SOCIETÀ

Su Dossier Caritas 2023. COP28: Dubai e oltre Dubai

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Lunedì 18 dicembre la Caritas di Cagliari ha presentato il XIII Dossier Caritas 2023. Il volume è ricco di informazioni sulla vasta attività dell’istituzione durante il corrente anno, nonché di riflessioni su quanto accade nel nostro tempo. Avremo occasioni per riproporre almeno una parte di tali contenuti nella nostra news, dando ad essi adeguato spazio e rilievo. Nel presente spazio-editoriale riportiamo l’articolo del direttore sull’esortazione apostolica Laudate Deum di Papa Francesco, pubblicata il 4 ottobre u.s., dedicata alle questioni ambientali, un vero e proprio aggiornamento dell’enciclica Laudato si’, in previsione della COP28 tenutasi come previsto a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre (prolungatasi per alcuni giorni). Lo stesso pontefice avrebbe dovuto parteciparvi nei gg. 1-3 dicembre, ma ha dovuto rinunciare per ragioni di salute. L’articolo è andato in stampa ben prima dell’evento di Dubai, riporta pertanto previsioni e auspici, da confrontare oggi con quanto effettivamente accaduto e deciso nei documenti finali. Per completezza di informazione, aggiornata ad oggi, riportiamo di seguito all’articolo del direttore, tre pezzi di valutazione a conclusione della COP28 di Dubai, che crediamo ne mostrino luci ed ombre, obbiettivi raggiunti (pochi), obbiettivi parzialmente soddisfacenti, obbiettivi totalmente mancati (tanto che alcuni parlano di fallimento). Ai lettori un giudizio motivato, sulla base della documentazione fornita o comunque di altra disponibile in rete.
papamondo-copia-di-schermata-2023-11-13-alle-13-13-04Aspettando Dubai, oltre Dubai
L’Esortazione apostolica di Papa Francesco Laudate Deum
di Franco Meloni

Premessa: con Papa Francesco, Giovanni XXIII, Paolo VI

Papa Francesco tiene molto nelle sue encicliche ed esortazioni e, in generale, nelle sue dichiarazioni a ricollegarsi ai suoi predecessori, soprattutto a quelli più vicini, nella linea della “continuità nel rinnovamento” del magistero della Chiesa. Ma sono specialmente due i Pontefici a cui fa riferimento, quelli più legati al Concilio Vaticano II: Giovanni XXIII, che lo ha indetto e iniziato; Paolo VI, che lo ha ripreso e portato a compimento [1]. E sappiamo quanto Papa Francesco ami e consideri il Concilio: «evento di grazia per la Chiesa e per il mondo», «i cui frutti non si sono esauriti» e che «non è stato ancora interamente compreso, vissuto e applicato (…) Dal Concilio Ecumenico Vaticano II abbiamo ricevuto molto. Abbiamo approfondito, ad esempio, l’importanza del popolo di Dio, categoria centrale nei testi conciliari, richiamata ben centottantaquattro volte, che ci aiuta a comprendere il fatto che la Chiesa non è un’élite di sacerdoti e consacrati e che ciascun battezzato è un soggetto attivo di evangelizzazione”. E continua: “dobbiamo riscoprire l’ispirazione del Concilio e come passo dopo passo questo evento abbia trasformato la vita della Chiesa, è l’occasione per affrontare meglio il percorso sinodale, che è fatto innanzitutto di ascolto, di coinvolgimento, di capacità di far spazio al soffio dello Spirito, lasciando a Lui la possibilità di guidarci”.[2]
Anch’io in premessa delle mie considerazioni sull’Esortazione apostolica di Papa Francesco Laudate Deum (LD) [3] faccio riferimento ai medesimi due Pontefici.
- A Giovanni XXIII, laddove mi soffermo sui destinatari del messaggio pontificio che appare nel titolo stesso della LD: “…a tutte le persone di buona volontà”.
Si tratta di un’ulteriore innovazione che va oltre quanto Papa Francesco già sottolineava nella Laudato sì’ sotto l’intitolazione “Niente di questo mondo ci risulta indifferente”, Papa Francesco ricordava: “Più di cinquant’anni fa, mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni XXIII scrisse un’Enciclica con la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, bensì volle trasmettere una proposta di pace. Diresse il suo messaggio Pacem in terris a tutto il “mondo cattolico”, ma aggiungeva «nonché a tutti gli uomini di buona volontà». Adesso, di fronte al deterioramento globale dell’ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta (…)”. E ribadisce: “In questa Enciclica (LS), mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune” (LS 3). La novità della Laudate Deum consiste, nel rivolgersi “a primo acchito” all’intera umanità, almeno a quella pensante, di buona volontà, (formata da “persone”, non “uomini”, al fine di superare la tradizionale prevalenza del maschile), prima ancora che ai “fedeli cattolici”, a cui dedica gli ultimi paragrafi dell’Esortazione (LD 61-73).
- A Paolo VI [4], precisamente alla sua prima Enciclica, Ecclesiam Suam (ES) [4bis], laddove individua “le posizioni concrete, in cui l’umanità si trova rispetto alla Chiesa cattolica (…) a guisa di tre cerchi concentrici” che la circondano [5] In questa trattazione ci interessa il primo.

Dall’Enciclica di Paolo VI Ecclesiam suam alla Costituzione conciliare Gaudium et Spes

Paolo VI lo descrive come “(…) un immenso cerchio, di cui non riusciamo a vedere i confini; essi si confondono con l’orizzonte; cioè riguardano l’umanità in quanto tale, il mondo. Noi misuriamo la distanza che da noi lo tiene lontano; ma non lo sentiamo estraneo. Tutto ciò ch’è umano ci riguarda. Noi abbiamo in comune con tutta l’umanità la natura, cioè la vita, con tutti i suoi doni, con tutti i suoi problemi. Siamo pronti a condividere questa prima universalità; ad accogliere le istanze profonde dei suoi fondamentali bisogni, ad applaudire alle affermazioni nuove e talora sublimi del suo genio. E abbiamo verità morali, vitali, da mettere in evidenza e da corroborare nella coscienza umana, per tutti benefiche. Dovunque è l’uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con lui; dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro. Se esiste nell’uomo un’anima naturalmente cristiana, noi vogliamo onorarla della nostra stima e del nostro colloquio”. E prosegue: “Noi potremmo ricordare a noi stessi e a tutti gli altri come il nostro atteggiamento sia, da un lato, totalmente disinteressato; non abbiamo alcuna mira politica o temporale; dall’altro, sia rivolto ad assumere, cioè ad elevare a livello soprannaturale e cristiano, ogni onesto valore umano e terreno; non siamo la civiltà, ma fautori di essa. (…)” (ES 101-102).
È un’anticipazione della costituzione conciliare “Gaudium et Spes” [6] di cui cito lo splendido incipit: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti”.

Dall’Enciclica Laudato sì’ all’Esortazione Laudate Deum

Nell’intervista fattagli di recente dalla Rai [7], Papa Francesco ricorda un suo viaggio a Strasburgo: “Non dimentico quando il 25 novembre 2014, invitato dal Parlamento europeo, incontrai la ministra francese dell’Ambiente, Ségolène Royal, con cui parlai di quello che stavo scrivendo sull’ambiente e del progetto di un lavoro comune con scienziati e teologi. «Per favore, lo pubblichi prima della Conferenza sul clima di Parigi [8]»: furono queste le parole della ministra. Ed in effetti il 24 maggio 2015 fu emanata l’enciclica Laudato si’” (LS). Il Papa dunque giocò d’anticipo, riuscendo in certa misura a far pesare, con l’autorevolezza di un’Enciclica, le sue argomentazioni, che non sono dogma, ma rappresentano l’aggiornamento della dottrina sociale della Chiesa cattolica in materia di ambiente, cambiamento climatico, ecologia integrale… in sostanza quanto si compendia nella “cura del Creato”. La capacità di Papa Francesco di “cogliere i segni dei tempi” [9] fino ad anticipare gli eventi è un suo carisma che si è appalesato non solo rispetto alla COP21 di Parigi, ma, come rilevo sul Dossier Caritas 2019 [10], anche rispetto alla risoluzione dell’Onu con cui il 25 settembre 2015 fu approvata l’Agenda Onu 2030 [11], anticipata di quattro mesi dalla Laudato sì’. Ma su questo argomento rinvio ad altri approfondimenti.

Con l’Esortazione Laudate Deum, ad oltre otto anni dalla LS, il Papa si comporta in modo analogo rispetto alla imminente scadenza della COP28 a Dubai [12], non certo per il gusto dell’arrivare primo, quanto piuttosto per enfatizzarne l’importanza, dando la sveglia a tutti… .
Dice il Papa in una delle sue esternazioni “Dopo Parigi purtroppo le cose non sono andate come speravo, e questo continua a preoccuparmi”. Il perché lo spiega nell’Esortazione: “(…) con il passare del tempo, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura. Al di là di questa possibilità, non c’è dubbio che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie. Ne sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri ambiti” (LD 2) . Le conseguenze della crisi climatica globale sono sotto gli occhi di tutti: “Negli ultimi anni abbiamo assistito a fenomeni estremi, frequenti periodi di caldo anomalo, siccità e altri lamenti della terra che sono solo alcune espressioni tangibili di una malattia silenziosa che colpisce tutti noi (…) È verificabile che alcuni cambiamenti climatici indotti dall’uomo aumentano in modo significativo la probabilità di eventi estremi più frequenti e più intensi. Sappiamo quindi che ogni volta che la temperatura globale aumenta di 0,5 gradi centigradi, aumenta anche l’intensità e la frequenza di forti piogge e inondazioni in alcune aree, di grave siccità in altre, di caldo estremo in alcune regioni e di forti nevicate in altre ancora. Se fino a ora potevamo avere ondate di calore alcune volte all’anno, cosa accadrebbe con un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi centigradi, a cui siamo vicini? Tali onde di calore saranno molto più frequenti e più intense. Se si superano i 2 gradi, le calotte glaciali della Groenlandia e di gran parte dell’Antartide si scioglieranno completamente, con conseguenze enormi e molto gravi per tutti” (LD 5).

Dalla Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro del 1992 alla COP 28 di Dubai

Dopo aver passato in rassegna le COP che hanno preceduto e seguito quella di Parigi e che dopo quest’ultima hanno prodotto risultati deludenti [13], il Papa s’interroga: “Cosa ci si aspetta dalla COP28 di Dubai?” [13] Si mostra speranzoso: “Se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la COP28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente. Questa Conferenza può essere un punto di svolta, comprovando che tutto quanto si è fatto dal 1992 [14] era serio e opportuno, altrimenti sarà una grande delusione e metterà a rischio quanto di buono si è potuto fin qui raggiungere”. E ancora: “Nonostante i numerosi negoziati e accordi, le emissioni globali hanno continuato a crescere. È vero che si può sostenere che senza questi accordi sarebbero cresciute ancora di più. Ma su altre questioni ambientali, dove c’è stata la volontà, sono stati raggiunti risultati molto significativi, come nel caso della protezione dello strato di ozono. Invece la necessaria transizione verso energie pulite, come quella eolica, quella solare, abbandonando i combustibili fossili, non sta procedendo abbastanza velocemente. Di conseguenza, ciò che si sta facendo rischia di essere interpretato solo come un gioco per distrarre (…) Se c’è un sincero interesse a far sì che la COP28 diventi storica, che ci onori e ci nobiliti come esseri umani, allora possiamo solo aspettarci delle forme vincolanti di transizione energetica che abbiano tre caratteristiche: che siano efficienti, che siano vincolanti e facilmente monitorabili. Questo al fine di avviare un nuovo processo che sia drastico, intenso e possa contare sull’impegno di tutti. Ciò non è accaduto nel cammino percorso finora, ma solo con un tale processo si potrebbe ripristinare la credibilità della politica internazionale, perché solo in questo modo concreto sarà possibile ridurre notevolmente l’anidride carbonica ed evitare in tempo i mali peggiori. (…) Speriamo che quanti interverranno siano strateghi capaci di pensare al bene comune e al futuro dei loro figli, piuttosto che agli interessi di circostanza di qualche Paese o azienda. Possano così mostrare la nobiltà della politica e non la sua vergogna. Ai potenti oso ripetere questa domanda: «Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?». [15] (…) Sappiamo che, di questo passo, in pochi anni supereremo il limite massimo auspicabile di 1,5 gradi centigradi e a breve potremmo arrivare a 3 gradi, con un alto rischio di raggiungere un punto critico. Anche se questo punto di non ritorno non venisse raggiunto, gli effetti sarebbero disastrosi e bisognerebbe prendere misure in maniera precipitosa, con costi enormi e con conseguenze economiche e sociali estremamente gravi e intollerabili. Se le misure che adotteremo ora hanno dei costi, essi saranno tanto più pesanti quanto più aspetteremo.

Il paradigma tecnocratico
Papa Francesco non manca l’occasione di rammentare, come già affermato nella Laudato si’, che alla base della degradazione dell’ambiente, vi è quello che lui chiama il paradigma tecnocratico [15] , «un modo di comprendere la vita e l’azione umana che è deviato e che contraddice la realtà fino al punto di rovinarla; come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia. Da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia» (LD 20; LS 101-106).

Ricorda che «un ambiente sano è anche il prodotto dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, come avviene nelle culture indigene e come è avvenuto per secoli in diverse regioni della Terra. I gruppi umani hanno spesso “creato” l’ambiente, rimodellandolo in qualche modo senza distruggerlo o metterlo in pericolo. Il grande problema di oggi è che il paradigma tecnocratico ha distrutto questo rapporto sano e armonioso» (LD 28). E’ dunque un imperativo fermare il degrado del nostro ecosistema, invertire la rotta e promuovere azioni concrete, forti e senza perdere tempo prezioso, per mitigare il più possibile il cambiamento climatico e, nello stesso tempo, per adattarci alle condizioni climatiche che si vanno determinando. Al riguardo sono importanti sia gli accordi tra i governi delle nazioni in un’ottica di un nuovo multilateralismo che nasce dal basso, sia la condotta individuale e collettiva delle persone, adottando stili di vita sostenibili con l’ambiente e solidali con la gran parte dell’umanità che soffre drammaticamente le violenze esercitate dall’uomo sulla terra. (LD 37-38). Giova rammentare che il Papa a sostegno delle sue posizioni sul clima si appoggia alla stragrande maggioranza degli studiosi in materia [16] e non ha alcuna timidezza nel condannare i negazionismi e a richiamare alla ragione quanti se ne fanno portatori, anche all’interno della Chiesa cattolica (LD 14). Certo è che non bisogna illudersi che l’attuale economia che egemonizza il mondo, basata sulla “logica del massimo profitto al minimo costo, mascherata da razionalità, progresso e promesse illusorie” possa avere la priorità del bene comune, della difesa della casa comune, della “promozione degli scartati della società” (LD 31). Occorre la ricerca e la pratica di una diversa economia che non sia disgiunta dall’etica e che pertanto metta al centro la persona e il suo benessere. Dice il Papa che “dobbiamo tutti ripensare alla questione del potere umano”, per difendere “la nostra stessa sopravvivenza”. E’ efficace al riguardo la citazione ironica di Solov’ëv: “Un secolo così progredito che perfino gli era toccato in sorte essere l’ultimo” (LD 28) [17]. Il Papa coglie l’occasione per richiamare la necessità di quello che chiama “il pungiglione etico”, richiamando il valore dell’impegno, della crescita delle capacità, del lodevole spirito di iniziativa, della ricerca e pratica della reale uguaglianza di opportunità, contro le “idee sbagliate sulla cosiddetta ‘meritocrazia’” (LD 29-33).

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Armato di queste convinzioni, come detto, Papa Francesco si recherà a Dubai nei gg. 1, 2 e 3 dicembre 2023 per implorare tutti i governanti del mondo affinché facciano qualcosa di molto preciso per salvare la Terra, la nostra casa comune. E’ una “chiamata a responsabilità” che si aggiunge ai numerosi altri appelli che il Papa fa quotidianamente per la Pace del mondo, sconvolto da innumerevoli guerre e conflitti, portatori di morte e distruzioni e anch’essi gravemente colpevoli dei disastri ambientali. Ci consola che Papa Francesco non sia solo tra i grandi leader religiosi. Non sappiamo quanti altri fisicamente parteciperanno alla Conferenza, ma è di buon auspicio il documento firmato da 28 leader religiosi il 6 novembre 2023 ad Abu Dhabi, con il quale i religiosi chiedono ai delegati mondiali un’azione decisiva per frenare il cambiamento climatico [18].

Aspettando Dubai, oltre Dubai

Altrimenti? Quanto potrà ancora accadere non è forse attendibilmente prevedibile, come continuamente afferma la stragrande maggioranza degli studiosi? Lo confermano una serie di simulazioni che sono oggi già in grado di farci vedere drammaticamente come sarà la Terra se non si interverrà con la massima urgenza, subito. Gli artisti con la loro capacità immaginifica sono in grado di farci vedere anticipatamente tutto quello che potrà accadere. Tra i tanti, il cantautore-poeta Francesco Guccini ce lo mostra in una sua bellissima e struggente canzone [19].

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Il vecchio e il bambino, di Francesco Guccini.

Un vecchio e un bambino si preser per mano
E andarono insieme incontro alla sera
La polvere rossa si alzava lontano
Il sole brillava di luce non vera
Immensa pianura sembrava arrivare
Fin dove l’occhio di un uomo poteva guardare
E tutto di intorno, non c’era nessuno
Solo il tetro contorno di torri di fumo
I due camminavano e il giorno cadeva
Il vecchio parlava, e piano piangeva
Con l’anima assente, con gli occhi bagnati
Seguiva il ricordo di miti passati
I vecchi subiscon le ingiuria degli anni
Non sanno distinguere il vero dai sogni
I vecchi non sanno nel loro pensiero
Distinguer nei sogni il falso dal vero
Il vecchio diceva guardando lontano
“Immagina questo coperto di grano
Immagina i frutti, immagina i fiori
E pensa alle voci e pensa ai colori”
E in questa pianura, fin dove si perde
Crescevano gli alberi e tutto era verde
Cadeva la pioggia, segnavano i soli
Il ritmo dell’uomo e delle stagioni
Il bimbo ristette, lo sguardo era triste
Gli occhi guardavano cose mai viste
E poi disse al vecchio con voce sognante
“Mi piaccion le fiabe, raccontane altre” [19]
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Note
(Segue)

Cattolici e Politica

img_3099Ci sono i cattolici nella politica?
La Repubblica – 18 Dicembre 2023
di Enzo Bianchi sul suo blog.
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La buona Politica per le attese dei sardi*

7112f1f9-6901-45b5-b7eb-73a966715b72di Franco Meloni
Il tema: “Sulla base di una seria analisi della situazione socio-economica della Sardegna, quali provvedimenti dovremo assumere per un suo futuro migliore?”. Svolgimento per noi arduo, per spazio non disponibile e carenza di competenze. E allora? Facciamo così: risolviamo subito la questione dell’analisi della situazione sarda condividendo quella del Rapporto Crenos 2023 [1], a cui rinviamo.

COP28 Dubai

cop28-schermata-2023-11-22-alle-22-29-01Cop28, il fallimento annunciato: per il clima non accontentiamoci più
Nella bozza di accordo manca l’eliminazione dei combustibili fossili e si menziona il nucleare. Quale sia il risultato finale si tratta di una vittoria per la grande industria a scapito del Pianeta
CARLO PETRINI, su La Stampa.
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Volontariato

img_5565VOLONTARIATO, “LETTERA APERTA” ALLE ISTITUZIONI PER POTENZIARE LE RELAZIONI E FARE BENE ALLE COMUNITÀ
Dec 9, 2023 – 07:50:40 – CET su PoliticaInsieme.
Da Cosenza l’appello delle reti promotrici dell’evento nazionale che ha celebrato la Giornata internazionale del volontariato “L’impegno sociale di milioni di persone va sostenuto adeguatamente”

Una “lettera aperta” al mondo delle istituzioni per valorizzare il contributo del volontariato e del Terzo settore nel rafforzare i legami tra le persone e costruire una società sostenibile, inclusiva e resiliente, a livello nazionale ed internazionale.
È questo il messaggio presentato durante “Condividere, Valorizzare, Costruire” l’evento di celebrazione della 38^ Giornata internazionale del volontariato che si è svolto a Cosenza ieri (5 dicembre) organizzato dal Forum Terzo Settore, CSVnet – l’associazione nazionale dei Centri di servizio per il volontariato – e Caritas Italiana, in collaborazione con il Csv provinciale.

Oggi sabato 9 dicembre 2023

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img_3442 Graziano Milia presenta Rinascita Sardegna, ma sembra un po’ sfasato
9 Dicembre 2023. A.P. Su Democraziaoggi
Non essendo potuto andare a sentire Graziano Milia di persona, ho visto la presentazione del suo movimento Rinascita Sardegna via web. Confesso di averci capito poco. Non è un nuovo partito (meno male!), non si presenta alle elezioni in concorrenza con Soru e Todde (meno male!), vuole solo dare un contributo di analisi e […]
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Eventi da non perdere: Gianni Pesce… non solo il formidabile commissario Pesce

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ITE REMIRAS… Echi di resistenza in terra di Sardegna

img_5401 [Red] Sono trascorsi quasi ottant’anni dalla Resistenza. Per quanto tempo ancora dovremmo ricordarla, e celebrarla. Si sa che il tempo, a poco a poco affievolisce i ricordi; tu8tto passa, a poco a poco. E poi, in Sardegna non è che la Resistenza si sia vista molto. Ricordiamo di più i bombardamenti dei “nemici” che sono poi diventati alleati. Ricordiamo assai di più “su famini de su 43”.
Partigiani sardi sì, ma in continente. Alcuni sepolti altrove, altri tornati alla loro occupazione in silenzio. Sino a quando, e non da tanto, alcuni ricercatori si sono messi sulle loro tracce ed hanno incominciato a raccontare le loro storie, a volte a strappargliele di bocca.

Dobbiamo essere per la pace

img_5240 Amos Oz: “A voi europei tocca riservare ogni oncia di aiuto e solidarietà a questi due pazienti, sin d’ora. Non dovete più scegliere fra essere pro Israele o pro Palestina. Dovete essere per la pace”.
Contro il fanatismo
di Roberto Paracchini

C’era una volta un bambino che amava molto osservare le persone. E poi c’era un gelato, che a quel bambino piaceva molto. E c’era anche una promessa: “Se fai il buono ti compriamo il gelato”. E c’era pure un locale, un Caffè, dove quel bambino veniva portato dai genitori che “dovevano discutere con i loro amici”, come gli raccontavano. E a quel bambino non piaceva molto starsene lì con tutti quei grandi sette giorni su sette. “Allora dovevo pur fare qualcosa di me stesso, per non urlare o dar fuori di matto”. Sì, certo c’era la promessa del gelato, ma non bastava. “Così me ne stavo lì seduto, come un piccolo detective, a osservare il via vai del locale – gente che entrava, gente che usciva… e come uno Sherlock Holmes, ne studiavo gli abiti, le facce, i gesti, le scarpe, rimiravo le borsette e ingannavo l’attesa inventando piccole storie su questa gente, fantasticando sulla loro provenienza o sui rapporti tra quelle due donne e quell’uomo seduti al tavolino d’angolo…”.
Passano gli anni. Forse 50 o 60. E quel bambino, nato a Gerusalemme nel 1939, si chiama oggi Amos Oz: a 15 anni decise di cambiare il cognome originario Klausner in Oz, che in ebraico significa “forza”, poi entrò nel kibbutz Hulda dove scelse di andare in rotta coi genitori, fortemente di destra, e dove visse per i successivi 30 anni. Quel bambino, poi ragazzo, poi giovane adulto, con gli anni divenne l’Amos Oz scrittore che in molti conoscono e amano anche per la capacità di entrare nell’animo dei suoi personaggi facendoceli intimamente vivere: uno degli autori più importanti della letteratura contemporanea, morto nel 2018.
Passati tutti quegli anni e arrivati ai primi del XXI secolo, Oz confessò in alcune conferenze tenute a Tubinga (recentemente ripubblicate in Italia da Feltrinelli col titolo Contro il fanatismo) che continuava a comportarsi “così” come allora: “Quando mi capitano i cosiddetti ‘tempi morti’, in aeroporto o quando mi trovo in sala d’attesa dal dentista, o in coda da qualche parte… Ancora fantastico. E credetemi, è un passatempo utile, non solo per uno scrittore: per chiunque di noi. Accadono davvero tante cose, in ogni angolo di strada, in ogni coda in attesa dell’autobus, in qualunque sala d’aspetto di un ambulatorio, o in un Caffè… Tanta di quella umanità attraversa ogni giorno il nostro campo visivo, mentre per gran parte del tempo noi restiamo indifferenti, non ce ne accorgiamo neppure, vediamo ombre invece di persone in carne e ossa. Perciò, con l’abitudine di osservare gli estranei, e con un pizzico di fortuna, finirete presumibilmente per scrivere dei racconti congetturando intorno a quello che la gente si fa a vicenda, a come ci si appartiene a vicenda”.
Ed è proprio su questa importante constatazione, su “come ci si appartiene a vicenda”, che Oz costruisce la sua visione della letteratura, certamente, ma anche il suo modo di vivere la vita e, si potrebbe dire, il suo insegnamento. “Ogni mattina – racconta nel libro citato – faccio una piccola passeggiata nel deserto, prendo una tazza di caffè, mi siedo alla scrivania e comincio a domandarmi: ‘Come mi sentierei se fossi lei? Come dev’essere stare dentro la sua pelle?’ – questo è ciò che devi fare se vuoi scrivere anche il più semplice dei dialoghi: devi spartire non soltanto la tua fedeltà, ma persino i tuoi sentimenti tra diversi personaggi”. E non solo, “parafrasando D. H. Lawrence (…) per scrivere un romanzo bisogna essere capaci di assumersi una mezza dozzina di conflitti e sentimenti contraddittori e opinioni, con lo stesso grado di convinzione, veemenza ed empatia”.
Considerazioni, queste ultime, che gli attori teatrali ben conoscono, ma che in Amos Oz diventano non solo il propulsore della sua grande letteratura, ma anche il terreno per entrare nel dramma e nella tragedia dei luoghi in cui è vissuto. “Allora, forse – afferma – sono equipaggiato un po’ meglio degli altri per capire, con il mio punto di vista ebraico-israeliano, come ci si sente a essere un palestinese sradicato, come ci si sente ad essere un arabo palestinese cui degli ‘alieni di un altro pianeta’ hanno portato via la terra natale. E come ci si sente a essere coloni israeliani in Cisgiordania? Sì, talvolta mi infilo nei panni di quella gente oltranzista, o quanto meno ci provo”.
Nel 1967, Oz assieme a pochissime altre persone, “molto prima che fosse fondato il movimento Pace Adesso, qualche settimana dopo la spettacolare vittoria militare d’Israele nella guerra dei Sei Giorni, iniziò “a propugnare una soluzione binazionale, una Palestina accanto a Israele, cosa che in quei giorni di euforia nazionale in Israele veniva guardata non solo come un tradimento, ma anche come una manifestazione di totale idiozia”. Invece, per l’autore de “Lo stesso mare” e di tanti altri favolosi romanzi, “solo colui che ama può diventare un traditore. Il tradimento non è il contrario dell’amore, è una delle sue tante opzioni. Traditore è colui che cambia agli occhi di coloro che non possono cambiare e non cambierebbero mai e odiano cambiare e non lo concepiscono, a parte il fatto che vogliono continuamente cambiare te: così la penso io”.
“In altre parole – spiega Oz – agli occhi del fanatico il traditore è chiunque cambi. Triste alternativa quella fra il diventare un fanatico o un traditore. In un certo senso non essere fanatici significa essere un traditore agli occhi dei fanatici”. E così, “traditore lo sei comunque. Qualunque cosa tu faccia, tradisci o la tua arte o il tuo senso di dovere civile”. Ma per Oz la soluzione esiste ed è il compromesso. Per molti il compromesso “puzza, è disonesto. Non nel mio vocabolario. Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte”. Per lo scrittore il fanatismo “dilaga ovunque. Non mi riferisco alle ovvie manifestazioni di fondamentalismo e oltranzismo… No, perché il fanatismo è praticamente dappertutto, e nelle sue forme più silenziose e civili è presente tutto intorno a noi, e fors’anche dentro di noi”. Poi Oz fa una serie di esempi tra cui quello, portato al paradosso, di certi pacifisti: “Conosco quei pacifisti, alcuni miei colleghi del movimento per la pace in Israele, capaci di spararmi in testa solo perché ho auspicato una strategia lievemente diversa per il processo di pace con i palestinesi”. Sia chiaro, spiega, “non voglio certo intendere che ogni opinione convinta sia una forma di fanatismo. Certo che no. Però penso che il seme del fanatismo si annidi immancabilmente nella rettitudine inflessibile, piaga di molti secoli”. E nemica inflessibile del compromesso.
Nei romanzi di Oz nessuno è un’isola, chiuso e impermiabile al mondo, ma tutti sono una penisola, legati alla terra del proprio modo di essere e all’oceano, gli spazi del cambiamento. “Se nei miei romanzi c’è messaggio metapolitico, è sempre, in un modo o nell’altro, il messaggio di un compromesso, un compromesso doloroso, e della necessità di scegliere tra vita e morte, fra l’imperfezione della vita e la perfezione di una morte gloriosa”, che tutto sommerge, si potrebbe aggiungere, come un macigno di “rettitudine inflessibile”. E non è certo un caso, sottolinea lo scrittore, che i fanatici non abbiamo senso dell’umorismo. “In vita mia non ho ancora visto un fanatico dotato di senso dell’umorismo”. Questo anche perché “l’umorismo implica la capacità di ridere di sé stessi”. Umorismo come antidoto al fanatismo e al fondamentalismo, che nasce anche da una profonda conoscenza dell’ebraismo (tra le altre cose Oz ha insegnato letteratura ebraica nell’università Ben Gurion, nel Negev). “Nella vita quotidiana degli anni quaranta – ricorda – ognuno pensava di appartenere a Gerusalemme nel vero senso del termine, mentre gli altri erano considerati alla stregua di una presenza ammissibile, di sfondo”. E le “tensioni interconfessionali erano tali che ci si poteva o diventare matti oppure sviluppare un ottimo senso dell’umorismo. O ancora un senso di relatività. La convinzione insomma che ognuno ha la sua storia, ma non ce n’è una più valida o avvincente dell’altra”.
Pure qui ritorna lo spazio di un Caffè come luogo di dialogo e di produzione di storie, come quella che vede discutere animatamente alcune persone, tra cui se ne nota una più vecchia degli altri che se ne sta in silenzio, ma che si scopre essere Dio. L’avventore più vicino “ha una domanda da fargli, ovviamente molto pressante. Dice: ‘Caro Dio, per favore dimmi una volta per tutte, chi possiede la vera fede? I cattolici o i protestanti o forse gli ebrei o magari i mussulmani? Chi possiede la vera fede?’. Allora Dio, in questa storia risponde: ‘A dirti la verità, figlio mio, non sono religioso, non lo sono mai stato, la religione nemmeno m’interessa’”. Insomma, prosegue Oz, “c’è una vena di anarchia non soltanto in Israele, ma credo piuttosto nel retaggio culturale dell’ebraismo”.
Una percezione di relatività, che nasce anche dal senso dell’umorismo, è indispensabile allo scrittore per capire le ragioni degli altri. Quand’era piccolo, Oz ricorda che le prime parole in inglese da lui pronunciate “sono state British, go home!, che noi marmocchi gerosolimitani (nativi di Gerusalemme – ndr) gridavamo gettando sassi contro le pattuglie inglesi a Gerusalemme nella nostra ‘intifada’ del 1945, 1946 e 1947”. Poi la storia è diventata ancora più complessa: “Come non far maturare un senso di relatività, un senso della prospettiva e anche una triste ironia sul fatto che gli occupati possono diventare occupanti, gli oppressi oppressori, le vittime di ieri aggressori? Con quanta facilità i ruoli si ribaltano”. E la storia si incancrenisce.
“Fra noi e i palestinesi – scrive nell’ultimo suo piccolo e illuminante saggio Resta ancora tanto da dire – c’è da più di cent’anni una ferita aperta, anzi c’è una ferita infetta, piena di pus. Un ascesso, ormai”. Ma “non si cura una ferita con un bastone… Non è ammissibile continuare a infierire in questo modo su una ferita aperta, sperando che così si rimargini, che smetta di sanguinare”. Certo, “la sopraffazione non di rado va fermata con la forza… Ma nessuna ferita si cura con un bastone”. Da pacifista coerente, Oz spiega che “una ferita va curata” e che “prima di tutto bisogna trovare la lingua della cura. Che non è quella dell’oppressione, né quella della deterrenza, non è la lingua del ‘dare una lezione’”. Per lo scrittore è una lingua più semplice: “Soffri. Lo so. Soffro anch’io. Su, ricominciamo insieme”.
Nella guerra arabo-israeliana del 1948, il punto – sostiene – non è di chi sia la responsabilità del conflitto. “Il punto è la tragedia. Che siano da accusare le dirigenze arabe, o i sionisti, o entrambi, resta il fatto che nel 1948 centinaia di migliaia di palestinesi persero le loro case. So bene che nello stesso anno, durante la stessa guerra, quasi un milione di ebrei orientali dei paesi arabi persero anche loro le case e molti di loro vennero cacciati via e arrivarono in Israele”. E prima e in parte assieme a loro, molti ebrei abbracciarono l’idea sionista ma con un ventaglio vastissimo di posizioni e interpretazioni, tanto da far dire ad Oz, seppure “cum grano salis, (…) che Israele non è un paese e nemmeno una nazione. È una feroce, schiamazzante collezione di argomentazioni, un perpetuo seminario di strada”.
“Ma allora che cos’è il sionismo? – si domanda retoricamente lo scrittore in Resta ancora tanto da dire, consapevole che è questa la domanda che molti gli pongono – Non riesco a rispondervi se non con la consapevolezza che non abbiamo un altrove”. Come dire che il sionismo nasce tra gli ebrei perseguitati da secoli, poi sterminati dal nazismo e infine rifiutati da tutti gli altri paesi, come gli stessi genitori di Oz.
In questo contesto il conflitto Israelo-palestinese era e resta una tragedia. Dopo la guerra del 1948 “un buon numero” di ebrei orientali, “finì in quelle stesse case che erano appartenute agli arabi palestinesi”. In pratica, “dopo tre quattro, cinque anni trascorsi nei campi di transito, gli ebrei sopravvissuti che venivano dall’Iraq, dal Nord Africa e dall’Egitto, Siria e Yemen ebbero finalmente una casa e un lavoro, mentre i profughi palestinesi no. La questione rimane aperta, e con dolore”.
Ed è per questo che questa lunga storia non ha “buoni da una parte e cattivi dall’altra. Non è un film western, e nemmeno un western capovolto”. C’è invece, “una tragedia: il contrasto tra un diritto e l’altro”. Un diritto e l’altro, entrambi calpestati, infatti “una delle cose che rendono il conflitto israeliano-palestinese particolarmente grave, è il fatto che esso sia essenzialmente un conflitto tra due vittime. Due vittime dello stesso oppressore. E qui Oz on ha dubbi. “L’Europa che ha colonizzato il mondo arabo, l’ha sfruttato, umiliato, ne ha calpestato la cultura, che l’ha controllato e usato come base d’imperialismo, è la stessa Europa che ha discriminato, perseguitato, dato la caccia e infine sterminato in massa gli ebrei perpetrando un genocidio senza precedenti”.
La storia poi diventa particolarmente crudele, racconta Oz, perché queste due vittime di uno stesso oppressore non solidarizzano tra loro, ma si odiano. Da un lato “l’ebreo, in particolare l’ebreo israeliano, è dipinto come un’estensione dell’Europa: bianca, sofisticata, tirannica, colonizzatrice, crudele, senza cuore”. E non come “un gruppo sparuto di sopravvissuti e profughi mezzo isterici, braccati da terribili incubi, traumatizzati non solo dall’Europa, ma anche dal modo in cui siamo stati trattati nei paesi arabi e islamici”. Dall’altro lato, “parimenti noi, ebrei israeliani, non consideriamo gli arabi, nello specifico i palestinesi, per quello che sono, e cioè vittime di secoli di oppressione, sfruttamento, colonialismo e umiliazione. E invece li vediamo come dei cosacchi da pogrom, dei nazisti con i baffi, abbronzati e con indosso la kefijah”.
A fronte di tutto questo “vige su entrambi i fronti una profonda ignoranza: non di carattere politico, su scopi e obiettivi, ma relativa al vissuto di traumi che le due vittime hanno subito”. Da un lato il movimento nazionale palestinese, per molti anni, “ha mancato di riconoscere l’autenticità del legame ebraico con la terra di Israele. Perché non ha voluto riconoscere che il moderno Israele non è affatto un prodotto dell’impresa coloniale”. Dall’altro, parimenti “aggiungo subito che sono altrettanto critico verso le generazioni di sionisti israeliani che hanno mancato di riconoscere l’esistenza di un popolo palestinese, un popolo vero con veri, legittimi diritti. Così, entrambe le leadership, tanto passate quanto presenti, sono colpevoli di non aver compreso la tragedia, o se non altro di non averla spiegata ai propri popoli”.
Che fare, infine? Oz chiude Contro il fanatismo con una esortazione quanto mai attuale: “A voi europei tocca riservare ogni oncia di aiuto e solidarietà a questi due pazienti, sin d’ora. Non dovete più scegliere fra essere pro Israele o pro Palestina. Dovete essere per la pace”.

​​​​​​​​​Roberto Paracchini
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La Pace è solo un’utopia?

img_4715LA VIA STRETTA
di Anna Foa
Una strada di Betlemme
C’è ancora la possibilità di percorrere la via sempre più stretta che passa tra i sostenitori di Netanyahu e quelli di Hamas, di battersi ancora per la creazione accanto allo Stato di Israele di quello palestinese, per una civile convivenza tra israeliani e palestinesi, contro ogni razzismo e suprematismo, ma anche contro ogni terrorismo fondamentalista come quello di Hamas? Oppure il tempo è scaduto, scaduto nel bagno di sangue e di orrore del 7 ottobre, ma forse anche prima, nel lungo governo Netanyahu e poi nella sua alleanza con fascisti e razzisti, nel suo progetto di rosicchiare poco a poco i territori dell’Autorità palestinese e di sbarazzarsi, alla fine, degli stessi palestinesi in Israele, quelli che sono cittadini israeliani e che avrebbero dovuto esserlo, anche se così non è, a tutti gli effetti? Nel supporto senza limiti ai coloni e alle loro continue violenze senza che l’esercito o la polizia vi si opponessero? Nella pretesa, che rende i coloni ebrei tanto simili ai terroristi di Hamas, di agire in nome di Dio?

Convegno Adriano Olivetti e la Sardegna – Dibattito

adriano-olivetti-poster-img_4780Convegno su Adriano Olivetti. Dibattito
Rileggendo Adriano Olivetti: che non era utopico ma oggi, forse, lo è.
di Gianni Loy
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Auguri a Gigi Riva

Gigirriva GIGI RIVA
Oggi è il compleanno di Gigi Riva. E sono 79 !
Infatti è nato a Leggiuno, provincia di Varese, il 7 novembre 1944.
Arrivato a Cagliari quando aveva 18 anni, ormai è uno di noi.
Lombardo, ha voluto e saputo farsi sardo, un’impresa che a molti sardi non riesce. Auguri Giggirriva.
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Costituente Terra – Chiesa di tutti Chiesa dei Poveri

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 137 del 2 novembre 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n.318 del 2 novembre 2023
QUANTI NAUFRAGI
Cari amici,
non c’è una gerarchia delle tragedie. Ma nemmeno per mettercene sul cuore una, possiamo dimenticare o tacere le altre. Perciò, mentre assistiamo attoniti alla strage di Gaza, e nel vederne svelate le finalità nel progetto dello Stato di Israele di “dislocare l’intera popolazione palestinese nel deserto del Sinai” (nonostante la memoria storica della deportazione degli ebrei a Babilonia) dedichiamo questa newsletter alle ultime notizie sui naufragi nel Mediterraneo che ci trasmette dalla ONG “Mediterranea” Mattia Ferrari: da un naufragio all’altro!

Per rilanciare i contenuti del Convegno

[pagina in costruzione] Dopo i saluti istituzionali,
img_4922ha introdotto i lavori Francesca Crasta, proponendo una prospettiva filosofica alla base del pensiero olivettiano, img_4920
mentre Beniamino de’Liguori Carino, Segretario generale della Fondazione Olivetti ha parlato dell’eredità culturale di Adriano Olivetti img_4941.

Oggi sabato 28 ottobre 2023

img_3099Con le loro autocandidature Soru e Zedda sfasciano la coalizione di centrosinistra
28 Ottobre 2023 A.P. su Democraziaoggi.
In una intervista di ieri al Corriere della sera Soru ripropone la sua candidatura alla guida della Sardegna. E, com’è nel suo stile, la avanza come pretesa, il cui mancato accoglimento ha una sola conseguenza: lui si candida lo stesso.
Naturalmente egli enuncia una giustificazione alla sua prepotenza: la scelta del candidato alla presidenza non può […]
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