Economia & Lavoro
Un appello di Gianfranco Murtas, giornalista e scrittore, per la salvezza della biblioteca della Camera di Commercio di Cagliari. Primo a raccoglierlo e rilanciarlo è Paolo Fadda, storico dell’economia.
Dall’articolo di Gianfranco Murtas, pubblicato sul sito della Fondazione Sardinia: (…) Quello che duole è che da sei mesi ormai, per vera o presunta – direi vera sul piano obiettivo, ma pur gestibile – inagibilità degli ambienti deputati al servizio – sotterraneo rispetto al Largo Carlo Felice, al piano stradale ma interno a vederla dalla via Angioy, la biblioteca sia inaccessibile.
Commissariata la gestione amministrativa della Camera di Commercio, non sembra entrata nelle priorità, ma neppure nelle seconde file delle preoccupazioni della professoressa Piras, al comando pieno dell’ente, proprio la questione della biblioteca. E spiace molto – davvero molto – che ella non abbia mai avvertito come suo dovere, che invece potrebbe o dovrebbe nascere dalla stessa sua sensibilità di docente, di tenere informata l’utenza – leggi la cittadinanza – della tempistica prevista per il rimedio delle cause all’origine dell’interruzione del servizio.
E’ un modo, a mio avviso, sempre incomprensibile quello di non rispettare il pubblico, la cittadinanza, da parte di politici e burocrati di varia provenienza. La Piras si mostra omologa alla massa di chi, titolare di un ufficio pubblico, rimuove il dovere elementare della informazione, che è fatto di democrazia anch’esso. E pure ci vorrebbe poco: un comunicato alla stampa scritta e radiotelevisiva locale per comunicare i perché della sospensione ed i tempi del ripristino.
So bene quanto la Camera di Commercio di Cagliari avesse bisogno di una revisione radicale dei suoi bilanci, tanto più per raddrizzare orientamenti e scelte incomprensibili anch’essi, e certo non meno dei silenzi dell’attuale commissario straordinario. Non sarà mai nelle benemerenze della presidenza Deidda la sospensione delle pubblicazioni della bellissima rivista – “Sardegna Economica” –, cui non di rado mi è capitato di collaborare, diretta dal commendatore Paolo Fadda. Scriverci era diventato un punto d’onore anche per diversi docenti universitari colleghi della Piras.
Mentre si sopprimeva quel periodico, non si sopprimevano né si contenevano altre spese forse meno idonee a creare valore, e a dare valore, al buon nome storico della Camera fondata dal Serpieri e cofondata dal Rossi Doria e dal Pernis. Lontani un decennio ormai i tempi della perfetta diarchia Romano Mambrini – Paolo Solinas, perduta la sua rivista, l’ente camerale di Cagliari ha perduto anche la sua biblioteca. Nel silenzio generale. Sale una protesta, la mia, solitaria, a futura memoria.
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Il COMMENTO di PAOLO FADDA, 22 maggio 2016 sul blog della Fondazione Sardinia.
Quel che scrive, caro gfm, è giustissimo, e suona a conferma che al declino-sfacelo di questa benemerita istituzione non c’è più limite alcuno. La Camera di commercio di Cagliari è oggi niente più che un fantasma, ridotta ad essere niente più che un modesto certificatificio, estranea del tutto a quel che accade alle nostre imprese colpite dalla crisi, ai nostri trasporti avviliti da defezioni sempre più pesanti, alle attività produttive in sofferenza per l’inaridimento dei crediti bancari, ecc. ecc. Così anche la sua biblioteca, già così ricca di contenuti e così efficiente per servizi, sembra prossima all’estinzione: è anche questo il segno manifesto di quanto un’ottusa burocrazia e delle gestioni infelici siano capaci di cancellare anche le più importanti e qualificanti istituzioni cittadine, Sono quindi con lei, carissimo amico, pronto ad aggiungere anche la mia firma (e la mia voce) a quest’appello di protesta e cdi indignazione!
Il Meridione e la Sardegna «le» risorse per arrestare e superare il declino del Paese Italia
La Sardegna viene spesso omologata all’interno dell’insieme più vasto del Meridione d’Italia, perdendosi così la sua specificità, sia per quanto riguarda i peculiari aspetti positivi, ma anche per quanto riguarda quelli negativi. Entrambi la rendono “unica”. Tuttavia vi sono numerosi aspetti comuni tra tutte le regioni del Meridione d’Italia che autorizzano l’assunzione dello stesso come unico oggetto d’analisi, rendendo pertanto sostenibili studi e proposte di carattere generale, che non pregiudicano la necessità di interventi specifici e differenziati per la Sardegna rispetto alle altre regioni meridionali. Pietro Greco, nelle riflessioni che avanza sull’ultimo numero del quindicinale Rocca (09, 1 maggio 2016), si occupa del Sud nel suo complesso, condividendo la tesi del presidente dello Svimez, Adriano Giannola, secondo cui “… il Sud sia una «risorsa», anzi sia «la» risorsa per la ripresa dell’intero Paese”. Riaffermando, come fanno pochi “la centralità” della «questione meridionale». Questo dibattito – certo presente in Sardegna e in Italia – è tuttavia allo stato del tutto inadeguato rispetto all’importanza delle questioni in ballo. Al riguardo, per pertinente collegamento: ben vengano per questa finalità di ampliamento e approfondimento le iniziative come quella tenutasi ieri 29 aprile a Cagliari in Confindustria in occasione della presentazione del libro di Paolo Fadda “L’amico di uomini potenti” (Carlo Delfino Editore), su cui contiamo di tornare, anche ospitando rielaborazioni degli interessanti interventi che hanno animato il dibattito e che sono stati sacrificati dal tempo tiranno e dal protagonismo del conduttore Giacomo Mameli (a dire il vero giustificato dalla sua competenza ed esperienze professionali in materia). Ci piacerebbe pertanto che su questa news apparissero gli interventi di Antonio Sassu, di Roberto Mirasola, di Gianni Loy, di Franco Farina, di Marco Santoru, di Lucetta Milani, di Francesco Marini, di Carlo Delfino e degli altri intervenuti dei quali c’è sfuggito il nome. Come un tempo quando i quotidiani riportavano nei giorni successivi i dibattiti tenutisi nelle relative diverse occasioni d’incontro, ampliandoli e rilanciandoli. Oggi ne avremo particolare necessità.
SUD D’ITALIA
Come costruire il futuro
di Pietro Greco, su ROCCA 1 maggio 2016
C’è chi dice che il Mezzogiorno deve dedicarsi solo e unicamente al turismo e diventare la Florida d’Italia. C’è, al contrario, chi sostiene che deve accettare di tutto, dalle trivelle in Basilicata e l’Ilva a Taranto, anche a costo di rischiare un po’ di più in termini di ambiente e di salute. Inutile dire che le due ricette, specularmente opposte, per rilanciare il Mezzogiorno non tengono. E non solo perché, da un lato, nessun Paese al mondo vive di solo turismo e, dall’altro, perché le vecchie industrie inquinanti sono, appunto, vecchie e, dunque, fuori mercato. Ma anche e soprattutto perché nessuna delle due ricette tiene conto che viviamo nell’era (certo un bel po’ disordinata) della conoscenza e che per essere competitivi non basta mettere due ombrelloni al sole e neppure produrre del buon acciaio. Per essere competitivi occorre produrre beni e (e, si badi bene, non o) servizi hi-tech, con un alto tasso di conoscenza e di sostenibilità ambientale incorporato.
un grido di allarme
Eppure un merito, queste grida poco fondate – fate turismo! accontentatevi di ospitare vecchie industrie! – ce l’hanno: contribuiscono a rompere il muro dell’attenzione che da troppi anni avvolge e quasi stritola il Mezzogiorno. Costringono a pensare il futuro del Sud.
Per la verità, il merito principale di questo ritorno di attenzione sul destino del Meridione è dovuto quasi per intero al «grido di dolore» che l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez) ha lanciato con il suo ultimo rapporto: il Sud è alla deriva. Il distacco delle regioni meridionali dal resto d’Italia e d’Europa è ormai enorme. Tanto che qualcuno sostiene sia al limite della irreversibilità. Dovesse continuare questa condizione, scrive il Presidente di Svimez, Adriano Giannola, in un libro di cui parleremo tra poco: tra pochi anni, nel 2040, ci accorgeremo che il Mezzogiorno è svanito, «senza clamore, per eutanasia».
Ben vengano dunque le grida, quelle infondate ma soprattutto quelle fondate, perché rompere il trentennale silenzio sulla irrisolta «questione meridionale» è condizione necessaria per evitare la morte in un «flebile lamento» del Mezzogiorno d’Italia.
Condizione necessaria, ma purtroppo non sufficiente. Non basta essere consapevoli e persino gridare che il re è nudo. Occorre anche rivestirlo e restituirlo alle sue funzioni. Occorre, fuor di metafora, un piano che eviti al Mezzogiorno il suo triste destino. Occorre riproporre in termini nuovi l’antica «questione meridionale». Molti osservatori nei mesi scorsi – da Eugenio Scalfari su Repubblica a Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera – hanno suggerito, in maniera più o meno esplicita, questa seconda necessità. Ma pochi l’hanno declinata. Pochi hanno indicato la strada possibile per evitare che il Mezzogiorno prosegua nella sua deriva.
non un peso ma una risorsa
Adriano Giannola, invece, ha scritto un libro in cui non solo denuncia il colpevole silenzio sulla deriva del Mezzogiorno, ma indica anche la strada per riprendere la rotta verso un porto sicuro. Il libro si intitola, un po’ a sorpresa, Sud d’Italia. Una risorsa per la ripresa (Salerno Editrice, Roma 2015, pagg. 108, euro 8,90) e dopo un’efficace ricostruzione storica dell’origine e dell’evoluzione del dualismo tra Settentrione e Meridione d’Italia indica come «costruire il futuro».
Adriano Giannola guarda al Sud non solo come a un pezzo d’Italia alla deriva, ma anche come a una risorsa per la ripresa dell’intero Paese. È piuttosto significativo che questa visione non sia stata sottolineata neppure da Scalfari e da Galli della Loggia. Questa differenza segna il grado di consapevolezza, non esaltante, che anche gli intellettuali italiani più acuti hanno oggi del problema.
un Sud blocca Nord?
C’è, tra questi intellettuali avvertiti, chi pensa che il Sud sia il vagone piombato di un treno-Paese che impedisce alla locomotiva, il Nord, di correre a briglia sciolta. Adriano Giannola ne cita uno autorevole, come Massimo Cacciari, che pone la «questione settentrionale» in questi termini: «il peso che il Nord deve sostenere per i conti generali del Paese è un dato oggettivo [...] perché lì ‘al Sud’, una grande fetta dell’economia è in mano alla criminalità [...]. O si ricomincia dalla locomotiva o non c’è ripresa. Mica i vagoni possono portare avanti il Paese [...] e allora cerchiamo di non strozzare la gallina». In altri termini, risolviamo la «questione settentrionale» e poi, vedrete, anche il Sud sarà trascinato verso lo sviluppo.
C’è chi pensa che le due questioni, quella settentrionale e quella meridionale, siano collegate e che siano aspetti di una più generale «questione Italia». Anche se poi stentano a definire cosa sia questa «questione italiana».
Ma pochi sostengono – come fa Giannola nel suo libro – ©. E, dunque, pochi affermano la centralità della «questione meridionale».
Nel suo libro, come abbiamo detto, Adriano Giannola ripercorre la storia del dualismo Nord/Sud, con rapide ma efficacissime pennellate. Torneremo in un altro momento su questa ricostruzione, illuminante. Prendiamo in considerazione, ora, la parte di analisi che riguarda il presente e la parte progettuale: come costruire il futuro. Il futuro dell’Italia, beninteso, non solo della sua parte meridionale alla deriva.
L’analisi lega alcuni fatti.
1. La «questione italiana» non è contingente e non nasce con la crisi finanziaria mondiale del 2007. L’Italia è in una fase di declino relativo, che secondo Giannola dura da vent’anni e secondo noi da almeno trenta. Sono due, anzi tre, decenni pieni che l’Italia corre meno degli altri Paesi europei, per non parlare di quella dozzina di Paesi cosiddetti a economia emergente dell’Asia sud-orientale (Cina in testa) e di altri paesi sparsi in America Latina e persino in Africa e nel Medio Oriente dilaniato da infinite guerre.
2. La crisi italiana è strutturale. E ha origine nella specializzazione produttiva del sistema Paese. La nostra specializzazione produttiva è nei beni a media e bassa tecnologia e nei servizi a medio e basso tasso di conoscenza aggiunto. Con la cosiddetta «nuova globalizzazione» e l’entrata sulla scena dell’industria e del commercio mondiale di Paesi con un basso costo del lavoro, il modello di produzione italiano, da alcuni definito «senza ricerca», è entrato inevitabilmente in crisi.
3. La risposta del sistema Italia alla «nuova globalizzazione» è stata ed è tuttora miope. Si è pensato di conservare il vecchio modello produttivo e di accettare la sfida dei Paesi meno avanzati cercando di agire sul costo del lavoro (stipendi minori, maggiore flessibilità, erosione dei diritti) invece di cercare di cambiare specializzazione produttiva e accettare la sfida dei Paesi più avanzati nei settori a maggior tasso di conoscenza aggiunto. Gli effetti di questa scelta, messi in luce da Giannola, sono stati devastanti: sul piano economico hanno prodotto la desertificazione industriale del Mezzogiorno e la diminuzione del mercato interno, determinando un avvitamento della crisi; sul piano sociale e politico hanno prodotto una «narrazione artefatta e consolate»: l’idea che il rallentamento del treno Italia fosse prodotto dal Sud incapace e in mano alla criminalità. Di qui una serie di politiche tese a «sganciare» il vagone piombato, abbandonandolo al suo destino, e a «liberare» la locomotiva del Nord.
4. Queste politiche hanno prodotto un avvitamento della crisi. Il Sud è diventato un deserto industriale, il reddito è stato attaccato, la povertà è aumentata, l’ambiente si è degradato, i giovani (i pochi giovani) laureati o comunque qualificati sono emigrati. Nel medesimo tempo le aziende del Nord hanno non solo tenuto a fatica il passo con quelle dei Paesi di nuova industrializzazione, ma hanno assistito alla caduta del mercato interno.
come interrompere la crisi
Come si interrompe questa crisi che si è avvitata su se stessa? Adriano Giannola propone una ricetta – un piano industriale – che solo agli occhi di chi non ne ha compreso la natura appaiano spiazzanti. a) Capire finalmente che siamo entrati nella società della conoscenza. E che solo la capacità di competere nei settori ad alto tasso di conoscenza (scientifica ma anche non) può rilanciare la nostra economia. b) Considerare il Sud non come il vagone piombato del treno Italia, come un pozzo senza fondo che assorbe le ricchezze prodotte al Nord (analisi che, peraltro, non ha fondamento alcuno), ma come «la» risorsa per la ripresa.
c) Giannola individua anche tre settori in cuiilrilanciodegliinvestimentialSudpuò tradursi in un fattore importante di ripresa per l’intero Paese: il settore energetico; la logistica a valore; il territorio.
Cop 21, la recente Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici tenuta a Parigi, ha ormai dichiarato irreversibile la transizione dai combustibili fossili alle fonti di energia rinnovabili e carbon free. Ne deriva che non le trivelle della Basilicata, ma il solare, l’eolico, la geotermia sono le fonti del futuro. E il Sud d’Italia è nella condizione di produrre energia da queste fonti, regalando all’intero Paese una maggiore autonomia energetica.
Il Mezzogiorno d’Italia è un grande porto al centro del Mediterraneo, ovvero del mare a più alta intensità di traffico commerciale del mondo. Con l’ampliamento del Canale di Suez il traffico navale nel Mediterraneo è destinato ad aumentare. In particolare sono destinati a aumentare i traffici con Cina e India. Il Mezzogiorno, lavorando con un’ottica sistemica, può (anzi, deve) proporsi come snodo principale di questi traffici.
primo: rigenerazione
Giannola ritiene, infine, che la rigenerazione urbana ed ambientale sia la terza opportunità per il Mezzogiorno. Rigenerazione significa rilancio di un’edilizia di qualità e non di quantità; ma anche nuova industrializzazione (industrie della conoscenza); difesa del territorio (dal dissesto idrogeologico; dal rischio sismico e vulcanico); valorizzazione non dei giacimenti (conservazione passiva) ma delle fucine culturali: facciamo sì che la tutela integrale dei beni archeologici, per esempio, diventi occasione di nuovi lavori ad alto tasso di creatività.
Le città meridionali nel primo decennio del XXI secolo hanno perso il 3,3% della popolazione, mentre quelle del Nord hanno fatto registrare un incremento del 4,8%. Un’ulteriore sintomo del malessere e del depauperamento economico e culturale del Mezzogiorno. Siano le città del Sud il centro di una nuova industria, di un nuovo «piano del lavoro» che comprenda e integri l’intero territorio.
Se tutto questo avvenisse, il Sud potrebbe portare anche il Nord fuori da quella condizione di declino che interessa l’Italia intera, sia pure con modalità diverse, da trent’anni.
È dalle risposte che la classe dirigente nazionale (politica, ma non solo politica) ma anche europea saprà dare alle domande poste dalla «questione meridionale» sapremo, conclude Giannola, «come sarà, se ci sarà, questa nuova Italia». Perché oggi più che mai è valido l’ammonimento di Giustino Fortunato: «il Mezzogiorno, sappiatelo pure, sarà la fortuna o la sciagura d’Italia!».
Pietro Greco
Rocca – Cittadella 06081 Assisi
e-mail rocca.abb@cittadella.org
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Formazione professionale: molti soldi, anche buone idee, ma scarsa capacità organizzativa a tutti i livelli
Formazione professionale, due avvisi per 34 milioni di euro
(Ansa News) Le due misure, pubblicate nei giorni scorsi dall’Assessorato del Lavoro, mettono a disposizione otto milioni di euro per i percorsi triennali di Istruzione e formazione professionale (IeFp), e oltre 26 milioni per le due linee dell’avviso per Blue e Green Economy
Il governo Renzi intende spogliare le Camere di Commercio di buona parte delle loro funzioni. In questo quadro in modo anticipatorio leggiamo la soppressione dell’Azienda speciale della Fiera
Comunicato Sindacale R.S.U. Camera di Commercio di Sassari
Nei prossimi giorni il Consiglio dei Ministri varerà il decreto legislativo di riordino del sistema delle Camere di Commercio.
Secondo le indiscrezioni, il Governo intenderebbe spogliare le Camere di buona parte delle proprie funzioni:
- addio a contributi, finanziamenti alle imprese;
- addio al sostegno alla creazione di impresa;
- niente più sostegno all’internazionalizzazione;
- niente più sostegno all’innovazione;
- niente più sostegni ai confidi;
- addio ai servizi di conciliazione e mediazione e camere arbitrali;
- niente più servizio di marchi e brevetti;
- niente più corsi di formazione, convegni e seminari;
- fine degli studi sull’economia del territorio.
I lavoratori della Camera di Sassari manifestano la propria indignazione per:
- l’assurdo spreco di competenze e capacità operative cui la riforma è finalizzata ed esprimono grande preoccupazione per il proprio destino lavorativo (sono previste riduzioni del personale, con migliaia di esuberi a livello nazionale);
- la drastica riduzione di risorse a favore delle imprese e dell’economia del territorio in cambio dell’irrisorio risparmio medio del diritto camerale versato dalle aziende;
- la volontaria e progressiva distruzione del “sistema camerale” considerato, per efficienza e professionalità, una delle eccellenze della Pubblica Amministrazione italiana.
La R.S.U. Camera di Commercio di Sassari
(pubblicato sul sito web della Camera di Commercio di Sassari)
Chimica verde in Sardegna. Dal fallimento annunciato del progetto Matrìca l’ennesima “cattedrale nel deserto”? Le responsabilità di Eni
Grandi manovre intorno al piano per la chimica verde – Il disimpegno dell’Eni con la cessione di Versalis. Mobilitazione operaia per la difesa dell’occupazione a Portotorres. Sciopero nazionale di otto ore il 20 Gennaio.
L’impianto di Matrìca per la trasformazione del vecchio polo petrolchimico di Portotorres in un moderno impianto per la chimica verde è ancora fresco di vernice e di recente inaugurazione quando si apprende che l’Eni, capofila del progetto, sta per cedere il 70 % del capitale della società Versalis – uno dei pilastri portanti del progetto Matrìca – Chimica Verde – a un fondo di investimenti internazionale. Operazione che, se realizzata, potrebbe significare la fine del progetto Matrìca, l’annullamento dei finanziamenti programmati, il mancato completamento degli impianti, il licenziamento per gli operai attualmente impiegati nello stabilimento di Portotorres. Il progetto di riconversione industriale del vecchio polo petrolchimico concordato nel non lontano giugno del 2011 per il quale sono stati finora investiti e spesi 200 milioni di euro, diventerebbe l’ennesima incompiuta nell’area industriale del nord Sardegna. A monte ci sarebbe la scelta di Eni, comune a molte altre multinazionali del settore petrolifero, di svincolarsi dal comparto per destinare le proprie risorse alle attività energetiche, alla produzione e distribuzione di energia. Ad essere messi in discussione quindi sarebbero l’insieme dei progetti per la riconversione e il rilancio della chimica nazionale, dei quali il progetto Matrìca è una componente, e neppure quella più importante. Una questione nazionale quindi che sta determinando la mobilitazione operaia anche in altre regioni. Cosa possa aver indotto il colosso chimico e rivedere cosi drasticamente i propri progetti per la chimica e quello per la chimica verde in Sardegna non è facile comprenderlo, siamo soltanto nel campo delle ipotesi. Sicuramente c’entra la congiuntura internazionale relativa al crollo del prezzo del petrolio che sta rivoluzionando le politiche energetiche ed il mercato internazionale del greggio e orientando le multinazionali del petrolio a rivedere le proprie strategie di investimento. Nel caso specifico del progetto Matrìca potrebbe aver avuto un ruolo anche il sostanziale fallimento di quella parte del progetto relativa al reperimento della materia prima in loco. Si ipotizzava la messa a coltura con il cardo di qualche migliaio di Ha di terreni incolti (senza nulla togliere alle aree già destinate ad altro utilizzo agricolo). In realtà a tutt’oggi non si è andati oltre i 550 Ha di messa a coltura di cardo (fonte Coldiretti) ed é noto che l’approvvigionamento di materia prima in aree lontane dall’impianto o mediante importazione non sarebbe assolutamente conveniente. Un fallimento nella comunicazione e nell’informazione ai lavoratori delle campagne sui quali sarebbe necessaria una maggiore riflessione. Ha certamente inciso la campagna allarmistica sul “pericolo” della monocoltura del cardo in merito alla quale sono state dette poche verità e molte sciocchezze fondate sostanzialmente su pregiudizi di una parte della nostra società. Non si è riusciti a far comprendere ai coltivatori che nessuno chiedeva loro di abbandonare i lavori agricoli tradizionali per sostituirli con la coltivazione del cardo. Nessuno lo ha mai ipotizzato. Si trattava invece di praticare, in aggiunta alle coltivazioni ordinarie, degli interventi colturali nei terreni incolti e nelle aree abbandonate per favorirne il recupero produttivo o fornire materia prima per l’impianto della chimica verde. Neppure le garanzie e gli incentivi finanziari che stavano alla base dell’accordo tra Matrìca e le organizzazioni agricole hanno scalfito luoghi comuni e modalità produttive consolidate e poco inclini a confrontarsi con il nuovo, con i cambiamenti di mentalità e di organizzazione produttiva. Ma anche tale considerazione non ci illumina più di tanto sulle cause che hanno indotto Eni e la sua creatura Matrìca all’abbandono del progetto chimica verde. Non dimentichiamo che si trattava di realizzare, su quello che rimaneva del vecchio petrolchimico un polo di rilevanza internazionale nella produzione di materie plastiche di origine vegetale contemporaneamente all’avvio delle bonifiche dell’intera area industriale e la promozione di nuovi insediamenti industriali per le seconde lavorazioni della materia prima che Matrìca avrebbe dovuto fornire. Un progetto di ampio respiro che non può certo essere accantonato dall’oggi al domani. Per dovere di cronaca pensiamo di dover dare conto anche di una ipotesi particolare sul voltafaccia dell’Eni che circola tra i vecchi lavoratori del petrolchimico, quegli operai che hanno vissuto l’intera esperienza petrolchimica del polo industriale. E’ soltanto una ipotesi tutta da verificare, forse anche un po’ fantasiosa, probabilmente dettata da una certa abitudine a “pensare male” dei potentati economici quali l’Eni. La riferiamo, cosi come l’abbiamo appresa. L’insediamento petrolchimico della Sir e delle sue consociate nell’area industriale di Portotorres ha determinato un inquinamento ambientale e dei territori dell’insediamento di dimensioni quasi incalcolabili. Studi scientifici accreditati parlano di livelli di inquinamento superiori perfino a quelli raggiunti a Taranto. Evidentemente si rende necessario un piano di bonifiche di grandi dimensioni e con costi elevatissimi nella speranza di poter ripristinare, almeno in parte, le condizioni ambientali dell’intero polo industriale. La questione delle bonifiche, o meglio degli enormi costi che una seria bonifica dell’area del petrolchimico comporterebbe, diventa centrale quindi non solo per la salute della popolazione e il recupero dell’integrità ambientale perduta ma anche, e soprattutto dal punto di vista dell’Eni, per gli ingenti capitali da investire. Nelle aree industriali dismesse l’intervento di bonifica deve essere integrale e comporta, come dicevamo, costi molto elevati. Nell’area della vecchia Sir, nel cuore dell’impianto petrolchimico che fu di Rovelli, una delle aree più inquinate in assoluto, non si parla di area dismessa e abbandonata bensì, grazie alla genialata dell’impianto per la chimica verde, di intervento di ristrutturazione industriale. Gli obblighi e i vincoli di bonifica, in questo caso sono molto inferiori. In pratica, afferma la citata “voce di popolo”, costruendo un nuovo impianto (Matrìca) sulle rovine del vecchio petrolchimico, l’Eni avrebbe evitato le costosissime operazioni di bonifica che sarebbe stato necessario affrontare nell’area. Il nuovo e scintillante impianto petrolchimico verde appena inaugurato avrebbe di fatto seppellito l’inglorioso passato del vecchio polo petrolchimico e, con esso, l’inquinamento straordinario ed eccezionale che l’area nasconderebbe. Certo per farlo Matrìca ha speso ben 200 milioni di euro, ma quanto sarebbe costata la bonifica integrale del sito? La cessione di Versalis affermano gli esperti, sarebbe più che sufficiente a far recuperare le somme investite e alla Sardegna resterebbe l’ennesima “cattedrale nel deserto” da gestire. Fantasie? Forse! Ma a costo di apparire ripetitivi non ci stancheremo mai di citare la solita frase attribuita a Giulio Andreotti: “a pensare male si commette peccato, ma spesso ci si azzecca”.
Dove eravamo rimasti? Dopo cinque anni di quasi deserto l’Università di Cagliari riprende un rapporto sistemico con le imprese
Importante e interessante iniziativa dell’Ateneo cagliaritano ieri 5 e oggi 6 novembre al Caesar’s Hotel.
- Il servizio giornalistico di UnicaNews (a cura di Mario Frongia – foto di Francesco Cogotti)
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IL LIAISON OFFICE DI UNICA - IL TEAM ORGANIZZATIVO DELL’EVENTO.—————— Nelle foto piccole: il Pro Rettore per l’Innovazione, Annalisa Bonfiglio e la responsabile di Unica Liaison Office, Orsola Macis.
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UNICA & IMPRESE. GIOVEDÌ 5 e VENERDÌ 6 NOVEMBRE 2015
Unica&Imprese: i ricercatori dell’Università di Cagliari incontrano gli imprenditori.
Giovedì 5 e venerdì 6 novembre vengono presentati cinquanta progetti innovativi e immediatamente fruibili dalle aziende locali nei settori agrifood, biomedicina, comunicazione e marketing, economia e management, energia e ambiente, ICT, ingegneria e logistica, tecnologie per la salute e il benessere, turismo e beni culturali
Governo della Regione. Si può fare di più, molto di più. La Sardegna ne ha bisogno. DIBATTITO – VALUTAZIONI e DIBATTITO
Proseguiamo nella pubblicazione di riflessioni di valutazione critica dell’operato della Giunta regionale (e non solo), auspicando positivi cambiamenti di politiche e, ovviamente, di persone che sappiano interpretarli e rendere efficaci. E’ la volta di Alessandro Mongili che ha scritto l’articolo che sotto riproduciamo per la rivista on line SardegnaSoprattutto.
La fine dell’indipendentismo?
di Alessandro Mongili
- By sardegnasoprattutto/ 12 settembre 2015/ Società & Politica/
Ci sono vicende che segnano, o illuminano, intere fasi politiche. Fra di esse, la dadaista vicenda del sindaco andata/ritorno Delunas sicuramente impressiona, diverte, e insieme deprime. Impressiona per la cecità di questi politici sardi. Diverte perché aggiunge una nota di grottesco e di ubuesco alle solite squallide menate della politica sarda. Deprime perché non si vede alcuna alternativa, non solo a Cuartu Sant’Aleni/Quartu Sant’Elena, ma in tutta l’Isola.
Sgovernata in modi subprefettizi e inefficaci dall’agGiunta Pigliaru-Paci, appena distinguibile dalla precedente (stessi consulenti ora assessori, stesse idee, stesso disprezzo per i Sardi, stessa subalternità ai poteri esterni), la Sardegna assiste sgomenta al suo saccheggio e alla sua svendita al miglior offerente. In tanti non abbiamo dato più fiducia alle forze politiche che, all’interno di un indimenticato clima da suburra politica, hanno partorito questa agGiunta dei sottoprefetti formata ai miti della modernizzazione tzeraca e dell’economicismo conformista.
In molti abbiamo lavorato alla ricerca di alternative politiche. Su questo percorso abbiamo incontrato una vivace tendenza indipendentista che, in Sardegna, ha osato per anni porre i nostri problemi di dipendenza al centro della propria agenda. In questo momento possiamo dire che questo incontro non si sta rivelando molto fruttuoso.
Esiste un’impasse pericolosa. Questo a causa della crisi quasi mortale che ha colpito l’indipendentismo (come cultura e pratica politica) nel suo momento di passaggio da una rete di piccoli gruppi alla scoperta di avere, di poter avere, un consenso elettorale, e dunque di doversi dotare di un’organizzazione meno personalistica, per poter sviluppare una leadership politica rivolta all’insieme della società sarda.
Una parte dell’indipendentismo, ricordiamolo, ha cercato di influenzare l’agenda politica e la composizione del gruppo ora al potere. La vicenda del c.d. sovranismo sardo è cognata del sardo-fascismo e della subalternità sardista alla sinistra, e poi alla destra, nella costante illusione di poter moderare i baroni, senza passare dalla noiosa fase della creazione del consenso e del lavoro politico e culturale insieme. Essa ha prodotto esiti grotteschi su cui, per carità di patria, in tanti evitiamo di esprimerci.
Un’altra parte ha cercato di costruire l’alternativa politica. Essa si è ritrovata davanti una legge elettorale degna di al-Sissi, ma anche ad alcuni propri limiti. Il primo è quello di non aver capito (nonostante l’esperienza grillina che, sotto questo aspetto, è significativa) che l’alternativa alla politica delle agGiunte e delle camarille non può essere solo ideologica o comunicativa, ma soprattutto organizzativa. Infatti, non basta la comunicazione intelligente, né le parole d’ordine che richiamano un’ideologia nazionalitaria (rigidamente in lingua italiana) per andare avanti, ma bisogna fare dei concreti passi indietro nel controllo delle dinamiche da piccolo gruppo di discepoli e amici per la pelle.
Bisogna lavorare alla creazione di un’organizzazione politica che promuova il protagonismo, l’attivismo, e in un quadro democratico. Infatti, la politica dei piccoli gruppi va bene per testimoniare una fede, ma nelle sue dinamiche interne è omologa a quella delle camarille al potere, funziona anch’essa sulla base della fedeltà ai capi e capetti, e sulla cooptazione dei più fedeli. Dunque, è inefficace se la scala si fa più ampia. Ci vuole apertura e la forza di rimettersi in discussione, che è mancata. Ci vuole un superamento del minoritarismo che non c’è stato, ad esempio nell’apertura alle competenze su cui invece Pigliaru ha giocato con efficacia una partita elettorale (per poi, ovviamente, negarla nelle pratiche di governo).
Il secondo è l’attuale tentativo di inserirsi in giochi politici locali che non sembrano avere alcun respiro significativo di medio e lungo periodo, cioè un tatticismo senza visione politica. Infine, la mancanza di una radicalità necessaria ad ogni innovazione, anche politica, puntando su programmi di cambiamento nelle politiche economiche e sociali, e di orientamento culturale. In particolare, l’insensibilità ai temi del reddito e del lavoro, e ai temi della politica linguistica, su cui molte forze e molte energie si sarebbero potute e si devono aggregare.
Se l’interesse è quello di integrarsi nel ceto politico sardo e nelle sue pratiche, gli indipendentisti dovrebbero studiarsi i percorsi analoghi dei sardo-fascisti e del sardismo classico, che in ogni caso ha portato alla marginalità e alla sconfitta dei loro stessi promotori.
Se l’interesse è quello di cambiare la cultura e le pratiche politiche della Sardegna, a me sembra che l’arroccamento ideologico e l’incapacità di fare passi indietro dei piccoli gruppi (e di aprirsi alle forze innovative presenti nella società sarda e nel disterru) contribuisca a segnare i prossimi anni come una fase di stagnazione politica e di assenza di cambiamento. Non si sente la necessità di nuove élite autopromossesi tali, ma di costruire reti eterogenee che generino azione politica innovativa e efficace a difesa dei nostri interessi.
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In Sardegna s’invera l’antico sogno: il governo dei sapienti
15 Settembre 2015
Ma vi sembra che occorresse trasferire pezzi degli Atenei sardi in viale Trento n. 69, giunta regionale, per chiudere le scuole nei paesi e non dotarli dei pullmini necessari per il trasporto a scuola, ridurre la continuità territoriale e i collegamenti col Continente, chiudere gli uffici postali, dismettere caserme dell’Arma, incrementare la disoccupazione, accrescere l’aggressione di faccendieri con pale al vento, pannelli al sole e trivelle sotterra? Attacco dal cielo, dal mare e da terra, vien da dire. Pubblica amministrazione bloccante, comuni ridotti a erogatori non di servizi, ma di divieti, sanzioni pecuniare e tasse. E colmo dei colmi si inaugurano treni superveloci, che però…stan fermi in stazione. Avete visto la foto di Pigliaru e Deiana sul treno? Pronti? Si parte. In poco più di un’ora siamo a Sassari. Ma il treno è lì statico, a far ruggine. Ci vogliono dei cattedratici per questi quadretti di pura comicità, degni di Totò e Peppino?
Può sembrare un paradosso, ma la gestione di gente comune, dotata di ordinaria cultura e di palle di media portata avrebbe dato di più. Sì perché, in fondo, in un assetto istituzionale caratterizzato da una stretta neocentralistica, questo ci vuole, mostrare al governo gli attributi e tenere dritta la schiena. Non è un autonomismo rivendicativo ormai demodé, è l’unico modo di difendere gli interessi e i diritti elementari delle popolazioni in epoca renziana.
Ma i nostri cattedratici, che dovrebbero essere esempio fulgido di autonomia anzitutto intellettuale, si prostrano senza ritegno. Quando mai contestare! Roba da plebi incolte! Non è da loro. Loro han cervello, raziocinio… capiscono le ragioni del governo. E poi, manco a dirlo! sono renziani, non per opportunità, s’intende, sono convintamente renziani.
I cattedratici ci stanno convincendo tutti che la regione e forse meglio abolirla. Quanto risparmio di denaro! Quanta maggiore snellezza nelle procedure amministrative! In fondo 15 mila dipendenti dovranno pur far qualcosa! Procedure, procedure, procedure. Se non ci sono le inventano. C’è una mio amico a cui è crollato un pezzo di tetto nella sua casa in paese ed è sette mesi in attesa dell’autorizzazione per rifarlo. E non è che voglia farsi la solita inutile mansardina. No, il tetto lo deve rifare tale e quale era prima! Ma sapete, nel Sulcis deve ottenere anche il nulla osta nientemeno del parco geominerario! Sissisignori, proprio così, del parco geominerario, oltre che della sovrintendenza e del comune. Ricordo, quando ero bambino, zio Peppino ebbe una incombenza simile. E sapete cosa fece? Chiamò subito il compare Efisio che, per pura sorte, era su maistu de muru de bidda (il maestro di muro, oggi, più volgarmente, muratore) e in quattro e quattr’otto il tetto fu bell’e rifatto, prima delle piogge. Ora invece il mio amico affronterà i rigori dell’inverno con la casa scoperchiata…in attesa di autorizzazione! Poi alla fine Comune, sovrintendenza e parcogeominerario gli diranno l’unica cosa ovvia e scontata, che può rifare il tetto. Ma volete che se gli avete presentato un’istanza per zelo legalitario, non facciano tutti una bella istruttoria, un sopralluogo a testa e una consulenza tecnica congiunta! E infine una efficace conferenza di servizi per decidere l’ovvio! Certo che non si lasciano scappare una bella procedura d’aria fritta per poi giungere al risultato a cui fin dall’inizio il buon senso avrebbe condotto: che il tetto è da rifare!
In tutto questo mare di assurdità, che bloccano l’isola e accrescono a dismisura i costi di qualunque attività, i professoroni, maestri di riforme e di razionalità, non hanno inciso in nulla. E, detto in confidenza nulla faranno. Sembrano lì per vanità o pura sete di comando o, come io credo, per inverare l’antica sogno dei filosofi: il governo dei sapienti. Ma in terra sarda, dal mare a i monti, dai pescatori ai caprari, c’è qualcuno che li prende sul serio? Chi è per il sì alzi la mano!
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oggi domenica 23 agosto 2015
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Sardegna 2015 in cifre.
Pubblicazione a cura dell’Ufficio Statistica della Regione Autonoma della Sardegna.
Fondi strutturali europei. Con l’approvazione del Piano di sviluppo rurale si completa il quadro programmatorio 2014-2020. Ora l’attuazione!
(Dal sito della Ras) PSR 2014-2020, via libera da Bruxelles a 1 miliardo e 300 milioni. Falchi: ora miglioriamo l’agricoltura sarda
“Da oggi i nostri agricoltori e pastori avranno a disposizione uno strumento di programmazione che libera importanti risorse finanziarie per migliorare le produzioni e accrescere la competitività delle imprese sui mercati” ha dichiarato l’assessore Falchi.
Cagliari, 20 agosto 2015 – Il Programma di sviluppo rurale 2014-2020 della Regione Sardegna ha ottenuto il via libera ufficiale di Bruxelles. “Da oggi i nostri agricoltori e pastori avranno a disposizione uno strumento di programmazione che libera importanti risorse finanziarie grazie alle quali si potranno migliorare le produzioni e accrescere la competitività delle imprese sui mercati; il nostro PSR ha ricevuto pieno apprezzamento da parte dei tecnici europei, con i quali ci siamo confrontati per un intero anno, che hanno riscontrato nel progetto una piena sintonia con le direttive della UE in materia di sviluppo e innovazione agricola”. Questo il primo commento dell’assessore dell’Agricoltura, Elisabetta Falchi, dopo l’approvazione giunta dalla Commissione europea. “Abbiamo migliorato e integrato la prima bozza presentata il 22 luglio dello scorso anno all’Ue – ha spiegato l’esponente della Giunta Pigliaru – un lavoro costante e puntuale, portato avanti con particolare professionalità dai nostri uffici e attraverso il confronto con le associazioni. Continueremo a perfezionare il PSR al fine di renderlo fruibile dall’intero comparto anche in futuro”. IL PROGRAMMA INVIATO SUL SITO DELLA RAS.
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Vandana in Sardegna: un messaggio da ascoltare e attuare
LA SCIENZIATA E AMBIENTALISTA INDIANA VANDANA SHIVA IN SARDEGNA
di Federico Francioni*
Nei prossimi giorni, settimane, mesi, anni, potremo concretamente verificare se l’incontro con Vandana Shiva – avvenuto martedì 28 luglio presso il Nuraghe Losa di Abbasanta – potrà rappresentare per la Sardegna il momento e l’inizio di una svolta autentica sul piano socioculturale e politico. È davvero importante che sia così, che ognuno di noi si senta responsabilmente impegnato in questa direzione. L’iniziativa è stata promossa da Isde-Medici per l’ambiente ed in particolare dal medico radiologo Vincenzo Migaleddu, da anni in prima fila.
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Sardegna migrante
con la lampada di aladin sul rapporto Svimez
Dal sito della SVIMEZ
Un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell’arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%); il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa; negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in senso stretto addirittura del 59%; nel 2014 quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord.
Questa la fotografia che emerge dalle anticipazioni del Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno 2015 presentate il 30 luglio 2015 a Roma.
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Rapporto Svimez, in Sardegna povera una famiglia su quattro
30 luglio 2015 Economia, su SardiniaPost
Per la Sardegna i numeri contenuti nel rapporto Svimez 2014 – anticipato oggi – sono impietosi. Il quadro tracciato dall’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno considera i dati del 2013 e le variazioni rispetto all’anno precedente fanno impallidire. Gli indicatori sintetici sono tutti negativi: occupazione, soglia di povertà, ricchezza prodotta.
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Governo della Regione. Si può fare di più? La Sardegna ne ha bisogno DIBATTITO – VALUTAZIONI e DIBATTITO
Proseguiamo nella pubblicazione di riflessioni di valutazione critica dell’operato della Giunta regionale (e non solo), auspicando positivi cambiamenti di politiche e, ovviamente, di persone che sappiano interpretarli e rendere efficaci. E’ la volta di Gianni Loy che ha scritto l’articolo che sotto riproduciamo per la rivista La Collina della Comunità di Serdiana. Per correlazione riportiamo inoltre un articolo di Andrea Pubusa di commento sulle recenti posizioni del direttore de L’Unione Sarda in materia di legge elettorale sarda.
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Regione, cosa è cambiato?
di Gianni Loy*
Non nego di essere affascinato dalla retorica di Freud, dal suo stile letterario, ma non apprezzo più di tanto la psicoanalisi sotto il profilo scientifico. Eppure, la tecnica ideata da Jung di offrire un vocabolo al soggetto chiedendogli di rispondere con la prima parola che gli venga in mente, l’associazione libera, mi ha sempre intrigato.
Perché mai, nell’accingermi ad una riflessione sull’operato della giunta regionale, ha incominciato a rimbalzarmi nella mente il celebre ritornello di Charlie Chaplin: “Io cerco la Titina”?
Nel film “tempi moderni”, a Charlot che si esibiva con fare istrionesco al ritmo di swing, Paulette Goddart, coprotagonista, urlò da dietro le quinte: Canta! Non preoccuparti delle parole! Fu così che divenne famosa una vecchia canzone nonsense, Je cherche après Titine, successivamente entrata a far parte del repertorio, anche in Italia, di grandi artisti, da Natalino Otto, al Trio Lescano, a Gabriella Ferri…
Così come le persone, anche i governi vengono ricordati associandoli ai tratti più salienti del loro operato: un governo di larghe intese, il governo della riforma sanitaria, del rilancio dell’autonomia regionale…
Nel caso della giunta regionale sarda, sinceramente, non saprei con quali termini sintetizzare questi primi 15 mesi. Non riesco ad individuare, sarà miopia, azioni politiche rappresentative e caratterizzanti l’attività politica dell’esecutivo.
Certo, il superamento del patto di stabilità rappresenta un passaggio positivo, nonostante non sia chiaro se la Regione abbia abdicato a qualche legittima pretesa nei confronti dello Stato. L’abolizione del Piano paesaggistico della precedente Giunta è sicuramente da includere tra le poste positive. Non direi, però, che l’apertura dell’ospedale privato di Olbia sia qualcosa di cui menar vanto. Colgo, con più preoccupazione, la facilità con la quale un investitore col portafoglio pieno possa modificare i parametri che la Regione riteneva di aver raggiunto dopo una lunga e complessa procedura di valutazione del fabbisogno di posti letto, né sono certo che il risultato netto, alla fine, sarà positivo.
Per il resto, l’agenda ha dovuto dare spazio alle azioni di reperimento di risorse per l’assistenza dei lavoratori espulsi dal vecchio sistema industriale. Venuti meno i finanziamenti nazionali, occorre trovare ulteriori risorse da destinare, soprattutto, al pagamento della mobilità in deroga. Ma non si intravedono idee o progetti capaci di dare uno scossone ad un sistema ancora incentrato su politiche assistenziali che, per quanto nobili e doverese, quando necessarie, non producono positivi effetti per il sistema economico dell’isola.
Un’Agenzia del lavoro di 800 unità, così come concepita, mi sembra il solito carrozzone. Posto che solo una parte, come gli operatori prevenienti dai Centri per l’impiego, possiede un’adeguata professionalità, servirà a sistemare gruppi di lavoratori, privi di una specifica professionalità, al solo fine di far quadrare il cerchio della riforma degli Enti locali. Conoscendo l’Assessora, stento a credere che possa aver proposto una cosa del genere.
Il programma “garanzia giovani” costituisce una buona occasione per mettere alla prova i servizi all’impiego, avvicinare ad essi numerosi giovani. L’obiettivo dichiarato dalla giunta, del resto, era quello di “coinvolgere, formare e accompagnare al lavoro” tra i 12 ed i 15 mila giovani. Molto bene per il coinvolgimento dei giovani, ma quanti saranno realmente impegnati nella formazione, che stenta a decollare, e, soprattutto, nell’accompagnamento al lavoro?
Non credo interessi, al momento, un’analisi dettagliata dell’azione della giunta che abbia la presunzione di accertare se, nel complesso, il bilancio debba essere considerato positivo o negativo. Del resto, gli indicatori, soprattutto PIL e occupazione, che ci piaccia o no, sono largamente influenzati da fattori estranei e in gran parte indipendenti dall’azione dei governi locali. Anche l’azione annunciata dalla Giunta col pomposo nome di flexsecurity (in italiano: flessicurezza) fa parte di un piano declinato a livello di Unione europea, all’interno del quale il governo locale non può né favorire ulteriori misure di flessibilità, perché non possiede la necessaria competenza legislativa, né, per gli stessi motivi, apprestare nuovi istituti di “sicurezza”.
Tale politica, è certo, non produrrà alcun significativo risultato in termini di occupazione. Ma ciò non potrà essere ascritto né a merito né a demerito del governo locale che, di suo, può mettere solo una migliore efficienza nei servizi per l’impiego, all’interno dei quali, in effetti, sembra che si vada acquisendo maggior consapevolezza.
Si vedrà, più avanti nel tempo, se la Giunta sarà in grado di onorare uno dei suoi impegni più significativi, e cioè la promessa valutazione degli effetti delle politiche di modo che i cittadini possano essere informati dei risultati prodotti. Sarebbe un buon risultato, vista la carenza di riscontri su importanti azioni, a partire proprio dal master and back, che hanno assorbito ingenti finanziamenti.
Oggi possiamo solo limitarci a registrare le prime impressioni, non entusiasmanti, soprattutto per una Giunta che ha posto in cima ai suoi propositi quello di riavvicinare i cittadini alla politica. Obiettivo da condividere, che speriamo si possa realizzare, ma, intanto, ho l’impressione che il feeling tra governo regionale e cittadini, o più precisamente la simpatia (nell’accezione letterale del termine greco: σύν πάϑος) registri una certa freddezza.
Tra i motivi, probabilmente, il venir meno delle aspettative che il presidente aveva riposto nelle capacità tecniche degli assessori. Ho sempre avuto diffidenza, pur prendendo atto di rare e positive eccezioni, del ricorso ai tecnici per la copertura di posti di governo. Non ho mai compreso per quale misterioso motivo un ingegnere sia la persona ideale per occuparsi di lavori pubblici o un medico per occuparsi della sanità. Ammetto che un tecnico, come un Arlecchino, possa servire due padroni, ma non comprendo come sia possibile che un consulente di parte politica avversa, possa essere chiamato, con compiti di governo, in una giunta che trova, tra i suoi obbiettivi, proprio quello di porre rimedio ai guasti prodotti dalla Giunta precedente. Del resto, per quanto a mia conoscenza, non mi pare che il superiore interesse pubblico sia stata la prima preoccupazione dell’ex preside della facoltà di giurisprudenza di Cagliari, ad esempio, e neppure dell’ex pro-rettore dell’Università di Sassari. Oltretutto, è dubbio (cioè assolutamente certo) che alcune delle scelte apparentemente tecniche siano state determinate, in realtà, da ben più tradizionali sistemi di ripartizione tra i gruppi che concorrono alla maggioranza di governo.
Tale limite, peraltro, non riguarda solo la composizione della Giunta, ormai evidentemente inadeguata, ma anche l’attribuzione degli incarichi di gestione, o la nomina negli Enti, sulla base di vere o presunte competenze, a “tecnici” della passata amministrazione. Alla Sfirs, ad esempio, ma non è il solo caso, un ricambio della presidenza sarebbe stato certamente più opportuno.
Entra in gioco, nella valutazione di questo primo scorcio di attività della giunta regionale, anche il carisma del presidente, talvolta eccessivamente preoccupato del politicamente corretto o di un malinteso senso di imparzialità, che lo porta a non intervenire in talune scelte, solo apparentemente tecniche, o ad astenersi dal tackle per paura che il suo venga giudicato un intervento gamba tesa. Il caos della Camera di Commercio di Cagliari, ad esempio, avrebbe richiesto, ed ancora richiede, un più deciso intervento da parte del Governo regionale, la questione dell’inceneritore di Tossilo, di essere affrontata come caso politico strategico e non amministrativo…
“La cerco e non la trovo”. Non trovo quella sensazione di una politica capace di appassionare e di coinvolgere i cittadini, me per primo. Non trovo slancio, coraggio. Lo dico senza disprezzare gli sforzi volti a recuperare risorse, a muovere i primi passi di una riforma dell’Amministrazione che, però, rimane ancora lontana, a riprendere, faticosamente, la strada di una diversa metanizzazione dopo il fallimento del Galsi. E spero davvero che qualche risultato possa arrivare. Non condivido, però, l’abbandono di quel filone identitario, simboleggiato nella festa “nazionale” de Sa Die, che mi pare avvertita, persino con fastidio, da alcuni settori del governo regionale. Non trovo l’attenzione per i processi culturali profondi, i soli che possono fondare non dico l’uscita dalla crisi, perché questa risponde a fenomeni più complessi e ciclici che non ci appartengono, se non in minima parte, ma la ripresa di un cammino di progresso fondato sulla consapevolezza della propria identità e sulla coscienza di essere popolo con un destino comune.
Aspettando che il gallo canti.
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Gianni Loy, anche su La Collina
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Antony, benvenuto nel club dei democratici!
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27 Luglio 2015 su Democraziaoggi
Andrea Pubusa
Ieri in edicola non credevo ai miei occhi. Il titolone di prima de L’Unione sarda recita: “Consiglio, una legge truffa” e al fianco un duro commento del direttore, Antony Muroni, “La legge elettorale dimenticata. Il pasticco e i suoi padri”. Dimenticato da chi? Marco Ligas altri 25 compagni ed io abbiamo fatto un ricorso elettorale al Tar e poi al Consiglio di Stato per contrastare questa legge e l’Unione non ne ha dato neppure notizia, se non di sfroso. Non ha commentato due sentenze piltatesche dei giudici amministrativi e neppure il contenuto dei ricorsi volti a difendere non posizioni dei ricorrenti, semplici elettori, ma la democrazia sarda.
Rivolgendoci ai giudici abbiamo tentato vanamente di difendere l’eguaglianza del voto e la rappresentanza dei sardi attaccata dal PD e dal PDL (ora FI) e non difesa dai sardi stessi.. Che senso ha dare al candidato presidente, che ottiene il 25% dei voti, ben il 55% dei seggi se non quello di prostrarre la volontà degli elettori che non hanno espresso quella volontà? Di più e peggio, che valore ha porre due alte soglie di sbarramento il 5 e il 10% a singole liste o a coalizioni non vincenti? Certo, non quello di assicurare la governabilità, già garantita dal sovrabbondante premio di maggioranza. Ha solo il senso di espungere dal Consiglio le voci fuori dal coro, quelli che non s’inquadrano nelle coalizioni dei due partiti maggiori. E infatti le voci più critiche dell’uno e dell’altro schieramento, Michela Murgia e Mauro Pili, sono rimasti fuori nonostante abbiano preso più di 70 mila e più di 40 mila voti. Ora, è ben noto che l’opposizione vera è il sale della democrazia, precostituite due schieramenti che si alternano alla maggioranza e all’opposizione senza essere alternativi è il peggiore dei mali sul piano democratico. E così è oggi in Sardegna. Un finto gioco di contrapposizione di forze sostanzialmente omogenee. Non a caso il patto scellerato che ci ha dato questa legge è stato vergato da PD e PDL.
Antony ieri ha fatto anche un’altra grande scoperta: si è accorto che il nostro Consiglio con le sue sole quattro donne su 60 consiglieri è un’assemblea più da califato islamico che da regione di uno Stato democratico, ma perché si sveglia a babbo morto? Anche questo contrasto con la Carta fa parte del nostro sfortunato ricorso.
Sia ben chiaro, meglio tardi che mai. Che il maggior quotidiano sardo apra una battaglia contro la legge truffa regionale è importante e dunque ben venga. Ma finora intorno al ricorso che poteva portare la legge elettorale davanti alla Consulta, molti troppi sono stati i silenzi. Perfino coloro che avrebbero tratto vantaggio, Murgia e Pili, sono stati zitti. Come lo sono i nostri ineffabili sovranisti (Sale docet) che pensano evidentemente ad una sovranità per interposti capibastone e a suon di baci alle pantofole dei capi. Una piramide che va dai satrapi dei maggiori partiti fino ad Arbau, Fenu e Gavino Sale. Che bella democrazia!
A L’Unione sarda si sono accorti della intollerabilità di questa legge perché il Consiglio di Stato ha disposto la sostituzione di quattro consiglieri regionali. Paventa una paralisi del Consiglio. Ma di cosa parla? La sentenza dice il nome dei tre nuovi consiglieri e demanda alla Commissione elettorale centrale della Corte d’appello di dirci, verbali alla mano, chi è il quarto. E indica anche chi deve andar fuori perché illegittimamente eletto. Gli organi regionali devono solo eseguire, se non vogliono subire l’onta del giudizio di ottmperanza e della nomina di un Commissario ad acta ad opera dei giudici di Palazzo Spada, che faccia ciò che il nostro Consiglio è incapace di fare. E certo non sono un problema i vaneggiamenti di Sale e compagni su un ricorso alla Cassazione, mamma mia! con richiesta di sospensione immediata. Le decisioni del Consiglio di Stato non sono impugnabili in Cassazione se non per questioni di giurisdizione (ossia se si contesta la giursidizione nella causa del Giudice amministrativo in favore di quello ordinario). Ma qui – Sale si metta la sua bella anima indipendentista in pace – problemi di giurisdizione non ce n’è. Per l’impugnazione dell’atto di proclamazione degli eletti il potere di decidere spetta proprio, pacificamente e senza ombra di dubbio, ai giudici amministrativi.
Caro Antony, benvenuto nel club dei difensori della Costituzione, dello Statuto speciale, che ne è parte, e della sovranità dei sardi, che si manifesta anzitutto attraverso una legge elettorale che riconosce a tutti gli elettori un voto uguale e libero, senza stravolgimenti dopo lo spoglio delle schede. E visto che sei diventato dei nostri, ti faccio una confessione amichevole: Pigliaru & C. non governano, o sgovernano se ti aggrada, non perché sono degli incapaci (anche per questo, s’intende), ma perché non rappresentano nessuno. Hanno il 60% dei seggi a fronte del 19% dei voti, perché a questo gioco truccato molti sardi non partecipano, si astengono. Alle ultime regionali non hanno votato circa il 50% dei sardi. Un disatro! La rappresentanza è un cosa seria, la governabilità non è frutto di trucchi o truffe, ma solo di un coinvolgimento forte dei cittadini, che si manifesta innanzitutto, anche se non solo, attraverso il voto, alle elezioni.