Editoriali

Pace

cf25142c-f3ed-4983-b33d-8a862dbf151dLa manifestazione a Roma del 5 novembre per la pace segnala una svolta importante

di Alfiero Grandi
​[22.10.2022]

Per troppo tempo la scena è stata occupata solo dall’impegno ad inviare sempre più armi occidentali all’Ucraina. Non a caso Kissingher ha parlato di guerra senza obiettivi chiari di sbocco. Ora inizia una fase nuova.
L’Ucraina ha diritto a difendersi dall’aggressione voluta da Putin, ma l’attenzione deve ora concentrarsi su come costruire un percorso verso la tregua e la pace.
E’ evidente che i continui bombardamenti sull’Ucraina destano orrore per le stragi e purtroppo confermano che le guerre fanno vittime anzitutto tra i civili. Non vanno taciuti neppure gli attentati e i bombardamenti verso persone e strutture con vittime come quelli organizzati dall’Ucraina, da cui gli Usa non a caso hanno preso le distanze.
La guerra continua ed è destinata a portare altri orrori, vite spezzate, sconvolte, va fermata.
La reazione del G7 non prevede iniziative di pace e insiste sull’invio solo di altre armi all’Ucraina. E’ una spinta alla continuazione della guerra. Stoltenberg segretario generale della Nato è protagonista di queste scelte militariste e ha chiesto agli stati membri di produrre più armi, per rifornire gli arsenali dei vari paesi. La spinta a produrre più armi, al riarmo, a spendere più risorse negli armamenti è in pieno svolgimento. E’ una modifica rilevante della destinazione delle risorse pubbliche proprio quando c’è grande bisogno di destinarle alla parte che soffre di più la crisi.
Alle tragedie della guerra si aggiunge una distorsione delle scelte economiche che è una promessa di altre guerre, perché le armi sono prodotte per essere usate, per uccidere e devastare. L’Ucraina è anche un drammatico terreno di sperimentazione di nuovi armamenti.
La pace dovrebbe fondarsi su un clima di distensione, di fiducia, di disarmo, oggi è il contrario, quindi occorre produrre inversioni di tendenza.
Il perno della posizione del G7, come della Nato, è di sostenere l’Ucraina fino a quando sarà essa stessa a decidere che è giunto il momento di cessare le ostilità.
Questa posizione, esposta più volte anche da Draghi come Presidente del Consiglio, è una contraddizione in termini e un errore politico che dietro la facciata dell’aiuto all’Ucraina non riesce a nascondere la scelta per una soluzione armata del conflitto in Ucraina e quindi parla di sconfitta dell’avversario, non di tregua e pace.
Se fosse vero che deve essere l’Ucraina a decidere pace o guerra allora dovrebbe farlo insieme a quanti la sostengono anche sul piano militare, cosa che il gruppo dirigente ucraino non intende fare. Perfino gli Usa non sempre sanno cosa fanno gli ucraini. Inoltre se ci fosse un accordo su cosa fare è evidente che il coinvolgimento passerebbe dalla fornitura di armi alla aperta cobelligeranza, quindi dovremmo entrare apertamente in guerra contro la Russia.
Per ora siamo sull’orlo del burrone ma un passo ulteriore porterebbe ad un coinvolgimento diretto.
Quindi decide l’Ucraina è un paravento che non riesce a nascondere la volontà di proseguire la guerra.
Per di più nessuno ha delegato l’Ucraina a creare condizioni che potrebbero scatenare una nuova guerra mondiale, o peggio un conflitto nucleare.
Senza contare che la guerra ha conseguenze economiche ed ambientali enormi. La crisi energetica, con le conseguente inflazione, sta mettendo in ginocchio le economie europee, ma non quella Usa. Anzi, la vendita del gas naturale americano avviene ad un prezzo 3, 4 volte superiore al mercato interno, con una disparità concorrenziale enorme a sfavore dell’Europa. L’Europa sembra non accorgersi pienamente delle conseguenze devastanti sull’economia, sull’occupazione, sulla vita delle persone.
Per di più l’Opec si fa beffe delle richieste di mantenere basso il prezzo del petrolio. Gli impegni presi con gli Usa non vengono mantenuti dai paesi del Golfo, Arabia Saudita in testa.
Avremo recessione, disoccupazione, chiusura di aziende, redditi in picchiata, povertà in aumento vertiginoso, probabilmente freddo nei locali ma potrebbe non essere il problema più grave.
Questo non porterà benefici all’Ucraina e diventerà un dramma per l’Europa.
Altri sono al riparo da queste conseguenze. Anche se va detto che il futuro dell’economia mondiale oggi è un’incognita per tutti.
Investire tutto sulla guerra provocherà altri orrori mentre occorre interrompere i combattimenti, convocare una conferenza internazionale per la pace per costruire pazientemente una condizione di pace e sicurezza per tutta l’area a partire dall’Ucraina.
Sono questi gli obiettivi centrali della manifestazione del 5 novembre con l’obiettivo di contribuire a porre fine a questa tragedia, scatenata dall’invasione voluta da Putin.
Appena un anno fa il mondo era concentrato sulla crisi climatica e ambientale, cercando le strade per evitare lo sfondamento dei parametri, a partire dalla temperatura per non farla crescere più di un grado e mezzo. I paesi che si impegnavano a contribuire al coordinamento degli obiettivi oggi hanno altre priorità e come conseguenza il cambiamento climatico sta imperversando.
L’obiettivo di un anno fa ora sembra un miraggio e le conseguenze saranno catastrofiche per la vita di tutti.
Il problema ora è come uscire dalla spirale di guerra, mettendo fine ad una tragedia immane nel cuore dell’Europa, prima che sia troppo tardi. Ricordando che in Italia nessuno ha delega per fare la guerra, tanto meno senza dirlo e deciderlo.
Cresce la consapevolezza che è urgente avviare un’inversione verso la pace. Si avverte una crescente, fondata preoccupazione nell’opinione pubblica.
In passato la guerra nucleare è stata evitata perché tutti i protagonisti hanno capito che non si poteva pretendere usare le atomiche per ottenere cambi di regime. La presenza di regimi diversi è la chiave della coesistenza tra diversi.
Questo è vero ora in Ucraina come in Russia. La coesistenza è tra regimi diversi, altrimenti non è. Che senso ha, ad esempio, vietare per decreto trattative con l’avversario ?
Libano e Israele, che non hanno mai firmato tra loro un trattato di pace dopo la guerra, hanno raggiunto un accordo per spartirsi i giacimenti di gas off shore, dimostrando che invertire la rotta è possibile, anche a piccoli passi.
Se l’obiettivo è un futuro di pace e di indipendenza per l’Ucraina, garantito da accordi internazionali, la ricerca di una soluzione pacifica è l’unica via. Continuare in uno scontro ideologico sempre più aspro (e armato fino ai denti) porterebbe a conseguenze drammatiche, per l’Europa e per il mondo intero.
Ora siamo al bivio tra guerra e pace. La manifestazione del 5 novembre incarna la speranza che riprenda a volare alta e unitaria la volontà di pace.
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Coordinamento Provinciale “PREPARIAMO LA PACE”
COMUNICATO STAMPA
La minaccia nucleare incombe sul mondo. Occorre fermare questa follia. L’umanità ed il pianeta non possono accettare che le contese si risolvano con i conflitti armati. La guerra ha conseguenze globali: è la principale causa delle crisi alimentari mondiali, ancor più disastrose in Africa e Oriente, incide sul caro-vita, sulle fasce sociali più povere e deboli, determina scelte nefaste per il clima e la vita del pianeta. La guerra ingoia tutto e blocca la speranza di un avvenire più equo e sostenibile per le generazioni future.
Siamo a fianco delle vittime, siamo con chi rifiuta la logica della guerra e sceglie la nonviolenza. Siamo contro le armi e gli enormi profitti del grande mercato della morte. Per questo in Sardegna, lottiamo contro le esercitazioni militari, i poligoni, le fabbriche di guerra, che incombono sulla nostra isola, da sempre votata alla pace.
La guerra va fermata subito. Basta sofferenze e lutti. È urgente lavorare ad una soluzione politica del conflitto, portando al tavolo del negoziato i rappresentanti dei governi di Kiev e di Mosca, assieme a tutti gli attori necessari per trovare una pace giusta. Insieme con Papa Francesco diciamo: “Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili”.
L’umanità ed il pianeta devono liberarsi dalla guerra. Le guerre e le armi puntano alla vittoria sul nemico ma non portano alla pace: tendono a diventare permanenti ed a causare solo nuove sofferenze per le popolazioni. Non esiste guerra giusta, solo la pace è giusta. La guerra la fanno gli eserciti, la pace la fanno i popoli.
Rispondendo alla chiamata alla mobilitazione di Europe for Peace e di Rete Pace e Disarmo,
SABATO 5 NOVEMBRE A CAGLIARI, piazza Garibaldi ore 17 SIT-IN PER LA PACE. CESSATE IL FUOCO SUBITO, NEGOZIATO PER LA PACE!
ONU convochi una Conferenza internazionale di pace! Al bando le armi nucleari!

Coordinamento Provinciale “PREPARIAMO LA PACE”
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Europe for Peace

4aa2187a-7e4a-4c6d-9905-e209113cee0bVaticano, tutti all’Angelus il 23 ottobre

Redazione Sbilanciamoci

A Roma, oltre alla fiaccolata venerdì 21 sera dalle 17 e 30 in Campidoglio, domenica 23 mattina Europe for Peace si dà appuntamento all’Angelus in piazza San Pietro alle 11 con Papa Francesco.
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Conferenza stampa sulla manifestazione del 5 a Roma
Rachele Gonnelli su Sbilanciamoci

18 Ottobre 2022 | Sezione: Apertura, Europa. Su Sbilanciamoci.
“I partiti sono benvenuti ma noi siamo la società civile, la manifestazione è stata indetta da oltre 500 realtà associative”, dice Rete Pace e Disarmo. Sant’Egidio: “Il mondo della pace si sta risvegliando”. I sindacati: a rischio anche il tessuto industriale europeo e la democrazia.

Serviva una conferenza stampa a Roma degli organizzatori della manifestazione nazionale per la pace già convocata il prossimo 5 novembre. Sì serviva anche se il percorso non è ancora ufficiale, si sa che sono state chieste le piazze di concentramento (piazza della Repubblica) dalle ore 12 e di arrivo (piazza San Giovanni) ma ancora non ci sono i permessi ufficiali, che saranno comunicati nei prossimi i giorni. Serviva intanto per far capire che, come ha detto in apertura Sergio Bassoli della Rete Pace e Disarmo, “questa manifestazione nazionale è stata convocata dal basso, dalla società civile, ci sono oltre 500 realtà associative, laiche e cattoliche, organizzazioni locali, sindacati, che hanno promosso le mobilitazioni dell’appello Europe for Peace e sono nel comitato promotore”. E che “non è concepita come un evento, ma come un percorso”, che è iniziato il 25 febbraio scorso e è proseguito con manifestazioni locali, incluso quelle che si stanno organizzando in cento città per il fine settimana tra il 21 e il 23 ottobre, carovane di aiuti umanitari per la popolazione ucraina e altri appuntamenti. Aderiscono tra l’altro gli enti locali tramite l’Anci e l’Ali. Non è dunque una manifestazione dei partiti, che – ha specificato Bassoli – possono partecipare, come tutti, e sono bene accetti, come le persone a titolo individuale. Mentre Sergio Bassoli parlava, nella sala della protomoteca del Campidoglio, scorreva infatti sul video di spalle il lungo elenco delle adesioni insieme al logo di Europe for Peace con la macchia nera con i confini dell’Ucraina al centro dell’Europa.

La manifestazione nazionale a Roma del 5 novembre secondo Daniele Lorenzi, presidente nazionale dell’Arci, e Flavio Lotti della Tavola della Pace -che hanno parlato dopo – sarebbe dovuta essere convocata già prima ma Lotti ha comunque voluto ricordare che da quando è partita questa guerra, cioè dal 2014, sono state organizzate dai pacifisti 6 marce Perugia-Assisi per invocare la pace, “alle quali non risulta abbiano partecipato quelli che oggi criticano i pacifisti e vogliono metterci sotto processo”.

Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci – che insieme a Rete pace e Disarmo e a Stoptewarnow ha dato vita all’appello e alle mobilitazioni di Europe for Peace – ha ricordato come non sia mai mancata la solidarietà alla popolazione ucraina, così come ai disertori e ai pacifisti russi incarcerati. “Non siamo equidistanti”, ha detto Marcon e ha voluto ricordare a questo proposito le parole di don Tonino Bello nell’editoriale “Noi pacifisti latitanti”. Marcon ha sottolineato come sia essenziale per tutto, dalle azioni contro il riscaldamento climatico alla sopravvivenza stessa della democrazia, che si cambi strada rispetto all’attuale corsa al riarmo. In un solo anno il riarmo è costato 50 miliardi di dollari, dieci volte lo stanziamento mondiale per dare vaccini anti Covid ai paesi più poveri. “Non si può continuare così, se riempiamo il mondo di armi è chiaro che poi verranno usate”.

Secondo Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli “nel lessico deve tornare la parola pace, anche in quello della politica e questa manifestazione nazionale serve a questo, oltre che a dare sfogo all’inquietudine e al dolore allo stomaco di ciascuno per ciò che sta succedendo, per dire soprattutto all’Europa che le armi devono tacere”. Manfredonia si è detto contento di vedere che sul piano della pace “non ci sono divisioni tra noi, tra laici e cattolici”. Mentre Fabrizio De Sanctis dell’Anpi ha voluto rammentare i Partigiani per la Pace degli anni ’60 e ’70, nati per segnalare come “senza la pace nessun ideale della Resistenza, dalla giustizia sociale alla democrazia, possa essere perseguito”.

Paolo Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha voluto sottolineare come siamo di fronte a un risveglio del mondo della pace. “Purtroppo è mancato durante la guerra in Siria – ha notato – ma fortunatamente adesso c’è un risveglio perché non è possibile adattarsi alla guerra, convivere con lo sdoganamento della minaccia nucleare”. Impagliazzo ha detto che anche tra i profughi ucraini di cui Sant’Egidio si occupa si nota un bisogno di pace. “I nostri ragazzi, quelli che abbiamo accolto non volevano iscriversi a scuola a settembre nella speranza di poter tornare nelle loro scuole in Ucraina”, ha raccontato.

“La guerra è un crimine, non è possibile nel 2022 riconoscerla come strumento legittimo per dirimere le controversie tra gli Stati”, ha detto, nel nome di Gino Strada, la presidente di Emergency Rossella Miccio. “La pace non si misura in chilometri quadrati di terreno conquistato, si costruisce ogni giorno come noi facciamo nei nostri ospedali”, ha aggiunto. E ricordano proprio l’Afghanistan, dove dopo vent’anni di guerra sono tornati al potere i talebani, è anche chiaro come sia uno strumento che non funziona, controproducente.

Christian Ferrari per la Cgil nazionale ha messo in rilievo inoltre come a pagare i conti della guerra sia sempre la popolazione civile, i lavoratori e le lavoratori e le fasce più povere della popolazione. “Non esiste una soluzione militare – ha chiosato – e non è possibile affrontare nodi come la transizione energetica o la tenuta del tessuto industriale continentale senza la pace, una escalation anzi finirebbe per mettere a rischio la stessa democrazia”. L’Italia, per la Cisl, deve farsi promotrice all’Onu e all’Unione Europea di una ripresa del negoziato per arrivare a una conferenza internazionale di pace. Mentre per Monica Usai di Libera “sono le organizzazioni criminali che alla fine guadagnano sulla guerra”. In chiusura, Silvia Stilli, portavoce delle ong di Aoi (Associazione delle Organizzazioni non governative Italiane di cooperazione e solidarietà internazionale) che con Stoptewarnow ha organizzato le varie carovane verso Leopoli, Odessa e Kiev, si è impegnata a continuare anche dopo il 5 novembre nell’organizzazione di invii di aiuti umanitari e staffette solidali con la popolazione dell’Ucraina. “Ci piacerebbe andare anche in Russia ad aiutare i pacifisti di là”, ha concluso quasi con un sogno ad occhi aperti.
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Da Vatican News.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-10/papa-francesco-uniapac-dirigenti-cristiani-nuova-economia-patto.html

Il Papa: c’è bisogno di un’”economia del bene comune”

Nell’udienza ai partecipanti al 27.mo congresso mondiale dell’Unione internazionale cristiana di dirigenti d’azienda in corso a Roma, Francesco invita al coraggio di “una nuova alleanza” con i ragazzi di Economy of Francesco, che ad Assisi hanno scritto e firmato “un Patto per migliorare il sistema economico globale”
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
E’ necessaria “una nuova alleanza” tra i giovani di Economy of Francesco, che ad Assisi hanno scritto e firmato “un Patto per migliorare il sistema economico globale” e “voi dirigenti d’azienda e imprenditori maturi e di successo”, per dare forma insieme a “una nuova economia per il bene comune”. E’ l’invito che Papa Francesco rivolge ai 850 partecipanti al 27.mo congresso mondiale Uniapac, l’Unione internazionale cristiana di dirigenti d’azienda, in corso a Roma, incontrati questa mattina in Aula Paolo VI. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)
La sfida di “Creare una nuova economia per il bene comune”
Dopo il saluto del presidente di Uniapac Bruno Bobone, il Papa definisce il tema scelto per il congresso, iniziato il 20 ottobre per chiudersi il 22, “Creare una nuova economia per il bene comune”, una “grande sfida” per voi e molti altri attori del mondo imprenditoriale”. Francesco chiama quella dell’imprenditore, citando l’Enciclica Laudato si, una “nobile vocazione” di imprenditori, ricordando “che tutte le nostre capacità, incluso il successo negli affari, sono doni di Dio” e come scrive nella Fratelli tutti, “dovrebbero essere orientate chiaramente allo sviluppo degli altri e alla eliminazione della povertà, specialmente attraverso la creazione di opportunità di lavoro diversificate”.
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Il Papa agli imprenditori cristiani: crescete nella creatività
12/11/2021

Chiamati ad essere creativi nel fare il bene
Si augura allora che i dirigenti cristiani abbiano il coraggio “di saper riconoscere la grazia” e la sapienza di Dio nelle loro vite, permettendo a queste “di guidare e dirigere le vostre relazioni nel mondo degli affari e con quanti lavorano per voi”. Siamo infatti “chiamati ad essere creativi nel fare il bene, – chiarisce ripetendo quanto detto all’Angelus del 18 settembre 2022 – usando i beni di questo mondo” inclusi “tutti i doni che abbiamo ricevuto dal Signore”, non “per arricchire noi stessi, ma per generare amore fraterno e amicizia sociale”.
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Il saluto del Papa ai partecipanti al congresso mondiale Uniapac
Una economia diversa, che fa vivere e non uccide
Guardando agli elementi costitutivi di un “economia diversa”, il Pontefice ribadisce quanto detto ai partecipanti ad Economy of Francesco nel 2019, ricordando che “fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda”. Inoltre, come si legge nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, “tutti hanno il diritto di partecipare alla vita economica e il dovere di contribuire, secondo le proprie capacità, al progresso del proprio Paese e dell’intera famiglia umana” e questo “è dovere di solidarietà e di giustizia, ma è anche la via migliore per far progredire l’intera umanità”.
Pertanto, qualsiasi “nuova economia per il bene comune” dev’essere inclusiva. Troppo spesso lo slogan “non lasciare indietro nessuno” viene pronunciato senza alcuna intenzione di offrire il sacrificio e lo sforzo per trasformare veramente queste parole in realtà.
Siate lievito perchè lo sviluppo raggiunga tutti
Qui Papa Francesco guarda all’ Enciclica Populorum progressio di san Paolo VI, che definiva lo sviluppo integrale l’unico possibile, “volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”. I dirigenti d’azienda e imprenditori, sono così “chiamati a fungere da lievito per garantire che lo sviluppo raggiunga tutte le persone, ma soprattutto quelle più emarginate e bisognose, affinché l’economia possa contribuire sempre a una crescita umana integrale”.
Includere nell’economia anche i lavoratori informali
Il Papa chiede così di non dimenticare i lavoratori informali, a giornata, poco qualificati e spesso ai “margini del mercato del lavoro”, quelli del lavoro “pericoloso, sporco e degradante”, spesso migranti e rifugiati, che durante la pandemia e i lockdown “hanno assicurato la fornitura e la consegna dei beni necessari per la vita quotidiana e la cura dei nostri cari più fragili, e hanno mantenuto le attività economiche di base, nonostante l’interruzione di molte attività formali”. Perché l’inclusione dei poveri e degli emarginati, chiarisce Francesco, non può essere soddisfatta “dai nostri sforzi per fornire assistenza finanziaria e materiale”.
“Come è scritto nella Laudato si’, «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte alle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro». Difatti, la porta alla dignità di un uomo è il lavoro”
Per una economia di cura
Il lavoro che per l’uomo è “parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale” dovrebbe essere ben integrato in una economia di cura, intesa come “prendersi cura delle persone e della natura, offrendo prodotti e servizi per la crescita del bene comune”.
Un’economia che ha cura del lavoro, creando opportunità di impiego che non sfruttano il lavoratore attraverso condizioni di lavoro degradanti e orari estenuanti». «La cura va oltre, deve essere una dimensione di ogni lavoro. Un lavoro che non si prende cura, che distrugge la creazione, che mette in pericolo la sopravvivenza delle generazioni future, non è rispettoso della dignità dei lavoratori e non si può considerare dignitoso.
La “buona notizia” del patto di Economy of Francesco
Il Pontefice condivide quindi con i membri di Uniapac la “buona notizia” uscita dall’incontro di Economy of Francesco a fine settembre ad Assisi, dove “mille giovani economisti e imprenditori hanno ragionato sulla creazione di una nuova economia e hanno scritto e firmato un Patto per migliorare il sistema economico globale al fine di migliorare la vita di tutte le persone”. Per una nuova economia del bene comune, questi giovani hanno proposto una “economia del Vangelo”, ricorda Papa Francesco.
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Il Patto dei giovani: si torni ad una economia del Vangelo
24/09/2022
Il Patto dei giovani: si torni ad una economia del Vangelo
I punti costituitivi di una “economia del Vangelo”
E cita alcuni punti del Patto, per “un’economia di pace e non di guerra, che si prende cura del creato e non lo depreda, a servizio della persona, della famiglia e della vita, rispettosa di ogni donna, uomo, bambino, anziano e soprattutto dei più fragili e vulnerabili”. E poi “un’economia dove la cura sostituisce lo scarto e l’indifferenza, che non lascia indietro nessuno, per costruire una società in cui le pietre scartate dalla mentalità dominante diventano pietre angolari; che riconosce e tutela il lavoro dignitoso e sicuro per tutti; in cui la finanza sia amica e alleata dell’economia reale e del lavoro, non contro di loro. Perché la finanza ha il pericolo di fare liquida l’economia, anzi gassosa, e va avanti con questo ritmo di liquidità e gassosità e finisce come la catena di sant’Antonio”.
La nuova alleanza tra giovani imprenditori e manager maturi
Oggi, conclude il Papa, “ci sono centinaia, migliaia, milioni e forse miliardi di giovani che lottano per accedere ai sistemi economici formali, o anche solo per avere accesso al loro primo lavoro retribuito dove mettere in pratica le conoscenze accademiche, le competenze acquisite, l’energia e l’entusiasmo”.
Vorrei incoraggiare voi, dirigenti d’azienda e imprenditori maturi e di successo, a considerare una nuova alleanza con i giovani che hanno creato e che si sono impegnati in questo Patto. E’ vero che i giovani sempre ti portano dei problemi ma hanno il fiuto di far vedere la vera strada. Per camminare con loro, insegnare loro e imparare da loro, insegnare loro, pure; e, insieme, dare forma a “una nuova economia per il bene comune”. Grazie di quello che fate, grazie per essere qui.
L’Uniapac, oggi associazione ecumenica
L’Uniapac è nata come Conferenza Internazionale delle Associazioni di Imprenditori Cattolici, costituita dalle associazioni di Olanda, Belgio, Francia, nel quarantesimo anniversario della “Rerum novarum”, con l’intento di raggruppare imprenditori e quadri che, per l’adempimento dei propri compiti e doveri professionali, si ispirano all’insegnamento sociale cristiano. Dopo la Seconda guerra mondiale, si è diffusa in altri Paesi europei e in America Latina. Negli anni Sessanta l’Unione è diventata un’associazione ecumenica ed ha assunto la denominazione attuale (Unione internazionale cristiana di dirigenti d’azienda).
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Venerdì all’Universita’ per promuovere la partecipazione dei cittadini alla socialità. Sarà presentato il progetto NeighbourHub.

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L’invito dell’Universita’

Care amiche,
Cari amici,
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Gent.me e Gent.mi,

Vi rinnoviamo l’invito a partecipare al convegno di presentazione finale del progetto NeighbourHUB che si terrà venerdì 21 ottobre 2022 dalle ore 16.00 presso l’Aula Magna “Mario Carta” della Facoltà di Ingegneria e Architettura dell’Università di Cagliari, in via Marengo 2 a Cagliari.

In calce troverete maggiori informazioni sull’evento e, in allegato, la locandina del convegno e il pieghevole che sintetizza le caratteristiche principali del progetto che presenteremo.
Abbiamo previsto in coda interventi delle amministrazioni e delle associazioni partner, per questioni organizzative vi chiediamo di confermare in anticipo la vostra partecipazione ed eventualmente l’interesse ad intervenire alla discussione.

Fiduciosi in un Vostro positivo riscontro.
Le porgiamo un cordiale saluto,
Valeria Saiu, Ivan Blečić ed Emanuel Muroni/ DICAAR, Università di Cagliari

Progetto NeighbourHub
Attività in cerca di spazi – spazi in cerca di attività

La grande forza delle città sono le sue “energie sociali”, i molti soggetti che promuovono attività culturali e socio-assistenziali, animano gli spazi, favoriscono l’accesso dei cittadini alla cultura, allo sport, ai servizi ricreativi, socio-sanitari e assistenziali. Spesso, queste attività non sono sufficientemente coordinate e messe a valore, pur rappresentando una grande possibile leva di vitalità e sviluppo urbano. Molte di queste attività, inoltre, vengono promosse da associazioni a scopo volontaristico che non dispongono di adeguate strutture, che dunque sono “in cerca di spazi”.
Allo stesso tempo nelle città esiste un vasto patrimonio di edifici e spazi pubblici inutilizzati o sottoutilizzati, spazi che è difficile ed oneroso manutenere, gestire, e trovare per loro usi e funzioni.
Questa condizione – che vede da un lato “attività in cerca di spazi” e dall’altro “spazi in cerca di attività”, che non riescono ad incontrarsi – rappresenta una formidabile opportunità per la (ri)generazione e la (ri)vitalizzazione della città, per la riqualificazione dello spazio pubblico attraverso interventi e modelli innovativi capaci di ridare centralità e garantire un presidio costante dei luoghi e degli spazi urbani, rafforzandone la cura e l’uso.
Il progetto NeighbourHub (NHub) – finanziato dalla Fondazione di Sardegna nell’ambito del bando “Sviluppo locale” per le annualità 2020 e 2021 – è un progetto di ricerca-azione che nasce dalla collaborazione tra il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura (DICAAR) dell’Università di Cagliari e numerose associazioni socio-culturali che operano nella città.
Il progetto si è posto l’obiettivo di affrontare un’esigenza concreta e urgente che ancora oggi appare irrisolta: conciliare la necessità di una più efficace cura dei Beni Comuni Urbani con la richiesta di spazi per attività sociali e culturali da parte delle diverse forme organizzate della comunità.
Per rispondere a questa domanda, NHub propone un innovativo modello di cura e gestione che permette di semplificare le procedure di assegnazione, facilitando l’incontro tra domanda e offerta, e riducendo i tempi e gli oneri che spesso tendono ad immobilizzare sia le amministrazioni pubbliche che queste preziose energie sociali.
Il convegno sarà l’occasione per presentare il modello NHub e per mostrarne le potenzialità applicative nei quartieri Is Mirrionis e San Michele a Cagliari, assunti come caso di studio pilota, nonché per ragionare più in generale sul tema della rigenerazione urbana su base culturale.

PROGRAMMA

16.00 | SALUTI ISTITUZIONALI

Fabrizio Pilo | Prorettore delegato per il territorio e l’innovazione – UniCa
Giorgio Massacci | Direttore del Dipartimento di Ingegneria, Civile, Ambientale e Architettura – UniCa
Graziano Milia | Fondazione di Sardegna, responsabile delle relazioni esterne
16.30 | “RIGENERARE CITTÀ CON LA CULTURA”

Ezio Micelli | Università IUAV di Venezia
17.00 | PRESENTAZIONE DEL PROGETTO “NEIGHBOURHUB”

Ivan Blečić, Valeria Saiu, Emanuel Muroni | Dipartimento di Ingegneria, Civile, Ambientale e Architettura – UniCa
Ester Cois | Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali – UniCa
Gianmario Demuro, Salvatore Lovicu | Dipartimento di Giurisprudenza – UniCa
Carlo Atzeni | Delegato d’Ateneo per gli spazi e la sostenibilità
Per le associazioni partner del progetto intervengono:
Sabrina Perra | Istituto Gramsci della Sardegna
Terenzio Calledda, Franco Meloni, Maurizio Fanzecco, Anna Loddo, Giorgio Seguro | Associazione Casa del Quartiere – Is Mirrionis
Stefano Ledda | Associazione Teatro del Segno
18.00 | DIBATTITO

Paolo Truzzu | Sindaco di Cagliari
Roberto Mura | Vice Sindaco della Città Metropolitana di Cagliari
Francesca Ghirra | Camera dei Deputati
Antonello Angioni | Presidente Commissione Urbanistica, Comune di Cagliari
Con interventi delle/dei rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni partner.

Per maggiori informazioni e il programma:

https://sites.unica.it/g-lab/neighbourhub/

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La Casa del quartiere Is Mirrionis
Per noi della Casa del quartiere Is Mirrionis il convegno di venerdì è davvero importante per diverse ragioni sia con riferimento agli obbiettivi raggiunti (che sintetizziamo nel censimento degli spazi a disposizione della cittadinanza e nella proposta di regolamentazione del loro uso da parte dei cittadini e delle loro associazioni, nonché nella gestione digitalizzata delle procedure di assegnazione degli stessi spazi), sia per quanto si riferisce alle ulteriori prospettive che si presenteranno anche dopo una fase di sperimentazione, con la possibilità di estendere il progetto a tutta la città metropolitana.
Vi è poi una ragione particolarmente rilevante costituita dal rapporto fecondo con l’Universita’, che anche con questo progetto si pone al servizio del territorio, nella realizzazione della sua terza missione. A 51 anni dall’avvio dell’esperienza della Scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis, ci auguriamo che il progetto possa dare un’ulteriore spinta al ricupero dell’edificio che ospitò la stessa Scuola. Come Comitato Casa del quartiere Is Mirrionis ci sentiamo “committenti sociali” del progetto NeighbourHub, che con l’Universita’ e gli altri partner, sentiamo nostro. All’amministrazione comunale della città e alle altre amministrazioni coinvolte (Regione, città metropolitana, Area) la responsabilità che loro istituzionalmente competono.
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https://www.radiox.it/programmi/extralive/is-mirrionis-spazi-in-condivisione-per-cittadini-e-associazioni-al-via-il-progetto-neighbourhub/

Is Mirrionis, spazi in condivisione per cittadini e associazioni: al via il progetto “NeighbourHub” https://www.radiox.it/programmi/extralive/is-mirrionis-spazi-in-condivisione-per-cittadini-e-associazioni-al-via-il-progetto-neighbourhub/
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Approfondimenti sul progetto NeighbourHub

Il progetto NeighbourHUB nasce dalla collaborazione tra il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura dell’Università di Cagliari e numerose associazioni culturali e di promozione sociale, nonché organizzazioni di cittadini che di fatto rappresentano il “committente sociale” della ricerca. Si tratta, infatti, di un progetto di ricerca-azione che prova a rispondere ad un’esigenza concreta che ancora oggi risulta irrisolta: conciliare la necessità di cura dei beni comuni urbani, favorendone l’utilizzo da parte delle comunità.
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Attività in cerca di spazi – spazi in cerca di attività

La grande forza delle città sono le sue “energie sociali”, i molti soggetti che promuovono attività culturali e socio-assistenziali, animano gli spazi, favoriscono l’accesso dei cittadini alla cultura, allo sport, ai servizi ricreativi, socio-sanitari e assistenziali. Spesso, queste attività non sono sufficientemente coordinate e messe a valore, pur rappresentando una grande possibile leva di vitalità e sviluppo urbano. Molte di queste attività, inoltre, vengono promosse da associazioni a scopo volontaristico che non dispongono di adeguate strutture, che dunque sono “in cerca di spazi”.
Allo stesso tempo nelle città esiste un vasto patrimonio di edifici e spazi pubblici inutilizzati o sottoutilizzati, spazi che è difficile ed oneroso manutenere, gestire, e trovare per loro usi e funzioni.

Questa condizione – che vede da un lato “attività in cerca di spazi” e dall’altro “spazi in cerca di attività”, che non riescono ad incontrarsi – rappresenta una formidabile opportunità per la (ri)generazione e la (ri)vitalizzazione della città, per la riqualificazione dello spazio pubblico attraverso interventi e modelli innovativi capaci di ridare centralità e garantire un presidio costante dei luoghi e degli spazi urbani, rafforzandone la cura e l’uso.
Il modello NeighbourHub

Il progetto NeighbourHub propone l’istituzione di “Distretti culturali e sociali” nei quartieri, per la gestione degli spazi per usi temporanei, definendo il funzionamento, le procedure, le modalità e gli strumenti per la gestione e la concessione di spazi per usi temporanei.
In particolare, un Distretto cura:
la presa in carico di spazi di diversi tipi (parti di immobili, pertinenze, aree verdi, spazi all’aperto, spazi pubblici), conferiti con adesione volontaria al Distretto di chi ne ha titolo di proprietà o d’uso;
la concessione di tali spazi in uso temporaneo per proposte di attività rivolte al pubblico – sotto forma di organizzazione di eventi, spettacoli, incontri culturali, corsi, laboratori, o sotto forma di servizi di assistenza e di cura delle persone o dell’ambiente urbano – da parte di operatori, associazioni e gruppi culturali, educativi, sociali.
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I quartieri pilota

Il modello è stato elaborato attraverso uno studio esplorativo condotto in due quartieri – Is Mirrionis e San Michele – del Comune di Cagliari particolarmente interessanti per la ricchezza di edifici e spazi pubblici e per la numerosità e vivacità delle associazioni che operano nei quartieri.
Le attività, sviluppate in due anni hanno riguardato:
la mappatura e valutazione delle caratteristiche dei beni (spazi ed edifici pubblici);
ampie interlocuzioni e coinvolgimento delle associazioni, degli operatori culturali e socio-sanitari, delle parrocchie locali e di altri soggetti;
definizione di uno schema di regolamento per l’istituzione del Distretto e per l’assegnazione degli spazi per usi temporanei;
progetto del prototipo della piattaforma telematica per la gestione e comunicazione

Mappatura dei beni e spazi
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Piattaforma digitale

NeughbourHub propone lo sviluppo di una piattaforma per la gestione e l’automazione delle procedure di concessione in uso temporaneo degli spazi per attività di interesse pubblico, e per la comunicazione pubblica sulle attività e iniziative del Distretto. La piattaforma consente ai soggetti proponenti delle attività culturali e socio-sanitarie di fare proposte e “prenotare” gli spazi per le attività attraverso un’interfaccia semplice e intuitiva che permette la visualizzazione degli usi, delle assegnazioni e delle disponibilità di spazi in tempo reale.

Partner del progetto
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SINISTRO SINISTRA aggiustare o rifare?

Rocca è online
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SINISTRO SINISTRA
aggiustare o rifare?

di Mariano Borgognoni

All’indomani delle elezioni politiche è iniziata e continua (anche sulle nostre pagine) una riflessione sulla Sinistra, sui suoi fondamenti e sul suo destino in Italia. È una riflessione più che necessaria per la democrazia, i diritti sociali e civili, i valori costituzionali della Repubblica.

Tanto più dopo un voto che ha di fatto messo in discussione il collante antifascista della Nazione come terreno condiviso e ha posto, per la prima volta in un grande Paese fondatore della comunità europea, la destra postfascista e sovranista alla guida del governo. Non è cosa di poco conto e proprio per la sostanziale coerenza di cui ha dato prova Giorgia Meloni dobbiamo immaginare che le sue politiche non si discosteranno troppo da quanto ha sostenuto nell’ultimo quinquennio e da quanto è nel dna della sua formazione culturale e politica. Di questa trincea identitaria ci parlano anche le elezioni dei Presidenti delle Camere. E ciò dentro la drammatica situazione di guerra, di estensione della povertà e dell’impoverimento.
Di fronte a questo processo politico che va ben oltre la dimensione nazionale, sarebbe necessario organizzare una ferma e forte presenza democratica, popolare, di sinistra.
E intanto, da subito un movimento unitario per la pace, contro il riarmo dentro lo schema atlantista (niente affatto europeista), per il lavoro e la sua dignità, per il mantenimento e lo sviluppo di l’editoriale uno welfare veramente universalistico e che protegga milioni di persone cadute in una situazione di bisogno (disoccupa- ti, lavoratori poveri etc.), per una redistribuzione del reddito verso il basso e non verso l’alto come è avvenuto in questi anni di intollerabile ed economicamente miope apertura della forbice del- le disuguaglianze.
Ma se lo stato del Paese è questo già da sé ci parla di grandi responsabilità della Sinistra che ha segato, con dete zione degna di miglior causa, il ramo su cui era seduta. Ed è chiaro da sempre che quando la Sinistra è senza popolo, senza un progetto di avanzamento delle sue condizioni economiche e sociali, quel popolo si rifugia in modo subalterno nella protezione della Destra. Se la Sinistra non si propone di lavorare per una partecipazione consapevole e organizzata quel suo popolo diventa gente totalmente atomizzata, folla arrabbiata di individui solitari.
Non c’è dubbio che la nuova articolazione del mondo del lavoro ha cambiato il paesaggio sociale del passato anche recente, ma il compito di una Sinistra moderna è quello di leggere «i segni dei tempi» e comprendere come permangano e talvolta si aggravino nel presente situazioni di alienazione e di sfruttamento. Se invece ci si rassegna ad essi o addirittura li si favorisce, si finisce per rompere quel legame sentimentale, di cui tanti stucchevolmente ora parlano, con il mondo che ha più bisogno che il mondo cambi.
Sarà possibile dar vita ad un profondo cambiamento, a cominciare dal Pd? Purtroppo non è scontato poiché un gruppo dirigente, ormai autoreferenziale, che non si è preoccupato neanche di modifi- care una legge elettorale che impedisce di fatto di eleggere davvero il Parlamento, tende, direi quasi naturaliter ad eternizzare se stesso. Il rosatellum serve a questo: riservare il gioco della politica a quelli che sono rimasti dentro i palazzi (dove peraltro ben poco si decide) dopo la fine della politica che si reggeva sui partiti di massa e sul protagonismo dei corpi intermedi. All’interno di questa logica il Pd è diventato via via un partito tecnico (non esistono solo i governi tecnici), di competenti gestori del mondo co- m’è, poiché «del doman non v’è certezza» e non c’è nessun principio-speranza a cui affidarsi. Esiste tuttavia un mondo di militanti, di simpatizzanti, di elettori nasoturatisti, di consapevoli astensionisti, che, forse, possono ancora bombardare
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ROCCA 1 NOVEMBRE 2022
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Urgente un protagonismo sociale che spinga la sinistra politica a muoversi
di Alfiero Grandi​
14.10.2022

La sconfitta elettorale delle “non destre” è ancora fresca, siamo all’inizio della nuova legislatura e già nei primi passaggi importanti si manifesta con chiarezza che la sconfitta non è stata un incidente di percorso. Se si rivotasse oggi il risultato sarebbe ancora peggiore, per le “non destre”. Certo, le destre dimostrano che non basta vincere per sanare le ferite al loro interno che restano vistose, addirittura tali da offrire spazi alle opposizioni, che purtroppo non sono in grado di approfittarne perché restano confuse, stordite da una sconfitta elettorale cocente, per certi versi storica, che è stata possibile solo per la frammentazione dello schieramento potenzialmente in grado di presentarsi come un’alternativa alle destre.

Per questo non vanno sottovalutati i limiti e per certi versi la vera e propria crisi politica e di valori delle “non destre”. Ci sono questioni di fondo da affrontare.
Tuttavia, la sconfitta delle “non destre” è il risultato di errori politici madornali e imperdonabili, altrimenti lo schieramento di destra che ha preso il 44% dei voti e ha ottenuto il 59% dei seggi in parlamento non avrebbe vinto, malgrado un aumento del 10% delle astensioni.

Sarebbero state possibili alternative politiche.
Naturalmente era decisivo cambiare per tempo questa infame legge elettorale. Un misto tra un flipper impazzito che scarica gli eletti a casaccio nel paese e una camicia di forza per gli elettori, costretti ad un voto unico, che premia le coalizioni, vere o finte che siano, e per di più finge di ignorare che con il taglio dei parlamentari la soglia per ottenere l’elezione del 3% (quando è tale, altrimenti molto più alta) è in realtà più alta del 33%, quindi è circa il 4,5 %. Si scrive 3% e si legge 4,5%.

Questi ed altri aspetti della legge elettorale, come i voti degli elettori che hanno pesi enormemente diversi tra loro, dovevano portare le “non destre” ad ingaggiare una lotta senza quartiere per cambiare la legge elettorale per tempo e c’è stato almeno un momento in cui avrebbero potuto farlo: quando la maggioranza rosso/gialla aveva i numeri per farla approvare e le condizioni politiche per farlo perché il taglio dei parlamentari meritava almeno una contropartita in cambio dell’approvazione definitiva. La verità è che l’incertezza, la confusione, l’illusione delle “non destre” di rinviare all’infinito la prova elettorale, senza mai chiedersene il prezzo, hanno portato a perdere tutte le occasioni per procedere alla riforma della legge elettorale che le destre non volevano perché puntavano a tornare insieme dopo essersi divise per tutta la passata legislatura.

Eppure, a Letta, appena eletto segretario del Pd, era stato spiegato con cura dal Cdc che la nuova legge elettorale era una condizione indispensabile da ottenere ad ogni costo prima del voto. Del resto, la stessa cosa era stata già esposta con forza anche al M5Stelle e a S.I. Sono arrivate le elezioni e il risultato è (purtroppo) noto. Neppure le indicazioni venute da diverse parti ad usare al meglio la legge elettorale in vigore, almeno per difendersi nel modo migliore, non ha trovato ascolto. Era sufficiente presentare candidature uniche nei collegi uninominali per evitare il cappotto della destra. Il voto nei collegi uninominali si sarebbe riverberato, esattamente come per la destra, tra tutte le componenti delle “non destre”. Un risultato Win Win, nessuno guadagna e nessuno vince sugli altri coalizzati, ma prende seggi alle destre.

Si è detto che non si poteva fare uno schieramento con chi aveva provocato la caduta del governo Draghi, ora si dovrà fare la stessa cosa in condizioni enormemente più difficili se non si vuole regalare alle destre una prateria per le incursioni dentro l’opposizione, come è già accaduto in occasione dell’elezione di La Russa, eletto con il soccorso di una parte dell’opposizione, una sorta di ripetizione dei 101 di Prodi. In realtà, un accordo almeno temporaneo contro le destre era del tutto possibile sulla base di una piattaforma formidabile – ricordata anche da Liliana Segre in apertura dei lavori del Senato – la Costituzione, la sua difesa e la sua attuazione.

Denunciare i pericoli per la Costituzione e poi non trarne le conseguenze costruendo uno schieramento per impedirne lo snaturamento è una contraddizione inspiegabile. Anche perché la maggioranza di Draghi comprendeva Lega e Forza Italia che hanno condizionato le politiche del governo. Quindi schierarsi in una difesa acritica di tutto l’operato del governo Draghi aveva (ed ha) poco senso, tanto più che la destra invece millantava ben altri obiettivi in caso di vittoria elettorale, quindi manteneva uno spazio di manovra.

La guerra.
Qui forse c’è il vero punto della difficoltà a creare uno schieramento politico alternativo, per lo meno nei collegi uninominali della Camera e del Senato. L’impressione è che sia arrivato un messaggio (dalla Nato, dagli Usa?) che il temperamento nell’invio delle armi dall’Italia sostenuto da Conte insieme alla richiesta di avviare trattative di pace doveva portare a posizioni diversificate tra Pd e M5Stelle. Comunque sia questo è stato un errore politico. La pace riguarda tutti e non è più accettabile che il tema trattative per la pace resti oscurato da una continua escalation nell’invio delle armi, di crescenti difficoltà nell’economia e nell’energia, mentre gli Usa queste difficoltà non le hanno, anzi vendono il loro Gnl liquefatto a prezzi molto più alti che sul loro mercato interno contribuendo ad una disparità concorrenziale crescente tra Usa ed Europa.
Viene sottovalutata la questione che un’Europa più povera, in recessione e in crisi occupazionale diventerà una polveriera sociale ed economica e l’Unione europea, incapace di iniziativa autonoma per la pace e per salvaguardare la sua economia, ricorda – purtroppo – l’orchestra del Titanic.

Bisogna prendere atto che le “non destre” politiche ci metteranno tempo, se ci riusciranno, a svolgere un’opposizione efficace. La speranza è nelle mani della società, dove la sinistra esiste, ben oltre la definizione di “non destre”, che chiamo così perché nessuno sa oggi come chiamare quelli che non sono destre. Occorre fare crescere movimenti, iniziative, associazioni, cercando di unificare il più possibile. È un buon senso immediatamente comprensibile: occorre unire le forze, sottinteso non come è accaduto con i partiti.

Ad esempio, è arrivata la notizia importante che il 5 novembre ci sarà una grande manifestazione unitaria per la pace a Roma, di straordinaria importanza per invertire una tendenza remissiva e sbagliata.

Occorre dare maggiore respiro ed unità agli obiettivi cominciando dal lavoro per la pace che deve essere un assillo quotidiano, in alternativa alla ripetitiva insistenza sulle armi e sulla rincorsa agli armamenti, in cui si è distinto il segretario generale della Nato.

Pace, ambiente, contrasto al cambiamento climatico, investimenti massicci nelle energie alternative, politiche industriali e occupazionali, cancellazione del Jobs Act e nuovi diritti per chi lavora, contrasto radicale alla povertà ormai in crescita esponenziale. Se questo dovesse suonare come smentita di precedenti comportamenti pazienza, chi ha deciso sbagliando se ne farà una ragione e finalmente le destre si confronteranno con piattaforme forti e alternative nate dalla società, anziché dai partiti.

È una speranza che potrebbe diventare una certezza di cambiamento della stessa politica, che dovrà raccogliere le istanze, cambiare o affondare.
Dalla società debbono venire scelte nette e forti, di protagonismo attivo, nella consapevolezza di un ruolo insostituibile, tale da provocare un terremoto politico nelle “non destre”, che dovranno adeguarsi o lasciare il posto ad altro/i.

Non è certo il momento di frenare ma di suscitare partecipazione attiva, consapevole, protagonismo, capacità di iniziativa e la responsabilità oggi è sulle spalle della società, dei movimenti che la percorrono, per creare un salto di qualità nella stessa politica.
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Ufficio stampa: Andreina Albano 3483419402 – andreinaalbano@gmail.com
Adesione del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale
alla manifestazione nazionale per la pace che si terrà il 5 novembre a Roma

Aderiamo alla Manifestazione nazionale per la pace indetta per il 5 novembre a Roma da Europe for peace, con l’adesione di tantissime organizzazioni sociali, sindacali, laiche, cattoliche, culturali, di volontariato. Una manifestazione che è espressione della volontà di pace che viene in primo luogo dalla società civile.
L’escalation della guerra in Ucraina sta rischiando di portare il mondo sull’orlo di uno scontro nucleare. Di fronte a questo pericolo per l’intera umanità si è levata forte la voce di papa Francesco: “Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? … Si giunga subito al cessate il fuoco” La manifestazione del 5 novembre risponde quindi all’accorato appello del Papa e di tutte le voci che si sono levate dal mondo laico e pacifista perché le armi tacciano e si imbocchi con decisione la strada di una trattativa con la mediazione dell’Onu e di paesi che agiscono sotto la sua egida, che possa portare ad una conferenza internazionale di pace, come fu quella di Helsinki nel 1975, in piena guerra fredda che permise di evitare per molti anni uno scontro tra le maggiori potenze.
La continuazione della guerra iniziata con l’invasione russa, l’invio di armi sempre più potenti all’Ucraina da parte dei paesi della Nato, fra cui il nostro, la minaccia di usare armi nucleari da parte della Russia, il decreto del Presidente Zelensky che vieta di aprire negoziati con Mosca si muovono in direzione contraria alla pace e spingono il mondo sull’orlo di un baratro.
Non c’è vittoria sul campo per nessuno. Questa è una guerra a perdere per tutti. Per questo va fermata subito.
L’Unione europea deve uscire da un comportamento di appiattimento alle decisioni americane e assumere un ruolo politico autonomo sullo scenario mondiale esercitandolo in nome della pace. Il nostro paese, sulla base della nostra Costituzione, deve assumere immediatamente nella Ue e nelle relazioni con gli altri stati la funzione di proposta e di stimolo alle iniziative necessarie per creare le condizioni della pace.
Il Cdc invita quindi tutti gli aderenti e i comitati locali ad organizzare la massima partecipazione il 5 novembre a Roma e a partecipare attivamente a tutte le iniziative sul piano locale, come quelle già previste tra il 21 e il 23 ottobre, per il cessate il fuoco e per arrivare alla pace.
La presidenza del Coordinamento per la democrazia costituzionale
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No al “principio guerra” come vanto e stato del mondo. E questo vale per Zelensky. E dire quattro Si: Si al “Cessiamo il Fuoco”. Si all’unità umana. Sì alla Terra di Tutti. E in questo 11 ottobre che ricorda quello del 1962, in faccia ai popoli oppressi dire Si alla Terra di Tutti e particolarmente alla Terra degli altri. E questo vale per noi.

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Newsletter n.278 dell’11 ottobre 2022

MANIFESTAZIONE PER LA PACE

Cari amici,
Lunedì 10 ottobre l’Occidente si è accorto di avere dichiarato guerra alla Russia, una guerra di cui si dice che non possa avere alcun altra fine che la sua sconfitta, con la vittoria dell’Ucraina, cosa che nessuno aveva mai osato pensare durante tutto il lungo calvario della guerra fredda, neppure il peggior Biden che gli Stati Uniti possono avere avuto, Nixon o Johnson che fosse La sorpresa è che la Russia questa guerra si è messa a combatterla, invece di scappare, come aveva detto mettendola alla gogna Zelensky.
E che cos’altro ci si poteva aspettare nell’escalation perversa innescata dalla guerra portata dalla Russia nel cuore dell’Ucraina? Si credeva davvero che la Russia avrebbe scatenato la nuova Apocalisse con l’arma nucleare tattica? E invece lei ha ripetuto le vecchie Apocalissi ben note, al netto di Hiroshima e Nagasaki, con bombe missili e droni “convenzionali”, quelli che come di norma ammazzano, e perché no?, pure i bambini.
E quanto alla NATO, cui è gloria per noi appartenere, è proprio lei a stare in guerra con la Russia, ne affonda la flotta nel mar Nero, ne distrugge l’oleodotto nel Baltico, gioisce per il sabotaggio del ponte per la Crimea, annuncia l’invio di 3000 soldati al suo confine, pianifica e dirige la controffensiva militare dell’Ucraina. Biden poi ha assicurato alla Russia che con le sue sanzioni, “quali non si sono mai viste prima” l’avrebbe messa nella condizione in cui sono i fuori casta, gli “intoccabili” indiani, che appunto non devono essere toccati perché contaminanti, meno che uomini. E ai suoi officianti europei manda dollari e armi obsolete.
Quanto all’Europa, essa è vociante e introversa, indossa i colori dell’Ucraina come i ragazzi le magliette dei calciatori, ma tifa per il suo olocausto, tutta atlantismo e niente visione. E il suo Parlamento ben più che votare i crediti di guerra come fecero i socialisti nel 1914, proclama e incoraggia il conflitto, e chiama alle armi per la guerra totale alla Russia. Né mai nomina “negoziati” o “trattative”, che Zelensky ha proibito per legge, non lasciando aperta altra strada, che non sia la guerra, questa sì nucleare.
L’Italia poi manda le armi su liste segrete, bacia la destra ma pensa alle bollette.
E nessuno pensa che tra i popoli da difendere ci sono pure quelli del Donbass, che hanno diritto anche loro all’autodeterminazione, e per i quali tutto è cominciato già otto anni fa.
In tutto questo la posizione più decente sarebbe il silenzio, è impossibile dire qualcosa che non produca la veemente ripulsa di qualcuno. Basta leggere i giornali, accendere, finché c’è la luce, la TV. La guerra e i dibattiti sulla guerra sono i soli spettacoli che agli editori non costano niente; c’è un profitto anche per loro.
Tuttavia in questa situazione nessuno può mettersi fuori. Ciò che comunque e sempre è da fare, è testimoniare per la pace: e infatti finalmente si sta pensando a una o più grandi manifestazioni per la pace il che vuol dire condannare e lottare per sopprimere la guerra che già noi avevamo ripudiato. Conte ne promuove una senza bandiere di partito, e questa è purtroppo una richiesta fondata perché non possono scagliare la prima pietra i partiti che con la ripudiata erano tornati a far causa comune e a fornicare. Però non si può scendere in piazza senza aver chiaro per che cosa si manifesta, che cosa veramente si vuole, qual è il grido per striscioni e manifesti. Perché, come la destra rinfaccia giustamente a molti, tutti dicono di volere la pace, tutti si ammantano della livrea della pace, ma la pace non la fanno. E c’è chi dice no all’aggressione, ma sì alle armi, sì alle sanzioni,, sì alla vittoria contro i russi invasori , e chi esige che il metro di ogni misura sia il voler stare dove già stiamo, la fedeltà alle alleanze, il professarsi, magari anche senza esserlo, europeisti e atlantisti. E dunque che pace sarebbe? E si manifesterebbe per cosa? Bisogna allora ricordare che la pace non è la vittoria, come non può essere la sconfitta. E bisogna dire almeno quattro No: No all’invasione e alle annessioni. E questo vale per Putin. No all’invio di armi per attizzare il fuoco. E questo vale per la NATO, per Draghi e per Guerini. No alle sanzioni. E questo vale per Biden e mezzo mondo che vuole buttare fuori della storia l’altro mezzo mondo. No al “principio guerra” come vanto e stato del mondo. E questo vale per Zelensky. E dire quattro Si: Si al “Cessiamo il Fuoco”. Si all’unità umana. Sì alla Terra di Tutti. E in questo 11 ottobre che ricorda quello del 1962, in faccia ai popoli oppressi dire Si alla Terra di Tutti e particolarmente alla Terra degli altri. E questo vale per noi.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo su una scandalosa risoluzione del Parlamento europeo.
Un cordiale saluto,

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Una risoluzione scandalosa
L’EUROPA VA ALLA GUERRA
11 OTTOBRE 2022 / EDMINXTRATOR / DICE LA STORIA /
di Domenico Gallo
Il Parlamento europeo ha votato un programma di guerra totale alla Russia nella convinzione che la “vittoria” sia l’unico obiettivo perseguibile, costi quel che costi. Un voto quasi unanime. L’eccezione dei Cinque Stelle

Domenico Gallo

“Invita gli Stati membri e gli altri Paesi che sostengono l’Ucraina a rafforzare massicciamente la loro assistenza militare, in particolare negli ambiti in cui è richiesta dal governo ucraino, al fine di consentire all’Ucraina di riacquisire il pieno controllo su tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale e di difendersi efficacemente da qualsiasi ulteriore aggressione da parte della Russia; chiede che sia presa in considerazione la possibilità di istituire uno strumento di assistenza militare a lungo termine del tipo “lend-lease” (affitto e prestito) per l’Ucraina; invita in particolare gli Stati membri esitanti a fornire la loro giusta parte di assistenza militare necessaria per contribuire a una conclusione più rapida della guerra”.

Non è il Summit di Madrid della NATO che ha partorito questo invito; incredibile a dirsi, si tratta di un documento ufficiale del Parlamento europeo, la Risoluzione del 6 ottobre 2022 sull’escalation della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.

Con questa Risoluzione il Parlamento Europeo, non si è limitato a confermare la scontata condanna della Russia per l’aggressione condotta contro l’Ucraina e a constatare l’illegalità dell’annessione dei territori occupati a seguito di referendum farlocchi, ma ha praticamente dichiarato guerra alla Russia impegnando tutti i paesi UE a diventare attivamente cobelligeranti, sia incrementando il flusso di armi e finanziamenti a favore del Governo Ucraino, con l’indicazione persino del tipo di sistemi d’arma fornire (carri armati Leopard), sia attivando immediatamente l’addestramento dei soldati ucraini all’uso dei sofisticati armamenti occidentali. Quel che è peggio la risoluzione istiga l’Ucraina a portare la guerra sino alle sue estreme conseguenze: “al fine di consentire all’Ucraina di riacquisire il pieno controllo su tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale”. Insomma per il Parlamento Europeo, la guerra non si deve limitare a respingere l’aggressione russa, ma deve consentire all’Ucraina di riprendere quei territori (come la Crimea e le autoproclamate repubbliche del Donbass) sui quali non esercita più la sua sovranità dal 2014. Orbene i territori delle autoproclamate repubbliche di Donetsk, Lugansk si sono distaccati dalla Crimea nel 2014 in virtù di una sanguinosa guerra civile che ha causato, secondo varie fonti, oltre 14.000 morti. Il loro status è stato oggetto di negoziati e, con l’accordo di Minsk II, fu stabilito che dovessero tornare sotto la sovranità Ucraina, previo riconoscimento di un loro status speciale di autonomia (tipo l’Alto Adige in Italia). Kiev non ha mai dato seguito a questi accordi per cui questi territori non sono stati più sottoposti alla sovranità dell’Ucraina. Diverso è il discorso per la Crimea, regione che solo amministrativamente fu unificata all’Ucraina nel 1954. Nel 2014 il Parlamento della Crimea votò la secessione da Kiev e l’annessione alla Federazione russa. La decisione fu confermata da un referendum popolare e la Crimea fu annessa alla Russia con lo status di Repubblica autonoma.

Dal 2014 l’Ucraina è una Repubblica autonoma inserita nella Federazione russa. La NATO e la UE non hanno riconosciuto la separazione della Crimea dall’Ucraina, ritenendola contraria al principio dell’inviolabilità delle frontiere, così come la Russia non ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, che la NATO ha violentemente distaccato dalla Serbia, a seguito di una guerra aerea durata 78 giorni. Tuttavia per la Crimea, come per il Kosovo, si è ormai consolidato uno stato di fatto per cui questi territori sono diventate entità indipendenti, non più soggette alla originaria sovranità. Una eventuale azione militare per rovesciare questo stato di fatto costituirebbe una palese violazione del divieto dell’uso della forza di cui all’art. 2, comma 4 della Carta dell’ONU. La pretesa dell’Ucraina di distaccare manu militari la Repubblica autonoma di Crimea dalla Federazione russa costituirebbe un’aggressione, al pari di quella perpetrata dalla Russia contro l’Ucraina il 24 febbraio. Eppure incredibilmente il Parlamento Europeo ha legittimato l’ambizione del Governo ucraino di proseguire la guerra fino al punto di recuperare il pieno controllo della Crimea e di tutto il Donbass.

Non a caso il documento parla di escalation della guerra, perché è proprio l’escalation della guerra l’obiettivo a cui punta la Risoluzione, assegnando i compiti agli Stati membri perché forniscano all’Ucraina l’assistenza militare necessaria per sconfiggere e umiliare il nemico.

Se si considera che il territorio della Crimea ha per la Russia una valenza strategica insuperabile perché è la sede della sua flotta principale, è evidente che sostenere la pretesa del Governo ucraino di “riacquisire il pieno controllo su questo territorio incide su interessi vitali della Federazione, che non potrebbe mai accettare di essere estromessa dall’Ucraina. Così come gli abitanti delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, non potrebbero mai accettare di ritornare sotto il controllo dell’Ucraina, dopo essersi ribellati a prezzo di una durissima guerra civile. Legittimare queste pretese significa boicottare la volontà di trovare una soluzione pacifica al conflitto.

Del resto l’intenzione dell’Ucraina di alzare il livello dello scontro proprio sulla Crimea è testimoniata dall’attacco che ha parzialmente distrutto il ponte che collega la penisola di Crimea alla Russia attraversando il Mar d’Azov.

Se si progetta di mettere la Russia con le spalle al muro e di privarla di territori che hanno un alto valore strategico e da molti anni sono stati inclusi nella Federazione, è evidente che si sta spingendo per un’escalation della violenza militare.

Il Parlamento europeo ne è perfettamente consapevole prendendo atto:

“che il 21 settembre 2022 Vladimir Putin ha annunciato la prima mobilitazione della Russia dalla seconda guerra mondiale; che, secondo quanto riportato dai media, la mobilitazione riguarda tra i 300 000 e gli 1,2 milioni di riservisti che saranno chiamati alle armi”;

che, in un discorso televisivo tenuto il 21 settembre 2022, Vladimir Putin ha avvertito che se fosse minacciata l’integrità territoriale della Russia, ossia i territori ucraini illegalmente annessi, utilizzerebbe certamente “tutti i mezzi a nostra disposizione per proteggere la Russia e il nostro popolo”; che l’espressione “tutti i mezzi a nostra disposizione” sottende una minaccia nucleare neppure tanto velata;

Però dalla consapevolezza di questa svolta nella guerra non ne trae alcuna spinta volta a contrastare l’indurimento del conflitto, non a caso nel lunghissimo testo della Risoluzione non compaiono mai le parole “pace”, “cessate il fuoco”, “trattative”, “negoziato”, “conferenza internazionale”. Anzi si arriva al punto di banalizzare il rischio del ricorso alle armi nucleari, minacciando serie ritorsioni in caso del loro uso e dichiarando spavaldamente che la minaccia nucleare non dissuaderà l’UE dal fornire ulteriore assistenza all’Ucraina. Testualmente il Parlamento Europeo:

condanna le recenti minacce russe circa l’utilizzo di armi nucleari, ritenendole irresponsabili e pericolose; invita gli Stati membri e i partner internazionali a preparare una risposta rapida e decisa qualora la Russia compia un attacco nucleare contro l’Ucraina; invita la Russia a porre immediatamente fine alle minacce di un’escalation nucleare, date le ripercussioni globali che un’eventuale catastrofe nucleare avrebbe sulla vita umana e l’ambiente per decenni a venire; ricorda che qualsiasi tentativo da parte della Russia di far passare gli attacchi ai territori occupati come un’aggressione contro la Russia e quindi come un pretesto per un’offensiva nucleare è illegale e privo di fondamento e non dissuaderà l’Unione europea dal fornire ulteriore assistenza all’Ucraina ai fini della sua autodifesa;

In pratica è stato votato un programma di guerra totale alla Russia, dando per scontato anche la possibilità che si usino armi nucleari, nella convinzione che la “vittoria” sia l’unico obiettivo perseguibile, costi quel che costi. L’appello rivolto dal Papa: In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore affinché si giunga subito al cessate-il-fuoco, non solo è rimasto inascoltato, ma è stato ripudiato con una scelta politica diametralmente opposta. Evidentemente nessun senso di umanità alberga nel cuore dei parlamentari europei, che hanno approvato la Risoluzione quasi all’unanimità. In particolare per quanto riguarda l’Italia hanno votato a favore tutti i gruppi politici, di destra, di centro e di sinistra (escluso il Movimento 5 Stelle).

Ma noi sappiamo che quando la politica ripudia il senso di umanità che alberga nel cuore di ogni uomo si apre la strada verso l’abisso, la guerra è una sconfitta per l’Umanità. Ricordiamo il manifesto di Bertrand Russel ed Albert Einstein: “Ci appelliamo in quanto esseri umani ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate tutto il resto”.

Questo è il momento di dire basta e di alzare alta la voce per la pace.

Domenico Gallo
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OSSERVATORIO GLOBALIZZAZIONE
La dottrina Bergoglio per la pace

6 OTTOBRE 2022 BY ANDREA MURATORE
Papa Francesco sul conflitto russo-ucraino ha varato la “dottrina Bergoglio”, una via cattolica alla diplomazia, una “geopolitica della misericordia” proiettata alla Pace che unisce al portato della visione cattolica delle relazioni internazionali (vocazione universalistica, impegno per la compensazione delle rivalità, apertura trasversale al dialogo) un sostanziale realismo fondato su pochi e chiari capisaldi.
[segue]

“Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? …Si giunga subito al cessate il fuoco.”

ed769876-dd6d-4a32-967f-848d7679851dCessate il fuoco

Con l’annessione delle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson, la Russia ha scavato una trincea “politica” lungo le linee dei territori occupati, facendo sapere al nemico che da quelle linee non si muoverà, costi quel che costi.
Domenico Gallo​ 7.10.2022

Il 5 ottobre con la firma di Putin delle ratifiche dei trattati di annessione delle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson a seguito dell’esito dei referendum, si è verificato un fatto nuovo che cambia profondamente la natura del conflitto. Grazie ad un artifizio giuridico, la Russia ha trasformato i territori occupati dalle sue truppe in territorio della Federazione russa. In altre parole ha unilateralmente modificato i suoi confini, includendo nella Russia dei territori ancora formalmente soggetti alla sovranità dell’Ucraina. E’ evidente che ci troviamo di fronte ad una flagrante violazione del diritto internazionale, tanto della Carta dell’ONU, che dell’Atto finale della Conferenza di Helsinky (1975), che ha ribadito l’inviolabilità delle frontiere: queste possono essere modificate esclusivamente con mezzi pacifici e mediante accordo. Non può sussistere, pertanto, alcun dubbio sull’illegalità dell’annessione di questi territori alla Federazione russa. La Comunità internazionale non può riconoscere una modifica delle frontiere realizzata con la violenza bellica, ma questo non vuol dire che le vecchie frontiere debbano essere ripristinate con la forza.

La Comunità internazionale si è sempre rifiutata di riconoscere l’annessione di fatto realizzata da Israele della Cisgiordania a seguito della guerra dei sei giorni (1967). Più volte il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha qualificato Israele come potenza occupante, disconoscendo anche l’annessione di Gerusalemme est (in particolare con la Risoluzione 465), da ultimo lo ha fatto la Corte di Giustizia dell’ONU con la sentenza sull’illegalità del muro (9/7/2004), ma a nessuno è venuto in mente di spingere la Giordania o la Siria a riprendersi con la guerra i territori sottratti da Israele per ripristinare le frontiere violate. E’ pur vero che l’Ucraina può sempre invocare il diritto naturale di autotutela previsto dall’art. 51 della Carta dell’ONU, ma la mossa di Putin fa sì che, almeno su fronte interno, il Governo russo possa invocare il medesimo principio e trasformare “l’operazione militare speciale” in una sorta di guerra santa per la difesa della madre patria. Di qui il rischio che, di fronte ad un pericolo di smembramento, la Russia possa fare ricorso alle armi nucleari, come prevede la sua dottrina militare. Con questa svolta la Russia ha scavato una trincea “politica” lungo le linee dei territori occupati, facendo sapere al nemico che da quelle linee non si muoverà, costi quel che costi. Il fatto che la controffensiva ucraina stia riguadagnando il terreno perduto non è una buona notizia perché non può far altro che spingere la Russia ad incrementare il proprio impegno militare e alzare il livello dello scontro.

Si profila una fase nuova della guerra, simile alla guerra di logoramento che si combattè su vari teatri europei nel corso della Prima guerra mondiale. Nella sola battaglia di Verdun, che si protrasse dal febbraio al dicembre del 1916, ci furono nei due schieramenti oltre 700.000 morti. In tutto il conflitto la Francia ebbe oltre 1.300.000 morti (700.000 in Italia). Di fronte ad una catastrofe simile, aveva un senso chiedersi chi avesse iniziato o chi avesse vinto? La guerra era il male assoluto e la riannessione alla Francia delle terre di confine dell’Alsazia e della Lorena non poteva certo giustificare o mitigare le tremende devastazioni provocate dalla guerra e la perdita di milioni di vite umane. In questa nuova situazione la determinazione dell’Ucraina di recuperare manu militari i territori occupati dall’esercito russo apre uno scenario tremendo di violenza bellica simile a quello della Prima guerra mondiale, con la differenza che all’epoca non esistevano ancora le armi nucleari. Tanto per non suscitare equivoci sulle sue intenzioni, il Presidente Zelensky, dopo aver chiesto di essere anche formalmente ammesso nella NATO, ha emesso un decreto che vieta di aprire qualsiasi negoziato con la Russia.

La possibilità che la Russia, messa alle strette, ricorra all’uso di armi nucleari tattiche comporterebbe l’automatica estensione della guerra a tutti i 30 paesi della NATO poiché, come ci ha avvertito, da ultimo il gen. Petraeus, gli Stati Uniti, insieme agli alleati della Nato, “eliminerebbero” le forze russe in Ucraina e distruggerebbero la flotta russa nel Mar Nero. Nessun Parlamento potrebbe battere ciglio, l’Italia, come gli altri paesi NATO si troverebbe coinvolta in una tempesta di fuoco con la Russia, sullo sfondo della quale ci sarebbe l’olocausto nucleare Abbiamo visto che gli Stati Uniti hanno tutto l’interesse al proseguimento di una guerra che dissangua la Russia e danneggia soltanto l’Europa, ma è possibile che tutti gli Stati europei continuino ad appoggiare con finanziamenti e rifornimenti militari questa aspirazione dell’Ucraina di andare allo scontro finale con la Russia? Di fronte a queste prospettive tremende, l’unica speranza è che venga ascoltato l’ultimo accorato appello al cessate il fuoco di papa Francesco: ” Mi addolorano le migliaia di vittime, in particolare tra i bambini, e le tante distruzioni, che hanno lasciato senza casa molte persone e famiglie e minacciano con il freddo e la fame vasti territori. Certe azioni non possono mai essere giustificate, mai! (..) E che dire del fatto che l’umanità si trova nuovamente davanti alla minaccia atomica? È assurdo. Che cosa deve ancora succedere? Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore, rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate-il-fuoco. Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili.”

Anche noi ci chiediamo, cos’altro deve succedere prima che si verifichi un sussulto morale nella coscienza collettiva che faccia capire ai responsabili politici delle Nazioni che stanno commettendo un errore imperdonabile, perché la guerra in sé stessa è un orrore?

Per fortuna l’intervista di Conte ad Avvenire (5/10) dimostra che si sta aprendo una seria breccia nel muro dell’indifferenza della politica.

(una versione ridotta di quest’articolo è stata pubblicata dal Fatto quotidiano del 7 ottobre con il titolo: ha senso solo la via del Papa)

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Cessate il fuoco
Con la formale annessione alla Federazione Russa delle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson si è verificato un fatto nuovo che cambia profondamente la natura del conflitto in corso in Ucraina e apre la strada ad un’ulteriore escalation.
A fronte di una situazione critica sul piano militare dopo sette mesi di combattimenti ininterrotti, che hanno causato decine di migliaia di morti e distruzioni incalcolabili, questo ulteriore sviluppo rischia trasformare quella che il Governo russo ha definito una “operazione militare speciale” in una sorta di guerra santa per la difesa della madre patria. Si profila, pertanto un indurimento del conflitto, testimoniato dalla mobilitazione dei riservisti russi.
In questa nuova situazione le minacce di utilizzare l’arma nucleare da parte russa e la determinazione dell’Ucraina di recuperare manu militari i territori occupati dall’esercito russo apre uno scenario tremendo di violenza bellica simile a quello della Prima guerra mondiale, con la differenza che all’epoca non esistevano ancora le armi nucleari.
Il decreto del Presidente Zelensky che vieta di aprire qualsiasi negoziato con la Russia è un ulteriore segnale della volontà di portare il conflitto alle sue estreme conseguenze, incurante del rischio di un olocausto nucleare.
Di fronte a queste prospettive tremende, è urgente un cambiamento di rotta.
Non possiamo continuare ad alimentare l’ambizione del governo ucraino di “vincere” la guerra con la Russia e – persino – di recuperare con la forza quei territori che si sono distaccati nel 2014. L’Ucraina ha il diritto di difendersi ma non quello di trascinare il mondo in una guerra mondiale e tanto meno nucleare che cancellerebbe buona parte dell’umanità.
Condividiamo l’accorato appello al cessate il fuoco del Papa: “Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? …Si giunga subito al cessate il fuoco.”
La Presidenza del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale condivide la necessità di una mobilitazione popolare promossa dal più largo schieramento possibile di associazioni e di persone che vogliono un immediato cessate il fuoco, l’avvio di trattative di pace, una conferenza internazionale per definire come uscire da questo pericoloso conflitto.
Il Cdc aderisce alle iniziative di associazioni laiche e cattoliche, dalle reti italiane ed europee che invocano il cessate il fuoco immediato, condizione imprescindibile per costruire percorsi di pace ed avviare una conferenza internazionale (come quella di Helsinky del 1975), che consenta di ricostruire una convivenza pacifica in Europa e nel mondo.
Invita tutti gli aderenti a lavorare per la più ampia partecipazione alle iniziative per il cessate il fuoco e per arrivare alla pace.

La Presidenza del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale
7/10/2022
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807de71e-2958-4561-ac01-376205c3c894L’appello della Conferenza episcopale russa.

Fratelli e sorelle amati nel Signore,
membri del clero, monaci e laici,

Il confronto in Ucraina è degenerato in un conflitto armato su larga scala, che ha già cancellato migliaia di vite, ha minato la fiducia e l’unità tra le nazioni e i popoli, e minaccia l’esistenza di tutto il mondo. Come sei mesi fa, noi desideriamo ripetere il magistero della Chiesa, secondo il Santo Vangelo e l’antica Tradizione: la guerra non è mai stata né mai sarà un mezzo di risoluzione dei problemi tra le nazioni; «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra» (Pio XII, 1939).

Oggi i nostri cuori sono pieni di dolore e di impotenza per l’incapacità di fare qualcosa o anche solamente di trovare parole giuste, che possano cambiare la situazione in maniera decisiva ed evitare ulteriori vittime. Insieme a voi, fratelli e sorelle, ascoltiamo con attenzione le parole del Santo Padre, pronunciate in occasione della sua visita in Kazachstan: «Non abituiamoci alla guerra, non rassegniamoci alla sua ineluttabilità. Andiamo in aiuto di chi soffre e insistiamo perché si provi davvero a raggiungere la pace. L’unica via d’uscita è la pace, e l’unica strada per raggiungerla è il dialogo».

Consapevoli della nostra impotenza, preghiamo di vivere nello spirito della consacrazione dell’Ucraina e della Russia al Cuore Immacolato di Maria fatta da Papa Francesco, con piena fiducia nella cura di Dio per i suoi figli e nella sua infinita misericordia. L’unico modo per vivere così è essere umili costruttori di pace e difensori della giustizia, nella misura in cui i nostri talenti e le circostanze della nostra vita ce lo permettono.

La mobilitazione parziale proclamata in Russia ha posto molti nostri fedeli davanti a una scelta morale molto seria. Sappiamo che in determinate circostanze le autorità statali non solo hanno il diritto, ma devono anche usare le armi ed esigere dai cittadini l’adempimento dei doveri necessari per la difesa della patria; e che coloro che compiono rettamente il servizio militare per la patria servono il bene comune. Tutto questo è vero se le azioni militari sono finalizzate a una più rapida conclusione del conflitto e ad evitare il moltiplicarsi delle vittime (Cfr. il Catechismo della Chiesa cattolica 2307-2317).

In conclusione, la questione se sia ammissibile partecipare alle azioni di guerra è una questione che riguarda la coscienza personale, che è il santuario più segreto e sacro dell’uomo, nel quale egli è solo con Dio, e al cui giusto giudizio è sempre tenuto a obbedire (ibid., 1795, 1800).

D’altra parte, la Chiesa ricorda alle autorità dello Stato che esse «devono trovare una giusta soluzione nel caso in cui una persona si rifiuti di imbracciare le armi per sua convinzione, pur rimanendo obbligata a servire la comunità umana in altro modo» (ibid., 2311). Questo diritto è sancito dall’articolo 59, paragrafo 3, della Costituzione della Federazione Russa e ne chiediamo l’osservanza coerente.

Per quanto riguarda gli esponenti del clero e i monaci della Chiesa cattolica, va rimarcato che è categoricamente impossibile per loro partecipare alle ostilità, sia secondo le antiche regole della Chiesa che secondo le convenzioni internazionali in vigore.

Rinnoviamo l’invito a tutti i nostri fedeli a intensificare le preghiere e il digiuno per una pace giusta e sicura. I sacerdoti sono invitati a celebrare la Santa Messa per il mantenimento della pace e della giustizia, utilizzando la Preghiera Eucaristica per la riconciliazione, recitando la preghiera dall’Ufficio liturgico «sulla pace e la patria» e includendo nella Preghiera dei fedeli le richieste per la cessazione delle azioni militari e la salvaguardia della vita umana.

Paolo Pezzi
Arcivescovo metropolita della Madre di Dio a Mosca
A nome della Conferenza episcopale dei vescovi cattolici in Russia.
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È online
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Le primavere nascono d’inverno
Editoriale di Mariano Borgognoni

Abbiamo voluto dedicare la copertina alle alle ragazze, alle donne, ai giovani iraniani che si battono per avere il diritto alla libertà. Alla memoria di Mahsa Amini, di Hadis Najafi e alle tante e ai tanti assassinati dalla feroce repressione del regime. Assassinati nel nome di una immagine di Dio, sia detto con chiarezza, di cui è bene sentirsi atei. Speriamo che sempre più questa protesta senta il sostegno di quante e quanti in ogni parte del mondo avvertono l’emancipazione e la liberazione femminili come valori universali. Ci siamo sentiti toccati dal canto di Bella ciao intonato dalle giovani iraniane nella loro lingua; un canto di lotta per la dignità e la giustizia che, radicato nella Resistenza italiana, accomuna ormai quanti, in ogni parte del mondo, rifiutano di piegare la testa a violenze e soprusi.

Sull’esito delle elezioni del 25 settembre in Italia vi invito a leggere i notevoli approfondimenti di Ritanna Armeni, Andrea Gaiardoni e Maurizio Salvi. È l’inizio di una riflessione sulla situazione politica italiana che, continuerà nei prossimi numeri. Consentite soltanto alcune considerazioni molto più grossier.
1) Il dato altissimo ed allarmante dell’astensionismo che si avvicina al 40% degli aventi diritto al voto e che in molte parti del Paese (in particolare al Sud) supera il 50% è segno certo di un disagio e di una radicale sfiducia nei confronti della capacità della politica di affrontare i problemi della propria esistenza individuale e sociale. Stavolta è indice anche, per una parte non irrilevante, di un profonda irritazione, soprattutto nel centro-sinistra, nei riguardi di una offerta politica ritenuta del tutto inadeguata o velleitaria. La vergognosa, semidemocratica, ma consapevolmente non modificata legge elettorale, che l’editoriale impedisce di fatto una vera elezione del Parlamento, riduce la politica a un gioco tra pochi e stacca i nominati a Camera e Senato da qualsiasi rapporto reale con i territori. Eppure non c’è alcun partito che si proponga realmente di cambiarla. Attenzione perché di questo passo l’opinione pubblica comincerà a pensare che il presidenzialismo possa essere l’unico modo per avere una possibilità di scelta. E si andrà avanti a colpi di accetta nella riforma delle istituzioni (come è avvenuto per la tagliata da macellaio sul numero dei parlamentari) senza un preoccuparsi di dar vita ad un condiviso bilanciamento democratico.

2) Sulla vittoria della destra c’è poco da dire. Ha letto lucidamente il meccanismo elettorale ed ha unito le sue differenze. Il centro-sinistra ha, vai a sapere perché, abbandonato il campo che aveva in qualche modo coltivato e si è suicidato pur mettendo insieme quasi il 50% dei voti. La destra ringrazia del gentile omaggio! Insomma, per ricordare una vecchia frase cinica: peggio di un crimine è un errore politico. Ora qualche solone dirà che non si fa così la somma in politica, che il Pd ha perso il sensus sui (l’ha mai avuto?); che i contiani non avrebbero preso gli stessi voti stando in coalizione. Tutto vero ma se guardo la composizione dei due rami del Parlamento e in particolare del Senato penso che la partita sarebbe stata aperta e non dichiarata chiusa prima di cominciare.
3) Che fare? Diceva un tale. Beh chi governerà avrà da fronteggiare una situazione drammatica e staremo a vedere. Quello che hanno promesso, dal taglio del reddito di cittadinanza al riarmismo, dallo stop ai diritti civili a un atlantismo più sovranista che europeista, dal tassapiattismo alla denuncia della vecchiezza della Carta costituzionale, non fa stare allegri. Chi ha perso dovrà pensare all’opposizione. Almeno questo sembra un dato acquisito: opposizione politica a un governo politico. Non sembra esserci tanto spazio per le mezze ali specializzate nella manovra di palazzo e nell’oliatura dei sempiterni circuiti dell’establishment. Il Pd finalmente dovrà scendere sulla terra e spiegarsi che cosa pensa. È nato con l’idea di tenere insieme socialismo e popolarismo (il solito solone che prende sul serio le scadenze di calendario come segnatempo epocale e al quale ora non rispondo, dirà che son categorie del ’900) in realtà li ha espunti entrambi divenendo un partito di specialisti del governo dell’esistente, quasi un partito tecnico. Il «che fare» è un discorso lungo ma ci sarebbe tanto bisogno di costruire dal basso e dall’alto una forza di popolo in cui l’ispirazione socialista e cristiana faccia da ancoraggio al nuovo mondo del lavoro e del bisogno e incroci quell’istanza ambientalista che i giovani avvertono decisiva per il proprio futuro. È un compito che richiede un nuovo protagonismo civile. Forse i tempi non saranno brevi ma le primavere nascono d’inverno.

ROCCA 15 OTTOBRE 2022

Riflessioni odierne e “antiche”

bambino con teschioDal Blog di Enzo Bianchi
​Fondatore della comunità di Bose

Il senso di responsabilità
L’involgarimento del gusto, l’imbarbarimento dei modi, la mediocrità e la rozzezza pervadono ogni ambiente della nostra società
La Repubblica – 03 Ottobre 2022

di Enzo Bianchi
L’emergenza dovuta alla pandemia che ha ristretto il campo della nostra osservazione, la preoccupazione per la guerra ai confini dell’Europa – una guerra tra Russia e Occidente, come si è subito rivelata –, le difficoltà dovute alla recessione economica che stiamo attraversando, ci hanno impedito di leggere ciò che stiamo vivendo nel quotidiano a livello individuale e sociale. Ma se si cerca di farne una lettura formulandone un giudizio ci rendiamo subito conto che l’involgarimento del gusto, l’imbarbarimento dei modi, la mediocrità e la rozzezza (quest’ultima chiamata da Robert Musil “prassi della stupidità”) pervadono ogni ambiente della nostra società. Il clima in cui viviamo è ormai per molti di noi un’insostenibile pesantezza, perché deteriora e compromette la qualità della vita personale e collettiva, l’“io” e il “noi”. A questo appiattimento acritico su modelli spesso importati, a una cultura segnata da competitività, aggressività, negazione del diverso, sembra non sia possibile reagire efficacemente in campo educativo, per cui l’involgarimento è dilagante.

Sappiamo tutti elencare le crisi che stiamo attraversando, ma forse alla radice di molte di queste dovremmo riconoscerne una: la crisi del senso di responsabilità. Essere responsabili significa tenere costantemente presente il volto dell’altro, degli altri, perché il volto sempre si volge a me con una domanda, un’attesa, la richiesta implicita di una risposta che è la prima forma di responsabilità.

Ma per arrivare a possedere il senso di responsabilità certamente occorre resistere all’esproprio dell’interiorità, tentata dalla dominante colonizzazione della cultura di massa, sempre più tecnicizzata. Senza una vita interiore in cui possano sorgere le domande, riesca trovare spazio la critica, si possa misurare la capacità di resistenza, chi mai potrà tentare vie di libertà? Anche l’educazione, la trasmissione del sapere, come potrebbero avvenire in modo efficace e fecondo senza la formazione dello spirito o della vita interiore?

Troppo scarsa è l’attenzione che si dedica alla preparazione alla vita, alla formazione del carattere, all’esercizio del pensare e del discernere, e va anche denunciato come sia mancata una trasmissione da parte di quelli che dovevano essere “trasfusori di memoria”. Abbiamo avuto invece dei rottamatori che ci hanno lasciato solo rovine, e ora il panorama si presenta desertificato, senza più qualcuno che viva la passione per un compito, una missione.

È soprattutto nella vita della polis che si mostra il senso di responsabilità che impedisce il regnare della demissione. Sì, la demissione di fatto non può essere chiamata con altro nome che con quello di “stupidità”. Scrive Dietrich Bonhoeffer nelle lettere dal carcere: “Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità ci si può opporre con la forza… ma contro la stupidità non abbiamo difese … in determinate circostanze gli uomini vengono resi stupidi, o si lasciano rendere tali. Il potere di alcuni richiede la stupidità degli altri”.

Parole che dicono l’urgenza di opporre resistenza, di impegnarsi in una vita interiore, per essere dotati del senso di responsabilità.
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Beni comuni e amministrazione condivisa • Il punto di Labsus
L’Amministrazione condivisa per sostenere la nostra febbricitante democrazia

Proposte per forme innovative di impegno politico capaci di recuperare gli spazi (perduti) della democrazia

di Pasquale Bonasora su Labsus
4 Ottobre 2022

«Quel giorno non comprendevo fino in fondo l’importanza di quello che stava succedendo, anche se ero molto fiera di recarmi alle urne. Con gli anni ho compreso meglio. Oggi sono orgogliosa di poterlo raccontare ai miei figli e nipoti. È stato un traguardo importantissimo per le donne e la democrazia in generale». Sono parole che raccontano un giorno storico, quello del 2 giugno 1946. Sono parole che raccontano le emozioni di Francesca Costella, tra le prime donne in Italia ad aver esercitato il diritto di voto.

Il primo partito italiano

La realtà oggi sembra molto diversa e decisamente meno entusiasmante. Quello dell’astensione è il primo partito in Italia e mentre, con ogni probabilità, avremo per la prima volta una donna alla guida del Governo, il livello della partecipazione al voto si abbassa sempre più. Il dato dell’astensione, del resto, sembra non preoccupi abbastanza i protagonisti della vita politica. È un tema buono per la prima dichiarazione a urne appena chiuse, quando ancora non ci si può sbilanciare sui risultati elettorali, ma sembra già dimenticato il giorno dopo le elezioni.

Innanzitutto, cambiare la legge elettorale

La percentuale dei cittadini che non è andata a votare alle politiche del 1983 era dell’11,99% (la prima volta con numeri in doppia cifra), nell’ultima tornata elettorale ha raggiunto il 36,09%. In soli cinque anni, dal 2018 ad oggi, quasi il 10% in più. Un lento inesorabile declino della voglia di partecipare attraverso l’esercizio del diritto di voto da parte degli italiani. Qualcosa nei sistemi politici attuali sembra non funzionare più vista la difficoltà delle forze politiche tradizionali a raccogliere consenso e governare. Tra le cause che alimentano la disaffezione al voto non sembra trovare riscontro nella classe politica quella di una legge elettorale che da tempo ha sottratto agli elettori il diritto di scelta dei propri rappresentanti, indicati dalle segreterie di partito e molto spesso catapultati in territori che non conoscono e scelti in base a più o meno attendibili garanzie di “obbedienza” al capo politico.

Una lettura semplicistica dell’astensionismo

Nessun riferimento alle criticità dell’attuale sistema elettorale lo si trova nemmeno nel Libro bianco per la partecipazione dei cittadini al voto promosso dal Ministero per i rapporti con il Parlamento, pubblicato nell’aprile di quest’anno, dove però troviamo una sorprendente definizione dell’astensionismo di protesta inteso come «quelli che possiamo considerare gli alienati che vanno da coloro che dissentono esplicitamente dalle politiche governative, a quelli che contestano la classe politica con posizioni chiaramente anti-establishment, a quelli che non hanno fiducia nel metodo (elettorale) democratico, a quelli con posizioni radicali, anche neo-autoritarie». Mi sembra una lettura semplicistica e per certi versi autoassolvente di un sistema che forse dovrebbe porsi come obiettivo quello di contrastare soprattutto le diseguaglianze crescenti nel mondo come nel nostro Paese.

I poveri non sono interessati a votare

Del resto, alcune interessanti letture mostrano un evidente collegamento tra le aree più povere e depresse e quelle con la maggiore astensione dal voto, quasi sovrapponibili. Significa che chi vive quotidianamente la precarietà, la mancanza di risorse, l’assenza di speranze non ha più riferimenti e crede sempre meno nella democrazia come processo che garantisca il benessere e la felicità di ciascuno e non di un numero sempre più ristretto di privilegiati.

Nuovi spazi per l’esercizio della democrazia

È un tema che riguarda tutti, da destra a sinistra. La verità, forse, sta nella necessità di recuperare gli spazi della democrazia in un processo che non può dirsi mai compiuto e leggere e sostenere quello che di nuovo sta nascendo, in forme diverse dal passato, ma con la capacità di definire identità nuove, mobilitare energie per la tutela di interessi generali, riconoscersi in principi e valori condivisi. Le tradizionali forme di partecipazione politica, invece, vivono ormai da tempo un processo di trasformazione e mutamento, nate per ricoprire innanzitutto una funzione di integrazione sociale e aggregazione delle domande a cui dare risposte attraverso la rappresentanza politica, per sopravvivere nel mercato elettorale puntano sempre più sulla personalizzazione e sul ricorso agli strumenti tipici delle strategie commerciali.

Saper riconoscere i nuovi soggetti diffusi, per dare loro fiducia

La ricerca spasmodica del consenso impedisce, non sempre ma spesso, di riconoscere tanti soggetti diffusi, apparentemente deboli ma molto radicati sul territorio, che stanno ridefinendo i confini dell’agire pubblico. Sono quei cittadini, organizzazioni collettive, gruppi informali, associazioni riconosciute e legittimate dal principio di sussidiarietà orizzontale. Tocca alle istituzioni “favorire” l’autonoma iniziativa dei cittadini ma, senza dimenticare l’impegno e l’abnegazione di tanti, soprattutto amministratori locali tecnici e politici, siamo ancora lontani dal significato che la costituzione all’articolo 118, IV comma attribuisce a quel “favoriscono”.
Sembra prevalere ancora l’idea che le esperienze di Amministrazione condivisa attraverso la cura dei beni comuni, sempre più diffuse in tutto il Paese, siano certamente positive ma sostanzialmente amatoriali. Buone per alimentare il senso civico dei cittadini ma senza quella capacità di incidere sui grandi problemi del nostro tempo, primo fra tutti quello delle disuguaglianze. Utili, forse, per migliorare la fruizione di alcuni beni, ma ancora poco efficaci nel migliorare la qualità della vita nei territori. È necessario, allora, che le istituzioni pongano maggiore fiducia in queste esperienze e nelle forme di gestione dei beni comuni che solo l’Amministrazione condivisa è capace di promuovere.

Una gestione condivisa anche di servizi di interesse comune

Quanto è lunga la lista degli spazi dimenticati delle nostre città? Aree dismesse, cinema abbandonati, scuole chiuse, edifici pubblici e privati inutilizzati tutti in attesa di una nuova identità che potrebbe trasformarli da costo a investimento per l’amministrazione pubblica. Non solo, oggi si è fatta strada la possibilità che sia possibile attivare la gestione condivisa anche di servizi di interesse comune che mettono al centro la persona affinché possa sentirsi parte integrante di una comunità in un percorso centrato intorno alla pratica quotidiana della cura. È necessario superare l’idea che solo la gestione pubblica sia in grado di garantire l’accesso a beni e diritti fondamentali, a favore di modelli e forme di gestione condivisa e partecipata da parte dei cittadini.

Proposte per forme innovative di impegno politico

La stessa Corte costituzionale nella pronuncia 131/20 ha definito l’Amministrazione condivisa come «un canale alternativo a quello del profitto e del mercato», è un riconoscimento che la politica deve saper cogliere e fare proprio, c’è bisogno di trovare strade nuove per superare l’insofferenza crescente rispetto alle forme della democrazia. Forme innovative di impegno politico che interpretano in chiave contemporanea il diritto di ogni cittadino di «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49 Costituzione), oggi passano dalla capacità di riconoscere alcuni elementi essenziali, non solo di natura tecnica e amministrativa, dei processi di Amministrazione condivisa:

sono centrati sulle persone e sulla cura del pianeta. I beni comuni sono al tempo stesso locali e globali ma solo chi vive nel territorio dove quel bene si trova può concretamente prendersene cura per consentire a tutti gli altri esseri umani presenti e futuri di goderne i benefici;
hanno la capacità di valorizzare i processi dalla piccola alla grande scala. Nello spazio, dall’effetto della singola azione di cura alla visione generale di impatto sostenibile e nel tempo, dal presente al futuro;
alimentano la creatività e lo scambio di idee facendo emergere nuove prospettive;
sono orientati all’inclusione e alla condivisione delle differenze riconoscendo l’interdipendenza tra le generazioni e le culture;
sono circolari e generativi perché liberano le risorse esistenti – fisiche e sociali – per nutrirle e farle crescere.
L’azione sussidiaria dei cittadini, dunque, ha una sua dimensione politica capace di produrre e alimentare quelle risorse di socialità indispensabili per sostenere la nostra febbricitante democrazia.

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beato-angelico-san-pietro-martire-ingiunge-il-silenzio-dettaglio-affresco-ca-1442-lunetta-nel-chiostro-detto-di-santantonino-del-convento-di-san-marco-museoLa fatica e il coraggio di essere uomini.
di Salvatore Loi, Guamaggiore 1971.
Mi hanno sempre colpito due frasi del Vangelo: una è di San Luca “ma il Figlio dell’uomo, alla sua venuta, troverà forse la Fede sulla terra?” (Lc. 18,8) e l’altra è di San Matteo “per il moltiplicarsi dell’iniquità si raffredderà la carità di molti” (Mt. 24,12).
A pensar bene sono due frasi drammatiche: sembra che Gesù veda con amarezza tempi in cui fede e amore entreranno in agonia. E l’agonia della fede e dell’amore coincide con l’agonia di Dio nel mondo, ma anche con l’agonia dell’uomo.
Forse oggi essere uomini significa vivere accettando la terrificante condizione umana senza lasciarsene vincere.
Se abituassimo i nostri occhi a superare le barriere dell’apparenza e il nostro cuore ad avere il coraggio di guardare fino in fondo anche ciò che non vorremmo vedere, ci accorgeremmo che siamo povera gente presa dalla paura di tutto.
Il peggio è che questo tutto te lo senti di fronte e di spalle e di fianco e non riesci ad afferrarlo, te lo senti in fondo al cuore e non sai che sia.
Siamo spesso come il povero ebreo errante che sente su di sè il peso di una vita che non riesce a portare, come il pellegrino in viaggio verso una terra che desidera e teme. Gente seduta alla porta di casa a sognare e mentre sogna si accorge che arriva la fine e che il sogno finisce.
La nostra esperienza non è stata voluta per uscire dalla condizione di ogni uomo: guai a coloro che per essere cristiani dimenticano di essere uomini.
È stata voluta come un momento in cui insieme potessimo ricuperare dal fondo del nostro essere quella nostalgia di fede e di amore che ci facessero sperare che è ancora possibile essere uomini veri, con Dio e in Dio.
Il mistero dell’uomo, ha scritto il Concilio Vaticano II, trova spiegazione alla luce del mistero di Cristo. Perciò abbiamo cercato di porre Cristo al centro della nostra esperienza: la sua Parola, il suo Sacrificio e la sua Carità.
Non è che la sua presenza abbia reso la nostra vita più superficialmente tranquilla.
Io non mi so dire perché Dio preferisca piangere con l’uomo piuttosto che dargli una gioia che l’uomo non ha la felicità di costruirsi, ma so, voglio sapere che Dio non è tanto occupato da non ascoltare il pianto di chi non sa ricevere, come di chi non sa dare.
La presenza di Dio: ora consolante e ora sconvolgente, però tale che non ci toglierà la fatica di essere uomini.
Ci darà solo il coraggio di esserlo fino in fondo, se noi vorremo.
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Francesco d’Assisi. 4 ottobre Festa di San Francesco d’Assisi

Francesco d’Assisi.
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Una riflessione di Enzo Bianchi, sul suo blog.
Carissime amiche e amici, la radicalità evangelica di S. Francesco, che oggi ricordiamo, hanno fatto di lui un appello costante e universale per la Chiesa di ogni tempo e il Vangelo della prossima domenica ce lo ricorda particolarmente, lui che osò incontrare un lebbroso. Questo stesso brano ci mostra anche che chi accede allo spazio dei figli del Regno è uno straniero, un samaritano, uno fuori dal popolo di Dio, dal recinto ortodosso. In questo racconto Gesù demolisce molte certezze di noi cristiani asserragliati in chiese o comunità. Fuori, fuori, anche fuori c’è un operare di Cristo Signore che a volte trova più ricezione di quanta ne abbia tra noi che ci sentiamo dentro. Dio non si lascia conoscere solo nelle istituzioni ecclesiastiche o cultuali, ma si fa conoscere soprattutto in Gesù: grazie a lui, attraverso di lui solo si rende gloria a Dio. Buona settimana!

(…) E così, di Porcellum in Porcellum siamo arrivati a questa bella legge elettorale offertaci e mai ripudiata dal Partito Democratico, che fa fuggire i non rappresentati dai seggi e dà la maggioraza assoluta (quasi i due terzi!) a chi è minoranza nel Paese e crea un Parlamento, sfoltito di molti seggi perchè non sia troppo d’intralcio al governo. Ma le due parti sono poi tanto diverse? Tutte e due vogliono le stesse cose, un’economia che uccide, come la chiama il Papa…

821282f3-8eb7-4ae0-8d06-5ac3110ab912costituente-terra-logoCostituente Terra. Newsletter n. 94 del 28 settembre 2022

HA VINTO IL SISTEMA

Cari Amici,
la sciagura è alla fine arrivata. Ha vinto la destra-destra; molti la chiamano fascismo. Anche la satira si è presentata il giorno dopo in camicia nera, come a dire: “ormai è fatta”. Arriva la prima donna, una sola, al comando, a sostituire l’ultimo uomo, che era tanto piaciuto a tutti, aveva occhi di drago (draghi e tigri tanto amati da Letta). E ora tutti piangono, perfino “La Stampa”, che è pentita, ed “Otto e mezzo”, temono un governo come non ne avevamo dal 25 luglio 1943, per fortuna di mezzo c’è la Costituzione, non lo Statuto albertino.
Ma non ha vinto il fascismo. Ha vinto il sistema che con tanto trasporto e accanimento e falso messianismo, abbiamo creato. Il sistema che si fonda e si conserva costruendo il nemico: sul piano internazionale e sul piano interno, perché non ci può essere su un piano se non c’è anche sull’altro.
Sul piano interno il sistema lo abbiamo restaurato quando, con la fine del comunismo, temevamo di perderlo. Prima di tutto abbiamo esorcizzato le idee (dette ideologie) e sciolto i partiti: col pretesto che non avevano le mani pulite, abbiamo fatto sì che non avessero più mani (ci fu anche un libro di poesie intitolato così). Poi abbiamo licenziato pluralismo e proporzionale e abbiamo messo sugli altari un sistema “a vocazione maggioritaria”, come diceva il versatile Veltroni, chi vince vince tutto, chi perde perde tutto, e il suo istituto fondatore fu battezzato con un nome inglese (come è d’obbligo), ed è lo “spoil system” (la divisione delle spoglie), senza pensare che la maggioranza se la potevano prendere gli altri; il Partito Democratico e l’Ulivo che avevano messo insieme, senza altre spiegazioni, le due antropologie che più si erano combattute e cimentate in un dialogo foriero di “cose nuove” e di un “uomo inedito”, si acconciarono a fare una delle due parti, senza una cultura , la parte che alzando le braccia al cielo Berlusconi, alla fine della campagna elettorale, esecra come “la sinistra!”. E così, di Porcellum in Porcellum siamo arrivati a questa bella legge elettorale offertaci e mai ripudiata dal Partito Democratico, che fa fuggire i non rappresentati dai seggi e dà la maggioraza assoluta (quasi i due terzi!) a chi è minoranza nel Paese e crea un Parlamento, sfoltito di molti seggi perchè non sia troppo d’intralcio al governo. Ma le due parti sono poi tanto diverse? Tutte e due vogliono le stesse cose, un’economia che uccide, come la chiama il Papa, e disoccupati senza reddito di cittadinanza, e il Nemico esterno.
Quest’ultimo è il grande unificatore di governo e opposizione, lo combatte uno schieramento che si chiama atlantista e si pretende, e non é, europeista, almeno per una certa “idea di Europa”). Adesso il nemico è Putin, perché proditoriamente ha invaso l’Ucraina, la cui indipendenza è tanto amata da Blinken e dagli Stati Uniti, che una volta si volevano prendere perfino Grenada, un’isoletta però più vicina. Ma Putin non è diventato il Nemico ora, come sarebbe plausibile, lo è da molto prima, da quando gli Stati Uniti la NATO e l’Occidente hanno erroneamente pensato che non potevano sussistere senza un Nemico così persuasivo come l’Unione Sovietica, comprese le sue armi nucleari, e dopo un idillio brevissimo vissuto con Eltsin (dati i suoi meriti di rottamatore dell’URSS), hanno adottato la Russia come Nuovo Nemico (ma anche antico, con Dostoewski e i suoi libri tolti dalle biblioteche). Lo ha raccontato Putin, quando non era così cattivo che un americano non ci potesse neanche parlare, e lo rivelò al regista americano Oliver Stone. C’era Clinton in visita al Cremlino e Putin gli disse “tra il serio ed il faceto”, che la Russia poteva entrare nella NATO, Clinton non lo escluse, ma la delegazione americana ne fu “terrorizzata”, perché senza nemico non si poteva stare, cioè fuori da un sistema su misura della NATO in cui, come spiegò Putin, ci sono solo due opinioni, “quella americana e quella sbagliata”, e ci sono solo due Parti, quella giusta e quella sbagliata, e una delle due è destinata a soccombere.
È questo sistema che ha vinto in Italia e l’alternativa è molto evidente. Da una parte ci sono i “Fratelli d’Italia”, quelli che sono fratelli tra loro, e fratelli con quelli che, benché stranieri, sono simili a loro. Ma sono fratelli al modo di Caino, o al modo dell’inno di Mameli, con in testa l’elmo di Scipio e il mito della vittoria sugli altri intesi come “schiavi”, o come paria, così come Biden dice che devono essere i russi nella sua società internazionale pensata come una società divisa in caste, in cui i paria, i fuori casta, sono esclusi, perché sono meno che uomini. Dall’altra parte l’alternativa è molto chiara, e si dice in sole due parole: Fratres omnes, fratelli sono tutti, anche russi, americani e cinesi e anche cristiani e musulmani e credenti di ogni fede, come si è visto in Kazakhstan, col Papa in mezzo agli altri, non primo e non solo (chi sono io?) e anche con Giorgia Meloni, con tutta la sua classe dirigente che non c’è. Non ci vuole tanto a capirlo, basta essere “internazionalisti”, l’accusa più infamante che gli assassini di mons. Romero in Salvador imputarono a Marianella Garcia Villas, prima di ammazzare anche lei. Essere internazionalisti questo significa, e dar mano a una Costituzione della Terra. Ma per arrivarci bisogna esserlo prima, adesso, non dopo, altrimenti non resterà che una pallida utopia. Benvenuta sorella Giorgia nel piccolo club delle donne potenti, con l’augurio che non sia come altre, Thatcher, Golda Meir, Ursula, molto “sbagliate”.
Con i più cordiali saluti,
www.costituenteterra.it
logo76 Anche sul sito di Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n.276 del 28 settembre 2022

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dib-29-09-22
Il pacifismo alla prova del voto. Incontro
Giovedì 29 alle ore 18 presso la sede della CSS – via Marche 9 Cagliari – incontro per un primo esame sui compiti e le iniziative dei pacifisti dopo le elezioni del 25 settembre.
Incontro-Dibattito
“Il pacifismo alla prova del voto.- Ripresa dell’iniziativa dopo le elezioni”
Introduce Andrea Pubusa
Interventi programmati: G. Meloni, A. Murgia, L. Sassu, M.Mameli.
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Fare le guardie svizzere di Draghi non ha pagato: al Pd servono alleanze
di Alfiero Grandi
Con questo risultato elettorale è indispensabile che tutte le decidano un autoesame e individuino i capisaldi della loro posizione politica. Continuare a sottovalutare le destre, la loro vittoria, sarebbe diabolico.
Tutti possono contribuire ad una rinascita della sinistra.

Letta ripercorre gli errori di Veltroni. Nel 2008 ci ha provato Veltroni, prosciugando le forze minori, ma senza riuscire a far vincere il PD. Nel 2022 ci ha provato Letta a votare il meno peggio ed ha fallito. I meccanismi istituzionali ed elettorali sono cruciali per costruire il corpo dei decisori (nella nostra Repubblica il parlamento) perché le sue scelte riguardano la vita di tutti noi.
Dalla pace al lavoro, dai diritti all’ambiente, ecc.: le scelte politiche dipendono dalla composizione del Parlamento, dalla maggioranza che si forma, quindi è stato un grave errore non occuparsi per tempo della legge elettorale, di modifiche mirate all’autonomia regionale differenziata.
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale aveva sperato che l’arrivo di Letta alla segretaria del Pd portasse novità. Malgrado incontri, suggerimenti, proposte abbiamo accertato la non volontà o l’impossibilità di portare i gruppi parlamentari del Pd ad affrontare seriamente l’urgenza di una nuova legge elettorale proporzionale per eleggere il Parlamento.
Eppure la crisi dei governi Conte 1 e Conte 2 aveva chiarito che c’era il rischio di elezioni anticipate e che la crisi del governo avvenuto.
I lamenti postumi verso una legge elettorale che non è stata cambiata sono sembrati una beffa. Non ci volevano doti divinatorie per capire i pericoli, ma nulla si è mosso.
Con questo risultato elettorale è indispensabile che tutte le sinistre politiche, grandi e piccole, e individuino i capisaldi della loro posizione politica. Continuare a sottovalutare le destre, la loro vittoria, sarebbe diabolico.
Tutti possono contribuire ad una rinascita della sinistra. Continuare a sperare di risolvere problemi politici con la costrizione a votare il meno peggio dell’offerta politica non funziona più, se mai ha ripercorso gli errori di Veltroni, prosciugando le forze minori, ma senza riuscire a far vincere il Letta con risultati ancora peggiori. Ormai quelli che si sentono costretti sono scomparsi, semmai gonfiano l’astensione.
I meccanismi istituzionali ed elettorali sono cruciali per costruire il corpo dei decisori (nella nostra Repubblica il parlamento) perché le sue scelte riguardano la vita di tutti noi. dai diritti all’ambiente, ecc.: le scelte politiche dipendono dalla composizione del Parlamento, dalla maggioranza che si forma, quindi è stato un grave errore non occuparsi di modifiche mirate alla Costituzione per correggere l’autonomia regionale differenziata che minaccia l’unità nazionale.

Pane, pace e ambiente
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. La destra ha vinto anzitutto per la rinuncia a mettere in campo un’alternativa credibile, unitaria, o per lo meno a utilizzare la pessima legge elettorale vigente nel modo migliore, come invece ha fatto la destra.
La destra ha galvanizzato i suoi elettori, avanzando poco in cifra assoluta sul 2018. Mentre la possibile alternativa alle destre si è divisa ed è stata battuta malamente e l’astensione dal voto è cresciuta di quasi il 10%, portando la percentuale del non voto al record del 37 %.
Ora è indispensabile che il Pd faccia quanto non ha fatto dopo le dimissioni di Renzi dal governo, poi dal partito. Era sbagliato dire che il Pd era guarito dal renzismo, senza farci i conti non si esce dai giochi opportunistici e di potere. Cos’è il renzismo? Una deriva opportunistica, di potere ad ogni costo, di rinuncia a rappresentare il tradizionale elettorato sociale della sinistra (Jobs Act insegna). Certo, il lavoro non è l’unico referente sociale ma dovrebbe essere quello naturale e con esso la parte di società che oggi non ha potere, è condannata dentro una bolla di subalternità e di drastico peggioramento delle sue condizioni di vita.
Draghi non poteva essere la soluzione. Tanto più che le sinistre nella maggioranza di governo non sono state in grado di rappresentare i problemi della parte che dovrebbe rappresentare per il vecchio principio che le classi dominate debbono aspirare a diventare dominanti. È curioso che alcuni dei temi decisivi che riguardano il lavoro e le aree sociali più deboli, i giovani siano stati posti dal Pd che era al governo da anni nel momento in cui è avvenuta la crisi del governo Draghi.
Ridursi al ruolo di guardia svizzera di Draghi non ha pagato.
È risultata evidente una contraddizione: se una maggioranza di destra costituisce una minaccia per la democrazia e la Costituzione, si doveva puntare all’alleanza più larga possibile per bloccarne la vittoria. Altrimenti gridare al lupo al lupo è inutile e controproducente. Peggio ancora, se a questo si accompagna la polarizzazione Letta-Meloni, perché una scelta contraddice l’altra e il dualismo legittima l’avversario.
Si è insistito nel considerare la crisi del governo Draghi uno spartiacque e la responsabilità è stata attribuita a Conte, ma in realtà Draghi, come ha ricordato Cassese, non ha accettato un confronto sui 9 punti che avrebbe potuto risolvere il contenzioso con i 5 Stelle.
È evidente che solo includendo il più possibile e dandogli una solida base costituzionale si poteva dare il senso di una coalizione alternativa, ma questa scelta – pur proposta con insistenza da varie parti – non è stata accolta. La Costituzione avrebbe motivato una scelta di larga alleanza.
La scelta di rinunciare ad una alleanza larga, almeno nell’uninominale, è stata un grave errore che ha lasciato la destra, pur piena di contraddizioni, sola in campo a delineare una maggioranza per governare egemonizzata da Fratelli d’Italia, che era fuori dal governo Draghi.
La frittata è servita. Non ci si riprenderà da questo esito senza tornare ai fondamenti, alle ragioni su cui rifondare la sinistra. Ci vuole tempo per un discorso più completo. Iniziamo da tre problemi.
L’alternativa tra pace e guerra, la crisi del clima ed energetica, la Costituzione. La sinistra deve iniziare da qui. Alla pace non c’è alternativa. Se non vogliamo che le persone vivano nel terrore dell’olocausto nucleare occorre fermare l’escalation della guerra in Ucraina e la rincorsa agli armamenti, nucleare compreso.
L’aggressione russa all’Ucraina è purtroppo la realtà, ma non giustifica che le proposte di tregua, di avvio di trattative di pace, di convocazione di una conferenza internazionale di pace vengano ignorate e si insista in una guerra senza neppure definirne gli obiettivi. Le sedi internazionali vanno rivitalizzate, i Paesi e le personalità che possono dare un contributo attivati, a partire dal Papa, in modo da avviare i confronti. Se la soluzione fosse semplice non ci sarebbe bisogno di parlarne.
L’Ucraina sta cercando di dimostrare che la sua guerra è nell’interesse di tutti, di fare coincidere il suo punto di vista con quello della Nato e dei paesi europei, ma è solo un sillogismo, perché non è così. L’Ucraina ha diritto a difendersi, va aiutata, ma deve comprendere che lei stessa ha interesse ad una soluzione pacifica, che la guerra senza fine può portare solo guai peggiori. Soprattutto le sue decisioni non possono essere automaticamente impegnative per tutti e quindi non può decidere scelte che possono precipitare il mondo nell’olocausto nucleare.
Affermare che deve decidere l’Ucraina sulle condizioni per la pace è una sciocchezza. La pace mondiale e evitare l’olocausto nucleare sono materie che non sono nella disponibilità di nessuno, neppure dell’Ucraina, per quante valide ragioni possa vantare. La trattativa e la pace sono obiettivi da cui nessuno può derogare. Questo capitolo deve essere scritto ora prima che sia troppo tardi.
Tanto meno si può definire un futuro sistema di relazioni mondiali fondate sull’obiettivo di fare cadere governi e regimi. Iraq docet. Dovremmo avere capito che la democrazia non si esporta con i cannoni. Dovremmo ricordare che ci sono state guerre tremende, invasioni, distruzioni, cambiamenti di regimi politici giustificati da veri e propri falsi come la provetta del Ministro americano Powell, al fine di giustificare l’invasione dell’Iraq.

Disarmo e dintorni
Del resto basta guardare a quanto è accaduto nella ricerca di alternative al gas russo, i nuovi fornitori non sono tutti campioni di democrazia, che non può essere un riferimento a corrente alternata. In alcuni casi può giustificare invasioni, in altri viene dimenticata come nel caso del Saudita Bin Salman, pressochè perdonato per il crimine Kasoggi. Si potrebbe ricordare anche il caso Regeni.
Coesistenza dei regimi politici, incoraggiamento pacifico della democrazia, accordi di pace e di disarmo tra diversi sono gli obiettivi fondamentali per evitare la corsa verso l’abisso nucleare di cui i principali protagonisti (Usa e Russia) parlano con troppa leggerezza. Cina e India, Sud Africa e Brasile sono solo alcuni dei paesi che possono svolgere un ruolo internazionale attivo.
Riprendere l’obiettivo del disarmo, a partire dalle armi nucleari è la priorità. In questo l’Europa deve cambiare completamente ruolo, se l’Ue è una parte della Nato non c’è bisogno di un esercito europeo, altrimenti occorre valorizzarne il ruolo autonomo dalla Nato, la cui proiezione fuori dall’Europa è ormai troppo sbilanciata, preoccupante. La coalizione a sostegno dell’Ucraina voluta dagli Usa non segue né i confini, né il ruolo della Nato e mescola cose diverse. L’Unione europea deve riprendere una sua autonoma iniziativa.
Cambiamento climatico ed energia si intrecciano con la questione pace. La guerra ha guastato il clima di cooperazione internazionale sul clima che ancora un anno fa sembrava possibile e le scelte energetiche che ne sono una parte fondamentale ne sono la conferma.
Certo la guerra impone di trovare nell’immediato soluzioni per quanto riguarda il gas e le altre energie fossili che non possono essere abbandonate immediatamente, ma la transizione dovrebbe essere la più rapida possibile, con una scelta di fondo verso le rinnovabili. Manca invece in modo preoccupante un piano, un impegno straordinario per puntare sulle energie rinnovabili, a tappe forzate. Il limite evidente del governo Draghi è che non ha impostato una strategia per realizzare a tappe forzate la svolta energetica, con tutte le conseguenze. Bene che Enel abbia investito nella produzione di pannelli FTV innovativi ma non è ancora un piano per produrre quanto è necessario al nostro paese. Bene che si sviluppino sistemi di accumulo ma ancora non è chiaro se la notizia di una nuova tecnologia italiana che renderebbe il nostro paese indipendente ed autonomo, senza ricorso alle risorse oggi note, sia effettivamente all’altezza delle promesse. Il Governo non ha parlato in proposito, non ha presentato un piano. Per costruire un piano occorre fare una proposta di insieme, dalle materie prime come l’acciaio per produrre le pale eoliche fino alla loro installazione in mare aperto e nelle zone ancora possibili, con tempi brevi anche di allaccio e tecnologie avanzate. Tutti i settori delle rinnovabili debbono essere coinvolti, programmati, realizzati in tempi record. Cingolani non lo ha fatto.
Senza trascurare l’idrogeno, da produrre con energia verde, che costituisce una valida alternativa al diesel e al gas.
In definitiva si tratta di definire un progetto di futuro da realizzare, con una particolare attenzione al controllo severo sui prezzi che si muovono sempre di fronte a nuovi investimenti, ormai dovremmo averlo capito.
Pace, clima, Costituzione dovrebbero essere i punti iniziali per costruire la coalizione delle sinistre che vogliono cambiare a fondo questo paese, creare prospettive per i giovani e occupazione nuova di qualità, gettando le basi per una nuova socialità.
La società può essere il terreno su cui costruire le novità. La crisi dei referenti politici rende difficile immaginare che nuove convergenze siano possibili tra gruppi dirigenti spesso autoreferenziali e incapaci di individuare terreni di lotta percorribili, almeno per una fase. Nella società quindi, dove un popolo di sinistra esiste, si possono costruire le piattaforme, le mobilitazioni, le convergenze che possono bloccare derive di destra e costituire il propellente per rimettere in moto un processo positivo a sinistra e i riferimenti sono in larga misura nella Costituzione, che troppe volte è stata accantonata, mentre tuttora può essere un valido riferimento a partire dall’articolo 1 e 3.
È già accaduto dopo il 2008, dopo una strepitosa vittoria delle destre le battaglie referendarie per l’acqua pubblica, contro il nucleare (lo stesso che si vorrebbe propinare oggi) per la giustizia hanno creato le premesse per la crisi del governo Berlusconi, dimostrando che non basta una maggioranza ampia per impedire ai cittadini di farsi sentire.
La società civile e l’associazionismo possono svolgere un ruolo importante per rimettere in moto la situazione e smuovere una sinistra bloccata.
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Democrazia vo cercando…

0c233ea4-b17f-4b9f-9eb6-64f402d5f7b0Democrazia illiberali e Unione Europea
24 Settembre 2022 by Giampiero Forcesi | Su C3dem.

Quanto ancora deve imparare Giorgia Meloni su quello che è la democrazia! Altrimenti non direbbe che il regime di Orbàn è del tutto democratico solo perché ha vinto le elezioni… L’autrice prova a spiegarlo, rinviando anche ad alcuni testi dell’Unione europea

Com’è noto, dopo il voto del Parlamento europeo che ha condannato l’Ungheria retta da Vicktor Orban per i suoi interventi sistematici contro i valori dell’Unione, la coalizione di centro destra si è spaccata. Lega e Fratelli d’Italia hanno infatti votato a sostegno del regime ungherese contro il documento proposto dall’organo dell’Unione mentre Forza Italia lo ha approvato in modo coerente con la posizione assunta dal Partito Popolare Europeo.
Quello che desta più interesse, nella vicenda, è la motivazione addotta dalla leader di Fratelli d’Italia sul suo sostegno al governo Ungherese. Interrogata infatti sulle ragioni del suo dissenso sul documento del Parlamento europeo, Giorgia Meloni ha asserito: «Orbán ha vinto le elezioni, più volte anche con ampio margine, con tutto il resto dell’arco costituzionale schierato contro di lui: è un sistema democratico». Per il Parlamento europeo, viceversa, la prolungata inazione dell’Unione contro il deterioramento dei valori europei prodotta dal regime di Orban, ha progressivamente dato vita ad un ibrido rappresentato da un’autocrazia elettorale
Dunque per la leader di Fratelli d’Italia la democrazia si esaurisce nel perimetro dell’esercizio del diritto di voto e non vi sono altri indicatori per decretarne la vitalità e la sussistenza. Per l’Unione invece la vitalità della democrazia si nutre e salda con il rispetto dei diritti fondamentali di cui all’art. 2 del Trattato UE e la fedeltà alle tradizioni costituzionali comuni dei Paesi europei.
Per comprendere quanto poco sia condivisibile l’identificazione assoluta ed esclusiva della forma democratica con il momento elettorale è utile partire dai precedenti della posizione assunta di recente dal Parlamento europeo. Già nel 2018, infatti, l’organo aveva adottato una relazione per delineare 12 aree di preoccupazione sulla tenuta democratica del regime ungherese e avviare la procedura di attivazione dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea. Si trattava infatti di determinare l’esistenza o meno di un chiaro rischio di grave violazione dei valori dell’UE in Ungheria.
L’inazione del Consiglio d’Europa ha prodotto in quattro anni un ulteriore deterioramento degli standard democratici del governo ungherese e molti segnali di violazione dello Stato di diritto destano forte preoccupazione: il funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, l’indipendenza della magistratura, la corruzione e i conflitti di interesse e la libertà di espressione, compreso il pluralismo dei media. Altri ambiti che suscitano allarme sono la libertà accademica, la libertà di religione, la libertà di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle persone LGBTIQ, i diritti delle minoranze, dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati.
La relatrice del documento Gwendoline Delbos-Corfield (Verdi/ALE, Fr) ha asserito che «le conclusioni di questa relazione sono chiare e irrevocabili: l’Ungheria non è una democrazia». La posizione del Parlamento europeo è stata dunque salda nel collocare l’autenticità della democrazia nel fondamento e nel rispetto delle tradizioni costituzionali comuni dei Paesi europei.
L’elevata percentuale di voti con cui tale posizione è stata assunta dovrebbe inoltre costituire un serio campanello d’allarme per il Consiglio e la Commissione nel determinarli ad avviare la procedura di cui all’art. 7 del Trattato ed escludere l’Ungheria dall’erogazione dei finanziamenti del Recovery Found fino a che non abbia ottemperato alle Raccomandazioni contenute nel documento del Parlamento.
Anche il nostro Paese dovrebbe restare saldo nell’alleanza con il nucleo dei Paesi fondatori della Comunità europea e coeso nel decretare una ferma condanna dei regimi che violino i valori fondamentali dello Stato di diritto e si allontanino dalle tradizioni
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Un commento
Rodolfo Vialba
25 Settembre 2022 at 09:34
Oggi, per noi italiani, è il giorno in cui si vota (…). E’ un momento importante per il nostro Paese, ci ricorda che siamo in una democrazia vera, che la partecipazione delle cittadine e dei cittadini è essenziale per custodirla e per evitare derive rischiose in un’Europa e in un mondo che sembra tornino a perdere equilibrio come cent’anni fa.
In questo mondo sempre più piccolo, nel quale la contrapposizione tra le democrazie e le autocrazie è da molti considerata la linea di frattura fondamentale dei prossimi anni, i governi democratici sono chiamati a mostrare quella saggezza che dicono di incarnare, affermando, nella realtà, il principio che la democrazia si diffonde per contagio e per attrazione, non per intimazione e presunzione.
Questa idea della “contagiosità” della democrazia, di cui ne parla anche Mauro Magatti nel suo editoriale su Avvenire di oggi, non contraddice la decisione assunta dal Parlamento europeo di condanna dell’Ungheria di Vicktor Orban per le continue violazioni dei valori e dei principi dello stato di diritto e la sistematica contrapposizione alle regole dell’Unione Europea.
Il fatto che Fratelli d’Italia della Meloni e la Lega di Salvini, abbiano votato contro il documento di condanna dell’Unione Europea e che la Meloni ritenga “democratico” il sistema di Orban, rende evidente e preoccupante la divaricazione che esiste, e che investe pesantemente la politica italiana, sul principio di “democrazia”.
Vero è che la democrazia è sicuramente un sistema politico estremamente complesso che si afferma solo in presenza di ben precise basi culturali (partecipazione, libertà di espressione, libertà di voto, separazione dei poteri, ecc.), ma è anche vero che, nonostante i molti suoi limiti resta ancora il miglior sistema di governo: “È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora.” (Winston Churchill),
Convenire che la democrazia “si diffonde per contagio e per attrazione, non per intimazione e presunzione”, significa certo guardare a ciò che avviene fuori dal nostro Paese, ma anzitutto ad avere grande attenzione a ciò che avviene al suo interno e rischia di metterla in discussione.
E’ questo il compito fondamentale a cui sono chiamate tutte le forze politiche e sociali che si richiamano alla democrazia indicata dalla nostra Costituzione.

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PD, ANALISI DI UNA RINCORSA. ANGELA E IL LUPO.
24 Settembre 2022 su C3dem.
Gianfranco Brunelli, “I cattolici ripartano da Dio” (intervista all’Avvenire). RUSSIA/UCRAINA: Il consigliere di Putin, Suslov: “Preparatevi al 2023. Altre armi dall’Ovest dopo i referendum e sarà guerra mondiale” (intervista al Corriere della sera). Francesco Battistini, “I soldati alle spalle, la scheda aperta, le lavatrici in premio: l’imbroglio del voto per divenire ‘russi’” (Corriere). Rosalba Castelletti, “Putin sempre più solo, il suo vicerè gli dice no, silenzio ostile dal premier” (Repubblica). “Il dossier dell’Onu sulle atrocità del conflitto” (Messaggero). Ferdinando Nelli Feroci, “Né a Kiev né a Mosca conviene più trattare” (intervista a Il Riformista). ELEZIONI: Antonio Polito, “La forza del partito o il carisma del capo” (Corriere). Francesco Verderami, “La campagna elettorale e i tanti errori da matita blu” (Corriere). Giovanni Orsina, “L’Italia apatica che non voterà” (La Stampa). Claudio Cerasa, “Il guaio di un’Italia guidata dai complottasti” (Foglio). Emanuele Felice, “Lo stile Orban delle destre minaccia la democrazia” (Domani). Andrea Bonanni, “Ursula e il lupo” (Repubblica). Marcello Sorgi, “Pd, analisi di una rincorsa” (La Stampa). Federico Geremicca, “La fine del campo largo e l’identità da ritrovare” (La Stampa). Carlo Carbone, “Capire meglio l’astensionismo per cercare di ridurlo” (Sole 24 ore). INOLTRE: Marco Bentivogli, “Che pena vedere la povertà ridotta a bacino elettorale” (intervista a Il Dubbio). Francesco Giavazzi, “Quali modifiche per il Pnrr” (Repubblica). Aurelio Miracolo, “Dov’è finita la democrazia nei partiti?” (Rivista il Mulino).
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ELEZIONI, LA CEI: “IMPEGNO DI CIASCUNO”. LE SCELTE DI PUTIN
22 Settembre 2022 su C3dem
Il messaggio della Cei per il voto, “L’impegno di ciascuno per il Paese” (Avvenire). LE SCELTE DI PUTIN: Stefano Silvestri, “Lo Zar le prova tutte. Combatte la battaglia della sua vita” (intervista a Il Riformista). Vittorio E. Parsi, “Non cedere al ricatto può fermarlo prima del baratro” (Messaggero). Nathalie Tocci, “L’ultimo azzardo di un dittatore” (La Stampa). Ugo Tramballi, “Il mondo a un passo dal conflitto nucleare” (Sole 24 ore). Monica Guerzoni, “Draghi e l’intesa con il leader: ‘Russia indebolirà, faticherà a reagire’” (Corriere della sera). David Carretta, “La calma della Ue” (Foglio). Francis Fukuyama intervistato da Federico Fubini: “E’ la rivincita delle democrazie liberali. Con Putin perde il modello autoritario” (Corriere). Danilo Taino, “Come si fa sentire l’influenza della Cina” (Corriere). Guido Santevecchi, “L’appello di Pechino: serve una tregua e il ritorno al dialogo” (Corriere). Giuliano Ferrara, “In difesa del miracolo ucraino contro l’autocrate borioso di Mosca” (Foglio). Ampi stralci del discorso di Putin del 21 settembre: “Il mondo capovolto di Putin” (Foglio). Ampi stralci del discorso di Biden del 21 settembre: “Abbiamo scelto la libertà” (Foglio). Mario Giro, “Non basta dire ‘Non lo fare’. Dobbiamo fermare la guerra” (Domani). Francesco Vignarca, “Regna la guerra e la società civile traccia strade di pace” (Manifesto). ELEZIONI: Marcello Sorgi, “Se il Cremlino manda in crisi i nostri partiti” (La Stampa). Stefano Folli, “Dipende dal Sud il destino di Pd e 5s” (Repubblica). Fabrizio Mastrofini, “Meloni cerca sponde nella Santa Sede ma citofona all’indirizzo sbagliato” (Il Riformista). “Mezzogiorno. Pro memoria per il governo che verrà” (Fondazione Merita). ——————-
PUTIN IN TRINCEA. LEGA E FDI ALZANO IL TIRO. CATTOLICI E POLITICA
21 Settembre 2022 su C3dem.
Rosalba Castelletti, “Mosca prepara l’annessione: referendum in quattro regioni” (Repubblica). Gianluca De Feo, “Lo Zar sotto scacco e lo spettro nucleare” (Repubblica). Lorenzo Cremonesi, “Russificazione e minaccia nucleare. Cosa può succedere” (Corriere della sera). La lucida analisi di Stefano Stefanini, “Il Cremlino in trincea” (La Stampa). Il discorso di Mario Draghi all’Assemblea generale dell’Onu: “Da Putin un’altra violazione del diritto internazionale. Restiamo uniti al fianco dell’Ucraina” (La Stampa). Giuseppe Sarcina, “La condanna di Onu, Usa e Ue: Referendum farsa, non lo riconosceremo” (Corriere). David Carretta, “L’iniziativa europea all’Onu” (Foglio). L’analisi di Diego Fabbri, intervistato dall’Osservatore Romano: “Equilibri destinati a cambiare“. Ivan Yakovina, “Lo Zar è più isolato e teme di perdere sul campo. Adesso prova a chiudere” (intervista al Corriere). Giovanni Pigni, “E in Russia ora i giovani cercano di fuggire” (La Stampa). Intanto Stefano Zamagni prova a ragionare di pace: “Sette passi per una pace giusta e duratura (non solo) in Ucraina” (Avvenire). AVERE “VISIONE”: Henry Kissinger, “Il mondo ha bisogno di leader con la visione del premier italiano” (Repubblica). ELEZIONI: Roberto D’Alimonte, “M5S al Sud, la variabile che potrebbe frenare la corsa del centrodestra” (Sole 24 ore). Enrico Letta, “Governa chi vince, anche se è la Meloni” (intervista a Il Giornale). Francesco Bei, “Due estremismi in competizione” (Repubblica). Gianfranco Pasquino, “Il modello Orbàn sarà la bussola del futuro governo di centrodestra” (Domani). Salvatore Bragantini, “Sull’Europa Giorgia Meloni non può dare rassicurazioni” (Domani). Luca Ricolfi, “La posta in gioco per il Pd” (Repubblica). Mattia Feltri, “Generazione di fenomeni” (Domani). Claudio Cerasa, “I consigli elettorali di Draghi” (Foglio). Ignazio Cipolletta, “L’elettore povero che vota a destra va contro i suoi interessi” (Domani). CATTOLICI E POLITICA: Angelo Picariello, “Cattolici irrilevanti? La lunga marcia inizia dopo il 25 settembre” (Avvenire). Renato Balduzzi, “Cattolicesimo democratico. Il ‘documento dei 50’ base di un nuovo impegno” (lettera a Avvenire).
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Chiunque governi pensi ai giovani
La Repubblica – 26 Settembre 2022 – Blog di Enzo Bianchi.
di Enzo Bianchi
Mentre scrivo queste righe molti italiani si recano a votare, ma quando si leggeranno questi pensieri si conosceranno già i risultati elettorali mai tanto temuti in questi ultimi decenni della storia italiana. Non sappiamo dunque che cosa le urne indicheranno: se non succederà nulla che crei una reale discontinuità con il passato oppure ci sarà uno storico mutamento con l’assunzione del governo da parte delle forze identificate come destra. In ogni caso, siamo un paese che vuole vivere delle regole della democrazia e occorrerà accogliere i risultati delle urne.
Per me e per tanti altri che come me si confrontano sui mali e sulle speranza del nostro paese, il timore è soprattutto che non ci sia nessun reale cambiamento e si continuerà a “fare politica” senza nutrirsi di visioni, di speranze, di cantieri aperti per giungere a orizzonti condivisi. Continuerebbe la delusione e la frustrazione in quei cittadini che si sentono lontani ed estranei dalla politica, sovente anche pronti a maledirla. Sarebbe invece urgente che per le nuove generazioni si aprisse la possibilità di valorizzare le proprie potenzialità, l’occasione di poter progettare ed essere protagonisti, cercando di realizzare i propri desideri nella costruzione della polis.
La generazione degli attuali ventenni, spesso indicata come generazione Z, è quella nata nel XXI secolo, è quella che ha conosciuto durante il percorso così delicato e fragile dell’adolescenza l’esperienza della pandemia ed è quella che per prima, dopo settant’anni, deve guardare con intelligenza e responsabilità ad una guerra che non sta ai confini dell’Europa ma che si è rivelata una guerra tra la Russia e l’Occidente degli USA, della Nato, l’Occidente di cui facciamo parte! Una guerra che in realtà è anche uno scontro di civiltà. Quella che Samuel P. Huntington profetizzò come probabile e vicina tra Islam e cristianità si è rivelata concreta realtà in uno confronto tra Est e Ovest, tra cristiani addirittura e per ragioni prima politiche e poi miscelate con la religione e con l’etica di vita dei due mondi.
Lo attestano le inchieste sociologiche, ma per me è esperienza diretta di ascolto e di scambio con i giovani, questa nuova generazione che conosce disagio e fatiche per gli eventi che abbiamo evocato ma anche per tutte le contraddizioni presenti nella nostra società complessa, competitiva e individualista che noi abbiamo creato.
C’è in loro molto senso di inadeguatezza, sentimento di non farcela, difficoltà a vedere prospettive per il futuro perché la generazione precedente non ha saputo trasmettere fiducia e tantomeno aiutarli ad assumere una postura di saldezza. Siamo noi adulti, che li abbiamo preceduti, a renderli passivi, a non dare loro in eredità strumenti contro il panico, i disturbi del comportamento, la fuga dalla fatica e dal dolore. Siamo noi che non siamo stati presenti nella loro crescita, eccoli o in fuga da noi non più capaci di essere presenti.
Se c’è una responsabilità urgente che dovranno assumersi i nuovi governanti è accorgersi di questa nuova generazione e operare efficacemente per essa, a cominciare dai percorsi educativi sempre meno capaci di indicare il senso e il valore da dare al lavoro, lontani dalle vita civile che sa indicare orizzonti condivisi per la polis, aiutando i giovani a sentirsi pensati, riconosciuti e convocati dalla politica. Poiché solo così si costruisce una convivenza buona, una società nella quale ci sia posto per chi vuole essere mosso dalle speranze condivise con gli altri cittadini. Lo affermo da vecchio: è urgente che la politica, prima di tutto il resto, pensi alle nuove generazioni.
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Che succede? Elezioni e oltre.

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PD, ANALISI DI UNA RINCORSA. ANGELA E IL LUPO.
24 Settembre 2022 su C3dem.
Gianfranco Brunelli, “I cattolici ripartano da Dio” (intervista all’Avvenire). RUSSIA/UCRAINA: Il consigliere di Putin, Suslov: “Preparatevi al 2023. Altre armi dall’Ovest dopo i referendum e sarà guerra mondiale” (intervista al Corriere della sera). Francesco Battistini, “I soldati alle spalle, la scheda aperta, le lavatrici in premio: l’imbroglio del voto per divenire ‘russi’” (Corriere). Rosalba Castelletti, “Putin sempre più solo, il suo vicerè gli dice no, silenzio ostile dal premier” (Repubblica). “Il dossier dell’Onu sulle atrocità del conflitto” (Messaggero). Ferdinando Nelli Feroci, “Né a Kiev né a Mosca conviene più trattare” (intervista a Il Riformista). ELEZIONI: Antonio Polito, “La forza del partito o il carisma del capo” (Corriere). Francesco Verderami, “La campagna elettorale e i tanti errori da matita blu” (Corriere). Giovanni Orsina, “L’Italia apatica che non voterà” (La Stampa). Claudio Cerasa, “Il guaio di un’Italia guidata dai complottasti” (Foglio). Emanuele Felice, “Lo stile Orban delle destre minaccia la democrazia” (Domani). Andrea Bonanni, “Ursula e il lupo” (Repubblica). Marcello Sorgi, “Pd, analisi di una rincorsa” (La Stampa). Federico Geremicca, “La fine del campo largo e l’identità da ritrovare” (La Stampa). Carlo Carbone, “Capire meglio l’astensionismo per cercare di ridurlo” (Sole 24 ore). INOLTRE: Marco Bentivogli, “Che pena vedere la povertà ridotta a bacino elettorale” (intervista a Il Dubbio). Francesco Giavazzi, “Quali modifiche per il Pnrr” (Repubblica). Aurelio Miracolo, “Dov’è finita la democrazia nei partiti?” (Rivista il Mulino).
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ELEZIONI, LA CEI: “IMPEGNO DI CIASCUNO”. LE SCELTE DI PUTIN
22 Settembre 2022 su C3dem
Il messaggio della Cei per il voto, “L’impegno di ciascuno per il Paese” (Avvenire). LE SCELTE DI PUTIN: Stefano Silvestri, “Lo Zar le prova tutte. Combatte la battaglia della sua vita” (intervista a Il Riformista). Vittorio E. Parsi, “Non cedere al ricatto può fermarlo prima del baratro” (Messaggero). Nathalie Tocci, “L’ultimo azzardo di un dittatore” (La Stampa). Ugo Tramballi, “Il mondo a un passo dal conflitto nucleare” (Sole 24 ore). Monica Guerzoni, “Draghi e l’intesa con il leader: ‘Russia indebolirà, faticherà a reagire’” (Corriere della sera). David Carretta, “La calma della Ue” (Foglio). Francis Fukuyama intervistato da Federico Fubini: “E’ la rivincita delle democrazie liberali. Con Putin perde il modello autoritario” (Corriere). Danilo Taino, “Come si fa sentire l’influenza della Cina” (Corriere). Guido Santevecchi, “L’appello di Pechino: serve una tregua e il ritorno al dialogo” (Corriere). Giuliano Ferrara, “In difesa del miracolo ucraino contro l’autocrate borioso di Mosca” (Foglio). Ampi stralci del discorso di Putin del 21 settembre: “Il mondo capovolto di Putin” (Foglio). Ampi stralci del discorso di Biden del 21 settembre: “Abbiamo scelto la libertà” (Foglio). Mario Giro, “Non basta dire ‘Non lo fare’. Dobbiamo fermare la guerra” (Domani). Francesco Vignarca, “Regna la guerra e la società civile traccia strade di pace” (Manifesto). ELEZIONI: Marcello Sorgi, “Se il Cremlino manda in crisi i nostri partiti” (La Stampa). Stefano Folli, “Dipende dal Sud il destino di Pd e 5s” (Repubblica). Fabrizio Mastrofini, “Meloni cerca sponde nella Santa Sede ma citofona all’indirizzo sbagliato” (Il Riformista). “Mezzogiorno. Pro memoria per il governo che verrà” (Fondazione Merita). ——————-
PUTIN IN TRINCEA. LEGA E FDI ALZANO IL TIRO. CATTOLICI E POLITICA
21 Settembre 2022 su C3dem.
Rosalba Castelletti, “Mosca prepara l’annessione: referendum in quattro regioni” (Repubblica). Gianluca De Feo, “Lo Zar sotto scacco e lo spettro nucleare” (Repubblica). Lorenzo Cremonesi, “Russificazione e minaccia nucleare. Cosa può succedere” (Corriere della sera). La lucida analisi di Stefano Stefanini, “Il Cremlino in trincea” (La Stampa). Il discorso di Mario Draghi all’Assemblea generale dell’Onu: “Da Putin un’altra violazione del diritto internazionale. Restiamo uniti al fianco dell’Ucraina” (La Stampa). Giuseppe Sarcina, “La condanna di Onu, Usa e Ue: Referendum farsa, non lo riconosceremo” (Corriere). David Carretta, “L’iniziativa europea all’Onu” (Foglio). L’analisi di Diego Fabbri, intervistato dall’Osservatore Romano: “Equilibri destinati a cambiare“. Ivan Yakovina, “Lo Zar è più isolato e teme di perdere sul campo. Adesso prova a chiudere” (intervista al Corriere). Giovanni Pigni, “E in Russia ora i giovani cercano di fuggire” (La Stampa). Intanto Stefano Zamagni prova a ragionare di pace: “Sette passi per una pace giusta e duratura (non solo) in Ucraina” (Avvenire). AVERE “VISIONE”: Henry Kissinger, “Il mondo ha bisogno di leader con la visione del premier italiano” (Repubblica). ELEZIONI: Roberto D’Alimonte, “M5S al Sud, la variabile che potrebbe frenare la corsa del centrodestra” (Sole 24 ore). Enrico Letta, “Governa chi vince, anche se è la Meloni” (intervista a Il Giornale). Francesco Bei, “Due estremismi in competizione” (Repubblica). Gianfranco Pasquino, “Il modello Orbàn sarà la bussola del futuro governo di centrodestra” (Domani). Salvatore Bragantini, “Sull’Europa Giorgia Meloni non può dare rassicurazioni” (Domani). Luca Ricolfi, “La posta in gioco per il Pd” (Repubblica). Mattia Feltri, “Generazione di fenomeni” (Domani). Claudio Cerasa, “I consigli elettorali di Draghi” (Foglio). Ignazio Cipolletta, “L’elettore povero che vota a destra va contro i suoi interessi” (Domani). CATTOLICI E POLITICA: Angelo Picariello, “Cattolici irrilevanti? La lunga marcia inizia dopo il 25 settembre” (Avvenire). Renato Balduzzi, “Cattolicesimo democratico. Il ‘documento dei 50’ base di un nuovo impegno” (lettera a Avvenire).
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EVAPORAZIONE DELLA POLITICA E BISOGNO DI RICOSTRUIRE I LEGAMI SOCIALI
20 Settembre 2022 su C3dem.
Matteo Zuppi, “Seguiamo l’esempio dei padri costituenti, distanti ma uniti nel ricostruire il Paese” (La Stampa). Andrea Riccardi, “I cattolici e la politica: la che ‘crea cultura’” (Corriere della sera). Gennaro Di Biase, “Dal vescovo di Napoli, Battaglia, monito ai politici: ’Umiltà al servizio di tutti’” (Mattino). Massimo Recalcati, “L’evaporazione della politica” (Repubblica). Marco Damilano, “I cinquant’anni in cui si è svuotata l’Italia” (Domani). Marco Tarchi, “L’onda nera non è solo il frutto di nostalgie autoritarie” (Domani). Piero Ignazi, “La vera sfida resta quella tra il rosso e il nero” (Domani). Gaetano Azzariti, “Presidenzialismo, è in pericolo il futuro della Costituzione” (Manifesto). Maurizio Ferrera, “Il valore della via europea” (Corriere della sera). Francesco M. Cataluccio, “Le parole dei nazionalisti” (Foglio). INOLTRE: Giuliano Ferrara, “I funerali della regina, l’esclusione di Putin e la potenza di un gesto” (Foglio). Michele Salvati, “Premesse per una riforma del sistema politico italiano” (rivista il Mulino). Stefano Allievi, Guido Barbujanni, Silvia Ferrari, “La lunga marcia dell’umanità. Con le migrazioni spiegano chi siamo diventati” (La Stampa).
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L’ORRORE DI IZYUM. NOTE DI GEOPOLITICA
20 Settembre 2022 su C3dem.
Sabato Angeri, “Nell’orrore a cielo aperto di Izyum” (Manifesto). Antonella Scott, “La Russia prepara il ritorno a un’economia primitiva” (Sole 24 ore). Marta Ottaviani, “Il post che fa tremare il Cremlino” (Avvenire). Greta Previtera, “Noi 70 deputati contro lo Zar. Vogliamo le sue dimissioni” (Corriere). Vittorio E. Parsi, “Le mosse di Putin e il momento della fermezza” (Messaggero). Tommaso Ciriaco, “La bussola di Draghi: sostegno all’Ucraina fino al ritiro dei Russi” (Repubblica). GEOPOLITICA: Rosalba Castelletti, “Separatismi e scontri sui confini. L’ex URSS è di nuovo una polveriera” (Repubblica). Stefano Stefanini, “A Samarcanda vince la Cina” (La Stampa). Romano Prodi, “La sponda cinese che manca alla Russia” (Messaggero). Francesca Sforza, “L’avvertimento di Modi a Putin: troppe crisi, stop alla guerra” (La Stampa) Alessandro Penati, “Stati Uniti, Europa, Cina: tre spettri aleggiano sull’economia del mondo” (Domani). Rita Fatiguso, “Cina alla conquista dell’America latina” (Sole 24 ore). L’ONU: Luca Sebastiani, “Il ruolo dell’Onu nei teatri di crisi negli ultimi trent’anni” (Scenari). Pasquale Annicchino, “L’Anticristo al Palazzo di vetro e l’Apocalisse dei diritti umani” (Scenari). Marco Pedrazzi, “Tutti i peccati originali del Consiglio di sicurezza” (Scenari).
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PRODI: SE L’ITALIA SEGUIRA’ ORBAN, L’EUROPA CI EMARGINERA’
19 Settembre 2022 su C3dem.
Mauro Magatti, “Amore, famiglia, sesso: sfide anche per la politica” (Corriere). Paolo Di Paolo, “Come parlare di politica tra i banchi di scuola” (La Stampa). Mario Delpini, arcivescovo di Milano, “Cittadini, non clienti. Contro la crisi è inutile la beneficienza” (intervista a Il Giornale). ELEZIONI: Romano Prodi, “Se l’Italia seguirà Orban l’Europa ci emarginerà” (intervista a Repubblica). Vladimiro Zagrebelsky, “L’Ungheria di Orban: voto, democrazia e diritti violati” (La Stampa). Carmelo Caruso, “Letta: ‘E’ la nostra Brexit. Vinciamo noi’” (Foglio). Ezio Mauro, “Cosa ci aspetta se vince la destra” (Repubblica). Roberto Gressi, “La corsa dei leader. I punti di forza e di debolezza” (Corriere della sera). Cesare Zapperi, “Il patto in sei punti firmato dalla Lega a Pontida” (Corriere). Stefano Folli, “La rissa Conte-Renzi è un segnale al Pd” (Repubblica). Raffaella Marino, “Dodici domande (e risposte) a Carlo Calenda” (Qn). Roberto Napoletano, “La grande coalizione che può salvare l’Italia” (Il Quotidiano). Paolo Griseri, “Meglio morire democristiani” (Repubblica). ELEZIONI E MEZZOGIORNO: Dario Di Vico, “Toh, le autonomie e le alleanze ballano” (Corriere della sera). Mauro Calise, “Tre modelli di leadership al Sud” (Mattino). Enrico Letta, “Lavoro al Mezzogiorno. Basta assistenzialismo” (intervista al Mattino). DOPO L’INTERVISTA DEL PAPA AL “MATTINO” (vedi qui): Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli: “Da Francesco un monito: serve la politica dei fatti” (intervista al Mattino). Massimo Adinolfi, “Il senso da recuperare della ‘misura umana’” (Mattino). QUESTIONI: Daniele Checchi, “Se i partiti nascondono la loro idea di scuola” (lavoce.info). Tommaso Monacelli, “Abbiamo proprio bisogno della flat tax?” (lavoce.info).
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ITALIA, RISCHIO AUTORITARISMO.
18 Settembre 2022
Francesco, intervistato dal Mattino di Napoli: “Sud e Napoli: qui la storia può cambiare rotta”. Marzio Breda, “Mattarella: un patto nazionale per la scuola” (Corriere). Sabino Cassese, “Governo e Camere, l’equilibrio perduto dei poteri” (Corriere della sera). MARCHE: Luca Mercalli, “La tragedia marchigiana è solo l’inizio di una fase” (Il Fatto). Enzo Pranzini, “Viviamo in pianure alluvionate, dobbiamo arretrare” (Manifesto). Giovanni Legnini, “L’Italia è paralizzata, serve un vero piano contro i rischi” (intervista a Repubblica). IL PERICOLO DELLE AUTOCRAZIE: Rino Formica, “Autoritarismo: la bolletta più cara per l’Italia del dopo voto” (Domani). Sergio Fabbrini, “Centrodestra al test della lotta alle autocrazie” (Sole 24 ore). Massimo Giannini, “Le strane idee dei ‘patrioti’ sulle democrazie occidentali” (La Stampa). Andrea Bonanni, “La Ue e le bugie di Meloni” (Repubblica). Marta Dassù, “Il vero interesse nazionale” (Repubblica). MARIO DRAGHI E IL VOTO: Lina Palmerini, “Le sfide che Draghi lascia ai prossimi vincitori” (Sole 24 ore). Marcello Sorgi, “L’ultimo affondo di Supermario” (La Stampa). Giovanna Faggionato, “Draghi mette in sicurezza l’autunno di Giorgia Meloni” (Domani). Simone Canettieri, “Il premier e il voto” (Foglio). Stefano Feltri, “L’agenda Draghi è limitare i danni di Salvini e la Lega” (Domani). Federico Capurso, “La destra all’attacco di Draghi” (La Stampa). Marco Travaglio, “Draghi non esiste” (Il Fatto). PD-M5S: Daniela Preziosi, “Il film sul divorzio Pd-M5s, tratto da una storia tragicamente vera” (Domani). Andrea Orlando, “Il campo largo tornerà” (intervista al Corriere del Mezzogiorno). PD: Carlo Trigilia, “La lezione della Svezia che il Pd non ha capito” (Domani). MELONI, LA CHIESA E LA 194: Iacopo Scaramuzzi, “Meloni incontra il card. Sarah, e cerca sponda tra i tradizionalisti” (Repubblica). Eugenia Roccella, “C’è una benevola aspettativa della chiesa per Giorgia” (intervista a Repubblica). Maria Novella De Luca, “FdI all’attacco della 194, ma in Italia aborti crollati” (Repubblica). Luigi Manconi, “Orban, Meloni e la democrazia dei sensi di colpa” (La Stampa).
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coordinamento-dcostCondividiamo il documento dell’Anpi, occorre convincere a partecipare al voto, come del resto chiedono anche altri appelli. Non votare è un errore che consegna a chi partecipa un potere maggiore. Questo non va dimenticato ora che le destre si sentono forti, puntano a vincere e cercheranno in ogni modo di mobilitare i loro elettori.
Queste elezioni decideranno della qualità futura della democrazia del nostro paese.
Purtroppo la pessima legge elettorale in vigore non è stata cambiata, malgrado sia stata giudicata la peggiore.
Chi dichiara di avere come primo obiettivo il contrastare le destre, a partire dal PD, non è riuscito o non ha voluto utilizzare al meglio i meccanismi elettorali in vigore per evitare di fare regali alle destre. Al punto che un fronte compatto delle destre, che punta a conquistare il potere per decidere sul futuro dell’Italia, si confronta con una divaricazione tra i soggetti politici che dovrebbero contrastarlo.
A nulla sono serviti gli appelli a contrastare le destre.
Dopo il 25 settembre le destre punteranno a modificare la Costituzione cambiando la sostanza della democrazia italiana. Presidenzialismo, autonomia regionale differenziata, minacce all’indipendenza della magistratura dalla politica sono i punti essenziali di questo attacco all’assetto istituzionale definito dalla nostra Costituzione, nata dalla Resistenza.
Preoccupa in particolare che i grandi problemi sociali e del lavoro, aggravati dalle conseguenze della crisi energetica e dell’ambiente, della guerra in corso e in peggioramento, dai rischi per il futuro dell’occupazione e della qualità del lavoro e delle retribuzioni, dalla crescita della povertà, anziché essere affrontati e risolti possano precipitare per politiche del tutto sbagliate e socialmente divaricanti, che finirebbero con lo spaccare ancora di più il paese tra settori sociali, tra aree territoriali, tra generazioni.
Tutto questo è aggravato dai rischi di un serio pericolo per la pace nel mondo, provocato dalla crisi Ucraina, e da una ripresa della rincorsa agli armamenti, mentre la crisi climatica è relegata in secondo piano malgrado tutto ne confermi la sua drammaticità, a partire dall’alluvione nelle Marche. Il risultato elettorale deciderà le scelte politiche future e questo nell’immediato richiede di contribuire a fermare le destre.
Dopo il voto sarà necessario prendere nuove iniziative forti e unitarie per una legge elettorale, scegliendo una rappresentanza su base proporzionale e consegnando agli elettori la decisione reale su chi deve essere eletto, per cambiare il titolo V della Costituzione contro la rottura dell’unità nazionale, per garantire l’indipendenza della magistratura dai nuovi attacchi alla sua autonomia, per attuare pienamente la Costituzione sul piano sociale e dei diritti delle persone, per garantire il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione costruendo un movimento unitario per fermare la guerra in Ucraina puntando ad una conferenza internazionale per la pace e scongiurare l’olocausto nucleare.
La Presidenza nazionale del Cdc

21 /9 /2022
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Ripudiamo la guerra!

4c38ee82-df4f-4188-9c28-97eb3c93fba0Newsletter n. 91 del 18 settembre 2022.

QUALE DIFESA

Cari Amici,
mentre la Natura insorge con la sua violenza e questa volta sono le Marche a pagarne le spese, giunge il momento della scelta elettorale in Italia. Rispetto ad essa non possiamo fare altro che esortare di andare alle urne e votare nel modo più corrispondente al fine di bloccare la guerra e contrastare chi la alimenta procurando l’invio di sempre nuove armi a una delle due parti in conflitto. Mettere il mondo fuori della guerra, ed escluderne il ripetersi nel futuro, oltre che servire alla vita è la precondizione essenziale perché torni ad essere storicamente e politicamente plausibile il nostro obiettivo di un costituzionalismo mondiale e di una Costituzione della Terra.
Ci corre anche l’obbligo di un chiarimento sulla portata di quanto ha detto papa Francesco parlando coi giornalisti sull’aereo nel viaggio di ritorno dal Kazakhstan. Oggi La sua frase sul diritto di difesa (che da tutti del resto è stato sempre considerato un “diritto naturale”) ha fatto dire che egli avesse abbandonato la sua posizione alternativa rispetto alla guerra in Ucraina, fino a legittimare l’invio di armi a Zelensky. Ciò che egli ha detto in effetti è che dare le armi è una “decisione politica”, che deve essere valutata in sede morale: è immorale se le intenzioni sono quelle di “provocare più guerra o di vendere le armi o di scartare quelle armi che a me non servono più…”, morale invece se essa è finalizzata alla difesa, quando “difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama”.
Per valutare questa dichiarazione occorre osservare varie cose. Anzitutto essa è fatta in uno scambio informale con i giornalisti, nel quale è inevitabile una certa improvvisazione e un minore controllo di ogni parola. In secondo luogo essa è fatta nel contesto, confermato, di una radicale opposizione alla guerra e alle armi di qualsiasi tipo e per qualunque uso: “ La guerra in se stessa è un errore, è un errore! E noi in questo momento stiamo respirando quest’aria: se non c’è guerra sembra che non c’è vita”. E ancora: “in questo momento quante guerre sono in corso? Ucraina-Russia, adesso Azerbaijan e Armenia; poi c’è la Siria, dieci anni di guerra: che cosa succede lì, perché non si ferma? Quali interessi muovono queste cose? Poi c’è il Corno d’Africa; poi il nord del Mozambico; e l’Eritrea che è accanto all’Etiopia; poi il Myanmar, con questo popolo sofferente che amo tanto, il popolo Rohingya, che gira, gira e gira come uno zingaro e non trova pace. Ma siamo in guerra mondiale, per favore…”
In ogni caso potremmo aggiungere che non c’è solo la difesa con le armi, ma molte forme di difesa non violenta, a cominciare dalla politica e dalla prudenza dei governanti che non dovrebbero esporre i loro popoli a inutili e colpevoli rischi.
Nello stesso contesto il papa ha portato ad esempio quello che hanno fatto i portuali di Genova che si sono rifiutati di caricare armi per una delle guerre in corso: «Poi c’è l’industria delle armi. Questo è un commercio assassino. Qualcuno mi diceva – ha spiegato il Papa – che se si smettesse per un anno di fare le armi si risolverebbe tutta la fame nel mondo… Fame, educazione… niente, non si può perché si devono fare le armi. A Genova, alcuni anni fa, è arrivata una nave carica di armi che doveva passarle a una nave più grande che andava in Africa, vicino al Sudan, credo al Sud Sudan… Gli operai del porto non hanno voluto farlo. Gli è costato, ma è un fatto che dice: “No, io non collaboro con questo, con la morte”». Inoltre il papa ha risposto a una giornalista polacca che voleva indurlo a rifiutare ogni dialogo con la Russia con l’argomento che “c’è una linea rossa oltre la quale non si dovrebbe dire: siamo aperti al dialogo con Mosca”; a questa provocazione il papa ha risposto che il dialogo si deve fare sempre, anche “con gli Stati che hanno incominciato la guerra” come “sembra”, perché “sempre c’è la possibilità che nel dialogo si possano cambiare le cose, anche offrire un altro punto di vista, un altro punto di considerazione… Il dialogo si deve fare, anche se “puzza” ma si deve fare. Sempre un passo avanti, la mano tesa, sempre! Perché altrimenti chiudiamo l’unica porta ragionevole per la pace”.
Inoltre c’è da osservare che questo dialogo è avvenuto nel contesto delle imminenti elezioni politiche in Italia, nelle quali il Papa, rovesciando tante indebite interferenze del passato, ha preso la giustissima decisione di non intervenire in alcun modo, anche col motivo che la politica italiana non la capisce; se avesse dichiarato immorale l’invio delle armi all’Ucraina da parte dell’Italia e di Draghi, avrebbe di fatto invitato a votare per Unione Popolare o i Cinque Stelle, che ne sono gli unici oppositori, cosa che ovviamente non voleva fare.
Infine, interrogato sull’Occidente, il papa non ha fatto nessuno sconto sugli errori e i peccati dell’Occidente. A cominciare dal Mediterraneo, che “oggi è il cimitero più grande, non dell’Europa, ma dell’umanità”.
In riferimento alle citate prossime elezioni, pubblichiamo sul sito un articolo di Domenico Gallo che mette in guardia dal rischio di “sfasciare la democrazia”, e l’elenco dei candidati che hanno firmato l’impegno, proposto da “Costituente Terra”, e da molti elettori di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”, “Laudato sì” e altre associazioni ugualmente ispirate, per un Protocollo sul ripudio della guerra da far varare dal prossimo Parlamento e far adottare da tutti gli Stati.
Con i più cordiali saluti

www.costituenteterra.it

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Le prossime elezioni
SFASCIARE LA DEMOCRAZIA?

18 SETTEMBRE 2022 / EDMINXTRATOR / DICE LA STORIA /
di Domenico Gallo
Vi sono forze politiche che manifestano il proposito di sfasciare l’edificio istituzionale per sostituirlo con un altro che si potrebbe definire di “democrazia illiberale”

Domenico Gallo

Il dibattito elettorale diviene ogni giorno più acceso in vista del voto del 25 settembre, è rimasta però una sorta di self-restraint che vieta di invocare l’antifascismo come dimensione di senso che dovrebbe orientare le scelte di voto del popolo italiano. Oggi si dà per acquisita la democrazia dell’alternanza, per mettere in evidenza che tutte le forze politiche sono legittimate a governare e che l’alternanza fra le diverse proposte e forze politiche è elemento fisiologico della democrazia. Non c’è dubbio che sia così. Tuttavia la democrazia dell’alternanza può funzionare e svolgere un ruolo positivo solo se le forze politiche che assumono la responsabilità del governo mantengono fermo il rispetto per le istituzioni democratiche e non cercano di demolirle. Occorre cioè che le forze politiche contrapposte nella competizione per il Governo, condividano il medesimo spirito repubblicano, cosa che in Italia non si verifica. Il paradosso dell’Italia è di avere una Costituzione scritta, partorita nel fuoco della Storia, che da oltre trent’anni è vissuta con insofferenza da molti settori dell’arco politico. Fino al punto che si è sviluppata quella che Giuseppe Dossetti ebbe a definire una “mitologia sostitutiva”. Vale a dire si imputano alla Costituzione quei problemi che la politica non riesce a risolvere, in questo modo si crea un mito che nasconde l’incapacità delle forze politiche di governo o di opposizione di indicare una prospettiva di sviluppo per la società italiana nel suo complesso e si scaricano i fallimenti della politica sulle istituzioni. Le Istituzioni nelle quali si incarna l’Ordinamento della Repubblica (Parlamento, Governo, Presidenza della Repubblica, magistratura indipendente, Corte Costituzionale, ordinamento delle Regioni e degli Enti locali) rappresentano la casa comune del popolo italiano. Le forze politiche incaricate della responsabilità del Governo del paese, sono gli inquilini di questa casa comune, hanno il dovere di amministrarla, possono abbellirla, ma alla fine la devono consegnare intatta a chi verrà dopo di loro. Questo non significa che non si possono fare delle riforme costituzionali e realizzare dei ritocchi alle mura dell’edificio comune. Tuttavia le modifiche della casa comune dovrebbero essere estremamente rispettose delle esigenze di tutti gli abitanti della casa, e quando imposte da una maggioranza politica, dovrebbe sempre essere consentito al popolo italiano di scegliere se approvarle o meno. Chi invoca la democrazia dell’alternanza, e se ne vuole avvalere, dovrebbe garantire che non demolirà la casa comune. Invece noi vediamo che nei programmi dei partiti politici gioca ancora un ruolo il tiro a bersaglio contro le Istituzioni democratiche. Non è venuta meno la spinta a cambiare i connotati della democrazia italiana. Anche in questa campagna elettorale vi sono forze politiche importanti (nello specifico il blocco di destra) che manifestano il proposito di sfasciare l’edificio istituzionale che ci ha consegnato la Costituzione per sostituirlo con un altro ispirato ad una differente concezione, che si potrebbe definire di “democrazia illiberale”, di cui in Europa vediamo degli esempi nel modello ungherese ed in quello polacco. Tre sono le principali direttive di attacco, l’introduzione del “presidenzialismo, la “riforma della giustizia” e l’attuazione dell’Autonomia differenziata. Quando nel programma della destra si parla di introdurre il “Presidenzialismo” evidentemente si fa riferimento al modello del c.d. semipresidenzialismo vigente in Francia a cui si ispirava la riforma costituzionale proposta da Fratelli d’Italia. Introdurre un Presidente della Repubblica elettivo che diventa anche dominus del Governo, modifica profondamente in senso autoritario la forma di Governo perché elimina la più importante delle garanzie politiche che tengono in equilibrio il sistema dei pesi e contrappesi su cui si regge la democrazia politica. In Italia il ruolo del Presidente non è solo notarile, basti pensare al potere di emanare (o rifiutare) i decreti legge. Con un decreto legge si possono cancellare delle libertà costituzionali con effetto immediato, salvo l’intervento successivo ed eventuale della Corte costituzionale. La sorveglianza di un organo esterno al Governo e da questo indipendente è indispensabile per impedire abusi. Si tratta di un freno d’emergenza che acquista grande valore nelle situazioni di crisi. La seconda direttiva di attacco al nostro modello istituzionale di democrazia è quella che attiene alle varie proposte di “riforma della giustizia”. Qui in realtà il programma della destra, più che illustrare le proprie proposte, le nasconde. L’interpretazione autentica di questo programma è quella che ci fornisce il candidato Ministro della Giustizia in pectore, l’ex magistrato Carlo Nordio, nel corso di varie interviste. Essa prevede la separazione delle carriere, la discrezionalità dell`azione penale, la riformulazione dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, e non ultima la nomina governativa dei giudici e quella elettiva dei pubblici ministeri. Queste proposte comportano un sovvertimento totale delle norme della Costituzione che garantiscono la divisione dei poteri, assicurando l’indipendenza del controllo di legalità esercitato dalla magistratura nei confronti del potere politico ed economico. Infine l’attuazione dell’Autonomia differenziata secondo le proposte avanzate dalle Regioni leghiste, spezzerebbe l’unità della Repubblica e, creando una serie di repubblichette, aprirebbe una breccia nel principio supremo di eguaglianza di tutti i cittadini. Quando delle forze politiche ci propongono modifiche di questa portata, in sostanza ci propongono di fare la pelle alla Costituzione e di demolire quelle Istituzioni che la Costituzione ha concepito per garantire le generazioni future dal ritorno di un passato autoritario che all’epoca tutti ripudiavano ed oggi alcuni vorrebbero far ritornare sotto mutate spoglie.

Domenico Gallo

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Alla ricerca del bene comune

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Il bene comune e la politica
Perché chi vuole guidare il Paese deve pensare all’interesse collettivo

La Repubblica – 12 Settembre 2022

di Enzo Bianchi (dal suo blog).
Siamo in piena campagna elettorale e proprio in quanto monaco non posso esimermi dall’osservare e dall’ascoltare le voci – soprattutto urla – che si levano numerose da tutte le parti in causa. Non entro nell’agone politico, ma dopo aver ascoltato o letto i protagonisti costantemente mi pongo una domanda: “Dov’è finito, che fine ha fatto il concetto di bene comune? Come mai è così assente?”. La stessa domanda è stata posta da François Flahault, direttore del Centro di ricerca sulle arti e il linguaggio di Parigi, in un libro che significativamente è intitolato: Où est passé le bien commun?

Quello di “bene comune” è un concetto essenziale per la convivenza, per la qualità della vita nella pólis. L’espressione è composta da due parole: “bene” e “comune”. “Bene” è ciò che noi vorremmo per noi stessi e che auguriamo alle persone alle quali siamo legati, ciò che permette di vivere in pienezza. “Comune” deriva dal latino communis che indica un compito da svolgersi insieme e nello stesso tempo un dono condiviso. “Bene comune” non è dunque semplicemente un patrimonio che si ha in comune, qualcosa di materiale o immateriale posseduto e condiviso, ma l’insieme delle condizioni di vita che favoriscono il benessere, l’umanizzazione di tutti: anche la democrazia, la cultura, la bellezza sono bene comune. Come ha affermato Stefano Rodotà, “ci sono beni che esprimono i diritti inalienabili dei cittadini. Questi sono i ‘beni comuni’: dal diritto alla vita, al bene primario dell’acqua, fino alla conoscenza in rete”.

Naturale destinatario del bene comune non è più l’individuo ma la persona. “Bene comune”, va ricordato, è un concetto formulato nel xiii secolo, nell’ora dell’emergenza dell’occidente, quando sulla scia dell’eredità greca si è arrivati a comprendere che come la rete delle relazioni è antecedente all’individuo-persona così l’unità del corpo è antecedente alle membra che lo compongono. Sicché il bene di ciascuno implica una nozione di bene comune che lo preceda e nel quale possa definirsi.

Questo concetto di bene comune purtroppo è stato accantonato a favore di una concezione individualistica e utilitaristica della società e si è progressivamente imposta l’idea secondo la quale l’organizzazione politica si giustifica per il fatto che garantisce ai membri di una collettività i diritti individuali di cui sarebbero dotati anteriormente alla loro esistenza sociale.

Così il bene comune ha ceduto il posto all’interesse generale, concepito come la somma degli interessi individuali. Ha scritto Marcel Gauchet: “Nell’attuale società si afferma che all’inizio della storia c’erano solo individui, e per questo non si può immaginare una loro coesistenza solidale. È dunque urgente pensare invece a ciò che li unisce e a ciò che devono fare insieme!”.

La prima forma di bene comune che gli esseri umani hanno conosciuto è la relazione, lo stare insieme, il pensare insieme a ciò che è bene comune e non solo bene individuale. Senza ecosistema relazionale non c’è cammino di umanizzazione, e senza passare per il bene comune non c’è politica che sia un bene per tutta la pólis.
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UNIONE EUROPEA: LA TRAPPOLA CONFEDERALE. PRODI: RIPENSARE IL LAVORO

11 Settembre 2022 su C3dem
Gianfranco Ravasi, “La zattera” (Sole 24 ore). MONDO: Maurizio Molinari, “Xi disegna una Cina globale per isolare l’Occidente” (Repubblica). EUROPA: Sergio Fabbrini, “Le decisioni europee nella trappola confederale” (Sole 24 ore). Francesco Saraceno, “L’incomprensibile svolta rigorista della BCE di fronte all’inflazione” (Domani). UCRAINA: Lorenzo Cremonesi, “Quegli errori del Cremlino che credeva di vincere facile” (Corriere della sera). Gianluca De Feo, “Così Kiev ha ripreso la porta del Donbass” (Repubblica). Cliff Kupchan, “Putin ha pochi margini. Se penetrano in Donbass può succedere di tutto” (intervista al Corriere). Luca Kocci, “Papa Francesco: ‘guerra totale’, a rischio escalation atomica” (Manifesto). Mauro Magatti, “Se nemmeno si dice pace” (Avvenire). Mikhail Lobanov, oppositore russo: “Al Cremlino hanno paura di queste elezioni amministrative. Rischio brogli elettronici” (intervista a Repubblica). SANITA’: Silvio Garattini, “Tre domande a tutti i partiti” (Avvenire). LAVORO: Romano Prodi, “Ripensare il lavoro. Se la vita privata viene prima viene prima della carriera” (Messaggero). Rosaria Amato, “Lavoro, Vicenza. Le dimissioni in cerca di un lavoro migliore” (Repubblica). ELEZIONI 25 SETTEMBRE: Enzo Risso, “Perché in Italia cresce la disillusione verso le elezioni” (Domani). Ferruccio De Bortoli, “Politica e futuro. Chi spinge (davvero) il Paese” (Corriere della sera). Emanuele Felice, “Meglio parlare soltanto di diritti e disuguaglianze” (Domani). Anna Maria Furlan, “Questa destra mi fa tremare i polsi. Il Pd in campo contro la precarietà” (intervista ad Avvenire). Massimo Giannini, “Il draghismo in purezza della sorella d’Italia” (La Stampa). Giorgia Meloni, “Non faremo governi arcobaleno. La priorità del Paese è la denatalità” (intervista ad Avvenire). Giovanna Casadio, “Letta: ‘No a larghe intese con il Centrodestra, ma sulla crisi energetica non ci tireremo indietro” (Repubblica). Adolfo Urso, “Racconto agli Usa il programma di FdI. In politica estera continuità con Draghi” (intervista al Corriere della sera). Federico Capurso, “La vendetta di Conte” (La Stampa). Stefano De Martis, “Presidenzialismo? Niente fumo, prego” (Avvenire).
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L’IRONIA DEL VESCOVO. LA RIMONTA UCRAINA. LA POVERTA’ DEI GIOVANI IN ITALIA. IL RE PROGRESSISTA

10 Settembre 2022 su C3dem
Mario Delpini (arcivescovo di Milano), “Criticato per la mia ironia. Vogliono una chiesa noiosa” (intervista al Corriere). Francesco Piccolo, “Noi, il Paese e l’eterno ritorno dell’affaire Moro” (Repubblica). EUROPA/ENERGIA: Marco Bresolin, “Gas, Roma rilancia il tetto, ma la Commissione frena: ‘Un rischio per le forniture’” (La Stampa). Andrea Bonanni, “L’occasione mancata” (Repubblica). Ugo Magri, “L’affondo di Mattarella” (La Stampa). Raffaele Romanelli, “Il ricatto del gas di Putin e il complicato nesso fra energia e democrazia” (Domani). UCRAINA: Daniele Raineri, “Il doppio contrattacco ucraino. Russi in fuga nell’Est del paese” (Repubblica). Giampiero Massolo, “Le sanzioni mordono eccome. Il tempo non gioca a favore dello Zar” (intervista a Il Riformista). Giuseppe Spadafora, “A che punto è la guerra in Ucraina” (rivista il Mulino). Dmitrij Muratov, “Chiudendo ‘Notaya’ Putin ha ucciso anche la nostra libertà” (La Stampa). Raniero La Valle, “Per un’alternativa reale” (chiesa dei poveri). ELEZIONI: Roberto D’Alimonte, “La gente vuole votare per il cambiamento” (intervista a Qn). Valentina Conte, “Mai così tanti giovani a rischio povertà” (Repubblica). Linda Laura Sabbadini, “Diminuire la diseguaglianza per chiudere la porta alla rabbia sociale” (Repubblica). Goffredo Bettini, “Per rimontare il Pd deve stare vicino alla gente in difficoltà” (intervista al Manifesto). Ettore Maria Colombo, “Acque agitate nel Pd. Il congresso è iniziato. Bonaccini e Provenzano scaldano i motori” (Qn). Maurizio Tropeano, “La sfida a sinistra” (La Stampa). Giuliano Santoro, “Conte lancia l’allarme larghe intese. E alle urne tallona il Pd” (Manifesto). Massimo D’Antoni, “La svolta del Pd centrista sul Jobs Act non è credibile” (intervista a Il Fatto). Damiano Tommasi, “Il centrosinistra alla fine dovrà riunirsi” (intervista a Domani). Francesco Verderami, “L’assenza del campo largo preoccupa anche FdI. Così niente bipolarismo” (Corriere). CARLO III: Bill Emmott, “L’agenda politica di un re insolitamente progressista” (La Stampa). Carlo Petrini, “Carlo sarà un grande alleato dei giovani. Il suo impegno per il clima è sincero” (La Stampa).
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EQUITÀ UOMO-DONNA, L’ITALIA NON CE LA STA FACENDO. LA DISPUTA SUL PRESIDENZIALISMO
9 Settembre 2022 su C3dem.
Maurizio Ferrera e Barbara Stefanelli, “Il lavoro, le relazioni, perché l’equità uomo-donna conviene e perché l’Italia non ce la sta facendo” (Corriere della sera). Juan Luis Cebrian, “Venti di destra europei” (Repubblica). CAMPAGNA ELETTORALE: Ugo Magri, “Le spine di Mattarella” (La Stampa). Stefano Folli, “La disputa sul presidenzialismo” (Repubblica). Claudia Mancina, “Un errore respingere l’offerta della Bicamerale. Meloni apre al confronto” (intervista a Qn). Carlo Bastasin, “Perché il presidenzialismo in Italia sarebbe un problema” (Repubblica). Giovanni Guzzetta, “Presidenzialismo o parlamentarismo, interpelliamo i cittadini” (Il Riformista). Claudio Cerasa, “Perché passa dall’America il futuro di Meloni” (Foglio). Maurizio Molinari, “Tasse e presidenzialismo, così Meloni lancia la spallata finale” (Repubblica). Ilvo Diamanti, “FdI cresce ancora, il Pd insegue, M5S risale e stacca la Lega” (Repubblica). Federico Geremicca, “I Dem e la ricerca di un’identità a sinistra” (La Stampa). Valerio Valentini, “Letta nella morsa di Conte e Calenda. Il voto utile non basta” (Foglio). Stefano Cappellini, “Pd contro Pd, la campagna dei ripensamenti” (Repubblica). Andrea Fabozzi, “La paura di Letta, Terze forze in salita. I sondaggi non premiano il frontismo” (Manifesto). REGNO UNITO: Bill Emmott, “Il secolo lungo di Elisabetta II” (La Stampa). Giuseppe Lupo, “Con Elisabetta II si chiude il Novecento” (Sole 24 ore). IDEE: Salvatore Natoli intervistato da Ilario Bartoletti, “Oltre l’antropocene. Un nuovo modo di abitare la Terra” (sito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura CCdC).
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LETTA CREDE ALLA RIMONTA, MA TROPPI ITALIANI SONO INDIFFERENTI ALLA POLITICA
8 Settembre 2022 su C3dem.
Francesco Peloso, “Cl interviene sul voto. Altri segnali di vita nel mondo cattolico” (Domani). Noi Siamo Chiesa, “Elezioni difficili. I cattolici esprimano il meglio della loro cultura democratica” .Agnese Palmucci, “Lo spartito della società civile per tornare alla buona politica” (Avvenire). Vanesse Pallucchi, “Ecco le priorità per un paese che soffre” (Avvenire). Renato Mannheimer, “Cari politici, sapete che solo a 2 persone su 10 interessano le elezioni?” (Il Riformista). Luca Diotallevi, “La logica di comunità che divide il Paese” (Messaggero). PARTITO DEMOCRATICO: Gianfranco Pasquino, “Soltanto il Pd si oppone davvero alle destre” (Domani). Daniela Preziosi, “Il disperato appello di letta per salvare il Pd e la democrazia” (Domani). Carlo Bertini, “La strategia della rimonta” (La Stampa). Antonio Polito, “Il voto utile e la coperta corta del Pd” (Corriere). Paolo Pombeni, “La sfida al centrodestra come una lotta tra angeli e demoni. La rappresentazione di Letta fa male alla democrazia” (Il Quotidiano). Stefano Folli, “La posta in gioco tra Pd e 5 Stelle” (Repubblica). Arturo Parisi, “Il Pd deve correggere il tiro” (lettera al Foglio). Marcello Sorgi, “L’errore fatale sui collegi” (La Stampa). Mario Ricciardi (il Mulino), “Letta è di centro. Difficile che aprisse a sinistra e 5Stelle” (intervista a Il Fatto). Andrea Fabozzi, “Letta, il Rosatellum e il Pd. Storia di un suicidio perfetto” (Manifesto). GIORGIA MELONI: Virginia Piccolillo, “Meloni spinge per il presidenzialismo. ‘La Bicamerale è una soluzione’” (Corriere). Giovanni Orsina, “Giorgia e quel conservatorismo che fa presa sugli elettori disperati” (La Stampa). Frans Timmermans, “L’agenda sociale di questa destra mette paura” (interista a Repubblica). Claudio Cerasa, “Perché Meloni non fa così paura ai suoi nemici” (Foglio). GLI ALTRI: Elisa Calessi, “Salvini: ‘la nostra prima legge è l’autonomia per il Nord’” (Libero). Giuseppe Conte, “Il reddito, scelta epocale. Caccia ai poveri vergognosa” (intervista al Corriere). Maurizio Tropeano, “L’avvocato dei poveri” (La Stampa). Giampiero Calapà, “La scelta di Melénchon: ‘De Magistris unica speranza” (Il Fatto).
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GIORGIA MELONI E IL FRENO ALL’UNIONE EUROPEA
13 Settembre 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem

Umberto De Giovannangeli, “Strage di migranti: morti di sete altri tre bambini” (Il Riformista). PAPA E CONFINDUSTRIA: Domenico Agasso, “Il papa chiede lavoro per giovani e donne. Bonomi: è la politica che non ha fatto nulla” (La Stampa). Carlo Marroni, “Il papa: create lavoro, priorità ai giovani, fare figli è patriottico” (Sole 24 ore). SFIDA MELONI-LETTA: Stefano Folli, “FdI-Pd, finti duelli e veri obiettivi” (Repubblica). Marcello Sorgi, “Il vero scontro è dentro le coalizioni” (La Stampa). Lina Palmerini, “Letta-Meloni, il tabù del dialogo, ma non su gas e guerra” (Sole 24 ore). Stefano Feltri, “Perché il segretario Pd ha perso il confronto” (Domani). ELEZIONI: Filippo Andreatta, “Per fermare la Russia non basta essere atlantisti come Meloni. Oggi ci serve anche più Europa” (intervista a Domani). Francesco Olivo, “Giorgia a due facce sulla Ue” (La Stampa). Giovanna Casadio, “Letta serra i ranghi e dà la sveglia su Zoom” (Repubblica). Gianni Cuperlo, “La storia ci ha insegnato che i sondaggi all’ultimo possono essere smentiti” (Domani). Graziano Delrio, “Nessun destino è già scritto. Italia isolata se vince la destra” (intervista al Riformista). Piero Ignazi, “L’abitudine a governare ha reso impopolare il Pd” (Domani). Matteo Renzi, “Se vince Meloni saremo all’opposizione. Letta ha sbagliato tutto” (intervista a Repubblica). Ezio Mauro, “Il silenzio di Salvini” (Repubblica). QUESTIONI APERTE: Michele Ainis, “I problemi del presidenzialismo” (Repubblica). Matteo Calise, “Il silenzio sul voto giovanile” (Mattino). Marco Ruffolo, “Le promesse elettorali non sacrifichino la Sanità” (Repubblica). Luca Zaia, “I nostri alleati chiariscano la linea dell’autonomia prima del voto” (intervista al Corriere). Massimo Villone, “Amnesia del Pd. La Carta di Taranto tace sull’autonomia” (Manifesto). Paolo Ferratini, “Sull’obbligo scolastico” (rivista il Mulino).
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Verrà il tempo… ed è questo!

costituente-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

Newsletter n. 89 dell’8 settembre 2022

PER UN’ALTERNATIVA REALE

Cari Amici,
mentre l’Italia sta rotolando verso le elezioni del 25 settembre i maggiori protagonisti della vita internazionale stanno prendendo le loro posizioni in vista del grande confronto planetario che stanno predisponendo per i prossimi decenni. E mentre Putin enuncia a Vladivostok la banale regola dell’economia di mercato secondo la quale senza pagarne il prezzo non si può acquistare un prodotto, e perciò se l’Occidente non vuole pagare il gas russo, di quel gas deve fare a meno, l’ineffabile Ursula Von Der Leyen Presidente della Commissione Europea grida al ricatto e dice che Putin ci ha abituato alle sue sfide e quindi non bisogna neanche starlo a sentire, come se Putin non fosse il capo di un Paese che si estende dalle frontiere occidentali a Vladivostok, ma un capitano reggente della repubblica di San Marino. Intanto la Russia perfeziona le sue alleanze con la Cina e le potenze asiatiche, gli Stati Uniti stringono i legami atlantici con l’Europa e il Giappone, e la Turchia rivendica un’improbabile funzione demiurgica di arbitro tra le due orripilanti fazioni.
Dovremo impiegare le migliori energie per capire il senso di tutto ciò, per estrarne la residua eventuale razionalità, per capire la logica rovesciata di chi programma una lunga guerra mondiale con l’idea insensata secondo cui le armi nucleari rimarranno chiuse nei loro arsenali e non verranno a inquinare le carneficine diversamente prodotte in tutto il mondo per dominare sulle superstiti rovine.
Sembrano anni luce da quando la guerra fredda finì, e dobbiamo perfino rimpiangerla guardando i geni da cui oggi il mondo è governato. Ha il sapore di una nemesi doverlo fare nel momento in cui muore Michail Gorbaciov, che fu l’ultimo Capo dell’Unione Sovietica, la grande antagonista di allora. Si temeva l’apocalisse nucleare che avrebbe concluso quel conflitto, e invece venne fuori la proposta da lui formulata insieme al premier indiano Rajiv Gandhi a Nuova Delhi, di “un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento”. Era il 27 novembre 1986 e i due leader rivendicando di rappresentare oltre un miliardo di uomini, donne e bambini dei loro due Paesi, “che insieme fanno un quinto dell’umanità intera”, scrissero che “la vita umana è il valore supremo”, che “il mondo è uno e la sua sicurezza indivisibile” e che “Est ed Ovest, Nord e Sud, indipendentemente dai sistemi sociali, dalle ideologie, dalle religioni e dalle razze” dovevano “essere uniti nella fedeltà al disarmo e allo sviluppo”, garantire giustizia economica e rinunciare agli stereotipi “di chi vede un nemico in altri Paesi e popoli”.: una proposta politica di una lungimiranza senza precedenti, che però non fu degnata nemmeno di una informazione dai grandi giornali d’Occidente (fu pubblicata invece dalla rivista “Bozze 87”).
Tre anni dopo, a conferma di questa dichiarazione, Gorbaciov fece aprire il muro di Berlino, che non cadde per nessuna insurrezione popolare ma per una decisione politica che il leader sovietico, interpellato dai dirigenti tedeschi, comunicò loro per telefono, mentre Andreotti salutava l’evento con la celebre battuta secondo cui amava tanto la Germania da preferire che ce ne fossero due invece di una sola felicemente riunificata.
Inutilmente Gorbaciov tentò di negoziare con l’Occidente una transizione pacifica a un mondo ricostruito sulle basi di un’altra etica e di un’opposta cultura politica. I grandi principi di democrazia, di libertà, di rispetto di tutti i Paesi, “grandi e piccoli” in nome dei quali si era giocata la grande partita ideologica della guerra fredda furono traditi, e Gorbaciov commise l’errore di fidarsi dell’Occidente che gli aveva anche assicurato che, sciolto il Patto di Varsavia, la NATO non si sarebbe allargata ad Est “neanche di un pollice” per tener conto degli interessi di sicurezza russi. Tutte le delegazioni occidentali reduci dai negoziati con Gorbaciov registrarono nei loro resoconti questo impegno di cui però si trascurò di dare atto per iscritto in un documento formale.
Gorbaciov pagò il suo errore con la sua sconfitta personale e con la dissoluzione dell’URSS, la quale non fu l’inizio di un mondo nuovo dove trionfasse il bene. Papa Giovanni Paolo II ne fu molto deluso, mentre l’Occidente (in Italia toccò al ministro degli esteri De Michelis) gridò ai quattro venti che la guerra fredda era finita e che l’Occidente l’aveva vinta.
Per questo siamo oggi qui a contemplare le rovine di questo mondo nuovo, e non possiamo che tornare alla lotta politica per un’alternativa reale. Perciò abbiamo lanciato l’iniziativa di un Protocollo da allegare ai trattati internazionali esistenti e allo Statuto dell’ONU perché il ripudio italiano della guerra e la difesa dell’integrità della Terra siano fatti propri da tutti i Paesi, cominciando dal superamento delle alleanze militari e dalla riduzione delle spese per gli armamenti.
Siamo grati a tutti gli elettori, Associazioni e gruppi che hanno sottoscritto questo appello e ai candidati che si sono impegnati, se eletti, a promuovere questa iniziativa nel futuro Parlamento (se ne vedano a questo link le relative firme); siamo grati in particolare a Luigi de Magistris e ai maggiori esponenti della lista “Unione Popolare con De Magistris”, a partire da Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione Comunista e a molti candidati dell’Alleanza Sinistra-Verdi per avere tra i primi preso questo impegno, ed esortiamo tutti gli altri a farlo, in vista di ulteriori azioni popolari da compiere.
Nella sezione “Le Frontiere del Diritto” del sito pubblichiamo un articolo di Luigi Ferrajoli sul “futuro del costituzionalismo”.
Con i più cordiali saluti,

www.costituenteterra.it
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Elezioni difficili. I cattolici esprimano il meglio della loro cultura democratica

Pressenza 08.09.22 – Redazione Italia

Una brutta campagna elettorale

L’imprevista campagna elettorale ha creato vasto sconcerto in relazione alla situazione del Paese. Una pandemia ancora strisciante che lascia tutti col fiato sospeso, una riduzione del potere d’acquisto che non si verifica negli altri paesi d’Europa ed una occupazione più di prima precaria, è quanto abbiamo di fronte. A ciò si aggiunga la questione dei migranti che, per quanto riguarda il soccorso e un’accoglienza degna di questo nome non è per nulla soddisfacente anche se non così pesante come tre anni fa.

La questione ambientale, che sembrava essere oggetto di interventi concreti e di una nuova consapevolezza dell’opinione pubblica dopo le decisioni del circuito internazionale, sta tornando all’indietro mentre tutti vedono e molti patiscono le conseguenze dirette del riscaldamento climatico (uragani, frane, alluvioni, ondata generale di calore, ecc.). Permangono poi (e si aggravano) fatti negativi di lungo periodo come quello della violenza nei confronti delle donne, quello degli infortuni sul lavoro e quello della denatalità. La guerra in Ucraina ha messo in crisi molti rapporti internazionali ben aldilà dell’area direttamente interessata privando di risorse alimentari, soprattutto in Africa, molti paesi.

Poi c’è la scarsità di risorse energetiche in tanti paesi. Il multilateralismo viene fortemente messo in difficoltà. I tanti tentativi di mediazione e di proposte di pace cadono nel nulla. E una nuova frontiera si sta irrigidendo con un nuovo fronte occidentale sotto l’egemonia degli USA. La logica di armi più potenti e diffuse sullo scenario di guerra non trova freni ed è fallita in questi giorni la Conferenza degli Stati che, in base al Trattato di non Proliferazione (TNP), deve discutere (“in buona fede”, art. 6) ogni cinque anni di riarmo. Ugualmente si è conclusa senza passi avanti la Conferenza, tenutasi a Vienna, degli Stati firmatari del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), a cui il governo italiano non ha partecipato.

Di tutto ciò c’è silenzio completo nella campagna elettorale del nostro paese. In questa situazione Noi Siamo Chiesa, insieme a altre voci del movimento pacifista, ritiene che la vera prospettiva per la quale impegnarsi a fondo sia la costituzione di un potere sovranazionale che vada oltre l’ONU, una “Costituente Terra”, che rappresenti i popoli del mondo e che intervenga con autorità e potere sui mali dell’umanità e, in particolare, riesca ad eliminare il rischio della catastrofe nucleare. Questa proposta tanto appare utopica tanto è densa di realismo. Osservando più da vicino la situazione non vediamo come l’Europa possa e riesca ad essere protagonista del tentativo di una politica di escalation di dimensioni planetarie, assorbita com’è dalla situazione in Ucraina andando aldilà della condanna dell’intervento sovietico.

Un sistema politico in difficoltà

Nel nostro paese questo insieme di gravi questioni, in buona parte nuove, mettono a nudo – ci sembra – la mancanza di solidità del sistema politico nei cui confronti cresce, in generale, la disaffezione, il disimpegno anche elettorale, la scarsa convinzione su quanto pure si cerca di fare per affrontare i problemi più urgenti (pandemia e crisi energetica). Il c.d. sovranismo privo di comprensione generale di dove va il mondo, è chiuso nella sua logica identitaria ed è la conseguenza della chiusura nel proprio ego di milioni di italiani. La debolezza del consenso e della partecipazione alla vita dei partiti, necessari per una democrazia attiva vengono a ruota. La personalizzazione della politica portata all’eccesso, lo scarso e mediocre ricambio del personale politico sono tutti elementi compresenti che destano forti preoccupazioni in chi ha uno sguardo dall’alto sulla nostra convivenza e sulle nostre istituzioni.

Non c’è solo il buio

Ma non c’è solo il buio; tanti remano contro questa deriva e alimentano la nostra speranza. Anzitutto dalla cattedra di Pietro il nostro papa Francesco che dice quello che bisogna dire sulle disuguaglianze crescenti nel mondo, sulla corsa al riarmo, sulla crisi ambientale che egli ha così ben definito nella “Laudato Si’”. Nell’udienza del 23 agosto ha usato parole “violente”: “La guerra una follia, la guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione… coloro che guadagnano con il commercio delle armi sono delinquenti che ammazzano l’umanità”. E altro di altrettanto pesante. Giudizi che la grande stampa ha boicottato.

Nel nostro paese esiste una società civile con movimenti di solidarietà consolidati (spesso interni alle strutture della Chiesa), esiste un movimento pacifista (di cui Noi Siamo Chiesa fa pienamente parte) che in modo permanente denuncia la guerra e propone le politiche della pace, esiste la vita politica nelle amministrazioni locali, a volte con caratteristiche preziose di diversità o addirittura di controtendenza rispetto alla politica nazionale, esistono associazioni ambientaliste che contribuiscono a creare un’opinione pubblica attenta e attiva; esiste un movimento antimafia che cerca di contrastare i poteri criminali che non sparano più ma che sono facilitati nei momenti di crisi (nessuno parla della mafia in campagna elettorale). Nell’eccessivo conformismo dei media il quotidiano cattolico “Avvenire” ha ora un orientamento più positivo, che lo differenzia abbastanza dalle gestioni passate.

È questo il tessuto sano e attivo del nostro Paese insieme ai tanti che ovunque, senza essere attivi, partecipano con onestà e passione (e spesso con sofferenza) perché il Paese ce la faccia, non sentono alcuna necessità di modificare la nostra Costituzione repubblicana, contrastando, in particolare, ogni tentativo di superare le regole del governo parlamentare attraverso l’introduzione di forme di presidenzialismo e di minare l’unità del paese attraverso la c.d. autonomia differenziata.

Noi Siamo Chiesa ovviamente non dà indicazioni di voto, ma conferma la sua piena appartenenza al filone dei cattolici democratici che dopo essere stati emarginati pesantemente dall’antimodernismo dell’inizio del secolo scorso e dal fascismo, hanno poi saputo contribuire alla vita della nazione partecipando alla Resistenza, facendo tesoro della lezione del Concilio, tenendo una posizione critica anche nei confronti dei vescovi, deplorando i loro interventi a gamba tesa e a senso unico nella politica e le campagne a difesa dei “principi non negoziabili” rispetto a cui Noi Siamo Chiesa ha sempre preso posizioni molto nette.

Punti di Noi Siamo Chiesa

NSC ricorda infine questioni che, senza esser ora di attualità, fanno parte del proprio DNA e rispetto alle quali ha dato da tempo il proprio contribuito per una purificazione della credibilità del Vangelo. Esse interessano da vicino il ruolo e le posizioni dei vescovi. Esse sono:

– Libertà religiosa. Non esiste una legge che accetti e tuteli tutte le “nuove religioni” presenti nel nostro paese. Un testo stava per passare nel 2005 ma fu stoppato dalla CEI.

– Concordato. Lo si ritiene immutabile per i prossimi decenni, anche se stabilisce una oggettiva condizione di previlegio per la Chiesa Cattolica. Bisognerebbe almeno modificare l’art. 4 che prevede che il vescovo non sia obbligato a denunciare il prete pedofilo alla magistratura. Ciò ha facilitato enormemente la posizione della CEI di arroccamento a difesa dei membri della propria struttura colpevoli di questo reato.

– Insegnamento della religione cattolica nelle scuole. L’ipotesi di trasformarlo in un corso di storia delle religioni, sollecitato da tanto tempo da noi e da altri, non è mai stata presa in considerazione dalla Chiesa, non facilitando in tal modo il rispetto del pluralismo religioso.

– Fine vita. Il passaggio parlamentare che dia attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale dopo il caso dj Fabo è fortemente ostacolato in modo indiretto dalla CEI.

– Legge contro l’omofobia. La posizione dei vescovi è priva di qualsiasi giustificazione razionale ed è l’espressione di una posizione viscerale presente in alcune situazioni del mondo cattolico.

– 8 per mille. Noi Siamo Chiesa ha fatto presente che sarebbe opportuna una modifica, lenta nel tempo, di questa condizione di favore della Chiesa cattolica che parta da una riflessione sulla povertà della Chiesa e nella Chiesa e che si accompagni alla responsabilizzazione del popolo cristiano sul problema delle risorse unita alla trasparenza sulla loro gestione, che attualmente è ben scarsa.

Zuppi

Molto ci aspettiamo dal nuovo Presidente della CEI Card. Matteo Zuppi per il superamento della gestione opaca, immobilista ed autoritaria delle precedenti presidenze. Al Meeting di Rimini Zuppi ha parlato, in termini vicini al magistero di papa Francesco, delle “periferie”, contro l’individualismo (che poi sbocca nel nazionalismo, una specie di “io collettivo”). Ha parlato di “carità sociale”, di “amicizia sociale” e di altro sulla stessa lunghezza d’onda. Non si faccia Zuppi coinvolgere in troppe mediazioni ed attendismi. In occasione di questa campagna elettorale NSC si aspetta una svolta nell’orientamento generale dei vescovi, lontana da messaggi in una sola direzione come avveniva in passato ma proiettati a farsi portavoce delle difficoltà nuove e diffuse nel nostro paese, della volontà di pace e di consolidamento dei diritti.

Ufficio stampa Noi Siamo Chiesa
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Subito la “Costituente Terra”. Un impegno che può caratterizzare una nuova politica internazionale dell’Italia e dell’Europa

d3ab93e6-6aff-4fc8-ad0b-32aa51d7aed4UN PROTOCOLLO SULLA SCIA DELLA DICHIARAZIONE DI NUOVA DELHI
di Raniero La Valle

Ci sono due notizie pubblicate dal “Fatto quotidiano” di cui non si può dire: “se fossero vere”, perché sono vere, ma di cui si può dire che se avessero un seguito fino all’ultimo loro possibile sviluppo potrebbero gioiosamente rovesciare, come altre volte è accaduto, le previsioni deprimenti dei sondaggi preelettorali.
La prima delle due notizie è quella rievocata da Barbara Spinelli di un grave errore compiuto da Michail Gorbaciov, di cui peraltro in questi giorni si è ricordato il valore della visione storica e politica. La seconda notizia è quella riferita da Stefano Fassina, uno dei leaders più prestigiosi che lasciarono il PD, secondo il quale “Conte attrae consensi dall’area progressista e da quella cattolico-sociale, attenta alle conseguenze economiche e umanitarie del conflitto (ucraino) oltre a portare avanti i temi del lavoro che il PD trascura da anni”, e lo fa con un programma “chiaramente di sinistra” che “intercetterà tanti elettori indecisi o delusi da un PD troppo appiattito su Draghi”.
L’errore di Gorbaciov è stato quello di fidarsi dell’Occidente che alla fine della guerra fredda gli aveva assicurato che la NATO non si sarebbe allargata ad Est “neanche di un pollice” per tener conto degli interessi di sicurezza russi. Tutte le delegazioni occidentali reduci dai negoziati con Gorbaciov registrarono nei loro resoconti questo impegno di cui però si trascurò di dare atto per iscritto in un documento formale.
Gorbaciov dimostrò invece una ben altra attenzione agli interessi comuni e di amare la Germania più dei suoi alleati atlantici quando fece aprire il muro di Berlino che non cadde per nessuna insurrezione popolare ma per una decisione politica che il leader sovietico, interpellato dai dirigenti tedeschi, comunicò loro per telefono, mentre Andreotti salutava l’evento con la celebre battuta secondo cui amava tanto la Germania da preferire che ce ne fossero due invece di una sola felicemente riunificata.
Tanto Gorbaciov faceva credito ai suoi interlocutori nella politica mondiale che giunse a proporre da Nuova Delhi insieme al premier indiano Rajiv Gandhi “un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento”. In una solenne dichiarazione del 27 novembre 1986, rivendicando di rappresentare oltre un miliardo di uomini, donne e bambini dei loro due Paesi, “che insieme fanno un quinto dell’umanità intera”, essi affermavano che “la vita umana è il valore supremo”, che “il mondo è uno e la sua sicurezza indivisibile. Est ed Ovest, Nord e Sud, indipendentemente dai sistemi sociali, dalle ideologie, dalle religioni e dalle razze, devono essere uniti nella fedeltà al disarmo e allo sviluppo”, garantire giustizia economica e rinunciare agli stereotipi “di chi vede un nemico in altri paesi e popoli”.: una proposta politica di una lungimiranza senza precedenti, che non fu degnata nemmeno di una informazione dai grandi giornali d’Occidente (fu pubblicata invece dalla rivista “Bozze 87”).
L’Italia potrebbe ora, di fronte allo scempio dell’aggressione russa e della rovinosa reazione occidentale, raccogliere quella eredità e farsi promotrice, ma con maggiori affidamenti, di un analogo impegno da parte di tutti gli Stati: ciò che infatti è stato concepibile una volta può essere concepito e realizzato ancora.
Lo strumento che, nero su bianco, essa potrebbe proporre alla comunità internazionale è un Protocollo che estendesse il ripudio italiano della guerra a tutti i partner della comunità mondiale e ne esigesse l’impegno alla difesa dell’integrità della Terra. Tale Protocollo, da allegare al Trattato sull’Unione europea e alla Carta dell’ONU, è già pronto, formulato e proposto, come riferito dal “Fatto” del 25 agosto, dall’Istituzione italiana “Costituente Terra”, firmato da illustri costituzionalisti, da centinaia di elettori e fatto proprio da numerosi candidati di diversi partiti alle elezioni del 25 settembre. Si tratta di un’iniziativa internazionale dell’Italia che gli eletti dovrebbero promuovere nel prossimo Parlamento per una uscita definitiva dalle politiche e dalle culture di guerra, ormai incompatibili con la decisione del “first use” (primo uso) dell’arma nucleare adottata dalle maggiori Potenze atomiche e per una loro sostituzione con politiche e garanzie di solidarietà economica e sociale veramente globale. Anche il candidato Giuseppe Conte che viene non solo da una tradizione democratica e di movimento popolare ma anche dall’alta lezione etica del cardinale Silvestrini, potrebbe fare proprio questo impegno e “contagiarlo” per un’azione comune alle altre forze politiche.

(Dal Fatto Quotidiano del 6 settembre 2022)
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9d9992eb-1ecd-4e4d-bfe7-1cb609040dd3Divagazioni. Una possibile spiegazione dell’atteggiamento dei media di destra (e non solo) sulla presunta ineludibilità dell’esito elettorale in favore della destra sta in quella che gli psicologi chiamano “profezia che si auto-avvera, o che si auto-adempie”. Si tratta di “una sorta di magia fattibile da tutti e attuabile con una serie azioni che portano inevitabilmente a farla avverare”.
E’ un meccanismo che funziona nei comportamenti individuali e anche quando praticato nei gruppi e nelle collettività, che qui ci interessano particolarmente per i sondaggi preelettorali: si dà per vincente o in crescita un partito, questo fatto incoraggia alla preferenza e i voti crescono (crescerebbero) fino a poter raggiungere l’agognata vittoria della parte politica prescelta.
Si deve ammettere che questo è un comportamento comunemente praticato, ma è evidente il suo possibile successo soprattutto quando si dispone di ingenti risorse comunicative, come nel caso delle grandi organizzazioni politiche. Comunque non facciamoci catturare da questi meccanismi. Bisogna però conoscerli anche per smascherare troppi sedicenti di sinistra che in realtà non vedono l’ora di salire sul carro dei possibili e in cuor loro auspicati vincitori.
Per chi è interessato alla tematica segnalo un articolo divulgativo della psicologa Francesca Fiore su una rivista online di Scienze Psicologiche (https://www.stateofmind.it/2015/04/profezia-che-siautoavvera/).
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zuppi-sett-22Zuppi: la Chiesa sia accogliente non giudicante, comunichi l’Amore
L’Osservatore Romano del 3 settembre ospita una lunga intervista al nuovo presidente della CEI. E’ insieme uno sguardo ragionato sui rapidi e profondi cambiamenti in corso nel mondo, una lucida disamina dello stato della Chiesa italiana oggi, e anche l’indicazione di alcuni lineamenti di orientamento pastorale. Al centro del pensiero di Zuppi la necessità di una Chiesa capace di conversare con gli uomini e le donne di questo tempo
di Andrea Monda e Roberto Cetera

«La Chiesa italiana attraversa diversi e non semplici problemi ma credo anche che vanti una prerogativa importante: è una Chiesa ricca di spiritualità e di carità per i poveri. E penso che è da qui che dobbiamo ripartire». In questo esordio di una lunga chiacchierata, che in un pomeriggio di fine estate ci ha concesso il neo presidente della Conferenza episcopale italiana, c’è non solo la sintesi estrema del suo programma di lavoro ma anche i tratti principali della personalità del cardinale arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi: una decisa positività che è figlia della sua curiosità intellettuale e della speranza cristiana.
[segue su L'Osservatore romano]