le immagini del tiggì di turno e ascoltiamo di tattiche e di sfondamenti del nemico e di atti eroici di quelli della nostra parte. Le apparizioni di Zelensky-che-chiede-armi in ogni convention politica, sportiva o dello spettacolo è parte del rito. Insomma conviviamo con la guerra come col bollettino metereologico, tant’è che i giornalisti devono andare a pescare testimonianze e interviste sempre più impossibili, sempre più vicine al fronte di guerra, in un rifugio sempre più interrato del precedente. E non si parla di pace. Il dramma vero è questo. È riuscita l’operazione mediatica, politica, sociopsicologica e soprattutto commerciale, di far diventare la guerra più normale della pace. E se qualcuno stia realmente lavorando per mettere in piedi tavoli credibili di dialogo o cerca di far prevalere la diplomazia, non lo sappiamo e nemmeno lo chiediamo più. All’inizio, la guerra che torna ad affacciarsi in Europa era detto con scandalo, ora è ripetuto come una rassegnata litania cui si risponde automaticamente con la stessa espressione di prima ma senza capire veramente la portata della cosa. Le guerre lontane non sappiamo nemmeno che esistono. Per questo, ridare lo spazio alla pace oggi è diventata una sfida più difficile. L’altra parte, quella degli strateghi e delle armi, dell’informazione embedded e dei giochi di guerra, è molto più forte. Però non siede dalla parte giusta della storia.
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Mosaico di pace
Via Petronelli n.6
76011 Bisceglie (BT)
tel. 080-395.35.07
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Ucraina. Guerra giorno 100: un bilancio e la strategia del tanto peggio tanto meglio
Andrea Lavazza venerdì 3 giugno 2022 su Avvenire.
L’invasione russa ha provocato migliaia di morti e distruzioni diffuse. Le conseguenze a livello alimentare, energetico e ambientale sono diventate un’arma che il Cremlino può usare contro l’Occidente
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La strategia europea ha come principali obiettivi un’ondata di rinnovamenti con l’aumento dei tassi di riqualificazione edilizia nei prossimi 10 anni, per ridurre consumi e aumentare la qualità della vita. Nel piano la rivisitazione delle norme e degli standard sulle prestazioni energetiche degli edifici con tre priorità: contrasto alle inefficienze energetiche; ristrutturazione dell’edilizia pubblica; decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento e raffrescamento.
Lunedì 6 giugno 2022 ore 9:00/13:30 – Aula Magna G. Cima, via Corte d’Appello 87, Cagliari
Lunedì 6 giugno il Dicaar e Legambiente organizzano una giornata di studio sulla decarbonizzazione dei consumi nel settore edilizio durante la quale si confronteranno, tra gli altri, esperti del settore, esponenti del mondo del lavoro e della produzione edilizia. Punto di partenza della discussione sarà la presentazione di uno studio di Elemens su dati e benefici della decarbonizzazione in edilizia. Al convegno interverranno, tra gli altri, Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente, Fabrizio Pilo, prorettore all’innovazione, Vincenzo Tiana, responsabile energia di Legambiente Sardegna, e Antonello Sanna, docente Dicaar.
Il professor Giorgio Querzoli, che coordinerà l’evento, spiega che “L’efficientamento del parco edilizio e l’elettrificazione dei consumi per il riscaldamento domestico sono un combinato perfetto per ridurre i consumi da fonti fossili, e quindi anche la dipendenza dal gas russo, per diminuire le emissioni climalteranti migliorando la qualità dell’aria e per alleggerire il costo della bolletta”.
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Lettera del card. Matteo Zuppi
L’Arcivescovo di Bologna Card. Matteo Zuppi, nominato recentemente Presidente della Cei, in occasione della Festa della Repubblica ha scritto una lettera rivolta a quanti lavorano nelle istituzioni, richiamando l’importanza di un servizio che si esprime in vari ambiti e settori della vita umana e che va a beneficio dell’intera comunità.
di Matteo Zuppi
Lettera a chi lavora nelle istituzioni della nostra casa comune
Carissima, carissimo,
la vedo operare negli uffici, nelle aule di università o delle scuole, in quell’epoca di un tribunale o nelle stanze dove si difende la sicurezza delle persone, nelle corsie dove si cura o nel front office di uno sportello, nei laboratori o lungo le strade per renderle belle e proprie, nei ministeri o in qualche ufficio isolato dove non la nota nessuno, nei cortili delle caserme o nei bracci delle carceri. In realtà tanta parte del suo lavoro non si vede, ma questa lettera è per lei. Non ci conosciamo, ma il suo servizio è vicino alla mia vita e a quella dei miei amici, delle persone che mi sono care, di tanti, di tutti, miei e nostri compagni di viaggio e per questo ho pensato di scriverle. Istintivamente le darei del tu, ma preferisco cominciare dal Lei per il grande rispetto che nutro.
Una mistica francese di nome Madeleine Delbrêl, una donna molto religiosa e molto impegnata nel sociale, una donna pienamente evangelica, a proposito delle persone come lei diceva che sono il filo che tiene insieme il vestito: la capacità del sarto è proprio quella di non farlo vedere, ma il filo è necessario perché i pezzi di stoffa si reggano insieme. Così è il suo lavoro, prezioso per le istituzioni della nostra casa comune, e ogni pezzo è importante. Davvero. La qualità della mia vita dipende anche da lei: per questo per prima cosa la ringrazio, perché il suo lavoro, tante volte ignorato, contiene e richiede generosità e competenza. Non si capisce mai abbastanza, infatti, quanto impegno richiedono “le cose di tutti”. Purtroppo i problemi, i ritardi, le disfunzioni e anche alcune persone che non compiono il proprio dovere, finiscono per non fare apprezzare la generosità, la competenza, lo zelo che lei e tanti mettono nel loro lavoro. D’ora in avanti mi piacerebbe chiamare il suo impegno non “lavoro” ma “servizio”. E che anche lei lo pensasse così. Sì, lo so che è lavoro e a volte anche duro, sottovalutato.
Eppure proprio grazie alla passione e alle lotte di tante persone, anche di chi ci ha preceduto, oggi godiamo di molte protezioni e garanzie che costituiscono quello che chiamiamo welfare, che poi è il modo in cui la vita quotidiana diventa bella e non antipatica, troppo dura da vivere.
Non possiamo più accettare, eppure succede ancora spesso, che il luogo di lavoro, che è per la vita, diventi invece un luogo di morte. Penso a chi non è più tornato a casa e alle mogli e ai figli che hanno aspettato invano i propri cari: questo mi addolora, mi commuove e non smetto di chiedere condizioni di lavoro sicure per tutti. Vorrei un lavoro sempre meno a tempo determinato e più stabile, perché deve contenere il futuro: per sé, per la propria famiglia, per i figli, sì, per i figli. Senza figli per chi si lavora? Vorrei, poi, che il lavoro fosse lavoro buono e non solo lavoro: che i lavoratori fossero sempre messi in regola e che nessuno sia più sfruttato. Possibile che oggi c’è ancora chi non mette le persone in regola?
Il suo lavoro è un servizio per il bene della comunità, composta da tante persone. Così tante che non possiamo sapere chi siano, eppure sono la mia e la nostra comunità. Sì, perché siamo una comunità, dobbiamo tornare a esserlo. So che la sua vita personale è da un’altra parte e che saggiamente distingue l’ambito privato da quello pubblico, ma è anche vero che quello che fa per tutti, con il suo lavoro, è una parte importante della sua vita, le dà soddisfazioni e preoccupazioni, la coinvolge umanamente. Questo non è sbagliato. Anzi. È più faticoso e difficile tenere distinti questi ambiti, come tanti sollecitano a fare, perché la vita è una ed è bene che sia unita. È bello aiutare la nostra casa comune specie quando, come in questi mesi, capiamo quanto è importante, decisiva ma anche fragile, colpita da pandemie, da rischi terribili nei quali come sempre i più penalizzati sono i più deboli.
Ogni lavoro è un servizio alla casa comune ed è importante. Spesso sono proprio quelli meno considerati e giudicati “umili” che servono di più. Tutti servono! Ogni lavoro deve essere fatto con umiltà per poter essere contenti, perché serva agli altri e non alla nostra affermazione personale.
Gli umili non si stancano, non diventano presuntuosi e intrattabili, non agiscono per interesse ma perché quello che svolgono è un servizio e lo fanno anche quando non conviene, ma conviene a chi lo ha chiesto. Si adoperano pure quando nessuno si ricorderà della scelta, solo perché è giusto farlo. E questo resta, aiuta, risponde, protegge.
Quando il lavoro (che resta lavoro) lo viviamo anche come impegno di servizio – nello spirito dell’art. 4 della nostra Costituzione repubblicana, che chiede a tutti di svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società – ne sappiamo comprendere l’importanza non per quello che rende o per il successo che porta, ma per il valore che ha in se stesso. Più fa bene agli altri, il lavoro, più fa bene a noi. Anche quando non si vede. Il contrario crea un clima faticoso, competizioni inutili, sensi di rivalsa. Se facciamo bene o male qualcosa, nel tempo richiesto o no, questo ha sempre delle conseguenze.
I diritti sono cose importanti. I nostri e quelli degli altri. Se è un diritto deve essere garantito sempre e non come concessione o un piacere. Non vanno create scorciatoie. Troppi pensano che per ottenere quello che è di diritto bisogna avere un “santo in paradiso” a cui raccomandarsi, magari irridendo il merito di ciascuno, i tempi, le precedenze, l’onestà insomma. Si può vincere una volta e si è sconfitti tutte le altre. Crescono così la disillusione, il malcontento, la convinzione che nessuno si occupa di me e che ognuno si deve arrangiare da solo.
Se è un diritto, è fondamentale garantirlo e questo fa sentire sicuri tutti. Ma dipende da ognuno. È davvero importante sapere di poter contare sulle istituzioni, e quindi su di lei, sulla sua competenza, sulla sua onestà, sulla sicurezza che ci sarà una risposta e che sarà la migliore. Lei sa bene quante persone sono sole e come da soli ci si sente perduti, incompresi, arrabbiati e a volte si finisce per prendersela con il primo davanti, magari il povero malcapitato che fa una domanda allo sportello.
Il nostro è il tempo in cui realizzare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il cosiddetto PNRR, e mi sembra possa essere un’occasione davvero decisiva dopo tanta sofferenza. Durante la pandemia abbiamo capito quanto le fragilità, le contraddizioni, le ingiustizie siano anche conseguenze dei rimandi, dei ritardi, delle furbizie, delle cose che bisognava fare e che non sono state fatte, degli interessi privati che hanno condizionato le scelte politiche. Le cause di tante sofferenze sono a volte così lontane che non le sappiamo più riconoscere.
Quello che vorrei dirle è che abbiamo un grande motivo per dare oggi tutti il massimo, ed è per questo che ho pensato di scriverle! Vorrei che anche nessuno di noi perdesse questa opportunità. Sappiamo che c’è bisogno di istituzioni che funzionino bene, anzi meglio, ed è per questo che dobbiamo cercare la qualità. A questo proposito Dietrich Bonhoeffer, un credente che si poneva domande profonde sul valore di ogni persona e dello stare insieme, morto martire per mano dei nazisti, uno di quelli che ci hanno lasciato in eredità l’Europa, ha scritto che bisogna passare “dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione al raccoglimento, dalla sensazione alla riflessione, dal virtuosismo all’arte, dallo snobismo alla modestia, dall’esagerazione alla misura”. Potremmo aggiungere: dal dilettantismo alla competenza, da una felicità individualistica al sacrificio per stare bene tutti, dall’apparenza alla sostanza, dal successo rapido e a tutti i costi alla costruzione paziente di quello che dura, dal fare le cose per il consenso, per il potere, per la considerazione e il ruolo sociale, a farle solo perché sono giuste, insieme e non da soli, anche se lì per lì sembra convenire meno. Ho visto grandi energie che si sono perse cercando a tutti i costi il proprio tornaconto, e il grande spreco di ogni giorno per burocrazie senza volto, perché non è mai responsabilità di qualcuno.
Gli uomini e le donne che hanno scritto la Costituzione avevano davvero sofferto molto, toccato con mano quanto l’umanità può restare sfigurata dalla violenza, ma avevano visto anche come uomini e donne sanno resistere e persino agire da eroi quando è necessario per aiutare qualcuno che soffre. Hanno perciò voluto lasciarci, nella Costituzione, un progetto per costruire e mantenere una società più umana e umanizzante, per riuscire a evitare le sofferenze da loro vissute. E tutto comincia dal sapere fare unità. Mi sento chiamato a questo come cristiano, credo si possa realizzare prima di tutto con l’aiuto di Cristo, e ritengo che tutti, senza distinzioni, possiamo impegnarci a fare unità seguendo il progetto indicato dalla Costituzione.
Ogni generazione è chiamata a riappropriarsi dei valori e delle virtù costituzionali. Per questo dobbiamo tutti ritrovare il senso dei limiti. È un concetto che nella Costituzione, proprio perché preoccupata di rendere concreti i diritti, ricorre ben diciassette volte, a cominciare ad esempio dall’art. 1, dove lo si ricorda a ciascun cittadino, come membro del popolo sovrano, ma anche nell’art. 42 quando, nel riconoscere e garantire la nostra proprietà privata, si preoccupa di aggiungere che possono servire limiti per assicurarne la funzione sociale. E poi in molte altre occasioni in cui si affermano diritti indicando, però, dei limiti per il rispetto dei doveri verso gli altri e la società. Perché solo così i diritti di ciascuno possono divenire reali e concreti.
Al centro della Costituzione c’è la persona, cioè, sempre, un “noi”. Non c’è l’individuo. E’ una concezione evangelica che è stata fatta propria da tutti i padri costituenti, di ogni credo e sensibilità politica.
Non dimentichiamo che siamo chiamati a portare insieme i pesi della vita, tanto che l’art. 2 ci ricorda che la solidarietà è addirittura un dovere inderogabile. Dobbiamo riuscire a valorizzare l’impegno, che non è reale senza la necessaria continuità e serietà (nello spirito dell’art. 4). La Costituzione si preoccupa non solo di garantire le nostre “libertà da” possibili abusi degli altri e dei potenti e la “libertà di” agire per fare tutto ciò che ci sembra giusto, ma si sforza di indicare il senso di tutto ciò, sottolineando la bellezza di usare delle “libertà per” uno scopo sociale. Si tratta di costruire un mondo di relazioni personali. Per questo la Costituzione evidenzia – già nell’art. 2, ma poi in molti altri – che è nei gruppi sociali (la famiglia, le associazioni di tutti i generi e tipi, le comunità religiose, i sindacati, le organizzazioni politiche democraticamente organizzate, il lavoro, i corpi intermedi) che si sviluppa la nostra personalità, e non invece con una vita sterilmente individualistica ed egocentrica.
Il bene comune deve essere il nostro orizzonte. Lo ricorda anche la Dottrina sociale della Chiesa. Dobbiamo rendere migliore il mondo con il progresso materiale e spirituale della società (art. 4, ma anche, per esempio, art. 41 dove si parla di indirizzare la libertà di impresa a fini sociali). Penso che tutti dobbiamo fare il meglio che possiamo con responsabilità. È proprio vero: non ci si può salvare da soli! Gli uomini e le donne hanno aspetti di incredibile grandezza perché, tra l’altro, riescono a organizzarsi tutti insieme e affrontare le difficoltà della vita più efficacemente.
Ecco, è per tutto questo che vorrei che le nostre istituzioni funzionassero bene e fossero sempre di più connesse all’Europa, pensandosi per il mondo intero. Siamo tutti legati. Non serve pensare qualcosa a breve termine, dobbiamo guardare il futuro per uscire davvero dalle pandemie imparando la lezione, scegliendo di essere migliori, non uguali, perché significherebbe essere peggiori. Non ci serve solo un bonus, ma ci occorre il bonum, il bene per tutti! Abbiamo sempre pensato che le risorse non ci sarebbero mancate e così abbiamo sciupato tanto, pensiamo a come facciamo con l’acqua… Purtroppo, ci accorgiamo dell’importanza delle cose e delle conseguenze dei nostri atteggiamenti solo quando queste vengono a mancare. Oggi più che mai urge essere davvero seri perché dobbiamo lasciare qualcosa a chi verrà dopo, soprattutto l’esempio, la speranza, il gusto di fare bene il proprio lavoro e di farlo per il bene di tutti.
Le nostre istituzioni ora si trovano ad affrontare, in poco tempo, tanti progetti. Ma quella che chiamiamo istituzione è fatta di persone ed è proprio lei, e quanti si impegnano in mille modi per rendere umana e bella la nostra casa comune.
Concludo col dirle che scrivo a lei ma scrivo in fondo a me stesso e a tutti noi cittadini, piccoli e grandi, e soprattutto a chi ha responsabilità perché abbiamo bisogno di tutti. La guerra attuale ci ha ricordato che la pace non è mai scontata e che bisogna lavorare tanto perché la nostra casa accolga tutti, insegni a stare insieme tra diversi, lotti contro ogni ingiustizia, difenda i diritti di ciascuno e non metta mai in discussione la persona. Anche per questo non dobbiamo avere paura di accogliere, di dare fiducia, la possibilità di mettersi alla prova, di ascoltare con l’orecchio del cuore. Aggiustiamo quello che non funziona. Ogni persona è preziosa se è amata e difesa, come ogni persona è insignificante quando questo sguardo manca. È necessario che tutti coloro che lavorano nelle e per le istituzioni ritrovino un vero spirito di servizio e nel contempo che tutti i cittadini sappiano ritrovare e ricostruire la loro fiducia verso le istituzioni.
Mi piace pensare che in un momento così importante tutti ce la mettiamo davvero tutta, senza distinzione. Don Primo Mazzolari, che amava Dio e le persone, la Chiesa e la città concreta degli uomini e delle donne, scrisse: “Ci impegniamo noi e non gli altri … né chi sta in alto, né chi sta in basso, senza pretendere che gli altri si impegnino … senza giudicare chi non si impegna … il mondo si muove se noi ci muoviamo, si muta se noi mutiamo, si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura … la primavera comincia con il primo fiore, la notte con la prima stella, il fiume con la prima goccia d’acqua, l’amore col primo impegno …”. Rinnoviamo allora il patto sancito dalla nostra Costituzione, compartecipiamo a questo impegno accanto a tutti gli altri, e per me che sono cristiano aggiungo un motivo in più: chi cerca il cielo incontra la terra, chi fa le cose per Dio le fa per tutti e senza interessi. Il mio auspicio è che siamo tutti compagni di viaggio in questa bellissima strada che è la vita, e che le pandemie, le vicende tristi della nostra storia contemporanea, possano diventare motivo per realizzare quello che ognuno in realtà cerca: un mondo unito dove siamo Fratelli tutti.
Grazie di tutto
Ostinatamente contro la guerra per la Pace. Nulla di intentato
Interrompere la spirale di guerra, virare verso la pace.
di Alfiero Grandi.
Siamo al terzo gradino dell’invio delle armi in Ucraina. L’escalation continua e il contributo degli Usa e della Nato è diretto ad armare l’Ucraina, in altre parole è una scelta per continuare la guerra, scatenata dall’invasione russa, in nome della presunta possibilità dell’Ucraina di sconfiggere la Russia. Non è una guerra di attrito, definizione che ne sminuisce lutti e distruzioni, ma una guerra vera, con vittime e distruzioni crescenti. È una infezione pericolosa che può mettere in ginocchio i combattenti diretti e scatenare una guerra allargata devastante. L’invasione russa dell’Ucraina ordinata da Putin va avanti incontrando grandi difficoltà, con un ridimensionamento territoriale degli obiettivi. L’Ucraina ha contrastato l’invasione dimostrando quanto fossero infondati i calcoli iniziali di Putin, ma stanno emergendo difficoltà, al suo interno e si aprono interrogativi sul suo futuro, sui prezzi che sta pagando.
Almeno la metà del nostro paese giudica questa situazione pericolosa, foriera di vittime e danni materiali di portata crescente per la popolazione civile e non solo. Non tutti i conti sono oggi possibili ma la ricostruzione dell’Ucraina richiederà risorse enormi e la guerra continua. I pericoli che derivano dalla continuazione della guerra riguardano anzitutto i contendenti e le popolazioni più esposte ai combattimenti, ma si delinea anche una modifica che sarà sempre più difficile rendere reversibile delle relazioni nel pianeta. La guerra si diffonde come un’infezione nel pianeta. La globalizzazione, tanto esaltata in passato, oggi è compromessa. Si delinea un pianeta a grandi chiazze territoriali che si guardano in cagnesco, come e perfino peggio durante la guerra fredda. Non a caso è partita una rincorsa agli armamenti, all’aumento delle spese militari di proporzioni sconosciute da decenni.
Tutti privilegiano il riarmo, impiegando sempre maggiori risorse e senza riguardo alle priorità economiche e sociali che vengono relegate in secondo piano e che finiscono per diventare la variabile dipendente. Così la spesa per le armi cresce a discapito di quella sociale.
Dall’acquisto crescente di armamenti sempre più distruttivi, al loro impiego, alla guerra, il passo è breve. Il riarmo è una profezia negativa di guerra che si auto avvera. Per di più l’uso delle bombe nucleari continua a restare incombente. Una presenza minacciosa e pericolosa.
Anche a questo conflitto si può fare l’abitudine più diventa lunga la sua durata, al punto da sottovalutarne le conseguenze come la possibile deflagrazione di un conflitto mondiale. Non solo i protagonisti principali (Russia e Usa) anche il governo inglese non fa mistero che il suo appoggio all’Ucraina non è solo un aiuto per la difesa dall’invasore ma punta ad un cambio di regime in Russia, ad una sua sconfitta militare, senza disdegnare la possibilità di offensive (ucraine?) nel territorio russo. O azioni di forza per il grano, iniziativa evocata con leggerezza anche in Italia. Eppure, sono passati pochi mesi da quando l’imperativo nel mondo sembrava quello di coordinare e cooperare le iniziative degli stati per affrontare la crisi climatica del pianeta finalmente al centro delle iniziative. Prima che il climate change diventi irreversibile nel nostro pianeta. Ora la guerra uccide, devasta le strutture, l’ambiente, il cibo, semina odi e paure, scava solchi profondi, difficili da colmare. Perfino la cultura (tutta) sembra non essere più patrimonio mondiale, ma viene ridotta a subordinata delle scelte politiche, al punto che scrittori, artisti appartenenti alla cultura altrui subiscono l’ostracismo.
È una spirale pericolosa fondata sulla negazione dell’altro.
Prima che sia troppo tardi occorre fermare questa rincorsa, rimettendo al centro il dialogo, il cessate il fuoco, l’assistenza a chi è colpito dalla guerra, le trattative per realizzare le condizioni per arrivare ad accordi di pace. L’imperativo ora deve essere fermare la guerra. Il papa aveva messo da tempo in guardia, inascoltato, che una guerra mondiale era ormai in corso da anni in decine di aree del pianeta, anche se strisciante, diffusa a chiazze, non sempre visibile, in prevalenza fuori dall’Europa. Ora è arrivata anche in Europa. Presi da comprensibili reazioni si è pensato che bastasse sostenere la resistenza degli invasi, fino a concentrarsi sull’invio di armi sempre meno difensive, sempre più offensive, ammesso che questa distinzione abbia sempre un senso reale.
Gli Usa hanno colto l’occasione dell’invasione russa dell’Ucraina per serrare le fila e rilanciare l’alleanza atlantica, in crisi di scopo da tempo (basta ricordare Macron) e ora rinsaldata con l’individuazione del nemico da battere. Per una sorta di eterogenesi dei fini l’invasione dell’Ucraina ha portato al risultato che due paesi scandinavi, prima non allineati, hanno chiesto di entrare nella Nato. Un pessimo risultato per una guerra iniziata invadendo l’Ucraina con lo scopo anche di evitarne l’ingresso nella Nato. È la conferma che la scellerata decisione di Putin di invadere l’Ucraina ha rilanciato guerrafondai e produttori di armi. È evidente che la guida del crescente invio di armamenti è saldamente americana, al punto che la Nato è solo una componente dello schieramento di Ramstein ed è lì che si decide quali e quante armi inviare in Ucraina. Purtroppo, finora l’attenzione è stata prevalente sulla guerra con una coazione a ripetere: più armi e più sanzioni, senza neppure una riflessione se queste azioni siano state efficaci e se non sia giunto il momento per tutti di cambiare ottica e strategia. Prima che sia troppo tardi.
È giunto il momento di chiedersi dove si vuole arrivare.
Forse si può ancora invertire la tendenza. Anche il governo italiano dopo una fase in cui parlava solo dell’invio di armi all’Ucraina oggi sembra rendersi conto che occorre impegnarsi per iniziative di pace. Draghi ha messo al centro lo sblocco del grano ucraino. La priorità deve essere impedire che il conflitto in Ucraina scivoli verso una guerra mondiale. Sull’orlo di questo abisso troppi compiono macabri passi di danza. Passare dal sostegno con le armi all’Ucraina alla cessazione dei combattimenti e ad aprire trattative di pace richiede un cambiamento netto di impostazione. In altre parole, non è aumentando l’invio di armi e insistendo su sanzioni sempre più dure che si arriverà ad una prospettiva di pace. A meno che si pensi seriamente che sia possibile arrivare alla sconfitta e all’umiliazione della Russia, mettendo nel conto anche reazioni terribili. È un grave errore che l’Unione Europea rinunci ad avere una posizione autonoma per la pace e si impegni solo per armi e sanzioni.
Aprire un terreno diverso? Chi, come?
Le grandi potenze, e non solo loro, da tempo hanno fatto di tutto per svuotare la sede ONU di ruolo e credibilità. Senza un ruolo dell’ONU i rapporti mondiali sono stati abbandonati ai rapporti di forza, che esistono ovviamente, ma che dovrebbero essere contenuti proprio dalla sede internazionale di governo dei conflitti mondiali, cioè l’ONU. Svuotarne ruolo e significato è stato un clamoroso autogol e ora ne avremmo estremo bisogno.
Non è chiaro perché il governo italiano abbia sottoposto in solitudine al segretario generale dell’Onu una proposta per la pace. L’iniziativa in sé è interessante per il fatto di esserci, anche se nel merito è discutibile. Per avere forza la proposta doveva essere costruita insieme ad altri, ad esempio in sede europea, almeno con alcuni suoi membri autorevoli, e destinata all’assemblea dell’Onu, con la richiesta di convocarla in modo permanente fino alla soluzione della crisi, come proposto proprio in Italia. Alla pace si può arrivare se le rappresentanze mondiali, in sede ONU, si impegnano per questa soluzione. I paesi che hanno fin qui hanno preso iniziative di mediazione hanno reso evidente che occorre qualcosa di più, anzitutto un ripensamento delle posizioni delle potenze mondiali, a partire dalla Russia e dagli Usa, puntando a coinvolgere la Cina, concentrando le iniziative dell’UE nella direzione prioritaria della pace.
È giusto provare a sbloccare l’invio del grano ucraino nei paesi che rischiano di pagare un prezzo pesante, ma è inevitabile che avvenga attraverso un’intesa con i belligeranti e che vengano in evidenza altri aspetti come le sanzioni. Si è dato per scontato qualcosa che non lo è. Non può essere l’Ucraina a decidere il futuro delle relazioni mondiali, con il pericolo di arrivare a una guerra mondiale, insistendo per troncare le relazioni economiche con la Russia.
Se si vuole la pace occorre essere disponibili a trattare.
Continuare a puntare tutto sul sostegno armato rischia di fare un pessimo servizio all’Ucraina. Continuare a puntare tutto sulle armi rischia di portare i paesi della Nato sempre più sull’orlo di un conflitto mondiale e di provocare gravi danni economici e sociali a tutti. Per questo occorre che tutti gli attori si assumano la responsabilità di dire con chiarezza che è giunto il momento di puntare tutte le carte sulla cessazione dei combattimenti e sulla pace e questo compito non può essere delegato a nessuno. La pace deve deciderla l’Ucraina: è un modo sbagliato di porre il problema. Tutti dobbiamo aiutare l’Ucraina ad arrivare alla pace, senza però farne l’alibi per giustificare l’assenza di iniziative del resto del mondo, per continuare la guerra. Ognuno si assuma la responsabilità di fermare il gioco al massacro (anzitutto a danno degli ucraini) e lo faccia in modo trasparente nella sede ONU, la cui assemblea generale è la sede migliore per affrontare la questione ucraina. Da qualche parte occorre iniziare per risalire la china, perché nessuno ha interesse alla distruzione dei contendenti e questo va fatto ora, prima che i rapporti di forza sul terreno possano suggerire uno stato di fatto. In sostanza solo una iniziativa di pace ora può evitare un futuro separato, di fatto, come è avvenuto a Cipro.
Come è stato detto autorevolmente abbiamo bisogno di una conferenza sulla sicurezza e la pace come quella di Helsinki del 1975 non di una separazione dettata dalle armi. Questo andrebbe ricordato quando Erdogan si erge a mediatore, poi ricatta i paesi scandinavi che vogliono entrare nella Nato sui curdi. È uno squilibrio preoccupante che le rappresentanze politiche non diano voce alle opinioni dell’elettorato del nostro paese, che non vuole la guerra.
Per questo è più che mai necessario che l’ampia opinione pubblica che è per la pace faccia sentire con maggiore forza la sua opinione, che si autorappresenti. L’impegno attivo è cresciuto ma non basta ancora, anzitutto deve essere profondamente unitario e deve essere in grado di arrivare a cambiare profondamente l’ottica di azione del nostro governo, a modificare l’impostazione dell’Unione europea che rischia di essere una delle vittime di questa guerra, mentre dovrebbe essere protagonista di una soluzione di pace.
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Pubblicato da Jobsnews.it il 31 maggio 2022
By redazione |Maggio 31st, 2022
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La fine di una guerra senza fine
di Sandro Antoniazzi su C3dem
Un nuovo intervento, sulla guerra in Ucraina, mosso, come dice l’autore, da “sano realismo”, espressione autorevole di una delle anime, tra le molte e diverse, in cui si articola il mondo cattolico e democratico di fronte al tragico conflitto innescato dall’aggressione russa
Nella guerra in Ucraina ci troviamo di fronte a una situazione dove si continua a combattere, mentre sono pressoché ferme le prospettive di confronto politico.
Sembrano però perdere di peso le affermazioni di una parte dello schieramento occidentale secondo le quali è possibile “vincere” la guerra che, in alcune dichiarazioni di Zelensky, si spingono a volte sino a immaginare una riconquista di tutti i territori, Crimea compresa.
Sempre di più si sentono, invece, voci di esponenti politici europei che cercano di far presente l’esigenza di una trattativa con la Russia: ne fanno testo tanto il discorso di Draghi a Washington quanto le iniziative di Macron e di Scholz.
Del resto, è difficile pensare di continuare una guerra senza fine, come se fosse una guerra di logoramento reciproco.
Anche se non si volesse tener conto delle vittime umane quotidiane (quelle complessive, e non due morti qua e tre morti di là), la situazione sul teatro di guerra sembra chiara: la Russia ha rinunciato all’invasione dell’intera Ucraina, ma sembra ormai vicina alla conquista del Donbass.
Quando la Russia avrà completato l’occupazione del Donbass – con le relative conseguenze: introduzione del rublo, lingua russa, anagrafe russa, domani scuole russe – sarà difficile pensare di farla tornare indietro.
Quali sono in questa situazione le prospettive che si presentano?
Il fronte occidentale, sinora tutto sommato unito, sta approssimandosi sempre di più a un punto di stallo.
L’ultimo pacchetto di sanzioni fa fatica ad essere approvato, il che rende molto aleatoria la possibilità di ulteriori decisioni in questo senso.
Gli analisti intanto mettono in risalto il costo che ha per l’Europa l’adozione delle sanzioni, con il rischio crescente di una reazione negativa a livello delle popolazioni.
Inoltre, se le sanzioni hanno indubbiamente danneggiato la Russia, la rivalutazione dei prezzi energetici e la maggiore libertà propria di un sistema autocratico (ciò che ha prodotto il rafforzamento del rublo) le hanno consentito di non essere messa nell’angolo: decisioni estreme – niente più né gas né petrolio dalla Russia – sono razionalmente fuori dalla nostra portata.
Anche sul piano degli armamenti, da una parte iniziano a manifestarsi delle difficoltà (in Italia il terzo invio ha sollevato problemi, che rendono poco plausibile un eventuale quarto), ma soprattutto sembra che non basti il rifornimento di armi all’esercito ucraino per metterlo alla pari delle forze russe.
Non rimane dunque che lavorare perla pace, sapendo che questo significa per l’Ucraina la rinuncia ad alcuni territori, la Crimea e il Donbass, la prima già in mano ai russi da tempo, il secondo terra di permanente conflitto.
L’Ucraina in compenso vedrebbe riconosciuta la sua indipendenza come nazione e conserverebbe la zona Sud, con Odessa, essenziale per la sua attività di esportazione; il proseguimento della guerra potrebbe significare perdere anche l’area meridionale con lo sbocco sul mare e questo sarebbe una perdita irreparabile per l’Ucraina.
Se poi si dovesse parlare dei danni a livello mondiale, che questa guerra e il suo prolungamento determinano, l’elenco sarebbe lungo; e forse quello che sta facendo pensare i governi occidentali è una possibile rivolta dei paesi africani e arabi colpiti pesantemente dalla mancanza del grano.
Un po’ di toni meno bellicosi e di affermazioni trionfalistiche (come se la decisione di Finlandia e Svezia di rinunciare alla neutralità e chiedere l’ingresso nella NATO fosse un passo avanti e non un passo indietro) e un po’ più di sano realismo, forse, sarebbero un orientamento migliore da tenere nei rapporti internazionali.
Sandro Antoniazzi
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Ostinatamente per la Pace. Nulla di intentato
31 MAGGIO ORE 18 – #STOPTHEWARNOW UCRAINA: PACE, AIUTO UMANITARIO ED ACCOGLIENZA
1° webinar di FQTS – martedì 31 maggio 2022 dalle ore 18.00 alle 19.30
#StopTheWarNow Ucraina: pace, aiuto umanitario ed accoglienza sarà un dialogo coordinato da Silvia Stilli, portavoce di AOI al quale porteranno il loro contributo Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione CON IL SUD; Vanessa Pallucchi, Portavoce del Forum del Terzo Settore; Chiara Tommasini, Presidente di CSVnet; Gianpiero Cofano, Segretario Generale Associazione Papa Giovanni XXIII e portavoce #StopTheWarNow; Alberto Capannini, Operazione Colomba; Ivana Borsotto, Presidente Focsiv.
Una riflessione comune che a partire dalle iniziative concrete che molti soggetti del nostro mondo hanno promosso e a cui hanno preso parte in questi difficili tempi di guerra, sarà occasione per dare visibilità al valore delle azioni di solidarietà internazionale che hanno mobilitato il Paese e alla straordinaria accoglienza immediata per donne, uomini, bambine bambini in fuga dalla guerra in Ucraina nel nome dell’impegno per la Pace.
Per partecipare è necessario registrarsi qui: https://tinyurl.com/heteubwj
Stop The War Now nasce come un’azione di pace promossa da organizzazioni della società civile italiana e da associazioni di solidarietà e cooperazione internazionale. A partire da un ristretto gruppo di realtà cattoliche l’iniziativa si poi rapidamente diffusa fino a raccogliere oltre 150 adesioni. Una carovana di pace che dal 1 al 4 aprile ha portato a Leopoli, in Ucraina, associazioni, volontari e aiuti umanitari, per poi riportare in Italia 300 rifugiati, la maggior parte dei quali in condizioni fisiche, psichiche e sanitarie molto precarie.
Questa iniziativa è stata un’importante risposta a quanto stava accadendo in Ucraina, un modo del Terzo settore per ribadire il suo fermo no ad ogni guerra, ad ogni violenza e violazione dei diritti umani. Contemporaneamente, ed in tempi molto rapidi, tutto il Terzo settore italiano si è mobilitato per portare risposte e sostegno ai bisogni del popolo ucraino: dalla raccolta di materiali e beni di prima necessità, all’assistenza sanitaria, dalle campagne di raccolta fondi, all’assistenza dei profughi in loco fino all’accoglienza nel nostro Paese. Il Terzo settore infatti, come per tutte le emergenze, non è rimasto fermo e indifferente, ma anzi, si è attivato immediatamente con iniziative di solidarietà.
Il progetto formativo FQTS (Formazione Quadri Terzo Settore), promosso dal Forum del Terzo Settore e CSVnet e sostenuto dalla Fondazione Con il Sud, ha l’obiettivo di declinare in azioni concrete e modalità operative aperte l’impegno di carattere relazionale, politico e organizzativo, sviluppandosi all’interno della dimensione comunitaria. Proprio in questo quadro e in conseguenza degli eventi geopolitici che stiamo vivendo e che ci chiamano in prima persona a ragionare sulle complessità di questa situazione, il progetto FQTS ha deciso che il 1° di un ciclo di quattro webinar previsti, approfondisse proprio la delicata attualità di questi mesi.
I quattro webinar sono rivolti non solo agli oltre 900 partecipanti al percorso formativo, ma a tutti coloro che vorranno approfondire e riflettere i temi di volta in volta trattati.
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SCONFIGGERE L’UOMO FORTE
28 Maggio 2022 su C3dem
Paolo Lepri, “Noi e la guerra. Una battaglia ideale per la difesa dei diritti” (Corriere della sera). Frans Timmermans, “Basta mettere i soldi in tasca a Mosca. La resistenza inizia nelle nostre case” (intervista a La Stampa). Siegmund Ginzberg, “Cent’anni di antiamericanismo” (Foglio). Rony Hamaui, “Sconfiggere l’uomo forte è il primo obiettivo” (lavoce.info). UCRAINA/RUSSIA: Vittorio E. Parsi, “La Ue non reggerà all’infinito. Bisogna farlo capire a Kiev” (intervista a Qn). Paola Peduzzi, “L’impatto dei negoziati prematuri, mentre Mosca ribalta il conflitto” (Foglio). Micol Flammini, “Le domande a Kiev” (Foglio). Gianandrea Gaiani, “Donbass, la tenaglia russa. A Mosca il 25% dell’Ucraina” (Mattino). Cecilia Sala, “I russi arrivano a Severodonetsk prima dei razzi americani” (Foglio). Paolo Mastrolilli, “Gli Usa si interrogano sui nuovi obiettivi” (Repubblica). Massimo Gaggi, “Perché Biden rischia di essere isolato” (Corriere della sera). Mattia Diletti, “Biden ha ereditato un paese polarizzato e paralizzato” (Scenari/Domani). Tommaso Ciriaco, “Il negoziato di Draghi per liberare il grano” (Repubblica). Vittorio Da Rold, “Quello che non torna nella strategia di Draghi sull’Ucraina” (Domani). Francesca Basso, “Le vie del grano: i treni o il Bosforo” (La Stampa). Marco Bresolin, “Per salvare l’embargo Ue sul petrolio, si va verso l’esenzione all’Ungheria” (La Stampa). David Carretta, “L’Europa è divisa su come deve finire la guerra” (Foglio). Barbara Spinelli, “Sulla guerra la Russia ha due linee diverse, e anche l’Europa” (Il Fatto). Franco Monaco, “Per la pace servono concessioni reciproche, non soltanto a Kiev” (Il Fatto). Carlo Galli, “Un abbaglio chiamato Putin” (Repubblica). Salvatore Bragantini, “Le contorsioni intellettuali dei ‘realisti’ e ‘complessisti’ sulle mosse di Putin” (Domani). Nadia Urbinati, “La guerra in Ucraina sta cambiando l’Occidente” (Domani). INOLTRE: Jeffrey Sachs, “Finalmente abbiamo capito che crescita e sviluppo non sono la stessa cosa” (Sole 24 ore).
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L’ASSE PD-M5S ALLA RICERCA DI EQUILIBRIO. RICORDARE DE MITA. SINDACATO E POPULISMO
28 Maggio 2022 su C3dem
Ilvo Diamanti, “FdI primo, tiene il Pd. L’Italia senza partiti, contano solo i leader” (Repubblica). Francesco Verderami, “Crisi del grano, allarme profughi” (Corriere della sera). Daniela Preziosi e Lisa Di Giuseppe, “L’irresistibile discesa del leader mai nato nel M5s” (Domani). Ferdinando Adornato, “L’asse Pd-M5s alla ricerca di equilibrio” (Messaggero). Lina Palmerini, “Per Letta e Meloni buone e cattive notizie dai sondaggi” (Sole 24 ore). Claudio Cerasa, “Prove di destra draghiana. Il manifesto antipopulista di Fedriga” (Foglio). Marco Cremonesi, “La visita a Parolin, i contatti turchi, Salvini pronto a partire per Mosca” (Corriere della sera). Stefano Passigli, “La guerra e le prospettive di governo” (Corriere della sera). Guido Melis, “Perché la Pubblica amministrazione rischia di non cambiare mai” (Domani). REFERENDUM: Gianluca De Rosa, “Il referendum e il Pd” (Foglio). “Percorsi separati per giudici e pm, il Sì di Ceccanti, il No di Ferraresi” (Sole 24 ore). Stefano Ceccanti, “Alcune considerazioni sul referendum sulla giustizia” (Paradoxa forum). INOLTRE: Dario Di Vico, “I sindacati travolti dal populismo” (Foglio). Gherardo Colombo, “Perché si può abolire il carcere” (Left)
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CIRIACO DE MITA: Marco Damilano, “Il tempo lungo di Ciriaco De Mita” (Foglio). Pierluigi Castagnetti, “Con lui se ne va un’epoca politica. Il suo coraggio non fu compreso” (intervista ad Avvenire). Marcello Sorgi, “L’ultimo democristiano” (La Stampa). Guido Bodrato, “Ha sempre creduto nella mano pubblica” (intervista al Manifesto).
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Riflessione sulla scomparsa di Ciriaco De Mita
di Lucio Garofalo
Seppur volessi, non riuscirei ad associarmi alla “canea” delle dichiarazioni di cordoglio, al coro quasi unanime delle condoglianze, più o meno sincere ed ipocrite che siano, per il lutto che ha investito la comunità di Nusco, in particolare la famiglia De Mita, nonché il territorio dell’Irpinia e dintorni. Non riesco ad avvertire alcun dolore autentico. Si potrà obiettare che “il sentimento del cordoglio è per l’uomo, non per il politico”… In verità, l’uomo e il politico sono inscindibili da circa 70 anni, se non oltre, da quando, nel 1953, se non erro, la “buonanima” esordì sulla scena politica aderendo alla corrente della “Sinistra di Base” che apparteneva alla “Balena bianca”, la Democrazia Cristiana. La carriera politica di De Mita decollò grazie anche alla moglie, che era la segretaria di Fiorentino Sullo, esponente di spicco della DC, anch’egli originario dell’Irpinia, precisamente di Paternopoli… Negli anni ’80, il figlio del sarto di Nusco riuscì a diventare uno degli uomini politici più potenti d’Italia, costituì il punto di riferimento, il perno centrale attorno a cui ruotava un ceto dirigente democristiano che annoverava numerosi elementi provenienti dall’Irpinia: Gerardo Bianco, Giuseppe Gargani, Salverino De Vito, Lorenzo De Vitto ed altri… Fu l’unico leader DC a ricoprire nello stesso tempo la carica di Presidente del Consiglio, dal 1988 al 1989, e segretario nazionale del partito, dal 1982 al 1989. Ciriaco De Mita è stato un astuto ed abile politico, nonché un intellettuale colto e raffinato, provvisto di una mente acuta, capace di elaborare un pensiero progettuale di ampio respiro, ma tali qualità politiche ed intellettuali furono subordinate ad un disegno egoistico di accrescimento e mantenimento del potere, per sé e per la propria cerchia familiare, amicale e clientelare… Ma il fallimento storico-politico del demitismo è testimoniato da numerosi fatti ed elementi concreti, alcuni dei quali appaiono in una dimensione drammatica e raccapricciante: dallo spopolamento crescente ed inarrestabile delle comunità dell’entroterra irpino, del cratere sismico in maniera particolare, alla chiusura di numerose fabbriche (alcune erano già decotte in partenza) ed intere aree industriali, installate durante la lunga stagione della ricostruzione post-sismica, grazie agli ingenti fondi pubblici erogati dalla Legge n. 219 del 1981: ben 60mila miliardi di vecchie lire, di cui una percentuale assai cospicua è stata dirottata per finanziare la camorra e rimpinguare le attività illecite ed il malaffare… Senza omettere che la nostra terra, l’Irpinia, detiene il lugubre primato dei suicidi in tutto il Meridione d’Italia… Potrei proseguire qui nel “dipingere” il macabro e desolante quadro storico-politico ed esistenziale, ma ritengo che la sintesi che ho formulato basti. Sorvolerei sul caso, arcinoto (ma non ai più), dell’Irpinia-gate, sul quale venne scritto e pubblicato un libro nel 1989… Insomma, con la dipartita di Ciriaco De Mita è scomparso un “nemico di classe” per il movimento comunista ed antagonista irpino (o, almeno, per i soggetti sopravvissuti, per i “cani sciolti”, tra cui il sottoscritto)… De Mita è stato un avversario politico per intere generazioni di comunisti e dissidenti che hanno osteggiato il suo sistema di potere, instaurato soprattutto in Irpinia e nel Sannio. Un sistema di potere molto ramificato e radicato principalmente nel settore della sanità regionale, delle imprese industriali, delle banche e dovunque si allungassero i suoi tentacoli voraci… In futuro si dovrà contrastare il “demitismo senza De Mita”, cioè il sistema di potere imposto ed esercitato dagli epigoni del “podestà” di Nusco… Perciò, temo che si rischi di rimpiangere (!) il “demitismo” con De Mita.
Lucio Garofalo
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Ostinatamente per la Pace. Nulla di intentato
Piano di pace cercasi
Abbiamo superato il novantesimo giorno di guerra senza che si intravedano soluzioni. L’Italia ha finalmente emesso un vagito presentando la bozza di un piano di pace che, timidamente, affronta le controversie sul tappeto. Le reazioni di tutte le parti sono state negative. Ma non c’è alternativa. Occorre rilanciare, sollecitando Francia e Germania a ripresentare un piano di pace comune. Subito.
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di Domenico Gallo*
Abbiamo superato il novantesimo giorno di guerra e, per dirla con Guccini: ancora tuona il cannone / ancora non è contenta/ di sangue la bestia umana.
Sono 46 i paesi che hanno partecipato qualche giorno fa al vertice on line organizzato dal Segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, per allargare e rafforzare la Santa Alleanza creata a Ramstein il 24 aprile con la missione fornire una valanga di armamenti che consentano all’Ucraina di proseguire la guerra per mesi o per anni, fino a conseguire la vittoria. Il programma degli alleati occidentali a guida USA è che il cannone deve tuonare ancora a lungo. Il mantra è che sono gli ucraini che devono decidere quando ci siano le condizioni migliori per intavolare il negoziato che porterà fine alla guerra.
Niente di più falso! il comportamento dei belligeranti non dipende soltanto dalle parti in conflitto, ma in larga parte dal grado di consenso/dissenso, sostegno/boicottaggio, che viene dagli altri attori internazionali. Basti pensare che il conflitto in Bosnia cessò dopo che un attore internazionale (gli USA) convocò le parti belligeranti nella base militare di Dayton nell’Ohio. Dopo 21 giorni di intensi negoziati le parti stipularono l’accordo di pace, poi firmato formalmente a Parigi il 14 dicembre 1995.
A differenza della Bosnia, questa volta tutto possiamo aspettarci tranne che Biden convochi Putin e Zelensky e li rinchiuda in una base militare tenendoli prigionieri fino a quando non partoriscano un accordo di pace. Dopo Ramstein le campane della pace suonano a morto. La decisione di effettuare forniture militari illimitate, non può che spingere il governo di quel paese a prolungare all’infinito il conflitto, alzando sempre di più il prezzo per un negoziato di pace. Non possiamo ignorare che, a parte l’adesione alla NATO, fra la Federazione Russa e l’Ucraina c’è una pesante controversia territoriale che coinvolge l’intera Crimea (annessa alla Russia nel 2014) ed una larga parte del territorio del Donbass, abitato da una popolazione russofona e russofila che si è ribellata al governo centrale, creando le due repubblichette di Donetsk e Lugansk, nate da una sanguinosa guerra civile, che all’epoca provocò circa 14.000 morti. Se il concetto di vittoria per gli ucraini significasse il recupero dei territori annessi direttamente o indirettamente alla Federazione Russa, allora la guerra non finirebbe mai, crescerebbe d’intensità, si estenderebbe e potrebbe sfociare in un conflitto nucleare. E’ facile intuire che la Russia non rinuncerebbe mai alla Crimea, base principale della sua flotta, e che gli abitanti delle due repubblichette del Donbass, considerati dei traditori da Kiev per il loro appoggio all’invasione, non accetterebbero mai di tornare sotto la sovranità ucraina poiché ormai si è formato un baratro di odio incolmabile fra le due comunità. L’Europa, anche se arruolata nella Santa Alleanza di Ramstein, non ha nessun interesse, al prolungamento della guerra. Adesso finalmente stanno uscendo delle crepe nell’asse euro-atlantico. Anche se Draghi si è presentato a Washington come garante dell’unità USA-Europa, l’Italia ha emesso un primo vagito presentando la bozza di un piano di pace che, timidamente e per la prima volta, affrontava le controversie sul tappeto del conflitto Russo-Ucraino. Inutile dire che dall’amministrazione americana è venuto un silenzio assordante, mentre trapelava il malumore dell’altro Rappresentante dell’UE, che in quest’epoca storica si è disegnato il ruolo di portavoce della NATO più che dell’Unione Europea e quello di Kiev.
La risposta più sprezzante è venuta da Mosca per bocca di Dmitri Medvedev, vice presidente del Consiglio di Sicurezza russo: “c’è la sensazione che sia stato preparato non da diplomatici ma da politologi locali che hanno letto giornali provinciali e che operano solo sulla base delle notizie false diffuse dagli ucraini.” E’ una risposta, non si capisce se più stupida o più arrogante. I russi non si sono ancora resi conto che la rottura dell’unamismo fra USA e Unione Europea è per loro l’unica speranza di uscire fuori dal disastro in cui si sono cacciati. Sono interessanti le dichiarazioni di Kissinger a Davos: “8 anni fa quando è emersa l’ipotesi dell’ingresso dell’ucraina nella NATO ho scritto un articolo in cui dicevo che l’esito ideale sarebbe stato un’Ucraina neutrale una sorta di ponte fra Europa e Russia invece che una linea del fronte, una prima linea di schieramenti opposti interni all’Europa. Questa opportunità al momento non esiste più, non in quella forma, ma può ancora essere concepita come obiettivo finale.(..) il rischio è di entrare in uno spazio in cui la linea di demarcazione è ridisegnata e la Russia è completamente isolata. Bisogna ricordare che la Russia è stata una parte essenziale dell’Europa per oltre quattro secoli: i leader europei non dovrebbero perdere di vista l’orizzonte di una relazione a lungo termine con Mosca perché ci troviamo ora di fronte a una situazione in cui la Russia potrebbe alienarsi completamente dall’Europa e cercare un’ alleanza forte permanente con la Cina.(.) Dovremmo lottare per una pace a lungo termine”.
In questo contesto se il piano di pace presentato dall’Italia non riesce a decollare, non per questo bisogna rassegnarsi alla logica del cannone. Ci vorrebbero interlocutori più robusti, l’Italia dovrebbe sollecitare la Francia e la Germania a ripresentare un piano di pace comune, dissociandosi dalla politica di “guerra continua” degli USA. Il tempo è adesso: occorre agire subito.
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*Domenico Gallo
Nato ad Avellino l’1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all’Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell’arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)
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L’assemblea della Conferenza Episcopale Italiana
condivide la richiesta di ratifica del Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari.
Nel documento finale dell’Assemblea generale dei vescovi italiani,
pubblicato su Avvenire di sabato 28 maggio 2022,
si afferma:
“Rispetto al dramma della guerra, che in Ucraina continua a seminare morte e distruzione,
i presuli hanno evidenziato l’importanza di far risuonare, con voce unanime e coraggiosa,
il no al conflitto e la volontà di costruire insieme la pace, facendo tacere le armi.
A questo proposito i vescovi hanno condiviso l’appello “Per una Repubblica libera dalle armi nucleari”
firmato nella scorsa primavera da oltre 40 Presidenti nazionali di associazioni cattoliche
che più volte si sono espresse in merito alle armi nucleari e all’adesione al Trattato Onu,
che l’Italia non ha ancora ratificato”.
Cordiali saluti.
Anselmo Palini
(componente la segreteria organizzativa dell’appello contro le armi nucleari)
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Costruiamo Convergenza per la Pace
27.05.22 – Europe for Peace
(Foto di Europe for Peace)
Guerre, rischio nucleare, armamentismo crescente, crisi climatica, emergenza ambientale, povertà, discriminazione crescente. Sono diverse e complessamente correlate le prospettive che ci conducono inequivocabilmente a comprendere che siamo ad un bivio storico ed è urgente e necessario scegliere se andare verso la Pace o verso la Catastrofe.
Allo scoppio di questo conflitto armato in Europa molti hanno sentito la necessità di far sentire la propria voce contro la guerra e a favore della pace. Numerose le iniziative, gli appelli e le manifestazioni.
Crediamo che in molti, ognuno con le sue forme e possibilità, stiamo portando avanti proposte e azioni valide e condivisibili. Tuttavia le iniziative, le voci che si sono e si stanno alzando per far prevalere la ragione sull’irrazionalità della violenza non sono coordinate tra loro e piuttosto che formare un coro forte e chiaro, spesso si perdono, se non addirittura si sovrappongo generando differenziamento piuttosto che convergenza.
Certamente questo fantastico moltiplicarsi di iniziative e di voci contro l’assurdità della guerra esprime una enorme ricchezza di analisi e riflessioni, una enorme potenzialità. Purtroppo però nessuno di noi ha mezzi e risorse, per competere con chi oggi fomenta la guerra, le armi, l’inquinamento, la disparità sociale.
Forse unendoci possiamo generare un effetto domino, un movimento sociale, arricchito da tutte le nostre diversità unite dall’obbiettivo comune di promuovere la vita e la pace. Crediamo che convergere sia la sfida di oggi per contrastare la destrutturazione e distruzione di un sistema sociale che volge al tramonto.
Dobbiamo fare uno sforzo intenzionale per guardare a ciò che ci unisce e non a ciò che ci divide, per diventare coro e orchestra che armonizza le diversità. È il momento storico che stiamo vivendo, è il bivio cruciale per il nostro futuro.
Dobbiamo iniziare a creare situazioni in cui possa emergere la co-ispirazione e l’intelligenza d’insieme, e soprattutto azioni concrete e convergenti, che possano contrastare la direzione che stanno prendendo gli eventi.
La sfida di oggi è creare la convergenza di tutte i movimenti e forze sociali, spirituali e politiche nel tentativo di fermare le scelte scellerate della guerra, il rischio nucleare, l’incremento delle spese belliche, delle produzioni inquinanti, della disuguaglianza.
Incontriamoci a Roma, il 4 giugno alle 19,30 nella straordinaria cornice dell’Eirenefest ai Giardini del Verano. Un incontro aperto a i movimenti sociali, politici e spirituali, un aperitivo per conoscerci meglio e organizzare insieme un incontro (sabato 18 giugno) per scambiare idee, analisi e proposte su cui convergere in azioni concrete che possano contrastare la direzione che stanno prendendo gli eventi.
Se vuoi costruire insieme questo incontro scrivi a europeforpeacehm@gmail.com
Federica Fratini
Relazioni Europe for Peace – Europa per la Pace
3355734803
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Per la Pace in Ucraina e nel Mondo. Ostinatamente
Newsletter n. 264 del 25 maggio 2022
CHE COSA FINISCE
Cari Amici,
se nel pieno di una crisi in Europa il loquace Biden è andato in Asia a provocare la Cina, vuol dire che non siamo alla resa dei conti finale né con la Russia né con la Cina, ma all’intimidazione e alla sfida, e anche la guerra in Ucraina comincia ad apparire come ben diversa da come l’abbiamo percepita fin qui.
È una guerra mondiale, perché tale è una guerra che coinvolge le grandi Potenze, ma resta una guerra mondiale a pezzi, come non si stanca di definirla il papa per farla cessare; è una guerra efferata, ma messa in scena come uno spettacolo, dove a contare non sono le tragiche moltitudini delle vittime, tranquillamente immolate da una parte e dall’altra, ma i primi attori solitari, i Putin, gli Zelensky, i Biden, gli Stoltenberg; è una guerra combattuta con altri mezzi, l’economia, l’Intelligence, le fake news, le maratone e non solo con le armi; è una guerra che ostenta molte armi, ma più accantonate e predisposte allo sterminio che destinate alla difesa e alla conquista; è una guerra preventiva, da un lato per salvarsi da un cane che abbaia ma non morde e dall’altro per rassicurare Paesi che nessuno minaccia; è una guerra per fiaccare un antagonista che contende un primato esclusivo e cacciarlo tra i paria, ma non per distruggerlo. In questo senso è una buona notizia: non è una guerra senza chiaroscuri e senza speranze, come ce l’hanno venduta gli analisti e i crociati nostrani, ma una guerra che ancora possiamo prendere in mano, arginare, far finire, riportare alla ragione.
Non si tratta in realtà né di balcanizzare la Russia post-sovietica, né di giocare il finale di partita con la Cina, né di annettersi l’Ucraina per poi invadere l’Europa con o senza la NATO. Non si tratta della fine della storia e dell’ultimo uomo alla Fukuyama, ma della fine di un mondo quale con ottusità e violenza abbiamo costruito fino ad ora; è l’annuncio, come diceva padre Balducci della prima guerra del Golfo, del “declino, anzi della fine dell’età moderna così come cominciò cinquecento anni fa col genocidio degli Indios nel lontano Occidente”. La fine dell’età moderna era per lui “la fine dell’età dell’egemonia mondiale euro-atlantica”, cioè di quel sistema di legge e di mercato, a cui ormai è approdata anche la Russia di Putin, “che ha reciso nella coscienza profonda dei popoli del Sud la speranza di una conquista pacifica del diritto a prendersi in mano la propria storia”. Sono i popoli che all’ONU si sono rifiutati di votare per la guerra tra la Russia e l’Occidente, gli 82 Paesi che se ne sono dissociati, tra cui c’è tutta l’Asia, a parte il Giappone, e gran parte dell’Africa, dell’America Latina, del Medio Oriente, una parte preponderante cioè della popolazione della Terra, che la vorrebbe salvaguardare, conservare, difendere; è il vero mondo che non va umiliato ed escluso, come invece l’America atlantica vuole fare della Russia.
E allora è questo il vero cimento a cui siamo chiamati: chiudere la parentesi infausta che abbiamo aperto ripristinando la guerra con la guerra del Golfo, dissipando le straordinarie risorse che ci erano state offerte con la rimozione del Muro. Dobbiamo intraprendere invece la ricostruzione della storia quale avevamo cominciato a concepirla nel Novecento, a partire dalla Carta atlantica di Roosevelt e Churchill in piena guerra mondiale (niente a che fare col Patto atlantico) fino al pensiero politico nuovo di Gorbaciov; a partire dalla Dichiarazione di Nuova Delhi per “un mondo libero dalle armi nucleari e non violento” alla Carta di Abu Dhabi che attribuisce la pluralità delle religioni alla stessa volontà divina, dalle Costituzioni postbelliche all’ “uscita dal sistema di dominio e di guerra” dei convegni di Cortona, dal Concilio ecumenico Vaticano II alla “Fratres omnes” di papa Bergoglio. Questo è il futuro, al netto della Bomba.
Nel sito pubblichiamo un ricordo di Marina Graziosi, mancata martedì scorso a Roma, originale interprete della cultura del movimento delle donne e moglie del carissimo compagno nostro Luigi Ferrajoli: i funerali avranno luogo a Roma, venerdì prossimo alle 11:00, nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. [Condoglianze e vicinanza al prof. Luigi Ferrajoli da parte della direzione e della Redazione di Aladinpensiero]. Pubblichiamo anche una lettera di Sergio Tanzarella per una riforma degli studi ispirata alla Teologia della pace e un appello della Rete dei Viandanti ai vescovi per un’indagine indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa.
Con i più cordiali saluti,
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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di Raniero La Valle, su fb
Guerre preventive
PUTIN HA IMPARATO DA BUSH
La guerra in Ucraina non accenna a finire e sta provocando una regressione della cultura politica all’apologia della guerra e riportando la situazione mondiale alla lotta per il dominio.
Oggi non solo è riproposta la vecchia guerra che la geopolitica racconta come connaturata all’uomo e come strumento per rimodellare l’intero assetto mondiale, ma viene apertamente rivendicata e legittimata una nuova guerra che è la guerra preventiva; ciò fa venir meno perfino i vecchi travestimenti della “guerra giusta”, difensiva o “umanitaria” che fosse, mentre ne viene millantata la legittimità sulla base di asserzioni politiche del tutto opinabili.
Sulla Piazza Rossa il 9 maggio Putin per giustificare la sua guerra all’Ucraina ha detto che “la Russia ha reagito preventivamente contro l’aggressione”: si riferiva a un attacco della NATO “per un’invasione delle nostre terre storiche, compresa la Crimea; una minaccia per noi assolutamente inaccettabile, direttamente ai nostri confini… Il pericolo è cresciuto ogni giorno; il nostro – ha aggiunto – è stato un atto preventivo, una decisione necessaria e assolutamente giusta, la decisione di un Paese sovrano, forte, indipendente”, mentre gli Stati Uniti minacciavano esclusione e umiliazione.
Questa “prevenzione” è stata un crimine di diritto internazionale (non solo la guerra ma anche la minaccia dell’uso della forza è proibita dallo Statuto dell’ONU) ed è stata anche un gravissimo errore di Putin perché in tal modo ha adottato e legittimato la dottrina della guerra preventiva enunciata dal suo principale avversario, gli Stati Uniti d’America. Sono stati infatti gli Stati Uniti di Bush a teorizzarla nella “Strategia della sicurezza nazionale” del settembre 2002, un anno dopo la tragedia delle Torri Gemelle dell’11 settembre. In quel documento si affermava che “la migliore difesa è un buon attacco”. Una volta concepito il mondo come un composto formato da Stati per bene e “Stati canaglia” e minacciato dal terrorismo, la conseguenza era questa: “non possiamo lasciare che i nostri nemici sparino per primi”. Ciò poteva andare bene durante la guerra fredda quando “la deterrenza era una difesa effettiva”, mentre oggi, si affermava, una “deterrenza basata solo sull’attesa di una risposta non funzionerebbe”. D’altra parte, ricordava il Pentagono, “gli Stati Uniti hanno mantenuto sempre l’opzione dell’azione preventiva per fronteggiare una minaccia effettiva alla sicurezza nazionale. Maggiore è la minaccia… e più impellente la necessità di intraprendere un’azione anticipatoria in difesa di noi stessi, persino nell’incertezza del luogo e dell’ora dell’attacco da parte del nemico”. Né si trattava solo di difesa nazionale: la sicurezza nazionale degli Stati Uniti consisteva essenzialmente nel dominio del mondo per il quale si preconizzava un unico modello di società valido per tutti: “ libertà, democrazia, e libera impresa”. “Manterremo le forze sufficienti per difendere la libertà” prometteva il documento, e per dissuadere qualunque avversario dalla speranza non solo di superare, ma anche di “eguagliare il potere degli Stati Uniti”. Questa era anche la ragione per disseminare “basi e stazioni all’interno e aldilà dell’Europa dell’Ovest e dell’Asia del Nord”, cioè in tutto il mondo.
Questa proiezione militare mondiale non riguardava peraltro solo gli Stati Uniti, ma era estesa agli “alleati ed amici in Canada e in Europa”; la NATO a sua volta doveva “essere in grado di agire ovunque gli interessi americani (“i nostri interessi”) fossero minacciati, “creando coalizioni sotto il mandato della stessa NATO, così come contribuendo a coalizioni sulla base di singole missioni”. Infatti la NATO, agendo come un potere sovrano, aveva pochi anni prima fatto una guerra preventiva contro la Jugoslavia per la separazione del Kosovo. E se tutto ciò era stabilito quando, venuta meno l’Unione Sovietica gli Stati Uniti erano passati “da una situazione di contrapposizione a un regime di cooperazione con la Russia” tanto più deve valere oggi quando la Russia è tornata ad essere percepita come nemico e insieme alla Cina viene annoverata tra le “potenze revisioniste” volte a mutare a loro favore gli equilibri internazionali; la strategia della sicurezza nazionale pubblicata nel 2018, sotto l’amministrazione Trump, contemplava pertanto “forze armate più letali” e dichiarava che gli Stati Uniti avrebbero fronteggiato le sfide alla propria sicurezza “al fianco, con e per mezzo dei propri alleati e dell’Unione Europea”.
È in questo quadro che si pone l’estensione della NATO ad est, e l’annunciata acquisizione ad essa dell’Ucraina prima, della Finlandia e della Svezia ora. Secondo la previsione di “Limes”, “se l’America vincerà questa semifinale sbarazzandosi di Putin – fors’anche della Russia – potrà concentrarsi sulla partita del secolo contro la Cina privata dello scudo russo , circondata per terra e per mare”. Si è creata quindi una reciprocità di guerre preventive a cui tuttavia non partecipa ancora la Cina che, secondo Hu Chunchun, professore dell’università di Shangai che ne scrive su “Limes”, afferma “il primato della pace e dell’armonia”.
Questo è il futuro che ci viene prospettato, Ma noi possiamo accettare questo? Possiamo accettare che la guerra accada non per un artificio della nostra cultura ancora così primitiva, ma per una necessità di natura? Possiamo rinunciare al ripudio della guerra? Possiamo adattarci a un mondo dove, come dicono i cinesi, l’Europa (e potrebbero dire l’America) obbedisce alla pulsione che la spinge a volere un solo vincitore definitivo e despota del mondo intero, mentre proprio l’Europa “in questo esatto momento” dovrebbe assumersi la responsabilità storica della pace nel mondo”? Possiamo desiderare un mondo senza la Russia e in lotta contro la Cina? Se non lo vogliamo dobbiamo immaginare e lottare per un progetto alternativo.
(da “Il fatto quotidiano” del 24 maggio)
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Davide Ferrari è con Raniero La Valle su fb
Papa Francesco ha nominato il Card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
Nella mattinata di martedì 24 maggio, i Vescovi riuniti in Assemblea Generale hanno proceduto all’elezione della terna per la nomina del Presidente e come previsto Zuppi è stato il più votato nella terna nella quale Papa Francesco ha scelto.
Matteo Maria Zuppi e’ nato a Roma nel ’55, nel 1973, al liceo Virgilio, conosce Andrea Riccardi, il fondatore di Sant’Egidio. “Vicino a casa c’era la fermata di un tram – racconta l’arcivescovo – potevo scegliere se frequentare i salotti del centro o aiutare i bambini del doposcuola in periferia. Riccardi mi convinse a prendere la direzione della periferia.
Frequentare la Comunità e dedicarsi attività al servizio degli ultimi nelle scuole popolari per i bambini emarginati nelle iniziative per anziani e non autosufficienti, per gli immigrati e i senza tetto, è stato probabilmente il percorso formativo fondamentale per Zuppi.
Ma Sant’Egidio compie un salto di qualità di grande rilevanza identificando le vittime delle guerre come gli ultimi della terra ed impegnandosi per far terminare i conflitti e costruire la pace.
La collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio nel 1990, lo porta con Andrea Riccardi, Jaime Pedro Gonçalves e Mario Raffaelli a tentare con successo una mediazione nelle trattative tra il governo del Mozambico e il partito di Resistência Nacional Moçambicana. La sanguinosa guerra civile che durava dal 1975 si spegne. Dopo 27 mesi di trattative si arriva alla firma degli accordi di pace di Roma. Zuppi e Riccardi vengono nominati cittadini onorari del Mozambico e questo capolavoro di pacifismo operoso rimane nella storia. Dal 2000 al 2012 e’ assistente ecclesiastico generale della Comunità di Sant’Egidio.
Dopo una intensa vita di parroco a Roma, dove diviene Vescovo il 27 ottobre 2015, Papa Francesco lo nomina alla sede metropolitana di Bologna e il 5 ottobre 2019 lo crea Cardinale.
Per l’arcidiocesi petroniana si apre una nuova fase tutta improntata sulla presenza discreta ma autorevolissima di tutti i luoghi della solidarietà. Il primo Maggio 2016 sale sul palco della festa dei lavoratori. Non era mai successo. L’anno dopo presenta “Insieme per il lavoro” un progetto che mette in rete il comune di Bologna, la curia, la città metropolitana e le diverse associazioni di categoria con l’obiettivo di contrastare la disoccupazione. “Non ci preoccupiamo di camminare con le scarpe rotte – dice Zuppi – la nostra volontà è che nessuno vada in giro scalzo”.
Dopo i lunghi anni di reazione seguiti alla straordinaria ma anche dirompente stagione del Cardinal Lercaro, Bologna ritrova un Vescovo fra la gente e teso al fare più che al condannare.
Sant’Egidio diffonde sui social le sue parole di fronte alla guerra in Ucraina.”Io resto affezionato alla parola disarmo. Quelli che hanno vissuto la guerra sanno cosa significa l’arma. Sanno cosa provoca, le lacrime che provoca. È questo a cui bisogna pensare. Il bene e il male. E a quel male che può portare alla distruzione totale. Sembrerebbe logico, è logico. Dobbiamo pensare al disarmo, cominciando da noi. Noi stessi siamo armati, anche senza avere armi”.
Zuppi appare a Bologna, subito un figura molto diversa dal tradizionalismo di Caffarra.
Tuttavia una diversità, certo una specificità, di Don Matteo viene in evidenza anche di fronte alle figure nobilissime della vicenda lercariana.
Meno teorico, forse piu’ diretto, con una grande capacità di accettare e farsi accettare. La città e cambiata, i fili della consapevolezza ideologica sono tagliati da tempo.
Zuppi non cerca di riannodarli, ma di dare il senso di una Chiesa che cammina, con modestia ma anche con rinnovata convinzione.
Il modo di essere sacerdote di Don Matteo ricorda, ad un protestante come me attaccato innanzitutto al testo evangelico, la parabola del grano e del loglio.
L’uomo, la donna di Dio, non dividono subito le due piante, l’utile e l’infestante.
Far crescere, non correre a condannare.
Questa forse la missione più urgente.
Saranno questi i caratteri che consentiranno al nuovo Presidente della Cei di lasciare un’orma nella Chiesa cattolica italiana? Che lo aiuteranno a supportare con intelligenza un Papa che ha bandito ogni ambigua prudenza?
Probabilmente per il Cardinale le prove non si faranno attendere.
Davide Ferrari
Bozza di un testo scritto per il giornale STRISCIAROSSA
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Che succede?
CAPIRE LA DEMOCRAZIA. E DIFENDERLA
19 Maggio 2022 su C3dem
Gianfranco Pasquino spiega perché Putin piace alla destra e a certa sinistra: “Lo Zar piace a una destra che non capisce la democrazia” (Domani). Tema ripreso da Moises Naim nella sua riflessione su “La crisi della democrazia” (Repubblica) e da Angelo Panebianco: “L’Europa a un bivio” (Corriere della sera). POLITICA ESTERA E 5 STELLE: Antonio Polito commenta il voto nella Commissione Esteri del Senato: “Gli effetti collaterali” (Corriere della sera). Federico Capurso, “La sconfitta di Conte” (La Stampa). Emanuele Buzzi, “Conte: una bassa manovra. Avevo avvisato Draghi…” (Corriere). Lina Palmerini, “Una sconfitta e due passaggi ad alto rischio per l’unità M5S” (Sole 24 ore). Carlo Bertini, “Uscita dei 5S e voto a ottobre, i timori di Draghi e Letta” (La Stampa). Stefano Folli, “Ambiguità sull’Ucraina. Il governo è più debole” (Repubblica). Claudio Cerasa, “Meloni-Letta contro Salvini-Conte” (Foglio). NORD EUROPA E NATO: Danna Marin (premier finlandese), “Vogliamo un futuro sicuro. Putin deve essere fermato, da solo non lo farà mai” (intervista al Corriere della sera). Giovanna Vitale, “Sanna Marin a pranzo vede Letta e Conte: ‘Votate in fretta sull’Alleanza’” (Repubblica). PD: Daniela Preziosi, “Per Letta l’alleanza con M5S dovrà reggere. Sul referendum 5 No, ma senza litigare” (Domani). IDEE: Matteo Maria Zuppi, “Il buio della guerra e la fede da fitness” (intervento a Torino su Bonhoeffer – Il Fatto). Ferruccio De Bortoli, “La libertà è fatta di relazioni” (sul libro di Giaccardi e Magatti – Corriere). Cristina Dell’Acqua, “Le lezioni eterne sulla guerra dei Persiani di Eschilo” (Corriere della sera).
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DISSIDENTI RUSSI, GRANO UCRAINO, PROGETTI DI PACE
19 Maggio 2022 su C3dem
Anna Zafesova, “Slogan e rivolte anticensura. Gli Urali, patria dei dissidenti” (La Stampa). Francesco Semprini, “Un maxi corridoio umanitario per liberare il grano di Kiev” (La Stampa). Gianluca De Feo, “Lo stallo al fronte giova alle trattative” (Repubblica). Tommaso Ciriaco, “La pace in 4 tappe. Il piano del governo italiano inviato all’Onu” (Repubblica). Mario Giro, “Guerra in Ucraina, solo la cultura può fermare l’odio” (Domani). Daniela Fassini, “Nonviolenza. ‘Saremo a Kiev l’11 luglio, san Benedetto patrono d’Europa” (Avvenire). Enrico Lenzi, “Mons. Gallagher in Ucraina” (Avvenire). IL DIBATTITO SULLA GUERRA E LA PACE: Marco Minniti, “Il Mediterraneo per la pace” (Repubblica). Giovanni Maria Flick, “Non va oltrepassata la legittima difesa” (intervista a Avvenire). Roberto Gressi, “Le troppe scuse per giustificare lo Zar” (Corriere). Marco Bascetta, “Torna la logica dei blocchi e dei ricatti” (Manifesto). Gianni Cuperlo, “La sconfitta di Putin è davvero una possibilità?” (Domani). Dialogo tra quattro studiosi americani: “Come si ferma Putin” (Foglio). SANZIONI ED ECONOMIA: David Carretta, “Ue, come si esce dall’empass dell’energia” (Foglio). Beda Romano, “L’Ue mobilita 300 miliardi per dire addio all’energia russa” (Sole 24 ore). Federico Fubini, “Pil e inflazione. I dati pessimi delle dittature” (Corriere della sera). Renato Brunetta, “L’Europa si regge soltanto su un patto Roma-Parigi-Berlino” (Milano Finanza). Innocenzo Cipolletta, “La crescita preoccupa più dell’inflazione” (Domani).
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ESEMPI DI UN PARLAMENTO INADEGUATO
17 Maggio 2022 su C3dem
Mauro Calise, “La guerra con i partiti fragili” (Mattino). Sabino Cassese, “La Camera e il Senato possono fare molto di più (e meno peggio). Quattro esempi” (Corriere della sera). Salvatore Vassallo, “I partiti che usano i sondaggi dovrebbero prima capirli” (Domani). Marco Zatterin, “Crescita dimezzata, l’Italia sotto esame” (La Stampa). Alessandro Campi, “I politici improvvisati un danno per il Sud” (Mattino). Stefano Folli, “Perché Letta e Di Maio escluderanno Conte” (Repubblica). Andrea Carugati, “No di M5s, Sinistra, Lega: sulle armi non c’è più maggioranza” (Manifesto). Aldo Torchiaro, “Giustizia, il Pd si spacca sui referendum” (Il Riformista). Stefano Ceccanti, Enrico Morando: “Caro Letta, ripensaci. Il No al referendum sulla giustizia è un guaio” (Foglio). Gaetano Azzariti, “Onida, ci mancherà il suo pragmatismo militante” (Manifesto). UCRAINA/RUSSIA/NATO: Francesco Semprini, “L’Ucraina non vuole la tregua: permetterebbe ai russi di riposizionarsi” (Corriere della sera). Tonia Mastrobuoni, “Sì svedese all’Alleanza. Stoltenberg: l’Ucraina può vincere la guerra” (Repubblica). Claudio Cerasa, “Armare ancora Kiev per avere la pace” (Foglio). Nathalie Tocci, “Uno scudo europeo per gli scandinavi” (La Stampa). Stefano Stefanini, “Il gioco pericoloso di Ankara nell’Alleanza: minaccia il veto per Svezia e Finlandia” (La Stampa). Domenico Quirico, “Impossibile restare neutrali” (La Stampa). Vincenzo Camporini, “La Nato troppo forte? No, se anche l’Europa è più forte” (intervista a Il Riformista). Ivan Kristev, “Scompare la zona grigia. L’unica responsabile è Mosca” (intervista a La Stampa). Luigi Ferrajoli, “Guerra ucraina, il sogno oppure l’incubo?” (Manifesto). Robert Kaplan, “Xi è in difficoltà, ora non può aumentare il suo sostegno a Putin” (intervista a Repubblica). EUROPA/MONDO: Sergio Fabbrini, “Davanti alla sfida sovranista e alla crisi l’Europa deve darsi una nuova identità” (prefazione a un libro di G. Armillei – Il Quotidiano). Andrea Bonanni, “Il ricatto di Orban e il vincolo dell’unanimità” (Repubblica). Stefano Montefiori, “Donna, ‘veterana’ e di sinistra. Macron sceglie Borne come premier” (Corriere della sera). Maurizio Ambrosini, “Suprematismo mala pianta” (Avvenire).
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Matteo Maria Zuppi, “
Il buio della guerra e la fede da fitness
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L’arma dell’ascolto
Marianella Sclavi su Sbilanciamoci
Maggio 2022 | Sezione: Europa, primo piano
Non è facile il dialogo tra “noi” pacifisti italiani arrivati in Ucraina a portare aiuti e “loro”, gli ucraini sotto l’attacco della Russia. Lo potremmo sintetizzare in questo scambio, che insegna molto sull’arte di ascoltare.
NOI: “Noi sentiamo l’esigenza di non limitarci a mandarvi armi, ma di esserci, qui con voi, accanto a voi. Vogliamo sapere cosa ne pensate dell’idea di organizzare una grande presenza nonviolenta a Kiev, di cittadini di tutti i paesi europei che vengono a mettere in gioco il proprio corpo, la propria vita, accanto alla vostra, a sfidare accanto a voi l’aggressore, con l’arma della nonviolenza”.
LORO (dubitativi e allarmati): “Se questo fosse accaduto il secondo giorno dall’aggressione, quando gli abitanti delle prime città invase dai carri armati sono scesi in strada urlando loro di andarsene, riuscendo a farli arretrare, avrebbe avuto senso. Adesso è troppo tardi. Adesso una tale azione rischia di mettere in secondo piano quella che è in assoluto la nostra più vitale priorità: bloccare la loro invasione sul piano militare”.
NOI: “D’accordo con voi che le uniche ragioni che Putin capisce sono quelle della forza. Non è tipo col quale sedersi al tavolo a ragionare. Ma anche la nonviolenza è una forza, quando si manifesta nella presenza di migliaia di persone che hanno il coraggio di mettersi personalmente in gioco. Di fronte a cinquemila persone (come minimo) che dentro il territorio bellico manifestano pacificamente e coraggiosamente solidarietà con la resistenza del popolo ucraino, non credete che la minaccia di usare l’arma nucleare risulterebbe ridicola? I dittatori hanno più paura del ridicolo che delle armi e dei giudizi morali dei benpensanti”.
LORO: “Presenterebbe la vostra manifestazione come una ennesima “manipolazione occidentale”, un’altra “Piazza Maidan” organizzata dal governo Usa. E la stragrande maggioranza dei russi gli crederebbe. Il regalo che Putin ci ha fatto è stato di far di noi un popolo unito come non mai, unito e determinato anche a morire pur di non sottomettersi. Questa è la nostra forza attuale che ci fa sentire invincibili. Al negoziato si arriva unicamente con più armi e più sanzioni”,
NOI: “Ma se ai negoziati si arriva unicamente come esito del conflitto bellico, saranno solo i capi di governo e i signori della guerra a sedersi a quel tavolo e sappiamo già quale saranno i suoi contenuti e i suoi esiti, ovvero il perpetuarsi delle ostilità e la possibile ripresa della guerra ad ogni momento (vedi gli Accordi di Dayton che misero fine alla guerra nell’ex Jugoslavia). Invece all’ordine del giorno bisogna mettere come europei proprio l’idea di cambiare radicalmente il contesto politico, sociale, economico, che ha reso possibile l’aggressione. A quel tavolo deve esserci la presenza della società civile nonviolenta”.
LORO: “Siamo d’accordo, ma non è la nostra priorità in questo momento. E’ la vostra. Cambiate l’assetto dell’Europa nel senso che dite e noi siamo d’accordo”.
NOI: “Va bene. Mettiamola così: noi riteniamo fondamentale già oggi costruire gli Stati Uniti d’Europa che in futuro comprendano anche la Russia, dotati di un esercito difensivo e di Corpi civili di pace in grado di intervenire efficacemente nei conflitti al loro nascere. La Nato va superata, va eliminata come è successo al Patto di Varsavia. Sono espressioni della guerra fredda e non fanno che perpetuarla. Ma per fare questo non basta raccogliere firme e neppure partecipare a convegni o reclamare una nuova Conferenza di Helsinki, che nel 1975 aveva già deciso tutte le cose giuste rimaste sulla carta”.
LORO: “Noi siamo nonviolenti, amanti della pace costretti a difenderci con la violenza. Manifestate in massa perché i vostri governi ci diano più armi, mettano in atto più sanzioni e usino questo per arrivare ai negoziati al più presto possibile”.
NOI: “Per trasformazioni così radicali, per vincere le resistenze, perché la forza delle armi non annulli quella della nonviolenza, sono necessari atti clamorosi di coraggio messi in atto là dove è richiesto coraggio. Siamo convinti che una grande manifestazione a Kiev può avere delle ripercussioni molto più potenti che non decine di manifestazioni a Bruxelles”.
LORO: “Sì, forse sulle società e governi europei”.
NOI: “Non sopportiamo di sentirci come il popolo romano al Colosseo che guarda i gladiatori che lottano contro le bestie inferocite e si limitano ad alzare il pollice. Voi adesso siete i gladiatori d’Europa. Non è giusto, ci fa sentire dei vigliacchi. L’idea resta quella della grande manifestazione dei 5000 a Kiev”.
LORO (finalmente benevolenti). “Se lo fate, vi diamo una mano”.
NOI: “Oltre alle armi per la difesa violenta, anche le armi per abbracciarci: More arms for more hugs” è un possibile slogan”.
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Ostinatamente per la Pace. Cessate il fuoco e trattative subito
una Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola
Costituente Terra Newsletter n. 79 del 18 maggio 2022 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n. 263 del 18 maggio 2022
GUERRE PREVENTIVE
Cari Amici,
con grande affetto e rimpianto dobbiamo ricordare Valerio Onida, i cui funerali si sono celebrati ieri a Milano. Questo ricordo è indissolubilmente legato alla nostra Costituzione, oggi tanto in pericolo per il rovesciamento del principio pacifista su cui è fondata; egli non solo è stato presidente della Corte che ne garantisce l’autorità sulle leggi e sull’ordinamento, ma l’ha sempre sostenuta e difesa, anche attraverso i Comitati Dossetti per la Costituzione e nella battaglia per respingerne lo stravolgimento voluto da Matteo Renzi nel referendum del 2016. Quella di Valerio Onida è una perdita che colpisce in modo particolare “Costituente Terra” perché pensavamo che potesse essere lui a presiedere la Commissione redigente del testo finale di Costituzione della Terra da proporre all’ONU al termine del processo costituente che abbiamo avviato a partire dal
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Oggi purtroppo è l’idea stessa di un costituzionalismo mondiale e di una Costituzione della Terra che è messa in questione e devastata dalla regressione della situazione mondiale e della cultura politica all’apologia della guerra e alla lotta per il dominio, quali sono state scatenate dalla guerra in Ucraina.
È chiaro che il presupposto del luminoso progetto di una Costituzione della terra è che i popoli e gli Stati si riconoscano come membri di un’unica comunità mondiale e intendano vivere in pace – come sembrava possibile dopo la fine dello scontro tra i blocchi – e a questo scopo vogliano dotarsi di istituzioni adeguate, di un diritto sovraordinato alle legislazioni nazionali e fornito di corrispondenti efficaci garanzie. Questo è il progetto a cui stiamo lavorando e che dobbiamo perseguire con ancora maggiore decisione ed impegno essendone aumentata l’urgenza insieme alle difficoltà e alle condizioni ostative dovute al ritorno dei rapporti internazionali allo stato selvaggio.
Oggi non solo è riproposta la vecchia guerra come connaturata all’uomo e come strumento per rimodellare l’intero assetto mondiale, ma viene apertamente rivendicata e legittimata la guerra preventiva; ciò fa venir meno perfino i vecchi travestimenti della “guerra giusta”, difensiva o “umanitaria” che fosse, mentre ne viene millantata la legittimità sulla base di valutazioni del tutto opinabili.
Sulla Piazza Rossa il 9 maggio Putin per giustificare la sua guerra all’Ucraina ha detto che “la Russia ha reagito preventivamente contro l’aggressione”: si riferiva a un attacco della NATO “per un’invasione delle nostre terre storiche, compresa la Crimea; una minaccia per noi assolutamente inaccettabile, sistematicamente creata, direttamente ai nostri confini… Il pericolo è cresciuto ogni giorno; il nostro – ha aggiunto – è stato un atto preventivo, una decisione necessaria e assolutamente giusta, la decisione di un Paese sovrano, forte, indipendente”, mentre gli Stati Uniti minacciavano esclusione e umiliazione.
Questa “prevenzione” è stata un crimine di diritto internazionale (non solo la guerra ma anche la minaccia dell’uso della forza è proibita dallo Statuto dell’ONU) ed è stata anche un gravissimo errore di Putin perché in tal modo ha adottato e legittimato la dottrina della guerra preventiva enunciata dal suo principale avversario, gli Stati Uniti d’America. Sono stati infatti gli Stati Uniti a teorizzarla nella “Strategia della sicurezza nazionale” del settembre 2002, un anno dopo la tragedia delle Torri Gemelle dell’11 settembre. In quel documento si affermava che “la migliore difesa è un buon attacco”. Una volta concepito il mondo come un composto formato da Stati per bene e “Stati canaglia” e minacciato dal terrorismo, la conseguenza era questa: “non possiamo lasciare che i nostri nemici sparino per primi”. Ciò poteva andare bene durante la guerra fredda quando “la deterrenza era una difesa effettiva”, mentre oggi, si affermava, una “deterrenza basata solo sull’attesa di una risposta non funzionerebbe”. D’altra parte “gli Stati Uniti hanno mantenuto sempre l’opzione dell’azione preventiva per fronteggiare una minaccia effettiva alla sicurezza nazionale. Maggiore è la minaccia… e più impellente la necessità di intraprendere un’azione anticipatoria in difesa di noi stessi, persino nell’incertezza del luogo e dell’ora dell’attacco da parte del nemico”. Né si trattava solo di difesa nazionale: la sicurezza nazionale degli Stati Uniti consisteva essenzialmente nel dominio del mondo per il quale si preconizzava un unico modello di società valido per tutti: “ libertà, democrazia, e libera impresa”. “Manterremo le forze sufficienti per difendere la libertà” prometteva il documento, e per dissuadere qualunque avversario dalla speranza non solo di superare, ma anche di “eguagliare il potere degli Stati Uniti”. Questa era anche la ragione per disseminare “basi e stazioni all’interno e aldilà dell’Europa dell’Ovest e dell’Asia del Nord”, cioè in tutto il mondo.
Questa proiezione militare mondiale non riguardava peraltro solo gli Stati Uniti, ma era estesa agli alleati ed amici in Canada e in Europa; la NATO a sua volta doveva “essere in grado di agire ovunque gli interessi americani (“i nostri interessi”) fossero minacciati, “creando coalizioni sotto il mandato della stessa NATO, così come contribuire a coalizioni sulla base di singole missioni”. Infatti la NATO, agendo come un potere sovrano, aveva pochi anni prima fatto una guerra preventiva contro la Jugoslavia per la separazione del Kosovo. E se tutto ciò era stabilito quando, venuta meno l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti erano passati “da una situazione di contrapposizione a un regime di cooperazione con la Russia” tanto più doveva valere quando la Russia era tornata ad essere percepita come nemico e insieme alla Cina veniva annoverata tra le “potenze revisioniste” volte a mutare a loro favore gli equilibri internazionali; la strategia della sicurezza nazionale pubblicata nel 2018, sotto l’amministrazione Trump, contemplava pertanto “forze armate più letali” e dichiarava che gli Stati Uniti avrebbero fronteggiato le sfide alla propria sicurezza “al fianco, con e per mezzo dei propri alleati e dell’Unione Europea”.
È in questo quadro che si pone l’estensione della NATO ad est, e l’annunciata acquisizione ad essa dell’Ucraina prima, della Finlandia e della Svezia ora, in funzione di quella che la rivista “Limes” chiama la “semifinale” per “sbarazzarsi di Putin – fors’anche della Russia”-, per passare poi alla “partita del secolo contro la Cina”. Si è creata quindi una reciprocità di guerre preventive a cui, per fortuna, oggi non partecipa la Cina che, secondo Hu Chunchun, professore dell’università di Shangai che ne scrive su “Limes”, afferma “il primato della pace e dell’armonia” e depreca “il bisogno tutto europeo” (ma potrebbe dire piuttosto americano) “di stabilire un vincitore unico e definitivo”, mentre proprio l’Europa “in questo esatto momento” dovrebbe assumersi la responsabilità storica della pace nel mondo.”
Ma questo sarebbe un altro mondo, eppure necessario e possibile.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo sugli ultimi sviluppi della guerra in corso.
Cordiali saluti,
www.costituenteterra.it
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Newsletter n. 263 del 18 maggio 2022
Chiesadituttichiesadeipoveri
GUERRE PREVENTIVE
Cari Amici,
La guerra in Ucraina non accenna a finire e sta provocando una regressione della situazione mondiale e della cultura politica all’apologia della guerra e alla lotta per il dominio.
Oggi non solo è riproposta la vecchia guerra come connaturata all’uomo e come strumento per rimodellare l’intero assetto mondiale, ma viene apertamente rivendicata e legittimata la guerra preventiva; ciò fa venir meno perfino i vecchi travestimenti della “guerra giusta”, difensiva o “umanitaria” che fosse, mentre ne viene millantata la legittimità sulla base di valutazioni del tutto opinabili.
Sulla Piazza Rossa il 9 maggio Putin per giustificare la sua guerra all’Ucraina ha detto che “la Russia ha reagito preventivamente contro l’aggressione”: si riferiva a un attacco della NATO “per un’invasione delle nostre terre storiche, compresa la Crimea; una minaccia per noi assolutamente inaccettabile, sistematicamente creata, direttamente ai nostri confini… Il pericolo è cresciuto ogni giorno; il nostro – ha aggiunto – è stato un atto preventivo, una decisione necessaria e assolutamente giusta, la decisione di un Paese sovrano, forte, indipendente”, mentre gli Stati Uniti minacciavano esclusione e umiliazione.
Questa “prevenzione” è stata un crimine di diritto internazionale (non solo la guerra ma anche la minaccia dell’uso della forza è proibita dallo Statuto dell’ONU) ed è stata anche un gravissimo errore di Putin perché in tal modo ha adottato e legittimato la dottrina della guerra preventiva enunciata dal suo principale avversario, gli Stati Uniti d’America. Sono stati infatti gli Stati Uniti a teorizzarla nella “Strategia della sicurezza nazionale” del settembre 2002, un anno dopo la tragedia delle Torri Gemelle dell’11 settembre. In quel documento si affermava che “la migliore difesa è un buon attacco”. Una volta concepito il mondo come un composto formato da Stati per bene e “Stati canaglia” e minacciato dal terrorismo, la conseguenza era questa: “non possiamo lasciare che i nostri nemici sparino per primi”. Ciò poteva andare bene durante la guerra fredda quando “la deterrenza era una difesa effettiva”, mentre oggi, si affermava, una “deterrenza basata solo sull’attesa di una risposta non funzionerebbe”. D’altra parte “gli Stati Uniti hanno mantenuto sempre l’opzione dell’azione preventiva per fronteggiare una minaccia effettiva alla sicurezza nazionale. Maggiore è la minaccia… e più impellente la necessità di intraprendere un’azione anticipatoria in difesa di noi stessi, persino nell’incertezza del luogo e dell’ora dell’attacco da parte del nemico”. Né si trattava solo di difesa nazionale: la sicurezza nazionale degli Stati Uniti consisteva essenzialmente nel dominio del mondo per il quale si preconizzava un unico modello di società valido per tutti: “ libertà, democrazia, e libera impresa”. “Manterremo le forze sufficienti per difendere la libertà” prometteva il documento, e per dissuadere qualunque avversario dalla speranza non solo di superare, ma anche di “eguagliare il potere degli Stati Uniti”. Questa era anche la ragione per disseminare “basi e stazioni all’interno e aldilà dell’Europa dell’Ovest e dell’Asia del Nord”, cioè in tutto il mondo.
Questa proiezione militare mondiale non riguardava peraltro solo gli Stati Uniti, ma era estesa agli alleati ed amici in Canada e in Europa; la NATO a sua volta doveva “essere in grado di agire ovunque gli interessi americani (“i nostri interessi”) fossero minacciati, “creando coalizioni sotto il mandato della stessa NATO, così come contribuire a coalizioni sulla base di singole missioni”. Infatti la NATO, agendo come un potere sovrano, aveva pochi anni prima fatto una guerra preventiva contro la Jugoslavia per la separazione del Kosovo. E se tutto ciò era stabilito quando, venuta meno l’Unione Sovietica gli Stati Uniti erano passati “da una situazione di contrapposizione a un regime di cooperazione con la Russia” tanto più doveva valere quando la Russia era tornata ad essere percepita come nemico e insieme alla Cina veniva annoverata tra le “potenze revisioniste” volte a mutare a loro favore gli equilibri internazionali; la strategia della sicurezza nazionale pubblicata nel 2018, sotto l’amministrazione Trump, contemplava pertanto “forze armate più letali” e dichiarava che gli Stati Uniti avrebbero fronteggiato le sfide alla propria sicurezza “al fianco, con e per mezzo dei propri alleati e dell’Unione Europea”.
È in questo quadro che si pone l’estensione della NATO ad est, e l’annunciata acquisizione ad essa dell’Ucraina prima, della Finlandia e della Svezia ora, in funzione di quella che la rivista “Limes” chiama la “semifinale” per “sbarazzarsi di Putin – fors’anche della Russia”-, per passare poi alla “partita del secolo contro la Cina”. Si è creata quindi una reciprocità di guerre preventive a cui, per fortuna, oggi non partecipa la Cina che, secondo Hu Chunchun, professore dell’università di Shangai che ne scrive su “Limes” afferma “il primato della pace e dell’armonia” e depreca “il bisogno tutto europeo” (ma potrebbe dire piuttosto americano) “di stabilire un vincitore unico e definitivo”, mentre proprio l’Europa “in questo esatto momento” dovrebbe assumersi la responsabilità storica della pace nel mondo.”
Ma questo sarebbe un altro mondo, eppure necessario e possibile.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo sugli ultimi sviluppi della guerra in corso, e un documento dell’associazione “Viandanti” sulla Liturgia nell’ambito della riflessione ecclesiale che si sta svolgendo nell’attuale percorso sinodale nella Chiesa.
Con i più cordiali saluti,
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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COMUNICATO STAMPA
PRIMO ANNIVERSARIO DELLA RETE DI IMPRESE “WARFREE – LÌBERU DAE SA GHERRA”
22 Maggio 2022 – dalle 9:00 alle 20:00
Questa domenica – 22 Maggio 2022 – ricorrerà il 1° anniversario dalla fondazione della Rete Warfree (Associazione di categoria “Warfree – Rete Imprenditori, Commercianti e Professionisti per la Pace e la Transizione Ecologica).
Per l’occasione, insieme alla Cooperativa WarFree Service, alla Comunità “Saludi e Trigu!” e all’Associazione di Promozione Sociale “Link – Legami di Fraternità”, è stata organizzata un’intera giornata di festa, riflessione, dialogo, scambi, cultura e relax, per i soci, i loro familiari e le persone interessate.
Dalla mattina alla sera, si svolgeranno, presso i Giardini della Biodiversità (Via Leonardo da Vinci n.2 – Iglesias), una serie di eventi di vario genere.
Ringraziamo per l’ospitalità la rete di associazioni che gestisce il Giardino e la Chiesa altomedievale del Salvatore, in convenzione con il Comune di Iglesias. Si tratta di un bellissimo posto, che testimonia secoli di storia e profuma di fiori, piante, cultura di accoglienza e di pace.
La Rete Warfree è formata da oltre 50 soci, in rappresentanza di altrettante organizzazioni economiche e culturali che ripudiano la guerra e sono impegnate quotidianamente nella promozione concreta della cultura della sostenibilità e della responsabilità sociale.
La promozione dei prodotti Warfree – Lìberu dae sa gherra è già avviata sul mercato globale grazie al marketplace www.warfree.net e al Marchio Collettivo Europeo “Warfree” che ne garantisce l’origine e certifica il rispetto dei parametri etici ed ecologici stabiliti dalla Carta dei Valori Warfree.
Domenica 22, tutti i produttori e i fornitori di servizi che fanno parte della Rete potranno partecipare anche con uno stand dove esporranno la propria offerta, insieme alle imprese, ai coltivatori e agli hobbisti del Mercato della Biodiversità, una presenza regolare presso il Giardino di via L. Da Vinci.
Per l’occasione, gli stands rimarranno attivi fino alla sera.
Le attività, aperte ai soci e agli altri invitati, inizieranno alle ore 9:30 con un focus sullo Sportello Agile, un’iniziativa di supporto all’imprese Warfree.
Subito dopo, si apriranno gli stands del Mercato della Biodiversità e, contemporaneamente, alcuni professionisti dello Sportello Agile saranno disponibili per consulenze gratuite, fino all’ora di pranzo.
Il pranzo sarà al sacco, in condivisione, con particolare attenzione alla sostenibilità e alla gestione dei rifiuti (possibilmente solo organici e da riportare a casa).
Dopo pranzo, … relax e giochi di conoscenza fino alle 16, quando la giornata si aprirà ad un gruppo scout e ad altro pubblico esterno per “Warfree Stories”, un’oretta di presentazione di alcune esperienze di imprenditori contro la guerra.
Dalle 17:15 alle 18:30 si svolgerà l’Assemblea Programmatica dell’Associazione per l’annualità 2022-23, aperta anche gli ospiti non soci.
Durante l’Assemblea, la cantante, attrice, musicista, artista poliedrica Rossella Faa sarà nominata Socia Onoraria della Rete Warfree e, successivamente, chiuderà la serata con una performance artistica.
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Ostinatamente per la Pace in Ucraina e nel Mondo
Un Comitato per dare più forza in Sardegna alla opposizione all’invio di armi, al riarmo e per una trattativa immediata
Si è tenuto lunedì 16 maggio nella sede della CSS la prima riunione dei firmatari dell’appello “Comitato NO ARMI-Trattativa subito” per allargare il fronte di opposizione al riarmo, all’invio di armi e per la cessazione della guerra in Ucraina con la trattativa sotto l’egida delle organizzazioni internazionali preposte al mantenimento della pace nel mondo.
Hanno partecipato una quarantina di persona, e, in collegamento, esponenti di vari territori: Nuoro, Oristano, Carbonia, S. Antioco, Medio Campidano, Marmilla.
Ha introdotto l’incontro Andrea Pubusa, il quale ha svolto una breve relazione spiegando le ragioni del Comitato.
“Siamo di fronte ad una situazione straordinaria e ad un’urgenza assoluta. Dobbiamo mettere in campo tutte le nostre forze per contrastare un’isteria bellicista, mai vista in epoca repubblicana, dobbiamo opporci con decisione al riarmo e alla militarizzazione del dibattito pubblico e politico. Dobbiamo difendere sul campo la Costituzione, attaccata apertamente sopratutto nella libertà di manifestazione del pensiero e nelle preroative del Parlamento.
C’è una criminalizzazione del pensiero critico, c’è una censura nei confronti di chi non è per l’incremento della risposta armata ed è per una trattativa immediata. Il Presidente del Consiglio ha arrogato a sé e al Ministro della difesa le competenze sulla politica in relazione al conflitto Russia/Ucraina e non accetta di assumere gli indirizzi del Parlamento cui la Costituzione demanda le scelte politiche generali, sopratutto in una materia, la guerra, su cui la nostra Carta specificamante richiama e sottolinea la comptenza del Parlamento.
In questo modo il popolo italiano, che in larga misura è contro l’invio di armi e il riarmo e vuole iniziative di pace, viene messo ai margini, come avvenne già nella Prima e Seconda guerra mondiale.
Ecco perché questa voce noi dobbiamo sollecitarla, organizzarla e farla sentire forte e chiara al governo e nel dibattito pubblico.
Ora, in Sardegna la risposta è debole, nei piccoli centri è quasi nulla, perché i gruppi di compagni hanno difficoltà di organizzazione, non hanno supporti, mancano di riferimenti, non essendoci più partiti o organizzazioni politiche capaci di esprimere in particolare su questa questione della guerra un orientamento omogeneo.
Ecco, noi dobbiamo sforzarci col Comitato che oggi vogliamo varare di offrire un riferimento, di dare una sponda a queste realtà e metterle, per quanto è possibile, in movimento, dovremo lanciare una campagna in tutta la Sardagna.
È un’impresa molto difficile, ma abbiamo nel territorio dei nuclei di compagni che già si sono mobilitati, ad es. nel referendum del 2016, molti dei compagni di quella battaglia hanno già aderito a questa di oggi. Per il loro tramite vediamo come nella varie province e nella varie zone possiamo mettere in piedi la nostra campagna.
Sia ben chiaro questo Comitato non si sovrappone alle iniziative di associazioni che già si stanno muovendo e si muoveranno su questo fronte. Semmai, nei limiti delle nostre possibilità, cercheremo di dare una mano a chiunque si mobiliti in questa battaglia. Per questo le adesioni al Comitato sono individuali, anche se evidentemente ognuno di noi si porta dietro i rapporti e i legami che ha nelle situazioni in cui opera.
Dobbiamo dunque ora decidere se questa esigenza che vi ho rappresentato è reale, se il Comitato che sinteticamente vi ho poposto è utile e necessario, come lo organizziamo. Io penso che debba essere un organismo molto agile e snello con alcuni compagni che si assumano il compito di coordinare e tenere i rapporti coi territori.
Dobbiamo sollecitare i compagni del sassarese ad assumere una iniziativa analoga alla nostra onde rendere più adeguata ed incisiva la campagna nel Nord Sardegna.
Dovremmo stabilire le forme per lanciarlo, conferenza stampa o altro, e iniziare a lavorare ad alcune iniziative grosse nei capoluoghi di provincia e negli altri centri maggiori dell’Isola per raccogliere i compagni e dare un visibile segnale esterno”.
È seguito un intenso dibattito [19 interventi prima delle conclusioni di Pubusa]* in cui sono stati affrontati i problemi politici e quelli organizzativi. E’ emersa una volontà di impegno unitario, pur nella varietà di accenti sui vari aspetti che la complessa vicenda bellica pone. Ora si farà il censimento delle forze nei territori, ci si propone di arrivare alla presentazione del Comitato e del suo programma e di avviare le prime iniziative.
Ecco l’appello che verrà sottoposto alla discusione, per poi porlo alla base delle adesioni.
Comitato NO ARMI-Trattativa subito
Noi condanniamo senza se e senza ma l’invasione dell’Ucraina. Putin dovrà risponderne al suo popolo e alla Storia.
Per porre fine al massacro abbiamo di fronte due strade: affidarsi alla forza delle armi o mobilitarsi con un’azione nonviolenta per una trattativa immediata e una soluzione diplomatica.
Pensiamo che le armi siano la risposta sbagliata. Il nemico più grande è la guerra, la pretesa di sconfiggere Putin con una escalation militare, scalzandolo dal potere, comporta innumerevoli morti, sofferenze atroci tra i civili e un futuro di miseria per una moltitudine di persone,, anche in Europa, Italia e Sardegna.
Più di tutto ci preoccupa il possibile impiego di armi nucleari, che rappresentano una minaccia per l’insieme della vita sulla terra e una possibile sentenza di morte per l’umanità.
La parola pace è censurata. L’informazione non esprime la varietà di posizioni presenti tra l’opinione pubblica. La maggioranza contraria all’invio di armi viene sistematicamente ignorata, anche dal governo e dal parlamento italiani.
Per i media non c’è alternativa alla guerra, che rappresentano come uno scontro tra buoni e cattivi, dove la somma degli orrori cancella il “chi, dove, come, quando e perché”. Il sangue delle vittime deve chiamare altro sangue per giustificare la necessità di una sconfitta definitiva dell’aggressore.
È ora di dire basta alle armi e di agire in maniera nonviolenta, a partire dall’accoglienza dei profughi di ogni guerra. Creiamo una comunità determinata a far sentire la propria voce contro l’invio di armi in Ucraina, contro il riarmo per una trattativa immediata. La nostra iniziativa è una protesta per opporsi alla deriva verso l’allargamento e il proseguimento del conflitto.
Intendiamo su questi obiettivi avviare una campagna in Sardegna, a cui tutti coloro che condividono l’obiettivo possono aderire e partecipare.—————————————-
*Sono intervenuti dopo i saluti di Giacomo Meloni e la relazione di Andrea Pubusa (che ha anche chiuso): Dina Raggio, Emanuele Pes, Franco Meloni, Graziano Bullegas, Rosa Maggio, Claudia Zuncheddu, Antonello Murgia, Paolo Pisu, Graziano Pintori, Riccardo Cardia, Gianna Lai, Carla Cossu, Dina Raggio (2), Enrico Sanna, Piero Carta, Antonello Giuntini, Marco Mameli.
Russia-Ucraina: il mondo deve imporre il negoziato
di Matteo Zuppi
La tragica guerra tra Russia e Ucraina non sfugge al bipolarismo da like/no like che il web impone, facendo illudere di contare, in realtà semplificando pericolosamente perché ignora l’intreccio tra torti e ragioni e la complessità della storia. Il contrario, ovviamente, non è il sospetto che scivola nell’irrazionalità e nelle fake news.
Chi sfugge al bipolarismo agonistico prende la posizione che deve orientare le scelte, senza ambiguità, ma con intelligenza: la pace. Solo scegliendo la pace si trovano le soluzioni e i compromessi indispensabili per raggiungerla. Perché ogni secondo di guerra è un conto che pagano le vittime, dirette (le migliaia di civili, considerati volutamente come bersagli) e indirette (gli anziani che non hanno protezione o i malati che devono interrompere le terapie).
Occorre “fare” la pace, a qualsiasi prezzo. Certo, c’è aggressore e aggredito, e “fare” la pace non significa mettere tutti sullo stesso piano. La Russia ha perso tutte le ragioni avviando un conflitto che papa Francesco per primo ha svelato per ciò che effettivamente è: non si tratta «solo di un’operazione militare speciale, ma di guerra, che semina morte, distruzione e miseria». La posizione è quindi chiara: condanna della guerra in atto e di chi l’ha iniziata. Ma quello che serve ora, insieme al diritto a difendersi, è lavorare con determinazione per «porre le basi di un dialogo sempre più allargato», imponendo il negoziato.
Occorre coinvolgere interlocutori che si impegnino per identificare la soluzione e garantirne l’attuazione. Solo cercando la pace si mette un limite alla logica della guerra! Il realismo da scegliere è il disarmo, e finanziare organismi internazionali capaci di limitare i nazionalismi, per far crescere il concerto di nazioni che hanno cura dell’unica “casa comune”. Il fatto è che, come dice l’enciclica Fratelli tutti, «non c’è più spazio per diplomazie vuote, per dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone maniere che nascondono la realtà». Il processo di pace «è un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta».
Questo è ciò che serve oggi: non belle intenzioni, ma scelte consapevoli che affrontano il presente e preparano un futuro di pace
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[Dal Blog di Enzo Bianchi
Fondatore della comunità di Bose]
Ostinatamente per la Pace: costituito il Comitato NO Armi – Trattativa subito
Un Comitato per dare più forza in Sardegna alla opposizione all’invio di armi, al riarmo e per una trattativa immediata
Si è tenuto lunedì 16 maggio nella sede della CSS la prima riunione dei firmatari dell’appello “Comitato NO ARMI-Trattativa subito” per allargare il fronte di opposizione al riarmo, all’invio di armi e per la cessazione della guerra in Ucraina con la trattativa sotto l’egida delle organizzazioni internazionali preposte al mantenimento della pace nel mondo.
Hanno partecipato una quarantina di persona, e, in collegamento, esponenti di vari territori: Nuoro, Oristano, Carbonia, S. Antioco, Medio Campidano, Marmilla.
Ha introdotto l’incontro Andrea Pubusa, il quale ha svolto una breve relazione spiegando le ragioni del Comitato.
“Siamo di fronte ad una situazione straordinaria e ad un’urgenza assoluta. Dobbiamo mettere in campo tutte le nostre forze per contrastare un’isteria bellicista, mai vista in epoca repubblicana, dobbiamo opporci con decisione al riarmo e alla militarizzazione del dibattito pubblico e politico. Dobbiamo difendere sul campo la Costituzione, attaccata apertamente sopratutto nella libertà di manifestazione del pensiero e nelle prerogative del Parlamento.
C’è una criminalizzazione del pensiero critico, c’è una censura nei confronti di chi non è per l’incremento della risposta armata ed è per una trattativa immediata. Il Presidente del Consiglio ha arrogato a sé e al Ministro della difesa le competenze sulla politica in relazione al conflitto Russia/Ucraina e non accetta di assumere gli indirizzi del Parlamento cui la Costituzione demanda le scelte politiche generali, sopratutto in una materia, la guerra, su cui la nostra Carta specificamente richiama e sottolinea la competenza del Parlamento.
In questo modo il popolo italiano, che in larga misura è contro l’invio di armi e il riarmo e vuole iniziative di pace, viene messo ai margini, come avvenne già nella Prima e seconda guerra mondiale.
Ecco perché questa voce noi dobbiamo sollecitarla, organizzarla e farla sentire forte e chiara al governo e nel dibattito pubblico.
Ora, in Sardegna la risposta è debole, nei piccoli centri è quasi nulla, perché ii gruppi di compagni hanno difficoltà di organizzazione, non hanno supporti, mancano di riferimenti, non essendoci più partiti o organizzazioni politiche capaci di esprimere in particolare su questa questione della guerra un orientamento omogeneo.
Ecco, noi dobbiamo sforzarci col Comitato che oggi vogliamo varare di offrire un riferimento, di dare una sponda a queste realtà e metterle, per quanto è possibile, in movimento, dovremo lanciare una campagna in tutta la Sardegna.
È un’impresa molto difficile, ma abbiamo nel territorio dei nuclei di compagni che già si sono mobilitati, ad es. nel referendum del 2016, molti dei compagni di quella battaglia hanno già aderito a questa di oggi. Per il loro tramite vediamo come nella varie province e nella varie zone possiamo mettere in piedi la nostra campagna.
Sia ben chiaro questo Comitato non si sovrappone alle iniziative di associazioni che già si stanno muovendo e si muoveranno su questo fronte. Semmai, nei limiti delle nostre possibilità, cercheremo di dare una mano a chiunque si mobiliti in questa battaglia. Per questo le adesioni al Comitato sono individuali, anche se evidentemente ognuno di noi si porta dietro i rapporti e i legami che ha nelle situazioni in cui opera.
Dobbiamo dunque ora decidere se questa esigenza che vi ho rappresentato è reale, se il Comitato che sinteticamente vi ho poposto è utile e necessario, come lo organizziamo. Io penso che debba essere un organismo molto agile e snello con alcuni compagni che si assumano il compito di coordinare e tenere i rapporti coi territori.
Dobbiamo sollecitare i compagni del sassarese ad assumere una iniziativa analoga alla nostra onde rendere più adeguata ed incisiva la campagna nel Nord Sardegna.
Dovremmo stabilire le forme per lanciarlo, conferenza stampa o altro, e iniziare a lavorare ad alcune iniziative grosse nei capoluoghi di provincia e negli altri centri maggiori dell’Isola per raccogliere i compagni e dare un visibile segnale esterno”.
È seguito un intenso dibattito in cui sono stati affrontati i problemi politici e quelli organizzativi. È emersa una volontà di impegno unitario, pur nella varietà di accenti sui vari aspetti che la complessa vicenda bellica pone. Ora si farà il censimento delle forze nei territori, ci si propone di arrivare alla presentazione del Comitato e del suo programma e di avviare le prime iniziative.
Ecco l’appello che verrà sottoposto alla discussione, per poi porlo alla base delle adesioni.
Comitato NO ARMI-Trattativa subito
Noi condanniamo senza se e senza ma l’invasione dell’Ucraina. Putin dovrà risponderne al suo popolo e alla Storia.
Per porre fine al massacro abbiamo di fronte due strade: affidarsi alla forza delle armi o mobilitarsi con un’azione nonviolenta per una trattativa immediata e una soluzione diplomatica.
Pensiamo che le armi siano la risposta sbagliata. Il nemico più grande è la guerra, la pretesa di sconfiggere Putin con una escalation militare, scalzandolo dal potere, comporta innumerevoli morti, sofferenze atroci tra i civili e un futuro di miseria per una moltitudine di persone,, anche in Europa, Italia e Sardegna.
Più di tutto ci preoccupa il possibile impiego di armi nucleari, che rappresentano una minaccia per l’insieme della vita sulla terra e una possibile sentenza di morte per l’umanità.
La parola pace è censurata. L’informazione non esprime la varietà di posizioni presenti tra l’opinione pubblica. La maggioranza contraria all’invio di armi viene sistematicamente ignorata, anche dal governo e dal parlamento italiani.
Per i media non c’è alternativa alla guerra, che rappresentano come uno scontro tra buoni e cattivi, dove la somma degli orrori cancella il “chi, dove, come, quando e perché”. Il sangue delle vittime deve chiamare altro sangue per giustificare la necessità di una sconfitta definitiva dell’aggressore.
È ora di dire basta alle armi e di agire in maniera nonviolenta, a partire dall’accoglienza dei profughi di ogni guerra. Creiamo una comunità determinata a far sentire la propria voce contro l’invio di armi in Ucraina, contro il riarmo per una trattativa immediata. La nostra iniziativa è una protesta per opporsi alla deriva verso l’allargamento e il proseguimento del conflitto.
Intendiamo su questi obiettivi avviare una campagna in Sardegna, a cui tutti coloro che condividono l’obiettivo possono aderire e partecipare.—————————————-
Prime adesioni: Andrea Pubusa, Antonello Murgia, Luisa Sassu, Franco Meloni, Lucia Chessa, Gianni Fresu, Fernando Codonesu, Salvatore Lai, Giacomo Meloni, Mauro Tuzzolino, Rosamaria Maggio, Marco Mameli, Graziano Pintori, Nicola Melis, Gianna Lai, Marco Pitzalis, Carla Cossu, Marco Lostia, Raffaele Felce, Lorena Cordeddu, Piero Carta, Mariantonietta Pilia, Francesca Pubusa, Simone Angei, Riccardo Cardia, Carlo Marras, Lidia Roversi, Graziano Bullegas, Roberto Loddo, Paolo Pisu, Lorenzo Marilotti, Federico Melis, Emanuele Pes, Pino Calledda, Pasquale Alfano, Roberto Deiana, Roberto Piras, Mauro Tunis, Ninni Santus, Franco Nurzia, Martino Pani, Maria De Murtas, Maria Silvana Congiu, Paolo Zedde, Angela Multinu, Cecilia Lilliu, Maria Grazia Mele, Gianna Melis R., Adry Sanna, Maria Paola Lai, Carlo Gessa, Ennio Cabiddu, Amalia Trudu, Maria Elisabetta Angius, Annamaria Castaldi, Gianmario Bordicchia, Giorgio Borgini, Igna Colombi, Claudia Zuncheddu, Irma Ibba, Gisella Trincas Maglione, Dina Raggio, Rosalba Meloni, Lidia Roversi, Beatrice Massa, Giovanni Deriu, Mario Argiolas, Antonio Muscas, Tina Argiolas, Gianfranco Ghironi, Egidio Addis, Margherita Concas, Adriana Morittu, Susanna Sitzia, Andrea Giulio Pirastu, Letizia Calledda, Arnaldo Scarpa, Roberta Piacenza, Giuseppino Granara, Remo Ronchitelli, Rina Salis, Carlo Bellisai, Enrico Sanna, Antonio Contu, Marco Meloni Lai, Valeria Casula, Franco Dolia, Erminia Piera Biancini, Francesco Casula, Peppe Luisu Pala Melone, Efisio Serra, Dino Biggio, Marco Veloce
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