Economia & Lavoro
LA SEDIA di VANNI TOLA
Don Chisciotte contro i mulini a vento …
Alcuni titoli di quotidiani locali di queste settimane. “ Basta impianti eolici e fotovoltaici, Cossoine dice no alla centrale termodinamica, Arborea insorge contro la Saras che intende avviare la ricerca e l’eventuale impiego del metano in quei territori. Che sta succedendo? Il Sindaco di Stintino protesta contro la nuova centrale eolica che sta sorgendo a poche centinaia di metri da Pozzo San Nicola, in prossimità di Stintino in nome della tutela del patrimonio ambientale e archeologico e denuncia il fatto che le torri eoliche stanno sorgendo a poca distanza dallo stagno di Pilo, dallo stagno Cesaraccio e dall’area denominata le Saline, zone riconosciute e classificate di protezione speciale. Il paese di Cossoine insorge all’idea che nel proprio territorio possa sorgere una centrale solare (per intenderci quelle che studia, sperimenta e diffonde nel mondo il premio Nobel per la fisica Rubbia) e promuove un referendum popolare contro “ l’ecomostro”, una sterminata distesa di pannelli solari. Arborea si prepara a contrastare il progetto della Saras tendente a realizzare una ricerca e la successiva utilizzazione del metano che pare essere presente in quell’area. Le motivazioni, nelle diverse realtà sono di solito le stesse, l’integrità violata dell’ambiente, la modifica del paesaggio, i danni al patrimonio naturalistico e perfino archeologico. Si potrebbe fare della facile ironia su alcuni di questi aspetti domandandosi, per esempio, quale danno possa arrecare a un sito archeologico millenario una pala eolica che gira lì vicino. Si potrebbe far notare che da oltre cinquanta anni, a un tiro di schioppo degli stagni e dalle spiagge dei comuni di Portotorres e Stintino, sorge e opera uno dei più grandi scempi ecologici presenti in Sardegna, il polo petrolchimico dell’Eni (con centrali elettriche a carbone, inquinamento dei suoli, dell’aria e del mare). Si potrebbe obiettare sul fatto che nessuno, in passato ha avuto nulla da ridire sugli orribili elettrodotti aerei che attraversano l’isola in tutte le direzioni.
Bene il convegno in occasione della presentazione del libro “Tech and the City”
Convegno molto interessante. Grazie mille agli organizzatori. Torneremo presto sui contenuti dell’evento, non solo per dare conto degli interventi, ma anche per dare un nostro apporto con precise proposte operative per come muoversi. Per ora solo una critica, o meglio una riflessione: va bene che l’occasione era data da un libro sull’esperienza delle start up a New York, ma si sarebbe dovuto dare un po’ di spazio anche all’Europa, a ciò che in fatto di start up e dintorni si muove in Europa. L’Unione Europea si sta muovendo bene in fatto di innovazione e creazione di impresa innovativa. I soldi che mettono a disposizione Regione ed Enti locali per le azioni positive (l’iniziativa de minimis del Comune di Cagliari, nonchè i tanti programmi regionali finanziati con il Fondo Sociale Europeo, come promuovidea, impresa donne, prima, maciste, etc. fino ai programmi gestiti da Sardegna Ricerche con i fondi FESR…), le quali in gran parte premiano le nuove imprese innovative o la promozione dell’innovazione nelle imprese comunque esistenti vengono proprio da lì. Certo è necessario collaborazione e sinergia tra i diversi Enti. I quali devono coordinarsi. Dal dibattito è emerso che l’informazione è scarsa. Vanno bene le iniziative dei privati (per es.l’open Campus di Tiscali presentato da Renato Soru), ma occorre che gli Enti pubblici (in primis Regione, Comune e Camera di Commercio di Cagliari) si decidano a mettere su un apposito Centro di informazione per la creazione d’impresa, affidato ai migliori professionisti che sanno di queste questioni e che possano dare una mano davvero ai giovani. Aladinews al riguardo sta conducendo, con le sue modeste risorse, una campagna perchè vengano aiutati i neo e aspiranti giovani imprendiori. Per Cagliari e sua area vasta l’obbiettivo unificante è racchiuso nello slogan “Cagliari Territorio Intelligente”, anche in previsione del bando ministeriale (promesso entro breve termine dal ministro del Ministero dello Sviluppo Corrado Passera) che dovrebbe promuovere i più attivi e performanti territori dell’innovazione!
Foto di Xmen, tratte dal servizio fotografico sull’evento.
Pubblicato il decreto ministeriale per il riconoscimento degli incubatori di start up innovative
Decreto ministeriale 22 febbraio 2013: certificazione degli incubatori di startup innovative
Venerdì 19 aprile (mattina) si terrà un seminario di approfondimento organizzato dal Centro Studi Relazioni Industriali e dalla Camera di Commercio di Cagliari presso la sala riunioni della stessa Camera.
Europa 2020: le prospettive dell’agricoltura sarda
Convegno organizzato dall’Associazione ex consiglieri regionali in collaborazione con il Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari, Cagliari, venerdì 15 marzo, sala convegni del Banco di Sardegna.
Servizi di Aladinews con il supporto di Aservicestudio (servizio video e foto).
Intervista al prof. Giuseppe Pulina, direttore del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari e coordinatore dei Dipartimenti e Facoltà di Agraria degli Atenei italiani.
LA SEDIA di VANNI TOLA
Chimica verde. La centrale elettrica di Matrìca non diventerà un termovalorizzatore per rifiuti.
L’incontro fra il Comitato dell’area di crisi e i rappresentanti dell’Eni svoltosi presso la sede della Provincia di Sassari, ha prodotto due importanti chiarimenti. Enipower rinuncerà ad alimentare la caldaia di riserva della centrale elettrica che alimenterà Matrìca con il Fok, prodotto molto cancerogeno del quale esiste una consistente disponibilità negli impianti Eni. Il combustibile impiegato in alternativa sarà il Gpl. Per quanto concerne invece la caldaia principale della centrale elettrica, l’amministratore delegato di Enipower Giovanni Milani, assicura che l’impianto sarà alimentato esclusivamente da biomasse e che l’impianto stesso è stato progettato per funzionare esclusivamente con l’utilizzo di materie prime vegetali. Per fugare ogni ulteriore dubbio Milani precisa che non c’è alcuna intenzione di trasformare la centrale elettrica di Matrìca in un termovalorizzatore, cioè in un inceneritore per i rifiuti, arrivando perfino ad auspicare che la Regione inserisca nell’autorizzazione per la realizzazione dell’impianto l’esplicito divieto all’utilizzo di rifiuti. Ne prendiamo atto con piacere anche se resta aperta una delle questioni centrali. Se, come tutti auspicano, la centrale elettrica da 40 MW sarà alimentata esclusivamente da biomasse quanta biomassa sarà necessaria per sviluppare tale potenzialità produttiva. E dove la si andrà a trovare considerato che è pressoché impensabile che la Sardegna possa coltivare 10.000 Ha di mais e 230.000 Ha di cardo (un’area coltivata superiore all’attuale superficie agraria utilizzata)? Si lavora sull’ipotesi di importare biomassa vegetale da altre aree geografiche o si farà rientrare dalla finestra ciò che è appena uscito dalla porta? Non dimentichiamo che la parte umida dei rifiuti solidi urbani è, fisicamente e chimicamente, biomassa. Alcuni dubbi permangono.
Tre bandi per l’innovazione, ma la Sardegna non c’entra!
Innovazione: tre bandi per competitività imprese, startup, centri di ricerca e specializzazione territori. Ma la Sardegna non c’entra!
Chimica verde, quando i conti non tornano
Chimica verde, quando i conti non tornano
L’aspetto principale del progetto “chimica verde” – che per altri versi rappresenterebbe una valida alternativa per il recupero e la riconversione industriale dell’area del petrolchimico di Portotorres – è rappresentata dal fatto che i conti non tornano. Procediamo con ordine partendo da una considerazione fondamentale. Portotorres e Sassari sono individuate da un rapporto del Ministero della salute del 2011 come siti d’interesse nazionale (SIN) per le bonifiche, cioè aree nelle quali il livello di inquinamento dell’aria, dei suoli e delle falde, determinato dalla presenza industriale, mette a serio rischio la salute delle popolazioni. L’area di Sassari e Portotorres rientra tra i quarantaquattro siti classificati come zone a maggior rischio di tumore in Italia. Portotorres in particolare ha fatto registrare un eccesso di tutte le principali cause di morte, oltre i tumori, una serie di altre patologie riguardanti i principali apparati del corpo umano. E’ evidente che, chimica verde o no, nell’area resta drammaticamente urgente un intervento di radicale bonifica e risanamento dell’ambiente non più rinviabile i cui costi dovrebbero, per gran parte ricadere sui soggetti che li hanno determinati, in primo luogo il gruppo Eni. Per essendosi registrato un pressoché unanime consenso sulla drammaticità della situazione interventi di bonifica non ne sono ancora stati avviati. E’ in questo contesto che si colloca e si materializza il progetto di “chimica verde” di Matrìca. Un intervento di riconversione industriale del polo petrolchimico che vede tra i protagonisti il gruppo Eni, il gruppo Novamont e altri, per la realizzazione di un nuovo stabilimento che dovrebbe produrre derivati di oli vegetali naturali non modificati, con un impianto di produzione di oli lubrificanti biodegradabili da materie prime derivate da fonti rinnovabili, funzionalmente integrati e aventi capacità produttiva rispettivamente di 40.000 tonnellate/anno di monomeri biodegradabili e di 30.000 tonnellate/annue di oli lubrificati biodegradabili. Gli interventi di risanamento ambientale in corso sono irrilevanti mentre procedo l’ avvio del progetto Matrìca. Si tenta cosi di far credere che la realizzazione del progetto di chimica verde comporti, di per se, la bonifica e il risanamento ambientale. Cosi non è. Una delle questioni più spinose riguarda, infatti, gli impianti petrolchimici dell’Eni. Per essi e per le aree nelle quali gravitano, non sarebbe, infatti, previsto alcun intervento di bonifica integrale ma semplicemente degli interventi di riconversione degli impianti per adeguarli alle nuove produzioni. Ne deriva che gli interventi di bonifica ambientale, qualora fossero attuati, sarebbero limitati soltanto alle aree circostanti gli impianti e alle pertinenze, sarebbero cioè molto più limitati ( e meno onerosi per il gruppo Eni) di quanto necessario. Altri conti che non tornano. Un terzo del combustibile impiegato per far funzionare l’impianto di chimica verde sarebbe costituito dal FOK un combustibile di origine fossile residuo del processo industriale di produzione dell’etilene, molto pericoloso e cancerogeno, del quale esiste una consistente disponibilità nell’area industriale. Una sostanza che, in pratica, sarebbe smaltita bruciandola nei nuovi impianti “ecologici” della chimica verde. E i conti che non tornano non finiscono qui. Il restante 70% del combustibile necessario per il funzionamento degli impianti di chimica verde dovrebbe essere fornito da biomassa naturale. Secondo stime della Facoltà di Agraria in Sardegna esisterebbe un potenziale di biomassa disponibile di circa 300.000 tonnellate che potrebbe essere sufficiente per raggiungere una produzione di potenza pari alla metà di quella necessaria per il progetto Màtrica. Per reperire la parte mancante di biomassa bisognerebbe quindi destinare a coltivazioni di mais non meno di 10.000 Ha e 230.000 per le coltivazioni di cardo. Cioè bisognerebbe mettere a disposizione, per la produzione della biomassa necessaria alla nuova chimica, una superficie agraria superiore a quella ora impegnata in Sardegna per l’attività agricola. E’ evidente che non può essere questa la soluzione. E’ altrettanto evidente che l’impianto di chimica verde di Portotorres avrà bisogno di altre fonti di alimentazione per utilizzare le potenzialità per le quali è stato progettato. A questo punto non occorre certo la sfera di cristallo per comprendere in quale direzione si andrà. Sarà quindi necessario utilizzare dell’altra biomassa, quella ricavabile dalla parte biodegradabile dei rifiuti solidi urbani. Cosi l’impianto industriale per la produzione dei prodotti di chimica verde diventerebbe, anche se non soprattutto, un grande impianto per lo smaltimento della parte organica dei rifiuti solidi urbani dell’intera area con tutti i problemi connessi allo smaltimento dei rifiuti nel rispetto dell’ambiente in un’area il cui equilibrio ecologico è già abbondantemente alterato. E’ quindi urgente ottenere fin da subito le necessarie assicurazioni e garanzie sull’avvio degli interventi di bonifica del sito industriale di Portotorres e delle aree limitrofe (mare compreso) indipendentemente dall’attivazione dell’attività del progetto Matrìca. Come pure è necessario e urgente ottenere impegni precisi sul tipo di alimentazione degli impianti per la produzione di bioplastica soprattutto con riferimento alla possibilità che gli stessi non si trasformino in un mega impianto per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
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ULTIMORA
13.03.2013. Apprendiamo che durante la riunione del Comitato dell’Area di crisi della Provincia di Sassari, svoltosi il 12 c.m. L’Eni ha annunciati che rinuncerà ad utilizzare il Fok per l’alimentazione della caldaia secondaria del l’impianto Matríca sostituendolo con il GPL. [Vedi commento da La Nuova Sardegna del 14.03.13]
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Approfondimenti su Aladinews
Verso il convegno su le prospettive dell’agricoltura sarda
Cagliari e sua area vasta candidata “Territorio Intelligente”
Importante occasione di dibattito attraverso la presentazione di un libro di Maria Teresa Cometto e Alessandro Piol
Sabato 16 marzo a Cagliari al MEM Mediateca del Mediterraneo ( Via Mameli 164) alle ore 16.30 verrà presentato il libro “TECH AND THE CITY” di Guerini e Associati, scritto da Maria Teresa Cometto, giornalista con oltre 25 anni di esperienza che dal 2000 vive a New York scrivendo di economia e high-tech per il Corriere della Sera, e Alessandro Piol, venture capitalist nella Grande Mela con oltre 30 anni di esperienza nel settore tecnologico.
Progetto chimica verde: la trasparenza è la prima garanzia per l’ambiente e la salute
Riprendiamo da La Nuova Sardegna di domenica 24 FEBBRAIO 2013 un interessante contributo di Sfefano Deliperi del “Gruppo d’intervento giuridico onlus”, che si pone nella stessa linea dei servizi di Aladinews, curati da Vanni Tola. In particolare l’articolo riprende l’interrogativo in merito alla possibilità che si usi come combustibile una parte dei rifiuti urbani, con tutti i problemi che ne conseguirebbero. Presto altri approfondimenti di Aladinews sull’argomento
Chimica verde e salute. Occorre trasparenza
di STEFANO DELIPERI
Il progetto di Porto Torres attende l’ok per la valutazione ambientale Tanti i punti critici, anche sul piano sociale ed economico.
Volete saperne di più sul crowdfunding? Ci spiega tutto o quasi la Consob
Open hearing “Indagine conoscitiva sul crowdfunding”, Roma 1° febbraio 2013
- Intervento della dott.ssa Daniela Castrataro
- Intervento della dott.ssa Maria Mazzarella
- Intervento della Divisione Strategie Regolamentari
Consulta il sito della Consob - Il dibattito sull’argomento sul sito di Gianluca Dettori
Intanto si segnala che il convegno sulle start up innovative organizzato dalla Camera di Commercio e dal Centro Studi per le relazioni industriali è spostato al 15 marzo p.v.
Discutiamo di PAC
Oggi si parla di Politica agricola comunitaria. Iniziativa di Coldiretti all’Hotel Mediterraneo
Il piano inclinato
Non sembra vero. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro si fonda sulla base del principio secondo il quale “il lavoro non è una merce”. Sta scritto nel preambolo della sua Carta istitutiva. E la Oit non è mica una succursale della Internazionale socialista, è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite dell’Onu, a base tripartita, composto da rappresentanti dei governi, dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Un’idea condivisa, dunque, un’idea nobile. Scaturita dalle esperienze di secoli, dalle lotte di chi ha rivendicato, per noi tutti, il diritto ad una vita dignitosa di chi ha sfidato i cannoni della repressione (come racconta Bertold Brecht nel suo “i giorni della Comune”) proclamando che “da bestie vivere, peggio che morire è!”
Non è solo filosofia. L’Europa ha saputo costruire una società dove davvero si è incominciato a dar valore alla dignità del lavoro. Anche lo Stato italiano ha fatto la sua parte, sia con le leggi che rendono dignitoso il lavoro, sia con le politiche che si ripromettevano di dare lavoro a tutti. Non soltanto per la pura sopravvivenza materiale. Perché chi non lavora non ha, ma soprattutto non è.
La caratteristica di una merce, in economia, è quella di poter essere oggetto di transazioni, Il prezzo di una merce viene fissato dal mercato, attraverso il meccanismo dell’incontro della domanda e dell’offerta.
Se il lavoro non è merce, se non fosse merce, dovrebbe essere esentato da questa legge crudele. Perché è una legge che non tiene conto delle condizioni dei contraenti. E perché il cosiddetto prezzo di mercato, in realtà è solo un’astrazione, il prezzo, quello vero, è quello che viene stabilito volta per volta da parte di contraenti in carne ed ossa. Ed è giusto, quel prezzo, anche quando il bisognoso vende per quattro soldi i tesori di famiglia magari perché è rimasto senza lavoro ed ha urgente necessità di qualche spicciolo per arrivare al giorno seguente.
Per tempo, il liberismo, si è pasciuto dell’accattivante principio secondo cui “qui dit contractuel dit juste» : ciò che viene liberamene contrattato è naturalmente giusto. Consentendo agli Stati di limitarsi a garantire la libertà contrattuale, fingendo di non accorgersi che la diversa forza dei due contranti fa si che l’apparente uguaglianza formale serva solo al predominio del più forte ed all’assoggettamento del debole, cioè proprio alla ineguaglianza.
Ed è per questo che il Diritto del lavoro, si è affranco da questo “diritto comune dei contratti”, che, in definitiva, consentiva lo sfruttamento dei lavoratori, apparentemente contraenti, ma in realtà costretti a prendere o lasciare, per diventare una disciplina speciale, un diritto speciale ispirato al principio per cui i due contraenti non sono affatto uguali.
Persino il fascismo si ispirava a questo principio, considerando il lavoratore un contraente debole e, quindi, meritevole di una particolare protezione, anche legislativa, tale da compensare il suo svantaggio.
La Costituzione italiana è andata molto oltre. Perché i padri costituenti, pur prendendo atto di quella situazione di svantaggio, hanno dettato un programma di superamento di quella condizione di debolezza, hanno affidato alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitando “di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana….”
Di questo stavamo ragionando, ci eravamo incamminati su questa strada.
Ora “tutto questo non c’è più” direbbe Lucio Battisti, ma non per l’avvento di migliori condizioni, ma per un pauroso ritorno al passato.
Serve ricordarlo per meglio comprendere la cronaca di questi giorni, e darsi conto che non siamo più in presenza di emergenze transitorie, di eccezioni al principio, ma di un ormai completo ribaltamento del sistema che ci riporta proprio al cosiddetto diritto dei contratti, cioè all’esaltazione della libertà di contrattare. E’ un ragionamento presente anche in pezzo del partito democratico, purtroppo solo in parte transitato nel partito di Monti, secondo cui il lavoratore, al giorno d’oggi, non è più l’operaio debole e privo di strumenti, anche culturali, per cui lo Stato deve impedirgli di vendere, a prezzo iniquo, la propri forza lavoro. Ora il lavoratore sarebbe maturo e cosciente, quindi non più bisognoso di tutela. Questo è il ritirarsi dello Stato sociale ed il ritorno alla “libertà” del mercato.
Eppure, è evidente che è vero proprio il contrario. In presenza di una crisi che produce una dilagante disoccupazione crescono, lo riconoscono tutti, le diseguaglianze. E con il crescere delle diseguaglianze cresce, fatalmente, l’iniquità dello scambio contrattuale che, in apparenza, formalmente, è libero.
Ma libero non è. Perché uno dei due contraenti si trova in condizioni di difficoltà e, conseguentemente, è spesso costretto ad accettare clausole inique. Per dirla con un rozzo linguaggio marxiano, a vendersi sottocosto.
Un recente esempio.
La Nissan ha scelto gli stabilimenti di Barcellona per la costruzione di un nuovo modello: 1000 nuovi posti di lavoro, “diretti” ed un indotto stimato in 3000 unità.
C’è da esserne contenti. Magari fosse toccato a noi! Direbbe qualcuno.
Ma se andiamo dentro la notizia scopriamo una lunga e difficile trattativa, spesso sul punto di spezzarsi, anche perché, di fronte alla difficoltà di quella trattativa, altre fabbriche, come la francese Renault, si erano offerte. Poi l’ha spuntata Barcellona. Nella sostanza perché ha accettato, mediante un libero contratto, di ridurre del 20 per cento il salario dei dipendenti che andranno a lavorare nella nuova linea.
Detto in altri termini: il contraente forte ha messo in concorrenza, al ribasso, i possibili partner ed ha stipulato il contratto con il migliore offerente (al ribasso), con soddisfazione comune del governo catalano, dei sindacati, delle associazioni datoriali.
Barcellona si è aggiudicata l’affare.
Dobbiamo festeggiare per 1000 posti di lavoro in più, o interrogarci sul costo sociale e umano, che viene pagato, per quella operazione, da lavoratori, uomini e donne, famiglie, che vedono retrocedere la propria condizione economia e sociale, rispetto alle conquiste che la civiltà occidentale era stata capace di raggiungere negli anni passati?
Non si tratta di un caso esemplare. Né di un caso spagnolo. Forse che il lavoro precario o quello nero e sfruttato di molti dei nostri giovani non risponde alla stessa logica? Al medesimo sistema “ricattatorio”? E cosa significano quegli operai di Marchionne che si sono recati al referendum annunciano il loro si, di fronte ad una ipotesi di contrato aziendale che non condividevano affatto?
Hanno fatto una scelta libera, cioè di mercato. La libertà contrattuale, individuale o collettiva che sia, ha trionfato.
E dove andremo a finire se, in tempi di crisi, con la disoccupazione dilagante, i posti di lavoro verranno messi all’asta, sulla base di questi principi, al miglior offerente? Cioè a chi è disposto ad accettare un salario inferiore?
Il sindacato spagnolo, giustamente, si è fatto garantire che l’organico della fabbrica non subirà riduzioni, cioè che gli altri lavoratori, gli “anziani”, non saranno licenziati per essere sostituiti dalle più economiche “new entry”, che non subiranno una riduzione di salario. Quindi esasperazione del dualismo, anche all’interno alla stessa fabbrica.
Altro che “il lavoro non è merce”! Altro che immaginare contingenze! Siamo semplicemente tornati indietro, molto indietro. Si sta consumando una mutazione Il piano è ancora inclinato. E le prossime elezioni non c’entrano nulla … quasi nulla.
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* articolo pubblicato anche su il manifesto sardo
Nel riquadro dipinto di Fernand Léger
Agenda Sardegna. Agroalimentare: salire sul treno in corsa dell’innovazione
Ricerca e innovazione per diversificare e riqualificare il comparto agro-alimentare sardo
di Vanni Tola
La notizia è certamente importante. Quest’anno circa quindici milioni di litri di latte ovino sardo saranno commercializzati in continente o all’estero. Di questi oltre sette milioni di litri andranno nella regione Lazio. Il latte ovino sarà lavorato dall’industria casearia Brunelli, un’impresa che da qualche tempo ha messo in atto una profonda diversificazione delle produzioni derivanti dal latte ovino. I protagonisti della vicenda sono centinaia di pastori di alcuni comuni del nuorese che, con l’aiuto della Coldiretti e rompendo i confini dell’angusto mercato regionale, hanno deciso di ricercare al di fuori dell’isola una maggiore remunerazione del loro prodotto. L’operazione di commercializzazione, iniziata lo scorso anno, aveva fatto ottenere ai produttori una valutazione del latte ovino di ben settantacinque centesimi al litro quando in Sardegna il prezzo medio non superava i sessantatré centesimi. Quest’anno gli accordi stipulati hanno fatto salire il prezzo a settantotto centesimi, ancora meno degli ottanta centesimi percepito dai produttori di latte ovino in altre regioni italiane, ma pur sempre un importante risultato. Gli effetti o le ricadute nel comparto lattiero caseario non hanno tardato a manifestarsi. PRECEDENTI V.Taladin
Cagliari e sua area vasta quasi una Silicon Valley
di Dolores Deidda *
La stampa nazionale, con articoli recenti e meno recenti di Il Sole24Ore, La Repubblica, La Stampa ed una ricerca (CERPEM per INVITALIA) sul Mezzogiorno tecnologico di giugno 2012, ha rotto il silenzio degli organi di stampa e dei mass media sardi sul fatto che il polo ICT di Cagliari ancora esiste, si espande e produce innovazione. Da svariati anni (esattamente dal 2004) questa realtà produttiva non veniva più indagata. La difficile situazione di Tiscali aveva indotto gli scettici osservatori locali (che ancora liquidano come bolla la più innovativa, sia pur discontinua, esperienza di imprenditorialità originata nel territorio sardo) a ritenere che la scommessa fatta alla fine degli anni novanta fosse irrimediabilmente persa. Cagliari e la Sardegna non potevano più aspirare ad un futuro tecnologico o quanto meno ad un futuro che passasse per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, un terreno su cui Davide non era riuscito a sconfiggere Golia.
I fatti, che gli osservatori esterni oggi rilevano, smentiscono questa versione e la disinformazione che si porta dietro. Non si tratta solo del ritorno di Tiscali, l’impresa pionieristica che perseguì un progetto di espansione a scala internazionale e che, pur ritornata “italiana”, è ancora una grande azienda con circa mille occupati, la terza in Sardegna per fatturato e valore aggiunto dopo le imprese del settore petrolifero (dati 2009). Tiscali riparte immettendo sul mercato servizi integrati di telecomunicazione, declinati in chiave social, che vanno a coprire “vuoti” di offerta nel campo dei servizi web che la diffusione di internet sta portando ad uno sviluppo inarrestabile.
Il successo che stanno ottenendo le applicazioni Streamago e Indoona (che nella versione 2.2 è più simile ad un social network) e il lancio del motore di ricerca Istella, sono segnali forti di questa ritrovata capacità di competere fuori dai confini domestici e di conquistare nuovi mercati, offrendo ciò che il mercato chiede, rispondendo nei tempi giusti alle esigenze degli utenti della rete in Italia e nel mondo.
Anche il caso Akela merita di essere richiamato perché questa impresa che ha raggiunto medie dimensioni, unica sopravvissuta tra quelle della costellazione ICT Saras-Atlantis, ha saputo crescere, incrementare il numero degli occupati e caratterizzarsi per le alte competenze in ambiti tecnologici avanzati, strategici per Solgenia, l’impresa che l’ha rilevata a marzo 2012 con l’obiettivo di sviluppare un’offerta altamente differenziata e competitiva nei segmenti di mercato del cloud computing, software applicativo e piattaforme per soluzioni in mobilità.
Ma le recenti performance di Tiscali e di Akela (ma anche di Softfobia e di Axis Strategic Vison) non basterebbero a dar conto di come è mutato il panorama imprenditoriale dell’ICT cagliaritano, che si mostra molto più articolato che nel passato, grazie soprattutto alla crescita numerica di piccole imprese ed all’emergere di componenti innovative che si affacciano sul mercato digitale globale con originali servizi e prodotti made in Sardinia.
La Camera di Commercio di Cagliari, dati Movimprese 2011, fornisce un quadro analitico delle 2229 imprese attive nell’ICT della provincia in cui, mentre la componente hardware (fabbricazione di computer e di unità periferiche) rimane estremamente minoritaria con 147 imprese, la componente dei Servizi di informazione e comunicazione con 1551 imprese presenta dinamiche di crescita che segnano con chiarezza le linee evolutive della specializzazione del sistema locale. Circa 350 di queste imprese svolgono attività di “sviluppo di software”, comparto ad alta tecnologia, e più di 800 sono attive nei “servizi informatici ed altri servizi d’informazione”, mentre la componente “attività editoriali” con 151 imprese e circa 500 addetti posiziona Cagliari tra i primi dieci Sistemi locali del lavoro in cui si concentrano tali attività. L’occupazione complessiva, utilizzando dati ISTAT sugli addetti medi per unità locale, è stimabile in poco meno di 10 mila unità.
Questo ecosistema digitale, il “mini Silicon Valley” di cui oggi si parla, è trainato da una nuova generazione di imprenditori high tech, formatisi prevalentemente nelle locali facoltà di Ingegneria ed Informatica ma conoscitori del mercato globale, collegati con esperienze d’oltre oceano, aperti alle nuove forme di internazionalizzazione, capaci di competere, e in alcuni casi di eccellere, sui mercati di nicchia che alimentano la cosiddetta app economy, facendo leva sulle proprie risorse cognitive quale principale investimento. Si possono citare i casi di imprese quali Agiletech, Applix (di recente approdata a Cagliari), Apps builder, Entando, Paperlit, Porcovino, Prossima Isola, Karalit, Reilabs, Sardegna.com, Sardex, Xorovo, prevalentemente start up e spin off, che stanno avendo successo, insieme a molte altre.
Il potenziale di queste esperienze, la qualità del capitale umano e delle competenze presenti nell’area di Cagliari non sfugge oggi ad investitori esterni interessati sia al sostegno di progetti innovativi di start up, sia ad investimenti diretti, come nel caso della multinazionale Amazon.
I decisori politici e istituzionali che fanno? Come intendono valorizzare questo sistema che nella crisi è cresciuto mentre il panorama industriale dell’isola diventava sempre più cupo? Con quali politiche pubbliche pensano di rafforzarlo, ben sapendo che l’ICT è un settore che l’Europa continua a considerare una priorità assoluta per il proprio futuro?
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Articolo pubblicato su Sardegnademocratica