EUROPA
Europa, Europa
Dalle piazze alla politica, l’urgenza di un’Europa protagonista per la pace
Alfiero Grandi, 29 Marzo 2025
La manifestazione di Piazza del Popolo era molto partecipata. Se sommiamo le manifestazioni contemporanee a Roma – certo con impostazioni diverse – è confermato che esiste una richiesta di partecipazione democratica in controtendenza con il crescente astensionismo elettorale, che invece indebolisce la democrazia. Per questo, quelle domande devono trovare risposte e, attraverso queste, arrivare a una sintesi. In sostanza, è una sfida da raccogliere, a cui dare continuità.
Poiché la preoccupazione principale è certamente la guerra, anzi le 52 guerre presenti nel mondo, a partire dall’Ucraina e da Gaza/Cisgiordania, le manifestazioni che occorre promuovere al più presto devono concentrarsi sul ruolo che l’Europa (tutta) deve svolgere per dare sostanza a un futuro democratico e di pace.
Dopo 3 anni di guerra in Ucraina, gli USA di Trump hanno deciso che il conflitto deve finire, e la scelta avviene con metodi e brutalità sconosciute. La brutalità della svolta di Trump ha certamente stupito, ma non si può dimenticare che Biden nel 2021 decise il ritiro dall’Afghanistan (stabilito da Trump nel primo mandato) con altrettanta repentinità e con conseguenze umane drammatiche, in particolare per la condizione delle donne. I dirigenti USA, quando decidono di uscire da una guerra che non riguarda il suolo americano, lo fanno e basta.
Certamente, Putin ha la responsabilità dell’attacco del 2022 all’Ucraina e di aver innescato in questo modo uno scontro armato in Europa, contribuendo a creare un clima di insicurezza e dando avvio alla psicosi che ora spinge al riarmo. In questo clima, Polonia, Lituania ed Estonia decidono di uscire dall’accordo internazionale che vieta le mine antiuomo, confermando ancora di più l’urgenza di interrompere la rincorsa al riarmo e la logica bellicista che sta prevalendo nelle relazioni internazionali.
La coesistenza tra soggetti diversi è l’unico antidoto di fondo al riarmo convenzionale e nucleare, che è ormai un pericolo reale. Solo nel 2021, l’attenzione internazionale era ancora concentrata sull’obiettivo di contrastare il cambiamento climatico. Ora il clima peggiora drammaticamente, ma l’attenzione rimane in secondo piano, mentre è diventato dominante il riarmo. Le armi sono prodotte per essere usate, e la guerra in Ucraina è un enorme, orribile poligono di tiro e sperimentazione; Gaza è ugualmente sottoposta a prove che rappresentano sperimentazioni di nuove tecniche di sterminio di massa.
Va ricordato anche che la NATO, allargata a 32 paesi, ha “abbaiato” ai confini della Russia fino a indurre ansia per la sua sicurezza. Anche scrivere nella Costituzione ucraina l’adesione alla NATO ha contribuito alla paranoia. Se era una trappola, Putin ci è saltato dentro a piè pari.
Gli USA sono il principale sostegno militare a Kiev, come dimostrano le conseguenze delle recenti interruzioni di aiuti, a partire dai satelliti Starlink di Musk o il ritardo nella consegna di armi sofisticate. Senza il sostegno USA, Kiev non avrebbe retto e non reggerebbe.
La NATO e l’Europa hanno sostenuto per 3 anni le scelte degli USA di Biden. L’Europa non si è distinta per aver tentato di intrecciare il sostegno all’Ucraina con iniziative per la pace: è stata subalterna, e ora appare spiazzata da Trump, che ha preso nelle sue mani le trattative ed ha escluso l’Europa. L’Europa non riesce a essere protagonista della pace in Ucraina, e il suo silenzio su Gaza e Cisgiordania è assordante, mentre sotto i nostri occhi avvengono stragi inaccettabili di civili e bambini. Anzi, i governi europei e la Commissione propongono il riarmo europeo, con investimenti fino a 800 miliardi di euro, 50 in più rispetto al Next Generation EU, cambiando solo a questo fine i rigidi vincoli di bilancio europei. Non va dimenticato che i prestiti vanno prima o poi restituiti, e per l’Italia questa spesa militare significherebbe più risorse destinate agli armamenti e quindi meno welfare e lavoro.
Ogni governo europeo deciderà sui propri armamenti, ma non si tratterà di una difesa comune europea: è solo un acquisto di armi nello stesso periodo. Gli Stati europei spendono già in armi il 58% in più rispetto alla Russia, senza aver costruito una difesa europea. Che senso ha un ulteriore riarmo senza risolvere il problema di una difesa comune?
L’Europa ha bisogno di una difesa europea con vertici politici, militari e armamenti integrati. Il riarmo alla cieca è una scelta pericolosa, tanto più nel momento in cui gli USA provano, in modo discutibile, a fermare la guerra. Inoltre, chi decide sulla difesa europea? In Italia è scritto nella Costituzione; in Europa?
Questo aumento della spesa militare assomiglia più di quanto non si voglia ammettere all’aumento delle spese militari imposto da Trump – con prepotenza – all’Europa, e per di più le armi verrebbero acquistate per il 60% dagli USA. L’Europa sembra prigioniera della linea dell’era Biden: sanzioni alla Russia e armi all’Ucraina, ma non lancia una sua sfida per la pace, per fare più e meglio di Trump. Non lo ha fatto con Biden; oggi rischia di apparire a favore della guerra proprio mentre si discute di pace. È una situazione paradossale.
L’Europa dovrebbe puntare anzitutto sul rilancio del ruolo delle sedi internazionali come l’ONU. Meloni, ad esempio, non può pensare di inviare soldati italiani per il peacekeeping senza una decisione e un mandato dell’ONU. Il Regno Unito, partner privilegiato degli USA ed esente dai nuovi dazi, anziché sfidare Trump sulla pace, sembra restio, come altri governi dell’Unione, a scegliere la fine della guerra. Così, l’Unione Europea non svolge il suo ruolo di pace, che è un fondamento costitutivo: è nata per la pace. Va ricordato ai volenterosi che, pur essendo membri della NATO, non potranno invocare l’articolo 5 del trattato NATO se decidono di andare in Ucraina senza un chiaro mandato ONU; la loro decisione non coinvolgerebbe altri che loro stessi.
Qual è l’obiettivo dell’Unione Europea? Va chiarito. Cosa c’entrano Canada, Nuova Zelanda, Australia e Turchia? Paesi presenti alle riunioni di Ramstein, ma non nell’Unione.
Se la guerra finirà, la Russia avrà bisogno di molto tempo per riprendersi. Per questo, sarebbe il momento di rilanciare la coesistenza tra diversi – che potrebbe favorire perfino il superamento delle autocrazie –, il disarmo convenzionale e atomico, controllato e bilanciato, e la costruzione di una nuova ONU, utilizzando le conferenze di pace sul modello di Helsinki 1975.
L’Europa potrebbe fare molto, a condizione di essere autonoma e di scegliere la pace. Berlinguer disse: *Se vuoi la pace, prepara la pace*, contro la massima imperialista romana *Se vuoi la pace, prepara la guerra*, che qualcuno vorrebbe ora ripescare, purtroppo anche von der Leyen.
C’è urgenza di una svolta politica in Europa, sia per avanzare proposte autonome per la pace in Ucraina e rivendicare un ruolo nelle trattative, sia per fermare il massacro a Gaza e in Cisgiordania, dove l’obiettivo sembra essere la cacciata con ogni mezzo dei palestinesi dalla loro terra, entrando così in sintonia anche con quella parte di Israele che contrasta con coraggio e determinazione le politiche di Netanyahu.
Unifichiamo presto le manifestazioni con l’obiettivo della pace, come risposta alle ansie e alle domande emerse il 15 marzo.
Oggi domenica 30 marzo 2025
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Liquidare, senza discuterle, le proposte russe?
30 Marzo 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
La Russia ha avanzato nei giorni scorsi due proposte sull’Ucraina. Con la prima si richiede una fase di transizione a guida ONU per svolgere elezioni in Ucraina onde eleggere un presidente ed un parlamento rappresentativi, coi quali trattare la pace. Con la seconda si chiede di eliminare o almeno ridurre le sanzioni al fine […]
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Su Kalaritanamedia: https://www.kalaritanamedia.it/cattolici-e-politica-il-coraggio-di-uscire-dalla-zona-grigia/
- Anche su L’Osservatore Romano: https://www.osservatoreromano.va/it/news/2025-03/quo-072/il-lavoro-dello-spirito-e-il-ruolo-dei-cristiani-nella-societa-c.html
————————————————-Arte&Religiosita’————-
“Pace, lavoro, ambiente, diritti: l’Europa e il mondo di fronte a sfide inedite”
Adesione di Costituente Terra all’assemblea pubblica della CGIL del prossimo 29 Marzo “Pace, lavoro, ambiente, diritti: l’Europa e il mondo di fronte a sfide inedite”
Costituente Terra aderisce con convinzione all’assemblea pubblica della CGIL del 29 marzo, condividendone gli obiettivi su pace, lavoro, ambiente e diritti.
Oggi venerdì 28 marzo 2025
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Magistrati, la separazione indebolisce la Giustizia
28 Marzo 2025 su Democraziaoggi.
Marco Sereno Dal Toso – da Patria indipendente (ANPI)
Il vero obiettivo della riforma approvata in prima lettura a Montecitorio è un riequilibrio dei poteri in favore dell’esecutivo. L’efficienza del sistema non c’entra nulla, servono invece risorse pubbliche per l’assunzione di personale amministrativo nelle cancellerie, negli uffici giudiziari, e per dare […]
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Sostegno del CDC allo sciopero nazionale dei metalmeccanici
27 Marzo 2025 su Democraziaoggi.
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale sostiene i metalmeccanici di Fiom, Fim e Uilm che hanno proclamato lo sciopero generale unitario per venerdì 28 marzo al fine di riaprire le trattative sul contratto nazionale di categoria ferme dal 12 novembre per l’intransigenza della controparte padronale. La posizione dei datori di lavoro evidenzia la volontà di mettere […]
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Assemblea promossa dalla CGIL: “Pace, lavoro, ambiente, diritti: l’Europa e il mondo di fronte a sfide inedite”
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Costituente Terra ha dato la sua adesione alla libera assemblea convocata dalla CGIL il prossimo sabato 29 Marzo alle ore 9,30, presso il Centro Congressi Frentani di Via dei Frentani 4 Roma, sul tema “Pace, lavoro, ambiente, diritti: l’Europa e il mondo di fronte a sfide inedite”.
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Adesione di Costituente Terra all’assemblea pubblica della CGIL del prossimo 29 Marzo “Pace, lavoro, ambiente, diritti: l’Europa e il mondo di fronte a sfide inedite”
Costituente Terra aderisce con convinzione all’assemblea pubblica della CGIL del 29 marzo, condividendone gli obiettivi su pace, lavoro, ambiente e diritti.
Condanna la guerra come massimo crimine contro l’umanità, un “assassinio di massa” come scrisse Hans Kelsen, la forma più disumana e selvaggia delle relazioni tra i popoli, la violazione, diretta o indiretta, di tutti i diritti fondamentali.
Oggi giovedì 27 marzo 2025
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Ucraina: il 51° stato USA?
26 Marzo 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Va delineandosi la faticosa pace Usa\Russia sull’Ucraina. Anzitutto tregua in mare, libero transito di navi per i traffici commerciali di Ucraina e Russia. Naturalmente quest’ultima chiede la revoca delle sanzioni, perché, in mancanza, della libertà del mare non sa che farsene. L’Ucraina, dal canto suo, può riprendere ad esportare il grano, che è una grande […]
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Oggi mercoledì 26 marzo 2025
La tragedia palestinese
26 Marzo 2025
Lucio Garofalo su Democraziaoggi
Vorrei proporre una breve riflessione “corsara”, vale a dire scomoda, com’è scomoda e testarda la realtà documentata dai fatti, e non dalla retorica vuota, rituale ed ipocrita delle commemorazioni ufficiali… Oggi la storia si ripete, bensì sotto forma di tragedia, non di farsa. La storia si ripete (in una […]
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Cara Europa ti scrivo…
vi rimandiamo qui di seguito, arricchita dalle firme di altri mittenti, la nostra lettera all’Europa del 21 marzo, nella sua versione corretta, con l’aggiunta di un’importante annotazione del canonista prof. Francesco Zanchini, secondo cui uno dei peccati originali dell’Europa è stato la sua separazione dall’Oriente, Vicino e Lontano, e dalle sue culture.
Dobbiamo anche aggiungere che la nuova aggressività dell’Israele di Netanyahu, con la rottura della tregua e la ripresa dell’eccidio, giunto a superare i 50000 morti, di cui quasi un terzo bambini, ha portato allo scoperto un problema gravissimo per tutti.
Com’è noto la ragione addotta da Netanyahu per riprendere l’offensiva contro i Palestinesi a Gaza, come del resto egli aveva promesso ai suoi alleati di governo, che infatti vi sono rientrati, è quella di giungere alla liberazione di tutti gli ostaggi. Ma il capo dello Stato di Israele, Isaac Herzog, ha definito “impensabile” e ha pubblicamente espresso “un profondo turbamento”, per il fatto che una “sacra missione” come quella della liberazione degli ostaggi fosse concepita e condotta in tal modo. Nella tradizione e nella cultura di Israele è “sacro” ciò che è riservato e offerto a Dio e azione sacra è quella fatta in obbedienza a Lui: ciò vuol dire dunque che nell’eccidio in corso a Gaza e nell’obiettivo finale di un’estirpazione della popolazione palestinese da Gaza, ci sarebbe una complicità, e addirittura un comandamento divino; data la notorietà di Israele, la sua connotazione religiosa e la pubblicità della sua guerra, questo vuol dire diffondere a livello planetario una diffamazione di Dio.
L’ambasciatore israeliano a Roma ha reagito all’accorato appello lanciato dal papa dall’ospedale Gemelli, per la cessazione dei bombardamenti israeliani, difendendoli col motivo della liberazione degli ostaggi: la “sacra missione”, appunto.
È particolarmente struggente che nella concomitanza di due eventi, la malattia del papa e la strage di Gaza, si riverberino nel mondo due immagini così contrapposte di Dio. Per noi ciò è ragione di particolare preoccupazione e dolore, nel momento in cui siamo arrivati alla conclusione che, per salvarsi, l’Europa deve, con le fedi perdute, recuperare il cristianesimo, ciò che poi vuol dire aprirsi all’ipotesi – l’ipotesi esclusa dalla modernità – di un Dio coinvolto nella nostra storia. Ma un Dio, non un idolo che distrugge bensì proprio lo stesso Dio della misericordia professato da Ebrei e Cristiani, che anche proprio per ciò sono chiamati a rifondare la loro unità. Problema forse non molto frequentato oggi, ma che non dovrebbe mancare nelle nostre analisi storiche e politiche. E da qui parte il cimento delle scelte da fare, tra le diverse via che ci vengono proposte.
Ecco qui di seguito la “Lettera all’Europa” con le firme dei mittenti che vi si sono aggiunte:
LETTERA ALL’EUROPA
Cara Europa,
ti scriviamo per dirti che ti siamo vicini, perché, dopo che hai perduto le tue coordinate, tutti ti strattonano, cercano di farti andare dove non vuoi, a perderti. Nella confusione, sono pure scesi in piazza, per dire le cose più diverse, abbandonandoti intanto a torvi governanti ben vestiti e ben armati, e in sostanza per esaltarti e tradirti. Dicono Europa Europa, e tu non ci sei, perché ti hanno amputato, ti vogliono divisa, hanno bisogno di un nemico, e questo nemico se lo costruiscono dentro l’Europa stessa, è la Russia, che sarebbe una minaccia e un pericolo per il solo fatto di esistere. Biden addirittura diceva che la Russia doveva essere portata alla “condizione di paria”. Qui aveva ragione Trump quando diceva che Biden era stato il peggiore presidente degli Stati Uniti, una democrazia mitizzata come modello di democrazia da esportare per tutti, che vorrebbe far regredire un altro grande Paese alla condizione castale, non solo ultima casta, ma fuori casta, fuori cioè della società, fuori dell’umanità.
Certo, Biden non era un filosofo, e negli ultimi due anni della sua presidenza la ragione se n’era andata, tanto che l’America era governata dalle due o tre persone che gli erano più vicine, e si è visto con quali risultati. Invece è un filosofo, anzi addirittura sarebbe un “nuovo filosofo”, Bernard Henri Lévy, il quale per aizzarci alla lotta contro la Russia scrive sulla “Stampa” che Putin ci odia (lui lo sa), vuole disgregare l’Unione Europea portando l’Est sotto il suo controllo, e in questo fa con Trump una “coppia diabolica”. Un filosofo che legge la storia come un affare di diavoli! Se fosse questa la tua cultura, dove sarebbe finita la cultura europea!
Ma anche uscendo da queste bassure, ai piani appena più alti della politica e dell’informazione, troviamo i campioni di quella che chiamano Unione Europea, che ti vogliono smembrata e divisa. E in ogni caso approntano il grande bisturi delle armi, almeno 800 miliardi. Si pavoneggiano rivendicando per l’Europa le radici ebraico-cristiane, ma sono contro san Paolo, lo prendono per putiniano. San Paolo dice ai Corinti che un corpo non può essere smembrato: “Non può l’occhio dire alla mano non ho bisogno di te; oppure la testa ai piedi: non ho bisogno di voi. Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli, sono le più necessarie, perché nel corpo non ci sia divisione ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre e se un membro soffre tutte le altre soffrono insieme perché tutte le membra del corpo, pur essendo molte sono un corpo solo”. Dell’Unione Europea sono 27 ma tu Europa, a contare la Russia e perché no, l’Ucraina, ne conti almeno 29.
D’altra parte noi come faremmo se non ci fosse la Russia, e se ci distruggessimo per distruggerla, solo perché ci siamo costruiti il fantasma che ci minaccia? Ma una supposta minaccia può giustificare qualsiasi violenza?
La Russia non è il nostro nemico, lo dice perfino Tajani, e la Meloni non vuole mandare i soldati a combatterla. Certo, l’Ucraina violata, ma lì c’erano precisi e innegabili motivi, come allo stesso Parlamento europeo ha spiegato un autorevole e informato americano, il prof. Jeffrey Sachs. Senza Russia non sei più tu Europa. Ci hai arricchito con i suoi pensieri. Come potevamo noi capire l’anima profonda, efferata, della guerra, senza “Guerra e pace” di Tolstoi? Come potevamo noi capire l’umanità violata di quanti sono considerati “animali umani”, e sono scambiati e venduti, vivi o morti che siano, come le “Anime morte” di Gogol? Lì erano i servi della gleba, qui oggi “l’umanità violata” descritta da Roberta De Monticelli in Palestina e in ogni altro genocidio. E come comprendere tanta ingenuità di un’opinione pubblica candida, onesta e plagiata, senza “L’idiota” di Dostoevskij?
Perciò, cara Europa, dobbiamo ripristinare l’unità del tuo corpo, e risuscitare la tua anima morta. Non basta dire Europa, dobbiamo chiederci chi sei, che cosa c’è nel tuo DNA, qual è l’anamnesi dei tuoi mali e scoprire la cura che ti può guarire.
Nel tuo DNA ci sono anzitutto Creonte ed Antigone, il potere e la libertà, la legge e la grazia, l’obbedienza e la dignità. Ma anche c’è stata l’intronizzazione della guerra, proclamata padre e principio di tutte le cose, di tutti re, da Eraclito a Kant, che la considerava un prodotto della natura, e la pace invece un artificio. Ma nel DNA dell’Europa ci sono anche tutte le passioni umane, che ci sono state svelate nella tragedia greca, amore e morte, gelosia e dono di sé, progetto e speranza.
Ma poi bisogna fare l’anamnesi, tutte le malattie dell’Europa, l’imperialismo universalista dell’Occidente, cominciato a Roma, il culto dei Cesari, la società di signori e servi, le persecuzioni religiose, le scoperte come conquista, il genocidio degli Indios e il rifiuto dell’Altro, le colonie, fino alle due guerre mondiali e alla Shoà, e dopo, le resistenze all’attuazione dello Stato sociale, la mancata messa a profitto della rimozione del muro di Berlino e il recupero della guerra, la restaurazione neoliberista dell’impero del profitto e del mercato, fino al punto da snaturarti, da non sapersi più ciò che tu sei, un personaggio in cerca d’autore[1].
Il problema è che i tuoi governanti credono che tu abbia bisogno di un Nemico, è l’esistenza di un Nemico che ti conferirebbe la tua ragion d’essere, e perfino quando ti sorvolano telefonate di pace ti vogliono disporre alla guerra. Dicono che il Nemico è già lì per invaderci, fino al Portogallo, ma non arriva come nel deserto dei Tartari.
La verità è che non si rassegnano alla caduta del muro di Berlino. Era questo che aveva permesso a un’ancora “Piccola Europa” di avviarsi verso l’unità, di guardare con occhi nuovi al mondo e di avere la pace, era stato questo che aveva fatto spazio all’alternativa keinesiana e l’aveva preparata all’euro, e pazienza per la Germania divisa, a qualcuno piaceva anche così, almeno era senza esercito.
E allora qual è la cura per te, che ti faccia guarire, come avere per l’Europa una prognosi non riservata, che ti metta fuori pericolo?
La cura è capire che l’Europa non ha bisogno di un Nemico, ma ha bisogno di un’Idea. Anzi che l’Europa stessa è un’Idea, un’Idea che si fa storia, altrimenti non è più nulla. “Idea Europa” era appunto il titolo di un’opera che ne scandaglia la storia ideale, di un teologo gesuita tedesco, Erich Przywara, citato da papa Francesco quando ha ricevuto il Premio Carlo Magno.
Avere un’idea vuol dire avere una visione per la quale vale la pena vivere e lottare, le idee che abbiamo tradito, democrazia, socialità, liberalismo. Ma essere un’Idea che si fa storia vuol dire farsi carico del mondo, e rimettere in gioco la fede che attesta che l’umanità sarà salva, le fedi che abbiamo perduto perché non abbiamo saputo difenderle dalla giusta critica della laicità, il socialismo (“avanza con noi l’epoca nuova!”), il cristianesimo…
E allora qui va detta la cosa più trasgressiva ed eretica che oggi si possa dire: che per salvarsi l’Europa deve recuperare il suo bene maggiore e perduto, il cristianesimo. Una tale proposta può apparire paradossale nel momento in cui la fabbrica del male arriva a tetti mai raggiunti prima, fino al decreto di sterminio notificato alla popolazione di Gaza dai volantini lanciati, con le bombe e i missili dall’esercito israeliano: “Alla gente di Gaza – è scritto in arabo – prima di iniziare il piano obbligatorio di Trump, che imporrà il vostro sfollamento da Gaza, che vi piaccia o no, ripensateci: la mappa del mondo non cambierà se la gente di Gaza scompare. Nessuno vi noterà. Nessuno chiederà di voi. Né all’America né all’Europa importa di Gaza. Nemmeno agli Stati Arabi. Sono nostri alleati. Ci forniscono denaro, petrolio e armi. Vi mandano solo sudari. Il gioco finirà presto. Chiunque voglia salvarsi prima che sia troppo tardi, siamo qui per restare fino al giorno del giudizio”. La soppressione dell’umano che qui è rivendicata come cultura comune, è il rovesciamento assoluto del cristianesimo, fondato sull’umanità di Dio, ma è anche la bestemmia che rovescia il Patto del Sinai, e ambedue ti chiamano in causa, dalla Casa Bianca a Tel Aviv: e tu dove sei Europa?
Sembra però irreale che oggi l’Europa possa attingere al tesoro cristiano, perché vi fa ostacolo il secolarismo, penetrato in tutte le sue fibre e perché la modernità stessa, e non senza ragione, si è fondata e si identifica con esso, intendendo il secolo come il luogo in cui Dio non c’è, non importa poi se esista o meno, o se viene creduto nel privato delle istituzioni e dei cuori.
Dalla laicità così intesa non si può tornare indietro, nata com’è dalle guerre di religione tra i principi cristiani nel XVII secolo. Ma è stato proprio un cristiano, luterano olandese, Ugo Grozio, che ha fornito, sia pure come ipotesi paradossale, la formula della laicità su cui la modernità si è costruita: giustizia e diritto sono connaturati alla terra, ed è compito nostro istituirli, anche nella blasfema ipotesi che Dio non ci sia (etsi deus non daretur) e non si occupi dell’umanità. E così abbiamo fatto: senza bisogno di essere atei, abbiamo prodotto l’illuminismo e la modernità accogliendo l’ateismo che è il vero nome della secolarizzazione.
Questa ipotesi è stata abbondante di frutti, ma come ora si vede non basta a salvarci. Forse è il caso di provare l’ipotesi opposta: non c’è bisogno di essere credenti per combattere l’orrore con tutte le forze spirituali e umane mosse dalla indimostrata ipotesi che Dio ci sia e si occupi dell’umanità.
C’è però, c’era fino a ieri, un ostacolo insormontabile perché questo potesse avvenire: che il cristianesimo nel suo risvolto mondano si è intrecciato con l’Idea e con la storia d’Europa nelle forme del regime costantiniano o di “cristianità” che “da Costantino a Hitler”, secondo la formula di Erich Prziwara, ha cercato di organizzare l’Occidente come uno Stato totalitario, nel quale, per dirla con la Civiltà Cattolica, si attuava “un legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa”; ciò che supponeva la Chiesa come la realizzazione stessa del Regno di Dio sulla terra, e quindi faceva della Chiesa la vera sovrana terrena.
Ma questa forma è passata, non solo grazie alla gloriosa laicità, ma perché il cristianesimo ne è uscito e la Chiesa stessa ne ha operato il ripudio, prima reagendo con veemenza, sentendosi aggredita, poi con la grande proclamazione del Concilio Vaticano II e il suggello profetico di Papa Francesco che, proprio ricevendo il premio Carlo Magno, come al Consiglio d’Europa e alla Curia romana, ha attestato che l’impresa di Carlo Magno è finita, che “non siamo più nell’epoca di cristianità, non più”.
Non per questo egli è rimasto a mani vuote, perché in cambio ha offerto all’Europa e al mondo, un annuncio nuovo, che Dio è solo misericordia, e che se, forse, come lui crede, l’Inferno è vuoto, non possono gli uomini né minacciarlo né “aprirne le porte” sulla terra, a Gaza come ad Auschwitz.
Con la più viva partecipazione
Da Prima Loro, Raniero La Valle, Luis Orellana, Giovanni Spallanzani e:
Elena Basile, ambasciatrice, mons. Domenico Mogavero, già vescovo di Mazara del Vallo, mons. Raffaele Nogaro, già vescovo di Caserta, Angelo Gaccione, scrittore, Edvige Cambiaghi, Franco Meloni (Aladinpensiero), Fernando Cancedda, Giuseppe Saponaro, Eva Maio, Antonio Malorni, ricercatore del CNR, Angelo Cifatte, Maria Grazia Campari, Flavio Pajer, docente di Pedagogia delle religioni, Paolo Bertagnolli, Donatella Gregori, Giovanna Ciarlantini, Luana Neri, Federico Palmonari, fisico nucleare, don Sergio Mercanzin (“Russia cristiana”), Giovanni De Gaetano, Luigi Alfieri, già ordinario di Filosofia politica all’università di Urbino, Filippo Isgro, Ubaldo Radicchi, Enrico Andreoni, Giuseppe Maria Angelone, Elena Bucchione, Francesco Domenico Capizzi, chirurgo, Maria Teresa Cacciari, Carla Gentilli, docente di lettere, Agata Cancelliere, Ennio Cabiddu, Disarmisti esigenti, Carlo Volpi, Franca Maria Zapponi, Monica Migliorini, Pierpaolo Loi, Alessandra Chiappini, Paolo Brutti, Lucia Tibaldo, Stefano Fiore, Massimo Michelucci, Antonella Doria, Giacomo Meloni Segretario Naz. le della CSS.
Quanti volessero aggiungersi ai mittenti di questa lettera lo possono fare comunicando la loro firma a notizieda@primaloro.com.
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[1] Ma c’è anche un peccato originale dell’Europa che è, secondo il canonista prof. Francesco Zanchini, quello che egli chiama la “perdita del Bosforo” come orizzonte di senso unitivo con l’Asia prossima e con quella estrema, che la Russia non ha invece vissuto mai, ma di cui un passaggio essenziale sarebbe stata la bolla Unam sanctam di Bonifacio VIII. Tutto sarebbe cominciato infatti con la cancellazione dei Greci dalla storia cristiana, previa sostituzione definitiva con i Romani, cioè con i Papi (e con retrocessione della frontiera “cristiana” dal Mar Nero all’Adriatico. Del resto per gli storici arabi dell’età classica noi eravamo i Franchi, e Romani i bizantini!
Prima Loro
Oggi martedì 25 marzo 2025
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Caso Todde: urge nuova legge elettorale statutaria
25 Marzo 2025 su Democraziaoggi
Maria Grazia Caligaris, pres. ass. “Socialismo Diritti Riforme ODV”
Non sono interessata a dipanare questioni squisitamente tecnico-giuridico-costituzionali, non ne ho le competenze né sono argomenti che mi appassionano. Ci sono autorevoli voci da ascoltare, non certo la mia. C’è però un insegnamento, a mio modesto avviso, che deriva prepotente dalla […]
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ANPI: Meloni e La Russa nascondono le responsabilità fasciste nell’eccidio delle Fosse ardeatine
24 Marzo 2025 su Democraziaoggi
“Stamattina ero presente alle Fosse Ardeatine per gli 81 anni della strage nazifascista. Una rinnovata emozione e rabbia per quell’orrore. Poi ho letto le dichiarazioni del presidente del Senato e della presidente del Consiglio. La Russa parla di “massacro nazista”. La Meloni di “eccidio delle Fosse Ardeatine, perpetrato dalle truppe naziste di occupazione”. Non una […]
Per conoscere il manifesto di Ventotene
Per conoscere il manifesto di Ventotene
21/03/2025 su Costituente Terra.
In un dibattito in Parlamento mercoledì 19 marzo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha criticato il Manifesto di Ventotene, un documento del 1941 che ha ispirato la nascita dell’Unione europea dopo la Seconda guerra mondiale. In risposta alla premier, Pier Virgilio Dastoli, presidente del Consiglio italiano del Movimento europeo, spiega la valenza del documento…
CT
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Mi è capitato – nelle conversazioni universitarie, negli incontri con le scuole e nei seminari federalisti a Ventotene – di evocare il Manifesto “per un’Europa libera e unita” scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi con il contributo di Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann e Ada Rossi nell’inverno 1940-1941, come frutto di intense discussioni all’interno di un piccolo gruppo di confinati antifascisti, e completato all’inizio dell’estate 1941 per diffonderlo nei canali della clandestinità antifascista prima in Italia e poi in alcuni ambienti intellettuali in particolare in Francia e in Svizzera.
Esso ispirò la dichiarazione dei combattenti della Resistenza di nove paesi del luglio 1944 in Svizzera che circolò poi tra i movimenti di resistenza in tutta Europa.
Mi ha colpito la convinzione di molti giovani sull’attualità del pensiero di Spinelli e Rossi e specialmente l’idea che la proposta di creare un potere democratico europeo, immaginata per offrire una soluzione permanente a problemi comuni degli europei alla fine della Seconda Guerra Mondiale, sia ancora più valida oggi per affrontare altri e nuovi problemi comuni.
Ho scoperto in molti giovani un pensiero che potrebbe essere immaginato negli stessi termini in cui esso fu formulato da Altiero nel 1957:
“il progetto di una federazione europea non era un bell’ideale cui rendere omaggio per occuparsi poi d’altro, ma un obiettivo per la cui realizzazione bisognava agire ora, nella nostra attuale generazione. Non si tratta di un invito a sognare, ma di un invito a operare”.
Ho scoperto anche nelle reazioni dei giovani alla lettura del “Manifesto” la condivisione di un’altra idea essenziale di Altiero sulla natura della “sua” federazione:
“essa non si presenta come un’ideologia, non si propone di colorare in questo o quel modo un potere esistente…è la sobria proposta di creare un potere democratico europeo, nel cui seno avrebbero ben potuto svilupparsi ideologie, se gli uomini ne avessero avuto bisogno, ma assai differente rispetto a esse..il riconoscimento della diversità e della fratellanza delle esperienze nazionali dei popoli europei, in mezzo alle cui lingue, ai cui scrittori e pensatori vivevamo da anni senza mai sentirci più vicino a loro se italiani, più lontani se stranieri”.
La presentazione ragionata dell’alternativa federale proposta dal “Manifesto” si distingue così sia dal federalismo ideologico di tipo proudhoniano o mazziniano che Spinelli definiva “fumoso e contorto” sia dalla concezione di chi ha ritenuto e ritiene che la battaglia federalista sarà vinta solo si porterà a compimento la teoria federalista come un’ideologia con un proprio aspetto di valori costituzionali ma anche universali (la pace kantiana) e storico-sociali (il superamento della divisione del genere umano in nazioni e classi).
II “Manifesto” fu il punto d’incontro fra l’interesse dell’ex comunista Altiero Spinelli per la libertà dell’individuo e quella della società ma anche per l’idea che questa lotta non poteva fermarsi ai confini dove si stava costruendo il socialismo (per Spinelli “l’URSS si era scrollata progressivamente da sé le sovrastrutture internazionaliste diventando essa stessa nazionalista”, n.d.r.), delle critiche del liberale e amico di Luigi Einaudi Ernesto Rossi al capitalismo, al sindacalismo, al comunismo e del suo progetto di “abolire la miseria” innestando un pezzo di costituzione economica comunista in un’economia di mercato e dell’analisi sulle cause economiche delle guerre dell’ex giellino e poi socialista Eugenio Colorni.
La conversione alla democrazia aveva portato Altiero Spinelli alla comprensione che l’azione politica deve avere come obiettivo l’impiego del potere al servizio della libertà e che lo Stato nazionale era il nemico della libertà.
Nel caso di Altiero Spinelli la lotta per la libertà dell’individuo e della società lo aveva portato, già a Civitavecchia nel 1935, all’indomani dell’avvio della stagione del terrore stalinista, alla rottura con il PCI che fu poi formalizzata nel 1937 a Ponza con l’espulsione dal partito per “deviazione ideologica e presunzione piccolo-borghese”.
È così che il “Manifesto” inizia con l’affermazione che
“la civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà secondo il quale l’uomo non deve essere mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale che non lo rispettassero”.
Nella sua autobiografia “Ragazzo Rosso” Giancarlo Pajetta ricorda la rottura del 1935:
“ci scontrammo con Spinelli, un giovane comunista…che passava ormai per crociano in attesa di diventare poi federalista al confino…l’eretico impenitente, non disposto a sottomettersi, fu in qualche modo scomunicato…e noi volevamo che fosse chiaro, quando sarebbe arrivato al confino, che a Civitavecchia le sue posizioni ideologiche e politiche erano state ritenute estranee, nel modo più assoluto, a quelle dei comunisti”.
Nel caso di Ernesto Rossi, le critiche al capitalismo e al comunismo – insieme alla lettura di testi federalisti inglesi – lo avevano portato alla convinzione che solo una federazione europea – “inizialmente limitata a un nucleo di paesi latini” – avrebbe garantito maggiori risorse per lo sviluppo sottraendole alla preparazione delle guerre volute dal crescente potere delle élites militari e dall’accentramento amministrativo.
Dalle discussioni che avevano preceduto l’elaborazione del “Manifesto” era emersa la convinzione che la Federazione europea sarebbe stata l’unica soluzione ragionevole al problema, che tormentava l’Europa dal 1870, della pacifica convivenza della Germania con gli altri popoli del vecchio continente.
La Federazione sarebbe stata, soprattutto, la possibilità per le democrazie di controllare “quei Leviatani impazziti” (l’espressione è di Altiero Spinelli) che erano ormai gli Stati nazionali europei, poiché lo Stato Federale avrebbe impedito loro di diventare mezzi di oppressione e sarebbe stato da essi impedito di diventarlo lui.
Contrariamente a una parte della teoria federalista che individua nella nazione il male in sé, gli autori del “Manifesto” ritenevano che l’ideologia dell’indipendenza nazionale fosse stata “un potente livello di progresso” ma che essa portava in sé “i germi dell’imperialismo capitalista”.
Il “Manifesto” fu materialmente concluso nel giugno 1941, quando quasi tutta l’Europa continentale era soggiogata da Hitler, le armate tedesche entravano nelle terre russe e solo resisteva al nazismo il Regno Unito.
Altiero Spinelli si rendeva perfettamente conto del fatto che la cultura federalista era estranea alle culture politiche esistenti nei paesi europei che sarebbero usciti dalla guerra tentando di restaurare le democrazie nazionali, nonostante l’origine universalista dei movimenti cristiani, internazionalista dei partiti socialisti e poi anche comunisti e cosmopolita delle forze d’ispirazione liberale.
Egli sapeva che questi stessi partiti erano ormai avvezzi, per consuetudine e per tradizione, a porsi tutti i problemi partendo dal tacito presupposto dell’esistenza dello stato nazionale e a considerare i problemi dell’ordinamento internazionale come questioni di politica estera da risolversi mediante azioni diplomatiche e accordi fra i vari governi condividendo o accettando o subendo il principio della sovranità assoluta.
Alla via diplomatica, Altiero contrapponeva quella che è stata chiamata nel “Manifesto” la “via rivoluzionaria dell’agitazione popolare” provocando stati di fatto avvenuti i quali non fosse più possibile tornare indietro prefigurando quella che sarebbe stata la caratteristica di tutta la sua vita di federalista fondata sul pensiero e sull’azione.
In questo quadro si colloca la sua mai mutata convinzione che un potere democratico europeo poteva essere fondato solo attraverso un metodo democratico e cioè da un potere europeo costituente.
Pur confinati nell’Isola di Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colori erano stati capaci di analizzare con estrema lucidità lo stato della Seconda Guerra Mondiale nel 1941 e prevedere la sconfitta dell’imperialismo tedesco e delle potenze totalitarie le cui forze “hanno raggiunto il loro culmine e non possono ormai che consumarsi progressivamente” sapendo che “la sconfitta della Germania non porterebbe però autonomamente al riordinamento dell’Europa secondo il nostro ideale di civiltà”.
Essi non avevano invece previsto che gli europei non sarebbero rimasti padroni di sé nella ricerca del loro avvenire ma – avendo l’Europa cessato di essere al centro del mondo – sarebbero stati pesantemente condizionati da poteri extraeuropei: l’imperialismo sovietico a Est e l’egemonia degli Stati Uniti a Ovest.
Vi è un elemento essenziale della visione del “Manifesto” che è stato sottolineato da Norberto Bobbio nel suo saggio “Il Federalismo nel dibattito politico e culturale della resistenza”.
Il “Manifesto” – ricorda Bobbio – “inizia parlando del principio nazionale e della sua degenerazione e aggredisce poi il problema della sovranità assoluta. Il superamento della sovranità assoluta conduce allo Stato federale e il superamento del principio nazionale conduce all’idea d’Europa. E il movimento che sorge a Ventotene è insieme federale ed europeo”. Ciò vuol dire – chiosa Bobbio – “che il meccanismo dello Stato federale può applicarsi a una realtà diversa dall’Europa come la federazione mondiale o le federazioni che si vanno tentando fra Stati del mondo arabo”.
Vi è infine un’affermazione di Altiero Spinelli sulle tre ragioni della attualità del Manifesto, che lo erano negli anni ’80 alla vigilia del grande sconvolgimento provocato dalla caduta dell’impero sovietico e lo sono ancora oggi dopo gli sconvolgimenti nei primi venticinque anni del XXI secolo:
il pensiero per gettare le basi sul continente di una federazione europea appartiene alla generazione attuale e non a una indeterminata generazione lontana nel tempo,
l’azione per realizzarla richiede una vasta mobilitazione dell’opinione pubblica ma soprattutto un movimento organizzato secondo una logica rivoluzionaria,
e la linea di divisione fra le culture politiche non passa più fra destra e sinistra, fra conservazione e progresso ma fra chi difende apparenti sovranità nazionali e chi è pronto a battersi per una superiore sovranità europea e cioè fra gli immobilisti e gli innovatori.
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