SOCIETÀ
Elezioni
Messaggio dell’Arcivescovo Baturi per le prossime elezioni regionali
23 Febbraio 2024
La nostra Isola è ormai giunta a un appuntamento che influenzerà i prossimi anni. Domenica 25 febbraio siamo infatti chiamati all’elezione del Presidente della Regione Autonoma della Sardegna e al rinnovo del suo Consiglio. Vorrei proporre, per tale circostanza, alcuni spunti di riflessione che ci motivino a vivere questo momento con responsabilità e fiducia.
1. La vocazione della politica. La Chiesa richiama anzitutto a considerare il grande valore della politica, che «è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune» (Francesco). L’amore non può riguardare solo i rapporti tra singole persone o piccoli gruppi ma si apre sempre alla possibilità di trasformare le relazioni e i sistemi sociali, economici e politici per realizzare il bene umano in ogni contesto. L’impegno politico, in tal senso, afferma l’esigenza e l’ideale di un cambiamento, il senso di una appartenenza, la passione per raggiungere mete che danno dignità all’agire delle persone e del popolo.
Elezioni
Alessandra Todde: la resurrezione della politica
Migliaia di persone stanno riscoprendo in Sardegna la passione per la politica e la voglia di partecipazione. Da Sassari, a Nuoro, a Cagliari sta accadendo quello che si pensava non esistesse più: che la televisione avesse definitivamente soppiantato la piazza, i luoghi di incontro per ascoltare e parlare, per confrontarsi su progetti e programmi.
La chiarezza, la trasparenza e la determinazione di Alessandra Todde hanno resuscitato la presenza attiva dei cittadini, superando la passività degli ultimi anni.
Un appello che facciamo nostro
FINO ALL’ULTIMO VOTO!
Le immagini e i reportage delle assemblee di Alessandra Todde in giro per la campagna elettorale, confermano di volta in volta, nelle ultime settimane, come a sinistra stiano rinascendo entusiasmo, passione politica e partecipazione al progetto di cambiamento della Sardegna che il centrosinistra ha messo in campo dall’autunno scorso ad oggi.
E’ sempre bello ed emozionante osservare le curiosità di questa partecipazione, le sale piene, la gente in piedi, i sorrisi compiaciuti di militanti che quel sorriso lo avevano smarrito, in qualcuno lo stupore per una passione che sembrava perduta irrimediabilmente, e ancora la volenterosa partecipazione di molti giovani e di quanti anelano un futuro migliore per sé o, magari, per i propri figli.
Si avvicina il 25 febbraio
Fa piacere che in questi giorni numerosi intellettuali di sinistra, senza appartenenze, abbiano espresso un’intenzione di voto per la coalizione di centro sinistra. Nessuno più di loro è in grado di fare mille distinguo e trovare argomentazioni per scelte diverse, compresa l’ipotesi dell’astensione. E invece in questa occasione la scelta è netta. Il voto va dato a una delle liste della coalizione di centro sinistra e alla candidata presidente Alessandra Todde. Colgo tutto ciò come un buon segno verso la vittoria!
A Gaza la guerra ha cambiato natura divenendo un genocidio
INTERVENTO ALLA BIBLIOTECA DEL SENATO
6 febbraio 2024
Raniero La Valle
Giusta è la vostra proposta che ci ha qui riunito, e tutte vere le cose che sono state dette fin qui, però io credo che noi dobbiamo alzare il livello di coscienza riguardo alla tragedia in atto. Che cosa aspettiamo a prendere atto della catastrofe di cui siamo nello stesso tempo responsabili e autori? Noi non stiamo parlando infatti della guerra di Gaza, come meritoriamente ci avete invitato a fare. La guerra di Gaza è di fatto una radiografia della situazione mondiale, una radiografia fatta con mezzo di contrasto e ad alta definizione. È una confessione sullo stato del mondo. Non è un pezzo di una guerra mondiale a pezzi, come ormai da tempo la chiama papa Francesco, ma è l’anticipazione di una guerra globale ripristinata e sponsorizzata come sostenibile anche “in questa età che si gloria della potenza atomica” (Pacem in terris), un’età dunque nella quale la guerra è stata pienamente recuperata e posta come fonte e culmine della politica
La valutazione che ci avete chiamato a fare della tragedia in corso a Gaza consta di due fattori. Il primo è l’interpretazione di ciò che sta avvenendo, il secondo è l’indicazione delle soluzioni possibili. La soluzione che qui viene proposta è quella di affidare a un mandato dell’ONU la gestione della cosiddetta Striscia di Gaza dopo la fine della guerra, sottraendo questo territorio e la sua popolazione al controllo di Israele. È una soluzione di per sé plausibile, ma è di fatto oggi impossibile per l’avversione che Israele ha concepito verso l’Onu accusata di aver mancato di solidarietà con Israele dopo gli attentati del 7 ottobre, e perché Netanyahu vuole il risultato opposto, il controllo di Gaza per portare a termine l’impresa e farla finita con la questione palestinese.
Più in generale si può dire che questa soluzione è oggi impossibile perché si basa su un errore nella comprensione degli eventi. La questione principale è come debba interpretarsi e definirsi lo scontro militare senza esclusione di colpi che è in corso a Gaza. Questa interpretazione e tanto più necessaria perché come abbiamo detto gli eventi di Gaza non si presentano come una delle tante crisi oggi aperte nel mondo ma rappresentano il punto di caduta, l’evento rivelatore e il codice interpretativo del sistema di guerra in cui si compendia oggi l’intera situazione internazionale.
L’evento di Gaza non è una guerra – la guerra stessa si offenderebbe se quella di Gaza fosse chiamata così – ma è un genocidio. A Gaza la guerra ha cambiato natura divenendo un genocidio. Ancora più esatto è dire che oggi ogni guerra è un genocidio. Come tale la guerra non è più un evento regolato da uno ius in bello in cui si possono commettere dei crimini di guerra, ma è essa stessa un crimine di diritto pubblico, un crimen organizzato compiuto con armi pubbliche invece che con armi private. È come se avessimo perduto la lezione non solo della Shoà, ma di tutta la seconda guerra mondiale con i suoi 60 o 70 milioni di morti. Se a Gaza su una popolazione di 2 milioni e duecentomila abitanti siamo arrivati a decine di migliaia di morti e feriti e un’intera compagine etnica estirpata e distrutta, che cosa sarà mai quando si giungerà a colpire l’obiettivo finale, come il Corriere della Sera chiama il nemico ucciso, rappresentato da un miliardo e 400 milioni di cinesi?
Questo mutato scenario dipende dalla nuova concezione della guerra che è stata adottata a partire dalle scelte strategiche sulla sicurezza compiute degli Stati Uniti dopo gli attentati alle Torri gemelle dell’undici settembre 2001. Quello fu un errore che. come ha detto lo stesso Biden, mai più si dovrà ripetere, e invece oggi ci siamo. Il documento della Casa Bianca sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti del settembre 2002 impostava tutta la concezione della vita internazionale e la tutela della sicurezza degli Stati Uniti sulla lotta al terrorismo che avrebbe dovuto procurare al mondo la realizzazione di una società pacifica a guida americana improntata alla democrazia alla libera impresa e al libero scambio. In questo passaggio veniva teorizzata la nuova concezione della guerra secondo la quale non era più sufficiente la dissuasione dall’aggressione affidata alla potenza militare pronta all’uso e fornita di armi di distruzione di massa: no, non bastava più questo perché questo, anche se ci aveva salvato con l’equilibrio del terrore per tutto il Novecento, non poteva salvarci più, una tale strategia veniva considerata ormai insufficiente a garantire la sicurezza. Essa poteva andare bene durante la guerra fredda quando “la deterrenza era una difesa effettiva” mentre oggi, si affermava, una “deterrenza basata solo sull’ attesa di una risposta non funzionerebbe”. Pertanto veniva adottata la dottrina della prevenzione basata sul fatto che “la migliore difesa e l’offesa”, che “non si poteva permettere agli avversari di sparare per primi” e che tale difesa preventiva per quanto esercitata con prudenza non poteva essere condizionata da limiti di luoghi e di circostanze. Sappiamo dalla storia, diceva la Casa Bianca, che i deterrenti possono fallire e sappiamo dall’esperienza che contro certi nemici non esistono deterrenti. Gli Stati Uniti possono e vogliono mantenere la capacità di sconfiggere ogni tentativo fatto da un nemico, sia uno Stato che un non Stato, di imporre la propria volontà agli Stati Uniti, ai nostri alleati, o ai nostri amici. “Le nostre forze saranno abbastanza forti da dissuadere gli avversari potenziali dal perseguire una campagna militare nella speranza di superare o eguagliare il potere degli Stati Uniti. Quanto maggiore è la minaccia tanto maggiore è il rischio di mancanza di capacità di reazione e più impellente la necessità di intraprendere un’azione anticipatoria in difesa di noi stessi, persino nell’incertezza del luogo e dell’ora dell’attacco da parte dei nemici”.
Così nel settembre 2002. Dopo qualche anno la dottrina totalizzante della lotta al terrorismo veniva considerata superata e veniva sostituita dalla visione del rapporto internazionale come di una competizione strategica la cui posta in gioco è il predominio di una grande Potenza su tutti gli altri. La competizione consisteva appunto nella lotta per vedere chi dovesse essere questo unico soggetto, questo sovrano universale che dovesse imporsi su tutti. “La competizione strategica fra Stati, non il terrorismo, è ora la prima preoccupazione per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, diceva il documento sulla sicurezza nazionale firmato dal segretario alla difesa di Trump, Jim Mattis, nel 2018. Andate a vedere su Internet, c’è scritto tutto, l’Intelligenza artificiale lo sa benissimo, siamo noi che non lo sappiamo. Tale documento varato nel corso del 2018 dalla Presidenza Trump presentava la Cina come l’antagonista finale degli Stati Uniti avendo essa come obiettivo di medio termine quello di diventare la potenza egemone dello scacchiere Indo Pacifico e nel lungo termine scalzare gli Stati Uniti dal ruolo di prima potenza mondiale. Questa impostazione è ribadita nei documenti del 12 ottobre 2022 firmati da Biden e Loyd Austin, che ne prevedono la realizzazione entro il decennio o al massimo entro i due prossimi decenni.
Ebbene, la strage in corso a Gaza dimostra che con tale impostazione ogni guerra diventa un genocidio. Se infatti nella discrezionale percezione della minaccia l’imperativo nazionale della sicurezza nazionale è quello della prevenzione, la certezza del raggiungimento dell’obiettivo sta solo nella distruzione o comunque nella riduzione all’impotenza, nella riduzione a niente dell’avversario. Nella guerra della Russia contro l’Ucraina, intentata come azione preventiva per fronteggiare la minaccia della NATO, questo esito non si era ancora reso evidente grazie all’uso controllato della forza da parte della Russia, non dimentica dell’ecatombe della seconda guerra mondiale, mentre si è pienamente manifestato a Gaza dove la estirpazione della popolazione palestinese è stata esplicitamente assunta come obiettivo della guerra, e la prevenzione è giunta fino alle operazioni contro gli ospedali e all’uccisione dei bambini nelle incubatrici e nel ventre delle madri. Se la migliore difesa sta nell’abolizione violenta del nemico, il suo adempimento è inevitabilmente il genocidio. Perciò le guerre di cui una volta si pensava che dovessero essere concluse con una vittoria, non possono più essere concluse se non col genocidio di uno dei due contendenti, o di tutti e due. Questo vuol dire che i mezzi tradizionali per porre termine alle guerre e per evitarne di nuove non funzionano più e che anche le tregue o le garanzie giuridiche offerte da terzi non bastano.
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ORMAI C’È UNA SOLA USCITA dal sistema di guerra, è la riconciliazione. Questa è la vera risposta all’erompere della crisi di Gaza: la riconciliazione tra ebrei e palestinesi, non solo tra palestinesi ed israeliani ma anche di palestinesi ed arabi con i fratelli semiti del popolo ebreo della diaspora. Come si fa? Non lo so. Non con le armi, ma ormai nemmeno solo col diritto. C’è una grandezza e miseria del diritto, come diceva la tesi di laurea di Giuseppe Dossetti, grandezza e miseria che in questa occasione sono più che mai manifeste. Ci vuole la pace, ma non una pace assoluta come sono accusati di volere i pacifisti, ci vuole una pace anche imperfetta, relativa, non una giusta pace, ma ci vuole una ingiusta pace. Perché è chiaro che oggi una pace fatta in queste condizioni sarebbe una pace ingiusta per i palestinesi, ma anche per i coloni, che ce l’hanno messa tutta per fare i loro kibbutz e i loro insediamenti, sarebbe una pace ingiusta perché ancora non in condizioni di costituire i due Stati per i due popoli, sarebbe ingiusta perché ancora non in condizione di garantire contro ogni rischio possibile la sicurezza dello Stato di Israele, perché non sarebbe in grado di garantire contro il dr. Stranamore di turno l’astensione dall’uso dell’atomica, la pace nel mondo. Eppure questa pace ingiusta è l’unica che oggi può salvarci, come ci ha salvato durante la guerra fredda, che ora è diventata calda. Una riconciliazione tra palestinesi e israeliani che renda possibile la loro convivenza in un’unica terra non è oggi una iperbole umanitaria nè una opzione del buon cuore ma è una soluzione politica, l’unica soluzione politica che finalmente dopo una notte durata più di settant’anni possa porre termine alla tragedia palestinese e anche nostra.
Perché questa soluzione politica possa prodursi bisogna fare appello non solo al diritto, alla politica, ma anche all’etica, alle religioni, alle fedi. Gli incontri tra ebraismo islam e cristianesimo possono offrire una prospettiva di conversione dalle teologie di guerra alle tradizioni di misericordia e di pace. Perché non PENSARE A UN INCONTRO DELLE TRE RELIGIONI SULLA COLLINA di Sion, uno spazio extra territoriale incluso nello Stato israelo-palestinese con capitale Gerusalemme?
“Non c’è nulla che vada oltre le nostre capacità. Possiamo farcela, per il nostro futuro e per il mondo”, hanno scritto, nero su bianco, gli americani a conclusione della loro ultima strategia, 12 ottobre 2022, firmato Joe Biden. Se ce la possono fare loro, ce la possiamo fare tutti.
Ditelo al papa, ditelo a Netanyahu, ditelo a Putin, ditelo alle persone serie, fosse anche il folle di Nietzsche che va gridando Dio è morto.
E non so quale documento consegnarvi alla fine, a quali parole, del presente o del passato, si possa fare appello. Mi è venuto in mente il primo canto della letteratura italiana, il suo autore è Francesco d’Assisi che l’ha composto nel 1226. … “Laudato sii, o mio Signore, per tutte le creature… “ con la preghiera che lo ha accompagnato : “fa di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa ch’io porti amore, dove è offesa, ch’io porti il perdono, dove è la disperazione, ch’io porti la speranza… “
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Newsletter n.329 del 16 febbraio 2024
IL GENOCIDIO E I SUOI CONTI
Cari Amici,
mercoledì 14 febbraio nella nuova sede della Federazione della Stampa in via delle Botteghe Oscure a Roma, Raniero La Valle e Michele Santoro hanno presentato in una conferenza stampa il nuovo soggetto politico “Pace Terra Dignità” e detto del suo disperato grido all’Europa in vista delle prossime elezioni europee, alle quali esso intende partecipare. Questo soggetto politico, nato da un appello firmato da La Valle e Santoro nel settembre scorso per “dare una rappresentanza a tre soggetti ideali che ancora non l’hanno o l’hanno perduta, a tre beni comuni: la PACE, la TERRA e la DIGNITÀ”, vede ufficialmente la luce nel momento in cui nell’ecatombe di Gaza la guerra, quale è stata finora pensata e istituzionalizzata a cominciare dall’Occidente, è giunta al punto di caduta finale oltre il quale c’è solo o il rovesciamento delle politiche in atto o la catastrofe. Il link alla registrazione della conferenza stampa e all’esposizione di Michele Santoro è questo: mentre il testo della introduzione ai giornalisti di Raniero La Valle è pubblicato in questo sito.
Una parola chiarificatrice si deve dire sull’uso del termine genocidio che è diventato motivo di scandalo nella politica italiana e nelle prese di posizione di Israele, quando la vera questione non è quella di regolare l’uso di questa parola, ma di porre termine al crimine che essa significa, come ha chiesto avanzandone la massima urgenza la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. Le migliaia di morti, i milioni di persone braccate, in fuga e ammassate nell’ultimo lembo della striscia di Gaza e gli stessi ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas sono indifferenti al modo in cui viene chiamato il loro olocausto, ne sono vittime e basta. Tanto più che nella insensata diatriba sul nome da dare alla carneficina di Gaza e allo scempio del 7 ottobre che l’ha provocata, dopo “56 anni di soffocante occupazione”, come aveva ricordato il segretario generale dell’ONU Guterres, si è giunti a sostenere che il criterio in base al quale decidere se si deve parlare di genocidio o no sarebbe la “proporzione” tra l’entità dell’offesa e l’entità della rappresaglia o vendetta. Da un certo momento in poi perfino Biden, Macron e Tajani hanno cominciato a dire che non c’è proporzione tra il terrorismo del 7 ottobre e il terrore delle 19 settimane che vi hanno fatto seguito fin qui, anche se non è stato precisato a quale punto di questa singolare contabilità di costi e ricavi si doveva fissare l’asticella: giusta la proporzione tra le 1400 vittime tra uccisi ed ostaggi del 7 ottobre e i due milioni e duecentomila persone dell’intera popolazione di Gaza perseguita come colpevole, 1500 per uno? Giusto il prezzo di 28.000 morti palestinesi in cambio dei 105 ostaggi rilasciati grazie al primo negoziato, 267 palestinesi morti per ogni israeliano vivo? Appropriato radere al suolo un gran pezzo di Rafah e almeno 70 morti accertati in cambio della liberazione di due ostaggi? E ha ragione Netaniahu quando dice che non si fermerà finché non avrà finito il lavoro e liberato i 103 ostaggi residui, uno per uno, contro il milione di persone che ha fatto concentrate e fatto bersaglio a Rafah, rendendole per ciò stesso ultimi “scudi umani” di Hamas? Anche il cardinale Parolin ha definito “certamente non proporzionato, con 30 mila morti, il diritto alla difesa invocato da Israele per giustificare questa operazione”, e l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede ha bollato come “deplorevole” questa dichiarazione; ma lui stesso ne ha fatto una questione di proporzione, rivendicando come giusta la percentuale delle vittime di Gaza, che sarebbe di “tre civili per ogni militante di Hamas ucciso”, quando “nelle guerre e nelle operazioni passate delle forze Nato o delle forze occidentali in Siria, Iraq o Afghanistan, la proporzione era di 9 o 10 civili per ogni terrorista”, perciò di tre volte superiore “alla percentuale dell’esercito di Israele”.
Quando si arriva a questa contabilità, vuol dire che l’anima del mondo è perduta, e se ingrandiamo il campo della crisi, fino a comprendervi e a vedervi le altre guerre e l’intera crisi mondiale, scopriamo che l’intera realtà umana e fisica del mondo, e la sua stessa dignità è oggi al punto da poter essere perduta. E giustamente l’”Osservatore Romano” ha replicato che “nessuno può definire quanto sta accadendo nella Striscia un ‘danno collaterale’ della lotta al terrorismo. Il diritto alla difesa, il diritto di Israele di assicurare alla giustizia i responsabili del massacro di ottobre, non può giustificare questa carneficina”.
Si può tornare così all’uso della parola “genocidio”. È una parola nuova che non esisteva anche se popoli interi erano stati sterminati, dagli Indiani d’America agli Armeni in Turchia. Essa è stata coniata dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, prima ancora che venisse a definire l’olocausto del popolo ebreo, ciò per cui fu adottata nella Convenzione dell’ONU per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio, perché questo non avesse a ripetersi mai più nella forma di “distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale”. Genocidio è perciò una parola comune, mentre Shoà è la parola di specie che definisce quello perpetrato contro gli Ebrei. Esso è stato tale da essere considerato non paragonabile con qualunque altro, e per gli Ebrei stessi è diventata una parola sacra che non può riferirsi ad altro che al loro olocausto. Questa è la ragione per cui si può capire la ferita profonda che questa parola apre nella coscienza del mondo, e il rischio che sia confusa con l’antisemitismo, anche se purtroppo essa è atta a nominare altre realtà. Ma è anche la ragione per cui, per amore degli Ebrei e della fraterna amicizia che si desidera mantenere con loro, si può benissimo fare a meno di usarla, non per questo chiudendo gli occhi su altre tragedie. Ma per la stessa avvedutezza occorrerebbe che lo Stato di Israele non fornisse un’autorappresentazione di sé, avanzata come espressione autentica dell’intero Israele, che facesse apparire un popolo vittima di un genocidio come legittimato a infliggerlo ad altri.
Nel sito pubblichiamo un articolo di “Avvenire” che riferisce della controversia tra la Santa Sede e l’ambasciatore israeliano e un articolo tratto dal sito “Gariwo” su Lemkin e il neologismo “genocidio”.
Con i più cordiali saluti,
Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri
Alla disperata
Oggi un articolo di Vito Biolchini sul suo blog (e sulla pagina fb)
Di seguito due commenti del direttore.
I militanti a disposizione della coalizione di Renato Soru sono in misura largamente inferiori a quelli delle due coalizioni più grosse. Lo evidenzia la numerosità dei candidati: oltre 500 per ciascuna delle due grandi, circa 250 per quella di Soru. Si capisce quindi che alla disperata Soru cerchi di inserirsi nella contesa tra il primo e secondo posto, invitando alla pratica del voto disgiunto. Tutto legittimo. Come ben argomenta Tonino Dessì il voto disgiunto, di per se disdicevole, nel caso della pessima legge elettorale sarda può costituire un utile correttivo per rendere chiaro quale sia il vincitore delle elezioni. La cosa alquanto improbabile è che Renato Soru riesca a insidiare uno dei primi due posti. D’altronde si capisce che questa può essere per lui l’unica chances in alternativa al disastro, come capito’ a Michela Murgia.
Leggi anche: https://www.aladinpensiero.it/?p=151811
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Ho idea che i suoi alleati, quelli che hanno fatto con lui un matrimonio di interesse come Azione+Europa, se ne fottano delle sue insane voglie di potere, pronti a tradirlo, tutti tesi a conquistare il fatidico 10% che consentirebbe ad alcuni di essi l’elezione a consigliere. Sembra che tra le liste della coalizione di Soru, che sostanzialmente si riducono a due, Progetto Sardegna e Azione+Europa sia proprio quest’ultima a prevalere numericamente. Quanto al Pd, dato come sempre in rovina, ad opera soprattutto del grande moralizzatore (!), ma quando mai? Caro on. Soru, il Pd con tutti i suoi guai, potrebbe risponderle: acca’ nisciuno è fesso!
Sono lungo e a volte noioso, ma lasciatemi osservare quanta palese ipocrisia e mala fede si nasconda dietro la ricostruzione delle vicende che hanno portato alla scelta di Alessandra Todde come candidata presidente. Ma crede Soru che siamo tutti fessi, che ci beviamo le sue ricostruzioni da verginello? Alla cagliaritana lo guardiamo in faccia e gli diciamo: ma ti possu toccai?
Oggi martedì 13 febbraio 2024
Regionali, quante stranezze! Rifondazione e Liberu con Calenda!
13 Febbraio 2024
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Bisogna ammettere che in Sardegna avvengono tante stranezze, cose inspiegabili a rigor di logica. Anzitutto Soru. Il suo nome è stato avanzato all’interno del centrosinistra. E’ stata preferita la Todde. Una persona sensata che fa? Accoglie la scelta e si mette a disposizione. Un dirigente fa così, mira a salvaguardare l’unità dello schieramento, anche perché questa […]
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Un commento del direttore:
W il libero arbitrio Andrea, ma dobbiamo avvertire che purtroppo potrebbe consentire che si ripetano fatti come l’omicidio di Abele da parte di Caino o la scelta dell’assassino Barabba contro l’innocente Gesù, Fuori di metafora, dobbiamo dire a tanti compagni: non siate complici della vittoria della destra, la peggiore destra inopinatamente al potere. Promuoviamo la partecipazione al voto, anche utilizzando il “voto disgiunto” previsto dalla pessima legge elettorale sarda. Il voto disgiunto è in generale uno strumento disdicevole, ma in questa legge può costituire un positivo strumento correttivo. Al riguardo ha scritto, di recente, Tonino Dessì, uno dei più acuti pensatori politici della nostra parte:
L’atteso sondaggio: lo chiameremo Charlot.
Charlot il noto personaggio di Charlie Chaplin, piaceva a tutti, ai grandi e ai piccini, agli uomini e alle donne, ai poveri e ai ricchi. Pressapoco come il recente sondaggio elettorale pubblicato ieri 5 febbraio 2024.
Da un dibattito sulla pagina fb di Vito Biolchini. A commento di un post di Lilli Pruna. Sai perché è un sondaggio che convince? Perché da veste scientifica a un risultato che è nell’aria. Che convince molti e non chiude a esiti diversi. Sta vincendo Truzzu? Bene per il centro destra, ma basterà poco per ribaltare il pronostico. Todde potrebbe ricuperare quei 4 punti che la separerebbero dal rivale. Il più scontento è Soru che puntava sul miracolo di arrivare primo e, a male andare, secondo. E che invece rimarrà inesorabilmente fuori dal Consiglio a causa della pessima legge elettorale sarda Forse Soru si sarebbe accontentato di piazzare un suo gruppo di fedelissimi capace di negoziare con la maggioranza qualsiasi essa sarà. Obbiettivo ancora possibile, ma non scontato. Il suo terrore è mancarlo. Lui ha detto “saremo presenti alla prossima scadenza elettorale: le comunali” Si ma senza un successo perlomeno di secondo livello a queste elezioni, lui, col suo progetto, non esisterà più, politicamente!
Se queste mie considerazioni sono valide, nei prossimi giorni vedremo mutare la tattica elettorale di Soru.
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Ragionamenti elettorali cautamente attendibili
Vi e’ una previsione su come andranno a finire le elezioni che circola in questi giorni. Eccola di seguito.
Le due maggiori coalizioni sarebbero testa a testa verso il
Traguardo.
Quella di Soru, passi o non passi il 10% sarebbe comunque terza.
La differenza tra i due maggiori schieramenti la farebbe il voto disgiunto, cioè tra chi differenzia il voto alla formazione politica da quello alla coalizione.
Attenzione in particolare ai sardisti, che hanno più che una ragione per non votare Truzzu.
Documentazione
Gigi Riva merita un monumento. Noi sardi glielo dobbiamo!
Appoggiamo con entusiasmo la proposta della dedica a Gigi Riva del monumento attualmente dedicato a Carlo Felice e la nuova intitolazione della strada: Largo Gigi Riva
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Messaggio del Vescovo e celebrazione esequiale di Gigi Riva
Sarà monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, a presiedere la Messa esequiale di Gigi Riva, domani 24 gennaio alle ore 16, presso la Basilica di Nostra Signora di Bonaria.
L’Arcivescovo ha rivolto un messaggio, unendosi al cordoglio per la morte del calciatore, figlio adottivo della terra sarda.
«La morte di Gigi Riva tocca nel profondo il cuore di Cagliari e di tutta la Sardegna. Nella sua carriera di calciatore e di dirigente scorgiamo le caratteristiche dell’etica sportiva che, più volte, papa Francesco ha ricordato, soprattutto nel dialogo con gli atleti: la lealtà, il coraggio, la disciplina del corpo e della mente, la fantasia e il sacrificio, l’amicizia, lo spirito di gruppo, l’agonismo non come prevaricazione ma come ascesi spirituale, il riscatto sociale.
Sardo di adozione, si è sentito parte di un popolo che lo ha apprezzato non solo per le sue doti sportive ma anche per la semplicità e genuinità che sempre l’hanno contraddistinto. La sua vita ci insegna che il vero campione non si lascia stordire dal divismo e che il contatto sincero e spontaneo con il popolo, e non solo con i tifosi, è un’occasione unica per trasmettere i valori autentici dello sport.
Nella preghiera, affidiamo Gigi Riva all’abbraccio eterno del Signore che ama la vita».
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Addio al nostro Gigi Riva. Addio a quello che fino ad oggi era il più grande sardo vivente. Per i sardi vive eccome! Di lui abbiamo scritto “… ha voluto e saputo farsi sardo, un’impresa che a molti sardi non riesce”.
Da quando esiste Aladinpensiero, il 7 novembre di ogni anno formulavamo gli Auguri al nostro eroe Luigi Riva. Ecco il testo che, mutando le date, pubblicavamo ogni anno.
GIGI RIVA
Oggi è il compleanno di Gigi Riva. E sono 79 !
Infatti è nato a Leggiuno, provincia di Varese, il 7 novembre 1944.
Arrivato a Cagliari quando aveva 18 anni, ormai è uno di noi.
Lombardo, ha voluto e saputo farsi sardo, un’impresa che a molti sardi non riesce. Auguri Giggirriva.
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Cosa vuole il Popolo. Cosa vogliono i sardi. Ascoltateci!
[Una bella e condivisa proposta di Pierluigi Marotto]. Allora la dico cosi, visto che il tempo del cazzeggio è dell’uso dei muscoli È SCADUTO!
@Renato Soru, concorra a definire e far eleggere la prima donna sarda alla Presidenza della Giunta Regionale
@Alessandra Todde ,concorra a definire e far eleggere R.SORU alla Presidenza del Consiglio Regionale quale garante dell’attività legislativa e istituzionale per portare la Sardegna in Europa e
accompagnare il processo di
Autodeterminazione del Popolo
sardo.
Le future generazioni avranno a
ricordare il 2024 come l’anno della
svolta e della emancipazione
civile, politica e sociale della nostra
Terra Madre.
Abbiate il coraggio entrambi di
liberarvi di certi nani e quaraquaqua e
puntate a mandare la destra
all’opposizione senza se e senza ma.
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Il Papa da Fazio
Non c’è solo la proverbiale ironia di papa Francesco dietro quel suo riconoscersi solo alla luce di scelte pastorali coraggiose, da ultima il via libera alle benedizioni delle coppie gay. “Traspare anche una certa paura, mista ad amarezza, per il rendersi conto che ampie fette della Chiesa, quelle più praticanti, non lo stanno seguendo”, è il teologo Vito Mancuso a mettere il dito nella piaga della crescente solitudine di Bergoglio sullo sfondo dell’apparizione di quest’ultimo al programma Che tempo che fa.